Siamo sfidati a evangelizzare un mondo nuovo

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In preparazione alla ricorrenza liturgica della Natività di San Giovanni Battista abbiamo riflettuto sulla figura del Battista la cui esistenza fu “una vita per la missione”. Mi si è aperto un cassetto della memoria e ho ricordato che, navigando in internet, mi sono imbattuto (quod non est in internet non est in mundo!) in una citazione che ho trovato a dir poco inquietante. Oltre al fatto che il pensiero dell’autore è di 50 anni fa (!) il virgolettato rappresenta una società, la nostra, "intontita", sbalordita, sconcertata, incapace di pensare con attenzione e di riflettere, di leggere adeguatamente gli eventi e gli accadimenti e travolta da essi. La "stupidità" deriverebbe, a detta dell’autore della citazione, come conseguenza di una società che sarebbe traballante, e quindi in rovina, conseguenza dell’impeto di forze che la starebbero  schiacciando, frantumando, distruggendo.
I pilastri che fin qui l’hanno sostenuta  sarebbero stati minati e il suo sfacelo sarebbe più o meno imminente. Ma quel che è grave è che l'autore della citazione  attribuisce lo sfacelo e il collasso della società al "fenomeno colossale della fine del cristianesimo".
Sono state queste ultime parole a procurarmi un vero disagio dell’animo.

Desidero affermare immediatamente che la  mia valutazione e il mio giudizio sulle cose e gli avvenimenti ipotizzati è totalmente diverso.
Non si tratta in assoluto della fine del cristianesimo che costituirebbe, per di più, un "fenomeno colossale", qualcosa di dimensioni enormi.
 
Ma non nascondo che, da diversi anni nelle mie riflessioni e nei miei studi, mi soffermo spesso su questo tema che mi sembra molto interessante: il futuro del cristianesimo. Mi sono riscoperto in buona compagnia di un teologo canadese, Padre Jean-Marie Teillard, il quale scrisse addirittura un libro per dare una risposta alla domanda, “Siamo noi gli ultimi cristiani?”
Non si può nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi ed è innegabile la scristianizzazione dell’Europa accelera a passi da gigante. E’ un processo che non riguarda solo il sentimento religioso, la partecipazione ai riti e alle messe, il calo dei sacramenti, il crollo delle vocazioni, ma investe il senso di appartenenza alla civiltà cristiana e va dalla cultura al sentire popolare, dagli orientamenti di fondo alla vita quotidiana.
 
Già Papa Giovanni Paolo II nel documento post-inodale Ecclesia in Europa del 28 giugno 2003 (conosciuto da pochissimi!) parla di «apostasia silenziosa» dell’Europa (n. 9). Anticamente questo termine si riferiva ai cristiani battezzati che abbandonavano la loro fede: ποστασία = «defezione». Ora si può intendere anche come ripudio o rinnegamento del proprio credo religioso e/o della propria religione. Infatti non si comprende più neppure il linguaggio del sacro, non si riesce più a viverlo e a rappresentarlo, tantomeno a figurarlo.
Ho un ricordo molto lontano: uno dei libri che ho dovuto studiare per superare un esame presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma fu scritto dall’ottimo sociologo padovano Sabino Acquaviva intitolato «L’eclissi del sacro». Questo per dire che da tempo lontano si pone la questione: “Siamo noi gli ultimi cristiani?”
 
Ma, al di là di una siffatta allarmante situazione, siamo chiamati a dire un forte no al pessimismo a favore dell’ottimismo: e ciò non tanto per ragioni umane quanto per motivi di fede. I cristiani hanno la ferma convinzione che il Signore Gesù sarà con loro fino alla fine del mondo (cf. Mt 28,20).   Inoltre la Parola di Dio ha spiegato che il regno di Dio è nato piccolo, come un granello di senape che il più piccolo tra tutti i semi e tuttavia, dopo che viene seminato, si trasforma in una pianta con rami tanto grandi che gli uccelli vi si possono posare (cfr. Mt 13, 31-35).
 
E’, tuttavia, innegabile, che quella di oggi è solo una assolta minoranza coraggiosa sparsa tra le rovine di una modernità senza valori che ancora crede che il Vangelo sia la forza per rendere migliore il mondo, la Parola di novità che possa contrastare lo squallido esercito di chi scarica sulle spalle del passato la responsabilità di un presente a rischio di umanità.
 
La fede cristiana non nasce dal nulla: attecchisce nei cuori di uomini e donne concreti, appartenenti a culture differenti, con sensibilità differenti, si esprime e si manifesta in ámbiti e situazioni differenti. La stessa fede è in grado di far nascere nuove culture, senza identificarsi con nessuna di esse.
A volte può capitare che espressioni e manifestazioni di fede siano oggetto di discussione e critica e persino di rifiuto senza considerazione.
Altre volte sono i comportamenti dei cristiani a essere sottoposti a un giudizio spietato.
Può anche accadere che alcuni aspetti della stessa fede e morale cattolica vengano messi in discussione o respinti.

Si tratta di spogliare la fede delle aderenze storiche che hanno perso validità, cercando di appropriarsi personalmente e decisamente del centro oggettivo della fede, di ritornare ai suoi elementi essenziali, di recuperare il sincero spirito di conversione, di rinnovare la convinzione che, oltre ad abbracciare le nobili realtà umane, esse devono essere illuminate dalla luce di Cristo, risanarle, se necessario, ed elevarle al piano soprannaturale, anche se a volte si perdono sicurezze che lasciano la sensazione di impotenza e debolezza. Il credente, infatti è l’uomo della speranza. Si legge nel libro dell’Apocalisse: «Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi» (Ap 1, 17-18).
 
Se fossimo davvero pronti a ripartire dal primo annuncio, dalla scommessa di ricominciare da quello che il Concilio Vaticano II aveva profeticamente intuito, ossia, che senza un rinnovamento vero non ci sarebbe stato un futuro per il cristianesimo in occidente, allora sapremmo davvero essere "lievito del mondo" e "sale della terra".

Amici, non stiamo di fronte al "fenomeno colossale della fine del cristianesimo", ma piuttosto ci troviamo di fronte a una formidabile sfida: evangelizzare un nuovo mondo che sta emergendo con grande rapidità, dandogli direzione, senso e significato, facendo in modo che non sia costruito contro l'uomo, ma a suo favore, e che la fede torni a farsi cultura.

Un grandioso compito per il quale non servono cristiani paurosi, spaventati, tiepidi, disimpegnati, tentennanti, ma "evangelizzatori con spirito", come chiede Papa Francesco.
È tempo di annunciare Gesù Cristo e dobbiamo farlo con il cuore!
Lo ha ricordato il Santo Pontefice Paolo VI che scrisse:
«L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN 41). Gli uomini e le donne di oggi provano una istintiva avversione per tutto ciò che può esssere apparenza, inganno, facciata, compromesso. In questo contesto si comprende l’importanza di una vita che risuona veramente del Vangelo!

Per questo servono cristiani ottimisti, inondati e pervasi dalla gioia della Buona Novella che li ha conquistati, sapendo che il mondo è stato dato loro come "eredità" (cfr Sal 2, 8) e che contano sulla presenza permanente del Signore Gesù.
 

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