
Secondo una credenza assai diffusa presso il popolo ebraico, il destino che attendeva un profeta era l'incomprensione, il rifiuto e, in molti casi, la morte. Probabilmente Gesù ha messo in conto molto presto la possibilità di una fine violenta. Gesù non è stato un suicida, né ha mai aspirato al martirio. Non ha mai cercato la sofferenza né per lui né per chiunque. Ha dedicato la sua vita alla lotta contro la malattia, l'ingiustizia, l’emarginazione e la disperazione. Visse dedicato completamente a "cercare il regno di Dio e la sua giustizia": per un mondo più degno e felice per tutti coloro che erano alla ricerca di suo Padre. L’eventuale accettazione della persecuzione e del martirio era finalizzata alla fedeltà e al progetto di Dio, che comunque non vuole veder soffrire i suoi figli e le sue figlie. Così Gesù non è andato incontro alla morte, ma non si è sottratto. Non è fuggito davanti alle minacce, né ha modificato o reso più soave il suo messaggio. Sarebbe stato facile per Gesù evitare la persecuzione e la morte. Sarebbe bastato tacere o quanto meno non insistere su quello che avrebbe potuto irritare il tempio o il palazzo del prefetto romano. Non l'ha fatto. Ha continuato per la sua strada. Preferì essere perseguito piuttosto che tradire la sua coscienza ed essere infedele al progetto di Dio, suo Padre. Ha imparato a vivere in un clima di insicurezza, di conflitti e di accuse. Giorno dopo giorno si riaffermò la sua missione e continuò ad annunciare il suo messaggio...
continua...