60 anni del Concilio Vaticano II
Orientalium Ecclesiarum

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Papa Francesco ha chiesto che in preparazione dell'Anno Santo del 2025
il corrente anno sia dedicato alla riscoperta dell’insegnamento conciliare

Prepararsi al Giubileo del 2025 riprendendo tra le mani i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II
è l’impegno” che il Papa chiede a tutti i credenti come momento di crescita nella fede.


 


DECRETO SULLE CHIESE ORIENTALI CATTOLICHE
 

 

Tra le gemme del Concilio Ecumenico Vaticano spicca di una sua propria luce quella trilogia ecclesiologica costituita dai tre documenti conciliari: costituzione dogmatica sulla Chiesa, decreto sulle Chiese Orientali Cattoliche e il decreto sull'Ecumenismo. È apparsa al mondo in una provvidenziale simultaneità il 21 no­vembre 1964, per una convergenza di intenti, di sforzi, di pen­sieri e correnti, che all'inizio del Concilio nessuno poteva preve­dere, eccetto forse quella grande anima di Papa Giovanni XXIII, che per la sua profetica intuizione creò tre gruppi di lavoro, dan­do a ciascuno una generica visione progettuale e imprimendo un impulso coordinatore tra la diversità di propositi.
 
 
A testimonianza di ciò è lo stesso « iter » di questa trilogia. Introdotta dagli Orientali la questione «De unitate Ecclesiae: Ut omnes unum sint» (1962), essa ebbe influsso sul ridimensionamento dello schema iniziale «de Ecclesia», delineò le linee prin­cipali del decreto «de Oecumenismo» (1963), influendo decisa­mente sulla composizione del decreto finale sulle Chiese Orientali Cattoliche (1964). Dalla connessione dei propositi e sforzi comuni appare anche l'unicità del risultato, sebbene convenientemente articolato. Il frutto lo colse la Chiesa sotto il pontificato di Paolo VI, diven­tando depositaria di una ecclesiologia nuova per i tempi nuovi.
 
 
 
 
 
A Concilio compiuto, questa gemma triangolare ecclesiologica ricevette un nuovo splendore e la sua provvidenziale triangolazio­ne emise nuovi riflessi, che rispecchiandosi a vicenda diventano una potente luce che illumina tutto il patrimonio dottrinale del Vaticano II. Come un fatto compiuto e perciò irrevocabile e sto­rico, questa trilogia ecclesiologica non è più scindibile; non è neanche più pensabile una separazione o astrazione di questa unità senza un danno a tutti e tre i documenti, che a vicenda si arricchiscono, si spiegano e si illustrano, rendendo possibile una più profonda conoscenza e interpretazione di ciascuno.

Il decreto sulle Chiese orientali proviene da un fatto storico e da un fatto ecclesiologico, messi insieme dalla sollecitudine dei Pastori della Chiesa. L'esistenza delle Chiese Orientali è una real­tà che non poteva sfuggire all'attenzione di un Concilio pastorale. Il problema dell'unità della Chiesa è una verità che non poteva non essere considerata dai Dottori della Chiesa; testimonio ne è il decreto sull'Ecumenismo; come il decreto sulle Chiese Orientali Cattoliche ne prova la consapevolezza dei Padri dell'altra, cioè della realtà differenziata della Chiesa.

L'unità e la realtà sono alla base della elaborazione del nostro decreto, come fatto pastorale e dottrinale insieme, toccando da una parte la dottrina, dall'altra la prassi pastorale. Perciò il contenuto del decreto orientale è dot­trinale e completa la costituzione sulla Chiesa; dall'altra parte è disciplinare, e serve all'esemplificazione del decreto sull'Ecumenismo.
 
 
 
 
 
Senza correre rischio di ripetere il testo del decreto, c'è poco da dire sul suo contenuto. Sì, è breve, ma mira lontano per le conclu­sioni possibili e previste; è ristretto per i suoi destinatali, ma è estensivo nel futuro non delimitato; è conciso nelle parole, ma largo nelle cose sottintese; è una manciata di grano, ma promettente di una messe ricca; indulge nel passato, ma tutto rivolto verso il futuro; ha ben precise forme cattoliche, ma sullo sfondo ecumenico; è gene­rico, ma risolve molte strettoie pratiche; è disciplinare, ma da indi­rizzi dottrinali; è chiuso nelle sue formulazioni conciliari, ma apre le porte ad una larga azione sinodale orientale; è pienamente valido per la Chiesa d'oggi, ma è riformabile per la propria volontà nella Chiesa e realtà di domani. Ecco, qualche aspetto generale del nostro decreto.
 
 
 
 
 
E con quale carico di insegnamenti, di soluzioni pastorali, di provvedimenti ecumenici si presenta il decreto alla Chiesa universale, alle Chiese Orientali, al foro ecumenico? Il Concilio ha coraggiosa­mente risolto la varietà e diversità nell'unità, dicendo una parola de­finitiva nelle incertezze umane ed equivoci storiosofici (2-3); ha po­sto fine alle discriminazioni culturali nella Chiesa (3), pareggiando davanti alla Chiesa i sentimenti, le menti, i costumi (37), i diritti e gli obblighi (3); regolò la convivenza inter rituale (4); affermò la va­lidità storica e attuale delle discipline ecclesiastiche (5); inculcò la mutua comprensione sulla base di una profonda conoscenza e since­ra collaborazione (6); rivalutò l'istituto patriarcale (7-8), e sinodale (1-9), lo sviluppò (9), lo raccomandò (11); lo rese attuale e operati­vo (9, 19, 20, 23).

Sebbene è tutto quanto pervaso da un aspetto ecumenico delle Chiese Orientali Cattoliche attuali (24-30), stabilì la posizione dei singoli Orientali, sia cattolici sia non cattolici, nella realtà della Chiesa Cattolica (4, 21, 25, 27, 28); aggiornò alle esigenze attuali ed ecumeniche la disciplina sacramentaria: Cresima (134), Eucarestia (15), Penitenza (16), Matrimoni misti (18), Diaconato 7), introducendo mitigazioni, chiarificazioni, aggiornamenti alle esi­genze della vita attuale degli Orientali. Per espresse esigenze pastorali e nello spirito ecumenico il decreto diede importanti norme in materia del culto divino, come sono le feste (19), Pasqua comune (20), preghiera comunitaria della Chiesa (72), lingua liturgica (23), dando un valido impulso all'aggiornamento più profondo ed esteso delle Chiese Orientali, esprimendo i criteri (6) e designando gli arte­fici di un proficuo lavoro: Patriarchi, Arcivescovi, Sinodi, Supreme Autorità delle singole Chiese.
 
 
 
 
 
Ma forse un più incisivo intervento del Concilio si nota nella materia della convivenza sacramentale tra gli Orientali: cattolici e se­parati. Stabilita e confermata la validità dei Sacramenti presso gli Orientali non cattolici (25), stabilite norme ed esigenze di diritto di­vino nel!'amministrazione dei Sacramenti, riconosciuta l'esistenza del­la sincerità cristiana ed ecumenica (26), il Concilio apre le chiuse ca­noniche erette per le esigenze storicamente giustificate per permette­re più abbondante e spedito flusso della grazia sacramentale nette anime che ne hanno bisogno (27-28): la grazia detta Penitenza, del­l'Eucaristia, detta preghiera detta Chiesa che accompagna questi che si avvicinano al Signore, e di tutti i credenti sinceramente in Cristo che non pongono ostacoli e la Chiesa come unica amministratrice ne profonde in abbondanza, aiutando tutti e non danneggiando nessuno (29), dimostrando la sua carità ecumenica (28).
 
 
 
 
 
Faticosamente e liberamente elaborato e concordato dagli Orien­tali stessi, ottenuto il consenso plebiscitario della Chiesa, fondato sul­le verità ecclesiologiche della costituzione sulla Chiesa, penetrato inte­ramente dalla carità ecumenica del decreto sull'Ecumenismo, il de­creto sulle Chiese Orientali Cattoliche entra netta vita della Chiesa e di tutta la cristianità con la speranza e con la persuasione di aver fatto un passo pratico e importante sulla via dett'unità: ut omnes unum sint.
 
 
 
 
Il Decreto Orientalium Ecclesiarum fu votato da 2149 Padri il 21 novembre 1964 con 2110 voti favorevoli e 39 voti contrari.


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