Omelia nella 4 domenica per annum
«Gesù Maestro e Profeta»

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Dal Vangelo secondo Marco 1,21-28

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!».
La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea. ++++ 
 
 
Il Vangelo di Marco è una vera proposta di itinerario catechistico per chi è stato chiamato alla vita cristiana.
Esso è percorso da un interrogativo fontale: chi è Gesù?
È il “segreto messianico” che caratterizza il suo racconto.
Per Marco il Vangelo, cioè la buona notizia che salva, è Gesù Cristo, il Figlio di Dio. L’obiettivo è quello di giungere a confessare la messianicità di Cristo.

Non c'è dunque chiamata alla vita cristiana che non sia sequela Christi per continuarne la missione.

Secondo l’evangelista Marco la predicazione di Gesù in Galilea ha avuto come oggetto la venuta del regno di Dio ed è stata accompagnata da segni straordinari che ne hanno illustrano la natura e le conseguenze.
 
Nelle ultime domeniche la liturgia della Parola ha posto in primo piano la chiamata del Signore.
Fu così nella festa del battesimo di Gesù
(Is 42, 6).
Nella seconda domenica è stata presentata la chiamata di Samuele: «Il Signore chiamò Samuele» (1 Sam 3, 3).
E ai discepoli che gli chiedevano: «Maestro, dove abiti?» Egli rispose: «Venite e vedrete» (Gv 1, 38-39).
Nella terza domenica Gesù incontrò prima Simone e Andrea e poi Giacomo e Giovanni figli di Zebedeo e disse loro: «Venite con me…» (Mc 1, 17).
 
L’evangelista ambienta oggi Gesù a Cafarnao, località città situata a nord, a circa 5 chilometri dal luogo dove il Giordano sfocia nel lago di Tiberiade: luogo di passaggio tra Palestina, Libano e Assiria. Città di confine abitata anche da stranieri non appartenenti al Popolo di Dio. E presenza, altresì, di truppe romane imperiali. Zona chiamata “Galilea delle genti”. Il Giovane Rabbi di Nazaret ne aveva fatto il centro della sua predicazione e dei suoi viaggi apostolici.

Cafarnao fu la patria di Simone e di suo fratello Andrea; di Giovanni e di suo fratello Giacomo, figli di Zebedeo, entrambi pescatori. Probabilmente Gesù fu ospitato nella casa di Simone a Cafarnao dove vi guarì sua suocera e il paralitico che fu calato dal tetto.
Certamente vi sostò nelle pause dei suoi itinerari in Galilea e in Giudea.
 
L’icona che brilla attraverso la liturgia della Parola della IV domenica per annum è la figura del profeta più grande: Cristo Gesù, l’inviato del Padre. Il profeta è nostalgia e promessa: ma è soprattutto voce e presenza. Il suo sguardo si estende al passato per "ri-cor-dare" che vuol dire passare attraverso il filtro del cuore (ri-dare-al-cuore). Ma si orienta altresì al futuro per convocare la gente a con-cor-dare (cum-cor-dare) l’itinerario futuro per migliorarlo.

Il profeta non lo è per sua volontà e/o per sua decisione. Egli obbedisce a una precisa chiamata di Dio e cerca di portare avanti una missione divina a lui affidata.

Il profeta non vive per se stesso ma per il suo popolo. È al contempo messaggero e messaggio. La sua parola deve trovare riscontro e testimonianza nello stile della sua vita personale. Naturalmente, il profeta non è sempre ben accettato dal suo popolo.

Per gran parte della gente la tranquillità è un dono più prezioso che la fedeltà ai valori e principi. In genere la gente si aspetta di ricevere parole di lode; a nessuno piace essere corretti e ripresi; e neppure essere spronati a superare la monotonia delle mete raggiunte.
 
Questa IV domenica del tempus per annum è caratterizzata da un annuncio forte del profeta: Ascoltate oggi la voce del Signore(Sal 95 [94], 7-8).
Oggi! Il tempo è una categoria teologica che entra nella percezione della chiamata come grazia storica. Per percepire che Dio parla al cuore, l’attenzione è imprescindibile! “Oggi”, dice il testo. Dio può rivelare la sua volontà in qualsiasi momento. Se parla lo farà con autorità. La promessa che Dio ha fatto a Mosè sull’Oreb si compie in Gesù: è Lui il profeta suscitato dal Signore perché noi temiamo di incontrare terribili teofanie, fino a quando non incontreremo la rivelazione della volontà divina attraverso il suo Figlio, che si è fatto uno di noi, che insegna, che chiama in maniera coinvolgente e totalizzante.
 
Attorno alla Parola e all'ascolto ruota, oggi, il Vangelo di Marco. Era un sabato, il giorno del Signore, in cui l’ebreo viveva il comandamento di santificare il settimo giorno (cf. Es 20,8-11; Dt 5,12-15) e andava alla sinagoga per il culto. Anche Gesù e i suoi discepoli si recarono alla sinagoga di Cafarnao dove, dopo la lettura di un brano della Torà di Mosè e di una pericope dei Profeti, un uomo adulto poteva prendere la parola e commentare quanto era stato proclamato.

Gesù era un semplice credente del popolo di Israele, era un laico, non un sacerdote, ed esercitò questo diritto. Andò all’ambone e fece un’omelia. Il brano evangelico p
arla dello stupore di quanti, nella sinagoga di Cafarnao, avevano udito Gesù di Nazareth commentare i testi della Scrittura: “erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro, come uno che ha autorità, e non come gli scribi..."
 
Il termine “autorità” non rende efficacemente la parola del testo originale che esprime il concetto di “potenza”. Inoltre, Marco non scrive quali fossero i contenuti dell’insegnamento del Giovane Rabbi; resta il fatto che presenti sono stupiti, perché egli insegnava con una «autorità» di cui erano privi i dottori della legge che tenevano l’omelia sinagogale.

Che cosa c’era di differente nel suo predicare? Certamente la sua è stata una parola che proveniva dalle sue profondità; una parola che nasceva da un silenzio vissuto; una parola detta con convinzione e passione; una parola detta da uno che non solo credeva a quello che dice, ma lo viveva. Fu soprattutto la coerenza vissuta da Gesù tra il suo pensare, dire e vivere a conferirgli quella “potenza”/autorità che si imponeva.
 
Marco non scrive neppure in che cosa consistesse questa “potenza”/"autorità", ma si può arguire che gli derivava dal fatto che non trasmetteva, come gli scribi, i detti e le interpretazioni di altri dottori, ma, a somiglianza dei profeti, annunciava in prima persona un messaggio che veniva direttamente da Dio.

Gesù non è stato uno che seduceva con la sua parola elegante, erudita, letterariamente cesellata, ricca di citazioni culturali; non è appartenuto alla schiera dei predicatori che seducono tutti senza mai convertire nessuno. Egli invece sapeva andare al cuore di ciascuno dei suoi ascoltatori, i quali erano spinti a pensare che il suo era “un insegnamento nuovo”, sapienziale e profetico insieme, che scuoteva e convinceva.
 
Se ne ricava un «trinomio» ripreso strategicamente due volte, all’inizio e alla fine della pericope evangelica: «insegnamento di Gesù – stupore della genteautorità di Gesù» cui si può aggiungere un quarto elemento: la «novità» di proposta, in quanto differente “e non come gli scribi”. La potenza/autorità di Gesù si sarebbe mostrata subito dopo in un atto di liberazione di un «uomo posseduto da uno spirito impuro».

La gente di Cafarnao aveva colto immediatamente la “novità” di Gesù che non proponeva un Dio “legalista”, ma un Dio amore, compassione, misericordia e perdono. Un Dio vicino, solidale e che sa esprimere un amore privilegiato per i peccatori e gli esclusi.
 
Con questa affermazione gli abitanti di Nazareth riconobbero Gesù come il profeta promesso da Mosè.
«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità». Queste parole si applicano a Gesù che va oltre l’atteggiamento dei rabbini che si limitavano a commentare le scritture. Sulle labbra di Gesù la Parola proclamata acquista significato e credibilità e la sua autorevolezza deriva dal fatto che Egli è il Compimento delle promesse di tutto l'Antico Testamento, il Rivelatore per eccellenza, il Signore della Parola. Egli si è potuto permettere di interpretare la Legge di Mosè. Nel corso della sua vita pubblica e del suo magistero Egli la riassumerà nel comandamento dell'amore. E rivelerà il vero volto di Dio che è amore.
«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità». È questa una frase che dovrà applicarsi alla Chiesa di oggi. La Chiesa ascolta la voce dell'umanità. Presta attenzione ai suoi dolori, alle sue gioie e alle sue speranze. Ma non può idolatrare questa o quella ideologia. La sua autorità non proviene né dal potere politico né da quello economico. È un servizio del Regno di Dio. Di qui deriva la sua novità.
«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità». Ciascuno dei cristiani è evangelizzato ogni giorno. È chiamato ad essere evangelizzato. Il Vangelo deve “risonare” tutti i giorni come “nuovo” ai nostri orecchi. E dovrà risonare come nuovo quando lo proclameremo attraverso la novità della verità e della vita; della vicinanza e della tenerezza; della compassione e della gioia.
 
Soltanto lo stupore di chi ha preso in considerazione Gesù ha possibilità di aprirsi alla luce della fede che solo può spiegare tutto. Laddove lo stupore è mera curiosità o calcolo interessato, come i concittadini di Gesù a Nazaret, sfocia in disprezzo
 
Cari Amici
Dopo questa introduzione sulla figura profetica di Gesù e sul suo insegnamento, l’evangelista Marco racconta il fatto dell’indemoniato. Mediante la fusione dei due brani l’evangelista intende presentare la guarigione dell’indemoniato, accanto alla chiamata dei primi discepoli, come la più efficace illustrazione dell’insegnamento di Gesù: questi insegna con autorità perché accompagna l’annunzio della venuta del Regno con l’eliminazione effettiva di ogni potere che si oppone a Dio.
 
Nel luogo del culto e della preghiera si è fatto presente il demonio. L’indemoniato è presentato come un uomo posseduto da uno «spirito immondo», in antitesi alla purezza e alla santità di Dio. Egli si rivolse a Gesù chiedendogli, con un’espressione di profonda ostilità: «Che vuoi da noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio». L’espressione «che vuoi da noi» indica la mancanza di qualsiasi punto in comune con Gesù: tra questi e il potere diabolico c’è la rottura più completa.

Il demonio lo accusa di essere venuto a mettere in pericolo il suo potere. Gesù allora sgridò duramente il demonio e gli impose di tacere. Poi ordinò allo spirito di uscire dall’uomo. E lo spirito immondo non poté far altro che obbedire, pur provocando urla e contorsioni in colui che era da lui posseduto. In tal modo Gesù dimostrò di avere un potere superiore a quello dei demoni.
 
Al termine del racconto viene ripreso il tema iniziale: la gente è meravigliata, rendendosi conto che egli propone una «dottrina nuova» e la insegna con autorità. La dottrina nuova insegnata da Gesù consiste naturalmente nell’annunzio dell’imminente venuta del regno di Dio.

Alla luce della liberazione dell’indemoniato la sua autorità venne qualificata non solo più in rapporto al suo modo di insegnare, ma anche alla sua efficacia: l’eliminazione del potere diabolico avverso a Dio infatti è la dimostrazione più evidente che il regno di Dio sta veramente attuandosi. Il gesto da lui compiuto ha fatto sì che la sua fama si diffondesse «in tutta la regione intorno alla Galilea».
 
Gesù libera l’uomo dal male. Gesù è il Redemptor hominis. Questo è il messaggio fondamentale della rivelazione: Gesù Cristo è venuto per liberare l’uomo dal male e dalla morte. A lui guardiamo con attesa immensa anche oggi, disorientati ancora una volta dal male presente nella storia. Lui è la nostra speranza.

Per noi, oggi, il valore della presenza di Gesù si coglie nel momento in cui ci si impegna per un incontro quotidiano, autentico e concreto con Lui che deve snodarsi attraverso la frequenza ai sacramenti, l'ascolto assiduo e il confronto con la Parola che illumina, rivela e libera; con il mistero della sua croce; con l'impegno indefesso ad aprire il proprio cuore e la propria esistenza alla grazia che ci viene offerta attraverso tutti questi strumenti della grazia di Dio.
 
O Padre, che nel Cristo tuo Figlio
ci hai dato l’unico maestro di sapienza
e il liberatore dalle potenze del male,
rendici forti nella professione della fede,
perché in parole e opere
proclamiamo la verità
e testimoniamo la beatitudine
di coloro che a te si affidano.



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