Migranti e rifugiati

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E’passato pressoché sotto silenzio un appuntamento che la Chiesa ha proposto fissando nella XXVI domenica del Tempo ordinario la sua attenzione su migranti e rifugiati invitando tutti a ciascuno a considerare questo macro fenomeno sgombri e liberi da pre-condizioni di carattere politico/partitico. 
Questa è la 106. ma Giornata del Rifugiato (non un “pallino/fissazione di Papa Francesco!). Già nel 1952  il Papa Pio XII scrisse la Costituzione Apostolica Exsul  Familia.
Le foto di apertura rappresentano il monumento inaugurato da papa Francesco e istallato nell'emiciclo di sinistra del colonnato del Bernini per chi gaurda la Basilica. Reaalizzata in bronzo e argilla,  raffigura un gruppo di migranti di diversi periodi storici, tutti a grandezza naturale, e in piedi sopra una zattera, con i volti provati dalle sofferenze.
 
Il tema scelto dal Santo Padre Francesco è “Come Gesù Cristo, costretti a fuggire”.
Il Papa suggerisce quattro verbi che sono autentici paradigmi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Esplicitando poi in 6 coppie di verbi l’attuazione della attenzione verso il migrante e rifugiato:
·        conoscere per comprendere
·        farsi prossimo per servire
·        riconciliarsi per ascoltare
·        crescere per condividere
·        coinvolgere per promuovere
·        collaborare per costruire.
 
Nel capitolo 25 del vangelo di Matteo, testo sul quale al tramonto della vita saremo giudicati sull’amore, Gesù ricorda senza mezze misure: «Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,  nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.  Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando mai ....”Rispondendo, il re dirà loro: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”».    
 
Milioni di persone, di tutte le età e condizioni, sono costrette a lasciare la loro terra, a fuggire dalla guerra e dalle sue conseguenze, o da calamità naturali che le pongono in condizioni di vita insopportabili. Ci sono anche centinaia di migliaia che lasciano la terra dove sono nati per cercare un futuro migliore per sé e per i propri figli.
 
È un fenomeno che si verifica ogni giorno davanti ai nostri occhi, nella nostra stessa terra, e che, attraverso i media, possiamo constatare come si manifesti anche, su scala ancora più ampia, in Paesi più o meno lontani dai nostri confini. Possiamo affermare senza paura di sbagliare che è uno dei tratti caratteristici del nostro tempo non destinato ad esaurirsi.
 
Il migrante e il rifugiato, per ragioni molto diverse, sono costretti a lasciare la terra dove sono nati e vivere in un paese straniero. Questo semplice fatto è già drammatico: la patria è molto più di un territorio, più di un pezzo di terra. Fa parte di noi stessi. Non è qualcosa di privo di importanza per l'esistenza di ciascuno. Oltre a qualcosa di fisico, è anche tradizione, storia, cultura, valori, sentimenti, antenati, un modo di vedere le cose, un linguaggio con cui si "entra in contatto" con la realtà. E’ soprattutto un modo di vedere il mondo e la società, la famiglia; è un modo di relazionarsi con Dio; è anche una religione. Abbandonare quel mondo che si riassume in quella che chiamiamo patria o terra natia; espatriare è morire a buona parte di noi stessi. È il dramma del migrante o del rifugiato.
 
A questo si aggiunga il fatto che nella nuova patria, dove solo dopo molto tempo riesce a "ritrovarsi" nella propria casa, il migrante o il profugo soffre spesso l'indifferenza, la freddezza dello sguardo di chi lo contempla come uno straniero. Può sperimentare la violenza di leggi restrittive e discriminatorie, sperimentare l'umiliazione, subire la continua minaccia di essere sottovalutato e sminuito se non addirittura disprezzato.

La Chiesa vuole portare la luce del Vangelo su questa complessa realtà del mondo dei migranti e dei rifugiati. Ci ricorda che Israele sperimentò nella propria carne la debolezza di coloro che erano fuori dalla sua terra. Ecco perché la protezione di coloro che si trovavano in questa situazione faceva parte della legge consuetudinaria del popolo di Dio. A poco a poco Israele imparò a vedere lo straniero non solo come qualcuno che doveva essere aiutato, ma come qualcuno che doveva essere aiutato a integrarsi nella vita, anche religiosa, della gente. Per questo era chiesto di trattare il migrante e il rifugiato con umanità e benevolenza. Un atteggiamento che si rafforzava con la progressiva convinzione che tutti i popoli hanno un'origine comune.
 
La storia dell'emigrazione di tanta nostra gente, l'esperienza, troppo spesso dolorosa, di chi è stato costretto a vivere fuori dai confini della propria terra ci aiuterà a trattare chi è oggi tra noi nella stessa situazione di emigrati, e come i nostri emigrati avrebbero desiderato essere trattati: nel rispetto della dignità personale e non derogabile, che certamente né la lingua né la religione, né il colore o la cultura possono sminuire o diminuire. 
 
Ogni uomo è "un altro come me", senza mai oscurare questa verità, anche se a volte, può essere costoso riconoscergli tutti i suoi diritti, che sono solo diritti umani!
 
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