Quaresima e il sacramento della riconciliazione festa dell'incontro
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Uno dei messaggi basilari del Giovane Rabbi di Nazaret è stato l’invito a convertirsi e credere al Vangelo. Gesù ci ha invitato a convertire la nostra vita compiendo il bene ed evitando il male e chiedere perdono a Dio di tutto ciò che compiamo contro il suo amore in pensieri, parole, opere e omissioni.
Ma Gesù, il Cristo, non ha mai parlato di peccato senza parlare di misericordia e di perdono. Il sacramento della Riconciliazione, infatti, è rivolto sì al peccatore, ma al peccatore che si converte e perciò chiede misericordia e perdono. Pertanto peccato, conversione e perdono sono gli snodi della riflessione su questo sacramento.
Nel Vangelo, le parabole più consolanti sono proprio quelle del perdono. E, prima di salire al cielo, ha affidato ai suoi discepoli il ministero della riconciliazione per portare a tutti il perdono e la pace. Gesù stesso ha stabilito che il sacramento del perdono avvenga mediante il ministero della Chiesa: «Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi».
Nel Sacramento del perdono Gesù, il Cristo, effonde lo Spirito Santo per la remissione dei peccati.
Queste premesse sono contenute nella formula che il sacerdote pronuncia al momento della assoluzione:
Dio, Padre di misericordia,
che ha riconciliato a sé il mondo
nella morte e risurrezione del suo Figlio,
e ha effuso lo Spirito Santo
per la remissione dei peccati,
ti conceda, mediante il ministero della Chiesa,
il perdono e la pace.
E io ti assolvo dai tuoi peccati
nel nome del Padre ✠ e del Figlio
e dello Spirito Santo.
1. La riscoperta del Sacramento del Perdono
Sono persuaso che cristiano debba riscoprire/recuperare il sacramento della confessione come sacramento della misericordia e del perdono. «Accostiamoci e con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia … » (Ebrei 4,16).
Dio si è fatto uomo per chiamarci alla vita, all’amore e alla libertà. La Confessione è il Sacramento nel quale Cristo Risorto chiama alla libertà dal peccato per una piena esperienza di vita cristiana. Gesù, il Cristo, ci chiama per purificarci e rigenerarci in Dio nel sacramento della riconciliazione e del perdono. La Confessione, infatti è esperienza di perdono. Dio ci accoglie e ci ama anche quando sbagliamo ed è pronto a perdonarci se sappiamo chiedere perdono.
Ci deve sorreggere un pensiero che ricaviamo dalla formula della consacrazione del vino che il sacerdote pronuncia durante la Santa Messa: «Questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati». Che cosa significa? Significa che con la morte in croce e con l’effusione del suo sangue Gesù ha ottenuto una volta per sempre il perdono dei peccati che avrebbero commesso tutti gli uomini di tutti i tempi.
L’uomo peccatore, pentito, dovrà ricorrere alla Chiesa per “chiedere e prendere” il perdono che Gesù ha assicurato con la sua morte in croce.
Come si fa a non comprendere la vera bellezza della confessione?
Se gli uomini comprendessero la «bellezza» della Confessione! Dio ha perdonato da sempre il mio peccato. Proprio per questo « Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato …» (Gv 3,16-18)
Quello che l’uomo deve fare è andare con gioia alla Chiesa a chiedere il perdono in ragione del ministero che il Cristo stesso ha posto nelle sue mani.
La ragione profonda della bellezza del sacramento della confessione sta proprio nell’esperienza dell’incontro misericordioso con Dio. Non è possibile comprendere davvero il significato della Confessione se non alla luce dell’incontro con Cristo. Con acume profetico il Papa Benedetto XVI ha scritto nella Deus caritas est: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». (Benedetto XVI, Deus caritas est, 1).
Nell’incontro con Cristo nel sacramento del perdono si rinnova il nostro rapporto con il Padre, con il Figlio e con lo Spirito Santo, nel cui nome ci è data l’assoluzione delle colpe.
E una tale bellezza provoca anche gioia nel sentirsi amati da Dio ogni volta che il Suo perdono ci raggiunge attraverso la Chiesa che ce lo dà in nome Suo. È la gioia causata dalla pace di sentirsi toccati nel cuore da un amore che salva, che viene dall’alto e che trasforma.
La confessione è altro che uno sfogo psicologico o un incontro consolatorio! Nel sacramento della penitenza Cristo crocifisso e risorto, mediante il ministero della Chiesa e dei suoi ministri, ci purifica con la sua misericordia infinita, ci restituisce alla comunione con il Padre celeste e con i fratelli, ci fa dono del suo amore, della sua gioia e della sua pace. Il perdono di Dio è sorgente di pace impagabile: perciò è bello confessarsi!
La «bellezza» della Confessione non nega la «fatica» della Riconciliazione e della Penitenza. La confessione richiede la fatica della verità: riconoscere il proprio peccato; riconoscere il bene non fatto!; riconoscere di non aver amato Dio con tutto il cuore, tutta l’anima e con tutta la mente e il prossimo come noi stessi.
2. La perdita del senso di Dio e del peccato
Quello che fin qui abbiamo esposto (l’ordine espositivo è stato pensato e voluto) suppone di avere chiara coscienza del senso del peccato e del male. Fin dal 1954 il papa Pio XII aveva dichiarato che “il peccato più grave per l’uomo contemporaneo è quello di aver perduto il senso del peccato!”.
La dittatura del relativismo ha offuscato di molto la coscienza dei cristiani al punto da rendere assai soggettiva l’interpretazione della morale. Ma vi è di più: l’affievolimento della fede, la mancata esperienza di una vita di fede affievolisce il senso del peccato, di conversione, di penitenza, di riconciliazione e di perdono. Ed è logica conseguenza: l'esperienza di fede è esperienza di relazione con Dio.
Se viene meno e/o si affievolisce il senso della relazione personale con Dio, si affievolisce o addirittura si smarrisce il senso e la percezione del peccato nella coscienza. Nel Nuovo Testamento il peccato è sempre presentato come rifiuto di Dio o come decisione interiore contro Dio. E questo venir meno è dovuto al passaggio da una cultura sacralizzata a una cultura secolarizzata che non ha più il sacro come orizzonte ultimo dei significati dell'esistenza.
Il problema reale e serio è la perdita del senso di Dio. Infatti quando viene meno la fede e gli uomini estromettono Dio dalla loro vita, perdono il senso del proprio limite. Va da se che, smarrito il senso del peccato, è facile far diventare leciti anche i comportamenti più sconcertanti e negativi attraverso il meccanismo della giustificazione per cui le azioni sbagliate non lo sono mai intrinsecamente errate, ma piene di attenuanti. Il peccato è proprio il tentativo di giustificare a se stessi una scelta che si sa essere contro Dio.
E questo proprio perché è venuta meno l'esperienza diretta del rapporto con Dio. Dentro questa lontananza da Dio l’uomo mette in gioco la sua libertà nella scelta di vivere da figlio o da schiavo, di intraprendere la via del bene o del male, della vita o della morte. Il peccato è fare a meno di Dio, agire fuori dal suo amore e dai suoi comandamenti. Mentre Dio continua a posare su ogni uomo il suo sguardo di misericordia, narrando il suo desiderio di incontrarlo per farlo oggetto del suo amore.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica offre una ottima sintesi della definizione di peccato: "Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; e una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana.
E'stato definito una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna". Il peccato e un'offesa a Dio: "Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che e male ai tuoi occhi, io l'ho fatto" (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, e una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare "come Dio" (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male.
Il peccato pertanto e "amore di sé fino al disprezzo di Dio". Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato e diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza [cf Fil 2,6-9]". (CCC 1849-1850)
Occorre, pertanto, una grande capacità di discernimento spirituale.
Il riconoscimento della condizione di peccato e di fragilità non svilisce la dignità dell’uomo creato a partecipare della stessa vita di Dio, ma gli offre la possibilità di purificare il cuore e la vita da tutto ciò che realmente lo deturpa e non gli consente di entrare nel dinamismo dell’uomo nuovo creato secondo Dio.
Per un autentico discernimento spirituale il credente cristiano deve confrontarsi con la Parola di Dio per conoscere in verità il proprio peccato. La Parola di Dio infatti è luce e verità nel profondo del cuore:
- conduce alla conoscenza di se stessi,
- fa emergere le colpe che tendiamo a nascondere,
- conduce a una profonda percezione della nostra realtà di peccatori,
ü illumina il senso e la realtà del peccato e della colpa.
La Parola di Dio delinea i peccati contro Dio e contro il prossimo, contro se stessi e contro le virtù morali e teologali.
La Parola di Dio favorisce anche l’individuazione di altri peccati: ci mette di fronte i temi dell’amore, dei rapporti familiari e dei rapporti sociali, della verità, della giustizia.
La Parola di Dio conduce soprattutto a riconoscerci peccatori perché questo è il passaggio essenziale per incamminarci verso una autentica conversione del cuore.
3. La festa dell’incontro
L’incontro personale fra il peccatore pentito e il Dio vivente attraverso la mediazione del ministero della Chiesa è motivo di festa e di gioia. Attraverso le parole dell’assoluzione, pronunciate dal sacerdote scelto e consacrato per il ministero, è Cristo stesso che accoglie il peccatore pentito e lo riconcilia con il Padre e nel dono dello Spirito Santo lo rinnova come membro vivo della Chiesa. Riconciliato con Dio, il credente è accolto nella comunione vivificante della Trinità e riceve la vita nuova della grazia, l’amore che solo Dio può effondere nel cuore. E’ stato Gesù a dirci che «bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (Lc 15,24).
Ci commuove e rallegra il cuore ascoltare che Gesù non giudica e condanna! Ciò che danneggia la bellezza di questo sacramento e limita la nostra gioia è il non riconoscere l’amore di Gesù, ostacolati dalla nostra presunzione. Il Maestro ricorda convintamente: «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,7).
Ma perché la festa continui occorrerà dare significato e compimento al momento celebrativo della penitenza. Occorrerà, dunque:
- ricordare la dimensione della conversione permanente. Il sacramento non si consuma nella celebrazione, ma deve continuare nella permanente conversione dell'uomo.
- essere consapevoli che il sacramento della penitenza deve diventare coerenza della vita per un'esperienza del perdono.
- rallegrarsi e gioire poiché la penitenza si celebra nel segno della Pasqua del Signore, segno di morte e di resurrezione. È il giudizio liberante di Dio, un giudizio di amore, nella vita nuova nel mistero pasquale.
Dio è Padre misericordioso per tutti! Lui solo decide nel suo grande amore di accoglie tutti. Celebrare il perdono di Dio è abbandonarsi in modo totale a Dio, rifiutando così di costruire una vita senza o contro di lui.
Ci attende sempre, ci corre incontro, a braccia aperte. Così è vera festa per ogni uomo che lo riconosce: un banchetto di comunione e di gioia vera, scuola di un amore che perdona e accoglie.
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