La Domenica celebra la Pasqua settimanale

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Il senso cronologico del tempo è assunto e trasformato dal mistero di Cristo in un “tempo senza tempo”. Celebrare la Pasqua significa vivere una sorta di “sospensione” del tempo cronologico per far risplendere la dimensione kairologica del mistero.

 

Anche sul piano antropologico sperimentiamo una sorta di trasformazione del tempo quando accade un avvenimento straordinario. Il tempo scorre, ma è come se rimanesse fermo attorno a quell’evento. La sua eccezionalità crea un “arresto del tempo”.

 

La memoria fissa l’evento nel cuore e lascia che il resto continui il suo percorso senza incidere nella vita personale. Il primato di quell’evento rende secondaria e ininfluente ogni altra realtà, come se non fosse mai accaduta o, addirittura, non esistesse.

 

Abbiamo vissuto questi giorni nell’atmosfera della resurrezione di Gesù. “Dux vitae mortuus/regnat vivus – il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa!”

 

La Pasqua è la festa che dà origine a tutte le feste, la prima celebrata dai cristiani. È la festa che scandisce tutto l’anno liturgico, che si celebra ogni domenica, Pasqua della settimana.

 

È fondamentale per la nostra fede e per la nostra testimonianza cristiana proclamare la risurrezione di Gesù di Nazareth come evento reale, storico, attestato da molti e autorevoli testimoni. Lo affermiamo con forza perché, anche in questi nostri tempi, non manca chi cerca di negarne la storicità riducendo il racconto evangelico a un mito, ad una “visione” degli Apostoli, riprendendo e presentando vecchie e già consumate teorie come nuove e scientifiche.

 

Nella liturgia eucaristica settimanale si sono susseguiti i racconti delle apparizioni di Gesù che, secondo la narrazione evangelica, è come se fossero avvenuti tutti nello stesso giorno.

 

Il Vangelo di Marco propone una sintesi delle apparizioni presenti negli altri Vangeli e ce le riconsegna come un’unica esperienza pasquale della Chiesa primitiva e come fondamento della vita e della missione della Chiesa futura.

 

Il Vangelo di Giovanni precisa che Gesù appare ai discepoli “otto giorni dopo” la sua risurrezione. Questo richiamo cronologico è importantissimo tanto che la liturgia proclama sempre lo stesso brano evangelico in tutti e tre gli anni (A, B, C). Non avviene per nessun altro testo biblico.

 

È chiaro l’intento di considerare ogni domenica dell’anno come festa di Pasqua. Anzi: il mistero della Pasqua abbraccia l’intero arco della nostra esistenza! Cristo ha riempito il tempo del suo mistero pasquale. Ogni frammento di tempo è pieno della sua risurrezione. La domenica è il suo giorno in un modo tutto particolare, tanto da segnare l’identità cristiana.

 

Secondo i Padri della Chiesa, il cristiano vive secondo la domenica. Insomma, la domenica è la regula fidei et vitae del discepolo di Cristo.

 

Ogni cristiano dovrebbe ripetere con i martiri di Abitene: «Sine dominico non possumus». Tra gli altri possibili significati, la frase si potrebbe anche tradurre: «Senza la domenica non possiamo vivere». Una delle caratteristiche sociali della vita della comunità cristiana, all’alba della sua storia, stava nel fatto che essa si radunava “nel giorno dopo il sabato per spezzare il pane” ed esprimere la propria fede nella lode e nel ringraziamento a Dio.

 

Il primo guadagno che la domenica ci consegna è il nuovo modo di intendere il tempo. Con la resurrezione di Gesù il senso del tempo cambia radicalmente. La domenica è il giorno di Cristo risorto, il «giorno che ha fatto il Signore».

 

Vi è una attrazione del tempo fino a identificarsi con la persona del Risorto e con il suo mistero di redenzione. Sant’Agostino spiega che la domenica è il primo, il terzo, il settimo e l’ottavo giorno. È il primo giorno della nuova creazione, l’inizio del nuovo mondo, il tempo dei “cieli nuovi e terra nuova”. La creazione non viene distrutta, ma cambia il suo modo di essere e il nostro modo di vivere.

 

La domenica è il terzo giorno, perché richiama il giorno della “resurrezione”. Gesù, infatti, risorge dopo tre giorni.

 

La domenica, inoltre, è il “settimo giorno”, il giorno del riposo. Dopo avere creato ogni cosa, Dio si riposa contemplando la meravigliosa bellezza di quanto egli stesso ha fatto sorgere dal nulla.

 

La domenica, infine, è l’ottavo giorno, il giorno eterno, “la domenica senza tramonto”. La domenica, pertanto, è l’anticipazione della gioia infinita del paradiso, la ripresa del colloquio e della conversazione amicale e fraterna con Dio e con tutti i santi del cielo (cfr. Gn 2-3).

 

Nel giorno del Signore entriamo, almeno per breve tempo, nella Tenda del Convegno (cfr. Es 33,7-11), nel nuovo Tempio non costruito da mani d’uomo (cfr. Eb 9,2), ma «fatto da Dio» (cfr. Sal 117,24). È il primo dono del Risorto.

 

Se vivessimo veramente la domenica interpreteremmo la vita in un modo totalmente differente. Vivere la domenica non è soltanto andare a Messa, ma significa cambiare la mentalità, avere un altro modo di interpretare e di pensare la realtà. La domenica ci offre il criterio di valutazione e il metro di misura del tempo.

 

In secondo luogo, bisogna considerare che la domenica non è solo un giorno, ma è una persona: Cristo Risorto. Non si sottolineerà mai abbastanza questa verità.

 

La conseguenza è che, anche quando per impedimenti eccezionali non è possibile partecipare alla Messa, non viene meno l’incontro con il Risorto. La resurrezione è una persona che passa anche attraverso le «porte chiuse» (Gv 20,26). Non c’è nessuna realtà che impedisca l’incontro con il Signore.

 

Chi non può partecipare perché è realmente impossibilitato e magari non può ricevere nemmeno la comunione eucaristica, non è escluso dalla consolante presenza di Cristo risorto.

 

Occorre riscoprire l’annuncio "cristiano" della domenica, il suo significato di "giorno del Signore". È mancata una vera e propria teologia della domenica che mettesse in risalto che la domenica è fondata sull’evento della Risurrezione di Cristo, e concretizzantesi nella celebrazione eucaristica in cui la Chiesa radunata "fa memoria" del Signore.

 

Il Documento di base per il rinnovamento della catechesi al n. 116, scrive: «La domenica dev’essere presentata come festa primordiale e pasqua settimanale, fondamento e nucleo dell’anno liturgico. Il giorno del Signore risorto e asceso al Cielo raduna in assemblea i credenti per renderli sempre più Chiesa: è giorno di gioia, di riposo dal lavoro, di fraternità».

 

Ecco perché è urgente «rimotivare il precetto domenicale» per cui la domenica è il tempo dell’incontro con la persona del Risorto. E la rimotivazione si trova unicamente nella risurrezione di Cristo e nella prassi della Chiesa, inauguratasi in quel giorno, di riunirsi in assemblea per incontrare nella fede il Signore risorto presente e operante nella celebrazione liturgica.

La Chiesa non potrebbe vivere se non potesse radunarsi per celebrare la "Cena del Signore", nutrendosi alla duplice Mensa della Parola e del Pane di vita. 

 

Sì, ne sono persuaso: dal rinnovamento della domenica dipende il futuro della fede cristiana, e attorno alla Domenica si gioca la forza del nostro cristianesimo.

 

Pertanto è urgente e ragionevole creare la coscienza che esiste la domenica, ossia un giorno della settimana nel quale i credenti sono "convocati" a fare Chiesa per incontrarsi col Signore che si fa presente in mezzo a loro. Se nella domenica celebreremo il Cristo Risorto, allora sarà innovativo anche il nostro stile di vita.

 

Cristo e Chiesa formano una sola persona. Sant’Agostino parla di “Cristus totus”. Non si può scindere il Risorto dalla comunità dei risorti. Gesù appare loro perché è parte della loro stessa vita e la comunità dei risorti è la manifestazione visibile della sua resurrezione. Da qui si comprende la responsabilità della Chiesa a essere trasparenza della presenza di Cristo.

 

Quattro sono le caratteristiche che gli Atti degli Apostoli indicano per esprimere la modalità di Chiesa del Risorto: i discepoli erano perseveranti, assidui, stavano sempre insieme ed erano unanimi. Vivevano come fossero attraversati da un unico afflato, fino ad essere «un cuor solo e un’anima sola».

 

Se vogliamo mostrare Cristo risorto agli altri, dobbiamo vivere così la nostra vita cristiana: perseveranti nella preghiera, assidui nell’insegnamento degli apostoli insieme alla frazione del pane, unanimi nella vita di tutti i giorni (cfr. At 4,32-37).

 

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