S.O.S dei preti: nessuno si confessa!

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In questi giorni appena trascorsi della Solennità di Tutti i Santi e della Commemorazione dei Fedeli Defunti ho dato la mia disponibilità per le Confessioni programmate dalla Parrocchia in cui sono nato. Nel pomeriggio del giorno di Tutti i Santi ho celelebrato l'Eucarestia nel caro Cimitero del mio Paese dove riposano la mia Mamma e il mio Papà in attesa della risurrezione. Un fiume di persone! Il Camposanto era stracolmo. Per l'occasione erano rientrate in Paese, come ogni anno, anche coloro che si sono recati all'Estero alla ricerca di un lavoro.

Ma, al momento della Comunione, non mi è stato possibile non cedere a una distrazione che mi ha turbato non poco: la massima parte di quella moltitudine di persone  si è accostata a ricevere la Comunione eucaristica. Ed è stato giocoforza riflettere sul fatto che molto pochi si fossero confessati! Ipotizzando che qualcuno si sia recato anche nelle Chiese/Parrocchie viciniori, certamente moltissimi si sono accostati alla Comunione senza previa confessione. Mi è venuto alla mente il titolo di un giornale di qualche tempo fa: Allarme tra i preti: nessuno si confessa!
 
Al di là della facile battuta, tre dati debbono attirare la nostra attenzione:
1.   È indubbio il calo delle confessioni.
2.  È preoccupante registrare che la maggioranza di coloro che si comunicano non frequentano il sacramento della Confessione.
3.  È fuor di dubbio che c’è una crisi della fede, che ha portato all’annullamento del senso del peccato.
 
Un amico prete americano mi raccontò che il 45% di coloro che si comunicano negli Stati Uniti non si sono mai confessati dopo avere raggiunto la maggiore età. In Italia, secondo una vecchia ricerca del 2009, sarebbero il 20% i cattolici che si confessano almeno annualmente, a fronte di 5 milioni di italiani che ogni domenica si comunicano.
 
È vero che le statistiche lasciano sempre dei dubbi, ma sono eloquenti almeno per delineare un quadro. La stragrande maggioranza dei cattolici che si comunicano non si confessano. Il problema è mondiale, e il declino è in fase costante. A meno di credere che coloro che si comunicano non commettano mai peccati gravi!  Saremmo di fronte a un fiorire di santità mai visto nella storia della Chiesa….
Al di là delle facili battute il problema è serio e grave. Non ci si confessa perché si è perso il senso del peccato e perché non si crede più nella misericordia di Dio.
 
Ed è ormai così consolidato questo concetto, che la prova del nove la incarnano i bambini che celebrano per la prima volta la prima confessione. Ci sono tutti: emozionati. Ricordano a memoria tutto: l’atto di dolore, l’elenco dei peccati… E tornano a casa felici. La confessione non è stato un trauma. Ma nei fatti, per un anno, non si vedono più: né a messa, né a confessarsi.
Torneranno per la confessione in occasione della prima comunione: un’altra “parata”, perché assai pochi di quelli torneranno a messa ogni domenica...
 
Con gli adulti le cose non vanno diversamente. Sembra resistere la confessione in occasione dei Santi/Morti, del Natale, o della Pasqua; e in una di queste tre ricorrenze il penitente inizia dicendo: “E’ un anno che non mi confesso”.
 
La confessione vive in buona sostanza, una fase di grave difficoltà. Fanno eccezione i santuari in cui il sacramento della penitenza e della riconciliazione è vivo e, anzi, in ripresa. Mi confermano che presso il santuario di Medjugorje, senza entrare nella soprannaturalità o meno dei fatti che ivi si verificherebbero, è evidente e tangibile il ricorso dei pellegrini al sacramento della riconciliazione. Lo stesso si ripete nei grandi santuari frequentati dalla nostra buona gente (Lourdes, Fatima, Medjuorje, San Giovanni Rotondo, Pompei).
 
Dal punto di vista pastorale occorre convincersi che il sacramento della riconciliazione va evangelizzato non già a partire dalla morale e dal peccato in genere, numero e caso… ma a partire dall’incontro personale con Gesù Cristo e dall’amore verso di lui. Solo se prima si conosce si ama. Solo se si ama ci comprendono i limiti dell’amore.    
Amare Dio in Gesù Cristo e la sua Parola è il primo passo per affrontare la questione della scarsissima coscienza morale presente nei cristiani d’oggi, soprattutto nei giovani.
 
Le confessioni dei nostri penitenti sono “infantili”, superficiali, qualunquistiche.
Molti comandamenti sono spariti dall’esame di coscienza dei nostri penitenti.
È quasi assoluta l’assoluta mancanza di consapevolezza dei peccati sociali.
Pochi, per esempio, avvertono come peccato il non pagare le tasse o il frodare la compagnia assicuratrice, così come guidare male l’automobile o la mormorazione, il pettegolezzo, la calunnia, o l’intolleranza verso lo straniero.
È solo se si avvertono realmente le esigenze del Regno, che si comprendono i peccati contro la sequela di Cristo.
 
Il Papa emerito Benedetto XVI in un discorso del 2011 disse: “L’esame di coscienza ha un importante valore pedagogico: esso educa a guardare con sincerità alla propria esistenza, a confrontarla con la verità del Vangelo [...]. Nel nostro tempo caratterizzato dal rumore, dalla distrazione e dalla solitudine, il colloquio del penitente con il confessore può rappresentare [...] l’unica occasione per essere ascoltati davvero e in profondità [...]. L’integra confessione dei peccati [...] educa il penitente all’umiltà, al riconoscimento della propria fragilità e, nel contempo, alla consapevolezza della necessità del perdono di Dio e alla fiducia che la Grazia divina può trasformare la vita”.
 
Confessarsi bene, fa bene! Torna la voglia di ricominciare, di pregare meglio, di rapportarsi in modo nuovo con gli altri e con se stessi.
Don Lorenzo Milani diceva: “Importantissimo, fondamentale [...] il sacramento della confessione dei peccati. Per avere continuamente il perdono dei miei peccati. Averlo e darlo”. Il male lo cancella con un colpo di spugna, il bene non lo cancella, ma si accumula!

Il vertice della libertà umana consiste nel tornare a casa dal Padre che accoglie e perdona.
 

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