Emergenza educativa
I genitori primi educatori

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Seconda Parte

 

La famiglia è la prima e insostituibile comunità educativa. L’uomo e la donna, i genitori e i figli quo­tidianamente costruiscono in essa se stessi fino alla pie­nezza della maturità umana e cristiana.

 

Si toccano qui le radici del problema. Ignorarle e contestarle in nome di ideologie o di filosofie permissivistiche e/o libertarie, significherebbe defraudare la famiglia di un compito e di una missione, che è radica­ta nella stessa natura del matrimonio. Ma prima di addentrarci nel delineare i compiti educativi che spettano alla famiglia, appare opportuno e interessante considerare la situazione di fatto della famiglia odierna perché, da una disamina serena e obiettiva, si possa prevedere un processo di analisi e di valutazione con qualche conseguente verifica.

 

Sappiamo che la famiglia è l'"habitat" naturale per lo sviluppo integrale della persona; che è lì che si impara ad apprezzare o a valorizzare l'altro semplicemente per essere quello che è: figlio, fratello, padre o madre; che è una scuola di gratuità, di servizio disinteressato, di generosa dedizione; che è un luogo di socializzazione dove il motto vissuto, anche se non formulato, è “tutti per uno e uno per tutti”; che è uno spazio in cui si condividono gioie e dolori, trionfi e fallimenti; dove impari a coniugare il "noi" e ad uscire dal cerchio soffocante che ha il sé al centro.

 

La famiglia e anche luogo di accettatore della “propria storia”, delle proprie radici culturali, ambientali e sociali. Si tratta di essere consapevoli e sereni dei valori di cui si è portatori e depositari e accettarsi prendendo in mano cordialmente la propria vita si’ da diventarne protagonisti. Mettere a fuoco la propria personalità significa realizzare un individuo armoniosamente integrato con sé e con l’ambiente; un individuo capace di autocontrollo, di autodeterminazione, di assunzione di responsabilità in modo adulto.

 

In un’epoca storica dalla cultura liquida e fragile, dove nessuno è più compagno di strada ma antagonista di ciascuno, dove la globalizzazione ha contribuito a creare una società nella quale è aborrita ogni tipo di stabilità a favore del costante e repentino cambiamento, dove è raro trovare sicurezze e modelli, una personalità ricca ed equilibrata, serena e coerente diventa testimonianza di una vita che può restituire a tanti il senso e l’obiettivo per una degna esistenza.

Significa ancora condurre le persone a verifica con un sistema di valori incarnati che si traducono in nuova mentalità rispondente a un preciso progetto di antropologia, che mi piace pensare nel contesto rosminiano.

 

i genitori, primi e principali educatori

 

Della vera educazione i genitori sono i primi e prin­cipali responsabili.

Il diritto-dovere educa­tivo dei genitori si qualifica:

·       come essenziale, connesso com'è con la trasmissio­ne della vita umana;

·       come originale e primario, rispetto al compito edu­cativo di altri, per l'unicità del rapporto d'amore che sus­siste tra genitori e figli;

·       come insostituibile e che non può essere totalmente delegato ad altri, né da altrui usurpato.

 

Ciò avviene nella famiglia, la quale - anche se vive un momento difficile - è la prima responsabile del­l'educazione dei figli.

 

L'umanità del singolo, passa at­traverso la famiglia, come la linfa dell'albero passa attra­verso il tronco. La storia di ognuno è la storia del suo es­sere stato amato e del suo amare anzitutto in famiglia. Nelle pagine che fin qui hanno stimolato la rifles­sione e la verifica in ordine alla famiglia comunità edu­cante si è sempre parlato della famiglia, in generale. Più esplicitamente, in questo paragrafo, appare doveroso puntualizzare che l'opera educativa è dei ge­nitori: padre e madre! Preso atto che una certa tradizione va nel senso della delega del compito educativo prevalentemente alla madre, la mentalità deve essere gradualmente cam­biata, riscoprendo una unità e una complementarità che nella famiglia deve essere costante.

 

Si tratta di far emergere il principio della correspon­sabilità e collaborazione tra madre e padre in tutti i campi: educativo, religioso, sociale, attraverso l'esempio e l'impegno di entrambi.

 

La famiglia è l'ambiente naturale del figlio; è lo spazio di vita psico-sociale costituito essenzialmente dal luogo dove egli vive, dall'insieme che lo legano al­le persone con lui conviventi.

Ma occorre altresì sottolineare che per famiglia si intende un gruppo, i cui membri hanno mete o inten­ti comuni e lavorano insieme per raggiungerli, anche se con ruoli diversificati e propri.

La forza educativa di questo ambiente aumenta nella misura in cui i genitori, con la loro stabilità emotiva, con la loro buona intesa, con l'accordo e la coerenza tra idee e azioni, sanno utilizzarlo al meglio. La funzione dei genitori è soprattutto di esempio e di testimonianza di un modello di umanità. Ed è importantissima una corretta impostazione del rapporto educativo.

 

I genitori debbono ricercare un progetto educativo comune. L'esperienza, molte volte riscontrata, confer­ma il fatto che non v'è buona educazione laddove i ge­nitori non sono concordi in merito a una comune azio­ne pedagogica.

 

I figli non potranno mai essere educabili:

·       quando dovessero scoprire che si può ottenere dal padre ciò che è negato dalla madre e/o viceversa;

·       quando la figura del padre è proposta dalla ma­dre prevalentemente come genitore -punitivo;

·       quando alla presenza dei figli i genitori bisticcia­no tra loro, perché non concordi sulle scelte da com­piere;

·       quando i genitori si contraddicono, polemizzano, o forse, sminuiscono reciprocamente la personalità l'uno dell'altro, alla presenza del figlio;

·       quando i genitori chiedono al figlio un comporta­mento in contrasto con il proprio;

·       quando i genitori dovessero creare, nei figli l'illu­sione che tutto è possibile, che tutto si può avere, o ot­tenere, senza una adeguata conquista, senza impegno personale, senza sacrificio.

 

I figli sono molto sen­sibili e captano ciò che i genitori pensano e dicono; captano anche quel certo clima che spesso è indice di precarietà del rapporto coniugale; riflettono sul com­portamento dei genitori anche senza esprimere opi­nioni e valutazioni.

Ma tutto assimilano e conservano nella loro memo­ria storica, come fedeli registratori e perfette macchine fotografiche.

Nessun figlio si scandalizza dei difetti dei genitori. Ma diventano improvvisamente assai critici - specie nel momento dell'adolescenza - quando i genitori si comportano all'opposto di quello che affermano.

I figli non chiedono la perfezione ai genitori; chie­dono chiarezza e linearità in ordine ai valori in cui cre­dere e coerenza nella vita di tutti i giorni.

 

Risalendo al modello educativo del sistema preventi­vo di don Bosco si può ribadire che l'educazione dei fi­gli fonda su due componenti:

- l'esigenza dell'amore,

- l'esigenza della ragione.

 

1. L'esigenza dell'amore

 

Non c'è davvero tesoro più prezioso per un figlio, che una famiglia ricca di amore e desiderosa di conti­nuare a donare la vita attraverso l'aiuto alla matura­zione e alla crescita. Ma proprio perché questa vita è stata donata in due, così l'educazione dei figli è missione comune del pa­dre e della madre, che richiede un concorde impegno per ottenere esiti qualificanti. Ed è l'amore l'anima dell'educazione.

Potrebbe apparire strano il fatto di rivolgersi ai ge­nitori e invitarli a riflettere sull'amore nell'esercizio del­l'educazione dei propri figli.

 

Eppure l'esperienza insegna quanto è difficile far costante ricorso a questo sentimento nobilissimo nelle situazioni concrete dell'atto educativo. Quanto nervosismo, quanta fretta, quanta superfi­cialità in certi interventi educativi! Manca l'amore nei genitori? No, davvero!

 

Eppure ai figli - in quel momento specifico - l'a­more dell'educatore non giunge a loro; ed essi si ac­corgono che arriva loro un messaggio scarico d'amore. L'amore non è autentico se non è servizio a chi si dice di amare.

Ecco perché nel servizio educativo deve essere l'amore che-si-concretizza a muovere ogni intervento: si può tacere o parlare, correggere o perdonare, usare il metodo del rigore o quello della pazienza; ma sempre sarà l'amore a suggerire l'atteggiamento da assumere.

 

Un amore che si fa generosa donazione e servizio disinteressato non è facile. In certe forme di dedizione si può insinuare il desiderio possessivo così forte, che porta i genitori a non rispettare la personalità dei figli, volendoli una copia perfetta di sé. La preoccupazione per il loro futuro si può tradur­re in imposizione di modelli e di sistemi, che sono propri esclusivi, senza troppo preoccuparsi di che cosa senta, pensi, provi, desideri il figlio. È evidente il diritto/dovere all'educazione da parte dei genitori, non senza tuttavia, ascoltare il figlio, con­versare con lui, cogliere le sue attese, le sue aspirazioni, i suoi sentimenti e poi orientarlo al bene aggettivo.

 

La via regia è quella della comunicazione e del dia­logo. Ciò suppone una congrua tempo da dedicare ai fi­gli per coinvolgerli direttamente nel ricercare e defini­re progetti per la loro crescita e il loro futuro. Anche questa è robusta manifestazione d'amore. Troppo spesso si dimentica l'importanza del ruolo che possono avere i figli, sia nel dinamismo della loro stessa educazione, sia nella quotidiana fatica di co­struire la propria famiglia come intima comunione di vita e d'amore.

 

È il principio della co-educazione, che generalmen­te è ignorato o trascurato. Occorre farlo con equili­brio, ma senza timore. Sottolineare, infatti, il ruolo at­tivo dei figli verso i genitori e gli altri membri della fa­miglia, non vuoi dire livellare le funzioni di responsa­bilità, ma considerare ogni individuo capace di infor­mazione e formazione, di contributo per crescere e ma­turare.

 

I figli non solo ricevono, ma danno. È un dare non sempre avvertito, ma di valore inestimabile. Così la famiglia diventa «scuola di umanità più ric­ca” (GS 52) e genitori e figli stabiliscono un clima di cooperazione, che senza mortificare l'autorità dei ge­nitori o la giusta espressione di libertà dei figli, fa cre­scere il nucleo familiare come serena comunità di concordia e d'amore.

 

2. L’esigenza della ragione

 

Accanto all'amore, l'opera educativa esige la ragione. Educare - è stato sparso qua e là nelle pagine prece­denti - è un frutto dell'intelletto e della volontà: quin­di della ragione, ossia un minimo di competenza e di conoscenza dei problemi educativi. Bisogna conoscere un po’ di pedagogia, che è la scienza e l'arte di educare e un po' di psicologia, che consenta di conoscere, a grandi tratti, l'anima dell'educando.

 

Certamente nessuno può pretendere che i genitori si improvvisino pedagogisti e psicologi. Tuttavia alcu­ne nozioni di fondo, spesso frutto di grande buon senso, non possono mancare. L'infanzia, la fanciullezza, la preadolescenza e l'adolescenza, oltre che l'età giovani­le, sono fasce della vita dell'uomo, in cui affiorano ca­ratteristiche, esigenze e aspettative marcatamente dif­ferenti.

 

Gli stessi figli, d'età vicina, manifestano attitudini e inclinazioni per nulla simili tra loro e - come è stato già detto - non si può ipotizzare un unico progetto educativo valido per tutti.

Ogni individuo è un universo irripetibile. Per cui a ogni figlio, vanno date risposte adeguate solo se sono correttamente conosciute e accolte.

 

La ragione esige - è stato già scritto - l'azione con­corde dei genitori, ciascuno dei quali è chiamato a so­stenere quanto l'altro afferma o dispone, in un mutuo clima di unità di intenti e di propositi.

La ragione esige chiarezza anche in merito a un'al­tra tematica che spesso turba e preoccupa i genitori: l'autorità.

Oggi certi metodi educativi del passato sono cam­biati. Ma non sono pochi gli educatori che, per timore di essere accusati di autoritarismo o paternalismo non reagiscono a dovere davanti a determinati comporta­menti distorti dei figli, preferendo lasciar correre, o sod­disfacendo in tutto.

 

E vero, molte volte è più facile dire di sì, piuttosto che dedicare del tempo a motivare un divieto o il sug­gerimento di una alternativa.

Il permissivismo e la debolezza sono due grandi er­rori nell'opera educativa. È debolezza abdicare alla re­sponsabilità e all'autorità dell'educazione. È permissivismo il mantenersi neutrali. Occorre superare questi timori infondati.

Autorità è aiutare a crescere. Anche se l'autonomia va sempre, limitatamente, concessa entro gli spazi di quella libertà, di cui i figli hanno diritto in misura ade­guata al progredire dell'età, anche al fine di metterli alla prova e abituarli ad assumere responsabilità.

 

Il figlio, scrive ancora il già citato Louis Evely, «ha bisogno di autorità. La fermezza dei genitori è indispen­sabile al suo senso di sicurezza quanto il loro amore». Si può dire che la disciplina è normalmente il metodo e il modo concreto con cui i genitori trasmettono la propria scala di valori, esplicitano le loro intenzioni nei confronti dei figli e dei loro comportamenti. Nell'indicare le modalità consentite o sconsigliate di un comportamento, i genitori, di fatto informano in merito ai valori che essi hanno e in cui essi credono, ma rivelano, tra il dire e il fare la propria intenzione ad esservi coerenti e quindi proporli in maniera che pos­sano essere gradualmente interiorizzati.

 

In tal modo i genitori sono, in ordine di tempo e di importanza, coloro che per primi influiscono in modo incisivo sulla strutturazione e la formazione della co­scienza morale dei figli e determinano gli atteggiamen­ti di fondo verso la vita. La disciplina, perciò, incide in quanto è apportatrice di valori che vengono esplicitati e testimoniati, pro­muove le energie migliori dei figli in ordine al bene e al vero. Compito certamente non facile, ma necessario, in modo tale che la libertà diventi senso di responsa­bilità e l'autorità non rinunci alla sua funzione educa­tiva.

 

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