Il Vangelo secondo Matteo

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L'Anno Liturgico è l'articolazione del calendario annuale della liturgia della Chiesa cattolica. Nel Rito Romano inizia con la prima domenica di Avvento e termina con l'ultima settimana del Tempo ordinario nella festa di Cristo Re dell’universo.

La Chiesa ha suddiviso l’anno liturgico festivo in 3 denominazioni: Anno A, Anno B, Anno C, a cui, per quanto riguarda la Liturgia della parola, corrispondono il Ciclo A, il Ciclo B, Ciclo il C, aventi ciascuno di essi una peculiare fisionomia. Limitandoci ai Vangeli,

-      il ciclo A dell’Anno liturgico è caratterizzato dal Vangelo secondo Matteo,

-      il ciclo B dell’Anno liturgico dal Vangelo secondo Marco,

-      il ciclo C dell’Anno liturgico conosce il mistero salvifico con la meditazione del Vangelo di Luca.

Il Vangelo secondo Giovanni viene proposto in modo particolare durante il tempo di Natale e Pasqua dei tre Cicli.

 

Nel ciclo A dell’Anno Liturgico la Liturgia della Parola propone la lettura del Vangelo di Matteo, il Vangelo "ecclesiale" per eccellenza. Matteo presenta Gesù come Maestro e dice agli uomini di tutti i tempi: «Ascoltatelo!». È uno scritto di grande maturità teologica e letteraria, anche se non ha la forza narrativa di Marco, l’umanità di Luca o la profondità teologica di Giovanni. Insieme al vangelo di Marco e a quello di Luca, è uno dei tre vangeli “sinottici”.

 

Matteo, nei suoi scritti (Mt 9,9-10,3), si presenta come un esattore delle imposte chiamato da Gesù tra i suoi apostoli. Matteo esercitò la sua professione a Cafarnao, la “via del mare”, di grande importanza per il transito verso la costa del mediterraneo. Appena chiamato da Gesù, decise di fare una cena con lui e gli amici. Il nome Matteo significa “Dono di Dio”. Dopo la sua conversione Matteo divenne uno dei Dodici Apostoli del Signore (cfr Mt 10,2–4).


Il Vangelo secondo Matteo fu scritto dopo la metà del primo secolo dopo Cristo, attorno agli anni 70-80, ossia dopo la caduta di Gerusalemme e del Tempio per opera dei Romani. Infatti le profezie che vi si leggono su questa distruzione sono state scritte dopo l'evento.


Esso fu il più utilizzato nella liturgia e nella catechesi dei primi secoli cristiani. Non si è distanti dal vero se si afferma che il Vangelo di Matteo fu il primo catechismo cristiano. Appare infatti il Vangelo più completo, perché riesce ad equilibrare discorsi e miracoli, istruzioni e racconti.


Il Vangelo di Matteo riprende una buona parte dello scritto di Marco, rielaborandolo e commentandolo per rispondere alle esigenze della comunità cristiana (è l’unico Vangelo ad usare il termine “chiesa” -16,18 e 18,17)

 

Le informazioni sul Vangelo di Matteo sono quindi scarse fin dall’antichità e ridotte a poche affermazioni, non molto chiare.

Papia di Gerapoli offre la prima testimonianza in ordine di tempo, che egli scrisse fra il 120 e il 130 d.C. in un’opera di commento alle parole del Signore. Alcuni frammenti del suo scritto sono stati conservati da Eusebio di Cesarea, in cui si legge: «Matteo, in lingua ebraica, ha raccolto in ordine i detti; ognuno però li interpretò (o tradusse) come era capace» (St. Eccl. 111,39,16).


Ireneo, originario di Smirne e vescovo di Lione, verso il 180 d.C., a proposito del primo Vangelo scrisse: «Matteo tra gli ebrei pubblicò una stesura scritta del Vangelo nella loro lingua, mentre Pietro e Paolo a Roma evangelizzavano e fondavano la chiesa» (Adv. Haer. 111,1,1).


Origene, maestro ad Alessandria nel III secolo, in un frammento conservato da Eusebio di Cesarea testimonia la costanza della tradizione su Matteo: «Così ho imparato dalla tradizione a proposito dei quattro vangeli …. Il l primo ad essere scritto fu quello secondo Matteo, che era stato gabelliere e divenne poi apostolo di Gesù Cristo; egli lo compose in ebraico per i credenti che provenivano dal giudaismo» (St.Eccl. VI, 25,4).
 

I destinatari di Matteo erano di origine ebraica convertiti al cristianesimo, legati alle loro radici, ma spesso in tensione con gli ambienti da cui provenivano. Si spiega, così, la ricchezza delle citazioni e dei rimandi all’Antico Testamento nel vangelo di Matteo.


L’opera non è stata scritta da una sola persona, ma consta di diverse tradizioni ― dapprima orali ― confluite nel corso di parecchi anni in un testo, la cui iniziale sistemazione sarebbe stata ― secondo la tradizione ― dell'apostolo Matteo. Il racconto fu scritto in aramaico.

 

Il Vangelo secondo Matteo ― dal sapore squisitamente didattico ― si propone uno scopo ben preciso: condurre la comunità cristiana ad affermare la propria identità nella fede in Gesù. Solo in Gesù Cristo la comunità cristiana trova il suo "compimento" e la sua "pienezza".

 

Matteo ha uno scopo preciso: solo il Messia porta a compimento tutte le promesse fatte ad Abramo, dando un senso nuovo all'antica alleanza. La proposta di Matteo è credere che in Gesù che muore in croce si realizza la pienezza di Dio dentro la storia: l'evento decisivo che dà senso a tutto, inaugura la presenza del Regno di Dio.

 

Ecco perché, dietro la struttura letteraria che fa perno sui cinque discorsi, è visibile la storia di Gesù, identica al racconto di Marco: dalla Galilea alla Giudea, dal battesimo nel Giordano alla passione/risurrezione. Matteo unisce sapientemente racconto e catechesi, storia e dottrina: la dottrina nasce dalla storia di Gesù, la illustra e la commenta.


Matteo dispone lo scritto a lui attribuito attorno a cinque grandi discorsi: quello della montagna, quello missionario, il discorso in parabole, quello ecclesiale e quello escatologico.

 

Il discorso della montagna (capp. 5-7)

Il primo ampio discorso è una vera “carta” che traccia gli orientamenti fondamentali della comunità. Le Beatitudini (5,1-16) indicano che è arrivato il Regno; noi dobbiamo riconoscerlo, dimostrarlo con le nostre opere buone/belle, che costituiscono la “giustizia”. La preghiera del “ Padre nostro” (6,9-14) è la rivelazione centrale del discorso della montagna: l’originalità cristiana consiste nel fatto che siamo tutti figli di Dio come Gesù e possiamo rivolgerci al Padre in un rapporto di familiarità. Le parole di Gesù sono autorevoli (7,28) perché mettono di fronte alla scelta. Siamo chiamati non solo ad amare Dio e ad amare i nostri fratelli come noi stessi.

 

Il discorso missionario (cap.10)

Gesù ha compassione delle folle: “la messe è molta, ma gli operai sono pochi”. Da qui scaturisce la missione. La missione consiste nell’ annunziare il Vangelo, cioè che il Regno di Dio è arrivato (è vicino) e nel fare opere di bene, di pace. L’evangelizzazione, per sua natura, è destinata ad incontrare ostilità, ma i discepoli non devono temere, perché con loro è lo Spirito del Padre. Il compito del discepolo è duplice:

- annunziare il vangelo con la propria vita; 

- fare opere di bene e di pace dimostrando coerenza tra la parola, il cuore e ciò che si fa. La parola deve scaturire dal cuore e quello che fai è una cosa sola con quanto esprimi.

 

Il discorso in parabole (cap. 13)

Gesù parlò ai discepoli e alle folle in parabole e diversa ne fu la comprensione. La prima parabola, quella del seminatore (13, 1-8), è la chiave di spiegazione: l’accento è posto sulla diversità del “terreno” su cui è gettato il seme, motivo della diversità di risposta. Bisogna essere ricettivi, disponibili a comprendere; al contrario l’ “indurimento del cuore” non consente di accogliere il messaggio di Gesù. Con le parabole Gesù rivelò “cose nascoste sin dalla fondazione del mondo” (13,35). Non si tratta dunque di un linguaggio criptico, ma di rivelare cose che operano in maniera segreta e imprevedibile come sono i disegni di Dio.

 

Il discorso sulla Chiesa (cap. 18)

E’ il quarto dei cinque su cui si articola l’intero vangelo e come gli altri è opera dell’evangelista, che lo ha composto legando assieme vari detti del Signore che facevano parte della tradizione ecclesiale. L’evangelista ha già utilizzato il termine ekklêsía per definire la novità costituita da Gesù sulla fede di Pietro, nelle parole a questi rivolte a Cesarea (cfr Mt 16,18). Il suo scopo è di affrontare i problemi che emergono nella comunità dei credenti e dare ad essi una risposta. Il discorso ecclesiale si può ritenere diviso in due parti:

-      Predilezione per i piccoli: 18,1-14. I bambini indicano chi non ha potere, i bisognosi, chi è disponibile, ma anche il peccatore: non bisogna essere d’ “inciampo” alla fede dei “piccoli”, dei deboli, e non bisogna trascurarli.

-      Correzione fraterna e perdono: 18,15-35. La comunità ecclesiale è costituita da una società fraterna basata sulla pratica del perdono. E’ una regola inserita nel Padre Nostro, come una prassi di vita quotidiana.  

 

Discorso sulla fine dei tempi (capp. 24-25)

La fine di Gerusalemme è presa come segno della fine del mondo, ma l’ avvenimento escatologico non è più la distruzione del tempio, ma il ritorno di Gesù. La fine del tempo coincide con la sua venuta gloriosa (per 4 volte Matteo parla di parousia nel capitolo 24). Il discorso si rivolge non al “quando”, ma al “come” aspettare: Matteo ha sviluppato il discorso come una “invito” alla vigilanza. Il tempo è importante perché è ricco di possibilità di salvezza. Dunque il miglior uso possibile dei doni che abbiamo. La parabola dei talenti ci parla del giusto rapporto tra Dio e l’uomo; non di tipo servile, ma di amore, da cui scaturiscono libertà, coraggio, generosità, in altra parole un atteggiamento di responsabilità. Il brano del giudizio finale (24,26) indica una prospettiva rivolta a tutti gli uomini e che il giudizio riguarderà l’amore.

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