I criteri di redazione
del Catechismo della Chiesa Cattolica

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Lo schema del Catechismo della Chiesa Cattolica era inizialmente tri­partito. Fu poi allargato per essere quadripartito, sul mo­dello del Catechismo Romano. Gli editori dell'edizione cri­tica di quest'ultimo, Pedro Rodrìguez e Raul Lanzetti[1], hanno fornito preziose indicazioni sul significato della scelta fatta dai redattori del Catechismo di Trento. Richia­mano l'attenzione sul fatto che l'ordine delle quattro parti ha una grande portata teologica.

La sequenza Credo-Sacramenti-Comandamenti-Pater non fu casuale. San Tommaso aveva spiegato, in una cate­chesi molto semplice, predicata in napoletano, il Simbolo degli Apostoli, i dieci Comandamenti e il Pater. Da molto tempo questi tre testi costituiscono le colonne della cate­chesi cristiana[2], e la tradizione protestante li ha mantenuti.

Sorprende il posto dato dal Catechismo di Trento ai sa­cramenti. Essi troverebbero il posto giusto nell'esposizio­ne del Simbolo della fede, nell'articolo della «communio sanctorum».

In questa sezione li ha collocati il Catechismo dei vesco­vi tedeschi. Secondo gli editori del Catechismo di Trento, ci sono due motivi più immediati per un'altra scelta: l'ur­genza della dottrina dei sacramenti nella situazione del XVI secolo e, legata a questo motivo, la smisurata estensio­ne che altrimenti avrebbe preso l'esposizione della «com­munio sanctorum».

 

Un altro motivo, più teologico, sostiene e conforta una tale opzione.

È significativa la proporzione delle quattro parti del Ca­techismo di Trento: 22% per il Credo, 37% per i sacramenti (quasi il doppio!), 21% e 20% rispettivamente per i Coman­damenti e il Pater. C'è quindi un netto «squilibrio» in favo­re dei sacramenti.

Uno sguardo al Catechismo della Chiesa Cattolica rivela una diversa accentuazione: 39% per il Credo, 23% per i Sa­cramenti, 27% per i Comandamenti e 11% per la preghie­ra. Se in entrambi i casi esistono delle circostanze storiche, che hanno condizionato in parte tali proporzioni - circo­stanze della redazione, dello svolgimento delle tappe del te­sto -, c'è anche un messaggio teologico e catechetico, volu­to o meno dai redattori: in entrambi i testi, il Catechismo di Trento e il Catechismo della Chiesa Cattolica, le prime due parti formano complessivamente circa il 66% del te­sto, cioè quasi i due terzi. Interpretando tale fatto, possia­mo applicare al Catechismo della Chiesa Cattolica ciò che gli editori dicono del Catechismo di Trento: «In realtà, l'ordine delle dottrina del Catechismo di Trento non ha quattro parti; ma si presenta a noi come un magnifico dittico, tratto dalla Tradizione: qui i misteri della fede in Dio Uno e Trino professati (Simbolo) e celebrati (sa­cramenti); lì l'esistenza umana secondo la fede - la fede ope­rante mediante la carità - trovano la loro espressione in un modo di vivere cristiano (Decalogo) e nella preghiera filiale (il Pater)».

 

Il messaggio di questo «dittico» è chiaro: nell'esposizio­ne catechistica della fede, qualunque siano il metodo e l'ar­ticolazione dei contenuti, il primato spetta a Dio e alle sue opere. Ciò che fa l'uomo, l'agire dell'uomo, sarà sempre ri­sposta all'opera di Dio.

Nei catechismi, i magnalia Dei costituiscono l'elemento forte dell'esposizione. C'è qui un accento teocentrico molto chiaro. L'esposizione non è soltanto dottrinale, ma è dosso-logica, è confessione e professione dei facta et dicta di Dio in nostro favore, per pura grazia.

Un'altra considerazione ancora permette di sottolinea­re il primato della grazia.

L'hanno notato gli editori del Catechismo di Trento. Perché, nel Catechismo di Trento, fede e sacramenti della fede sono posti insieme, prima della esposizione del Deca­logo? La risposta alla domanda è insieme risposta alla obiezione spesso espressa circa il piano e il progetto del Catechismo della Chiesa Cattolica: perché servirsi del De­calogo nell'esposizione della morale? Non è questo «rica­dere» nell'Antico Testamento? Non si dovrebbero forse se­guire le beatitudini o le virtù teologali?

Per gli autori del Catechismo di Trento, ha presieduto alla scelta dell'esposizione la concezione della giustifica­zione così come è stata espressa dal Concilio Tridentino. La giustificazione è legata ai sacramenti del Battesimo e della Penitenza, i quali fanno dell'uomo una creatura nuo­va donandogli «la caparra dello Spirito Santo», e quindi la grazia e le virtù.

Ritengo utile riferire, a questo proposito, la traduzione di alcune righe della bella pagina dedicata dagli editori del Catechismo di Trento a tale visione del detto Catechismo la cui ispirazione si è ancora fatta sentire nella redazione del Catechismo della Chiesa Cattolica:

«L'opzione è evidente: prima di indicare al cristiano ciò che deve fare, troviamo questa parola di san Leone Magno: "Riconosci, o cristiano, la tua dignità". Quando conosce la potenza soprannaturale proveniente dal suo essere in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, allora il discepolo di Cristo si può impegnare con cuore fiducioso, senza timore servile, nell'esercizio e la crescita dell'esistenza cristiana proposta dal Decalogo... Senza la dottrina dei sacramenti precedentemente espo­sta, la quale comprende anche l'insegnamento sulla Chiesa e sulla giustificazione, i precetti del Decalogo sembrano su­perare le forze dell'uomo. Ma, poggiata sulla fede e sui sa­cramenti, la considerazione di essi è piena di fiducia e di forza.

Ora, nonostante la sua autorità romana, questo piano (del Catechismo di Trento,): Simbolo-Sacramenti-Comanda­menti, non verrà conservato nella catechesi cattolica. Ben più frequente sarà la sequenza Credo-Comanda­menti-Sacramenti. Tale piano, certo, si può ispirare al De Catechizandis rudibus di sant'Agostino.

Esso è confermato dall'autorità di san Pietro Canisio, ma non è senza pericolo.

Questo piano, nel quale il Decalogo succede al Credo e precede i sacramenti, riflette non tanto una tendenza parti­colare quanto la deriva generale del XVIII secolo verso il moralismo. La seconda parte crescerà come un polipo di raccomandazioni e di prescrizioni morali, mentre si restrin­gono le parti dedicate al simbolo e ai sacramenti.

Il nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica condividerà forse la sorte del Catechismo di Trento: essere «ammirato, ma non imitato»!

 

IL «NEXUS MYSTERIORUM» NELLA REDAZIONE DEL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

 

Quando, nel 1989, il «Progetto rivisto» del Catechismo per la Chiesa universale è stato sottoposto ad una consulta­zione dell'intero episcopato cattolico, uno dei maggiori rimproveri, formulato da tutto un gruppo di teologi norda­mericani, diceva che tale progetto non rispettava la gerar­chia delle verità. Nell'esame delle critiche e dei suggerimenti provenien­ti dai vescovi e dai loro esperti, la commissione del Cate­chismo è stata particolarmente attenta alla questione della gerarchia delle verità.

 

Nella sua relazione al Sinodo dei vescovi, il 27 ottobre 1990, il cardinale Ratzinger, in qualità di Presidente della suddetta Commissione, ne ha così riassunto la risposta: il piano stesso di questo Catechismo è una espressione della gerarchia delle verità: già le quattro colonne della cateche­si lo articolano in modo organico, poiché ciò che importa nel rispetto della gerarchia delle verità è l'organicità del­l'esposizione e non, come sembrano pensare alcuni critici, i gradi di certezza.

Infatti, è necessario distinguere bene tra gerarchia del­le verità e gradi di certezza. Certo, il Catechismo deve evi­tare di dare l'impressione che tutte le affermazioni che es­so contiene hanno lo stesso grado di certezza. Non sarebbe né utile né auspicabile indicare ogni volta tale grado (de fi­de, de fide definita, sententia communis, ecc.). Il grado di certezza delle dottrine deve piuttosto emergere dal conte­sto, dal modo di esporle, dall'autorità dottrinale dell'affer­mazione.

 

Più importante per la catechesi è il principio dell'orga­nicità dell'esposizione. È riuscito a soddisfare a tale esi­genza il Catechismo della Chiesa Cattolica? Toccherà ai let­tori giudicare. Vorrei soltanto qui offrire qualche indica­zione circa le articolazioni del testo nel suo insieme.

Esiste un «fil rouge» che fa - per così dire - da collega­mento a tutto il Catechismo della Chiesa Cattolica?

Non si è cercato esplicitamente di averne uno. Ma è cer­to che il tema della «Economia divina» permea le quattro parti come un leit-motiv. Così la prima parte espone in pri­mo luogo l'Economia della Rivelazione, culminante nel mi­stero di Cristo. La struttura trinitaria del Simbolo degli Apostoli è l'espressione del carattere trinitario dell'Econo­mia divina.

Nel primo articolo del Simbolo - «Credo in Dio Padre» - il Catechismo della Chiesa Cattolica professa anzitutto le verità riguardanti la vita stessa di Dio nel suo mistero tri­nitario (CCC 232ss). Tutta l'Economia divina non ha altra fonte né altro scopo che questa vita infinitamente beata. L'Economia pertanto si articola secondo i grandi momenti della comunicazione di questa vita: l'opera della creazione e del governo divino (la Provvidenza); l'opera della reden­zione da Cristo Gesù e l'opera della santificazione nello Spirito Santo, mediante la Chiesa.

 

La seconda parte prolunga esplicitamente questa pro­spettiva dell'Economia della Salvezza: nel tempo della Chiesa, diviene «Economia sacramentale». Tutta l'organiz­zazione della vita liturgica appare quindi sotto l'aspetto della «dispensazione del Mistero»: i segni e i tempi, i sacra­menti e i sacramentali.

Il tema dell'Economia divina è meno visibile nella terza parte. Esso appare soprattutto negli articoli sulla legge e la grazia., che trattano più specificamente delle disposizio­ni divine per aiutarci a vivere secondo Dio. È, invece, molto presente nella quarta parte.

 

Se l'Economia divina costituisce una sorta di filo con­duttore di tutto il Catechismo della Chiesa Cattolica, essa stessa gravita attorno ad un centro: il mistero trinitario. Ecco ciò che dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: «II mistero della Santissima Trinità è il mistero centrale della fede e della vita cristiana. È il mistero di Dio in se stes­so. È quindi la fonte di tutti gli altri misteri della fede, la lu­ce che li illumina. È l'insegnamento più fondamentale ed essenziale nella «gerarchia delle verità della fede» (DCG 43)» (CCC 234).

E qui il Catechismo della Chiesa Cattolica cita il Diretto­rio Catechistico Generale n. 47: «Tutta la storia della sal­vezza non è altro che la storia della via e dei mezzi con i quali Dio vero e unico, Padre, Figlio e Spirito Santo, si rive­la, riconcilia e unisce a sé gli uomini che si distolgono dal peccato».

 

Essere fedele alla «gerarchia delle verità», quindi, con­siste anzitutto nell'assicurare l'articolazione trinitaria del­l'esposizione. La redazione ha cercato di mettere chiara­mente in rilievo i legami delle verità della fede con il loro fondamento trinitario. Segnalo in particolare le esposizio­ni sulla creazione, sulla Chiesa, la Liturgia e la preghiera.

Con il mistero trinitario, c'è un secondo fondamento al quale si devono riferire, nella loro gerarchia, le altre verità della fede: il mistero di Cristo. Se si può dire che questo Ca­techismo è profondamente trinitario, si può affermare, con pari ragione, che è cristocentrico.

«Al centro stesso della catechesi noi troviamo essenzial­mente una persona: quella di Gesù di Nazareth, unigenito

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dal Padre». «Nella catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Fi­glio di Dio, che viene insegnato, e tutto il resto lo è in riferi­mento a lui».

Queste parole ben conosciute della Catechesi tradendae 5-6 indicano chiaramente come il principio della gerarchia delle verità si deve applicare: riferire tutto al fondamento che è Cristo, poiché - dice ancora la Catechesi tradendae, 5 - «egli solo può condurre all'amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla vita della Santa Trinità».

Insegnare Cristo ha lo scopo di «mettere in comunione» con lui. Tutta la cristologia del Catechismo della Chiesa Cattolica è posta sotto il segno della nostra comunione al mistero di Cristo. Il concepimento e la nascita, la vita na­scosta e la vita pubblica, la passione e la risurrezione di Cristo sono descritte nella prospettiva dei «misteri della vi­ta di Cristo». Andando al di là della prospettiva della sola imitazione di Cristo, i «misteri della vita di Cristo» ci sono offerti come invito a una comunione di vita.

 

È questo un testo-chiave del Catechismo della Chiesa Cattolica (521), che fa riferimento a un testo-chiave del Va­ticano II molto spesso citato da Papa Giovanni Paolo II: « Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possia­mo viverlo in lui e che egli lo viva in noi. "Con l'Incarnazio­ne, il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo"» (GS 22, CCC 2).

Ciò che egli ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello, egli ce lo fa partecipare come membra del suo corpo. «Membra del suo corpo» è in questa prospettiva di comunione di vita che vengono descritti i sacramenti.

Due parole, una della Scrittura, l'altra della Tradizione patristica, indicano bene tale modo di vedere.

Al paragrafo 1116, si dice: « "Forze che escono " dal Cor­po di Cristo (cfr. Le 5,17; 6,19; 8,46), sempre vivo e vivifican­te, azioni dello Spirito Santo operante nel suo Corpo che è la Chiesa, i sacramenti sono "i capolavori di Dio"nella nuo­va ed eterna Alleanza».

E al paragrafo 1115 si legge: «7 misteri della vita di Cri­sto costituiscono i fondamenti di ciò che ora, Cristo dispen­sa nei sacramenti mediante i ministri della sua Chiesa, poiché "ciò che era visibile nel nostro Salvatore è passato nei suoi misteri" (san Leone Magno, Sermones 74, 2)».

I sacramenti di Cristo prolungano i misteri della sua vi­ta e ce ne rendono partecipi. Essi sono le forze che escono dal suo corpo che è la Chiesa. Non è pertanto sorprendente che l'esposizione sulla Chiesa si collochi nella medesima li­nea. Il p. Avery Dulles, SJ, aveva caratterizzato la presenta­zione della Chiesa nel «Progetto rivisto» del 1989 «favoren­do chiaramente il modello sacramentale».

Pur non essendo d'accordo con l'idea dei «Models of the Church», ammetto volentieri, con Dulles, che l'esposizione ecclesiologica favorisce una visione sacramentale della Chiesa, proprio quella che sta alla base del capitolo primo di Lumen gentium, visione trinitaria della Chiesa, popolo di Dio, Corpo di Cristo e tempio dello Spirito Santo; visione divino-umana della Chiesa, secondo l'analogia del Verbo incarnato (cfr. LG 8).

In questo Catechismo, la fede e i sacramenti vengono presentati nella loro articolazione organica a partire dal doppio fondamento trinitario e cristologico.

Si era rimproverato al «Progetto rivisto» del 1989 di se­parare troppo la fede dalla vita, trattandole in due parti di­verse, la prima e la terza. Spero di aver dimostrato che un'altra intenzione guidava la scelta del piano: quella di fa­re comprendere che la vita cristiana sorge come risposta li­bera dell'uomo ai doni e alla chiamata di Dio, risposta resa possibile mediante la fede e i sacramenti della fede.

La prima sezione della terza parte, la «morale fonda­mentale», è costruita nella prospettiva dell'agire dell'uomo e dell'agire di Dio. Punto di partenza è qui la vocazione del­l'uomo alla beatitudine, così come la prima parte aveva co­minciato con il tema della ricerca della felicità. Poi viene sviluppato il dispositivo del libero agire dell'uomo: la li­bertà stessa, senza la quale non c'è responsabilità, né quin­di atti buoni e cattivi; la coscienza morale, giudizio della ragione sui nostri atti; le virtù umane originate da ripetuti atti buoni, e le virtù teologali, infuse da Dio; infine gli atti mancati, i peccati. La prospettiva comunitaria dell'agire umano viene poi sviluppata alla luce di Gaudium et spes e dei documenti pontifici.

 

Tuttavia, senza l'aiuto della legge divina che lo istruisce e della grazia divina che lo eleva, l'uomo non può dare una risposta adeguata alla chiamata di Dio. Non si può nascon­dere che questo piano della «morale fondamentale» si ispi­ra, oltre alla Gaudium et spes, soprattutto alla Summa Theologica di san Tommaso d'Aquino. Tale scelta è ben con­sapevole. Permette mirabilmente di articolare in modo or­ganico la libertà dell'uomo e la grazia divina, la cui «siner­gia», la cooperazione può, sola, condurre al fine al quale tut­ti gli uomini sono chiamati: la santità (CCC 2012-2016).

La prospettiva delle virtù umane e teologali segna an­che l'esposizione dei dieci Comandamenti. Per ogni coman­damento, l'esposizione comincia, non con i divieti, ma con le relative virtù: così, per il primo comandamento, le virtù teologali e la virtù di religione; per il quarto, la pietà filia­le; per il sesto, la castità; per il settimo, la giustizia; per l'ottavo, la veracità. Non si può dire che la decisione della commissione di mantenere i dieci Comandamenti come quadro della catechesi morale sia andata finalmente a sfa­vore delle virtù. E si potrà capire, alla lettura degli articoli sui comandamenti 9 e 10, che il Decalogo sbocca sulle bea­titudini, principalmente sulla prima, quella dei poveri in spirito ai quali è promesso il Regno di Dio.

 

Tale sarà proprio la prospettiva della quarta parte. Mentre riconosce «la chiamata universale alla preghiera» (CCC 2566), alla quale corrisponde il desiderio innato della preghiera, l'esposizione sulla preghiera è permeata dello spirito delle beatitudini. Concludo queste annotazioni cir­ca le grandi linee e i criteri di redazione del nuovo Catechi­smo della Chiesa Cattolica attirando l'attenzione su un fat­to nuovo. Molte cose si potrebbero dire sulle nova et velerà di questo Catechismo, contemporaneamente molto tradi­zionale e molto nuovo. Un punto mi sembra meritare una attenzione particolare: la presenza, inconsueta in questo ti­po di documento, di numerose testimonianze di santi e di sante.

 

La questione dell'inculturazione meriterebbe una trat­tazione apposita, che tuttavia l'economia di questo contri­buto non può prevedere.

E d'altra parte lo stesso Catechismo della Chiesa Catto­lica non può fornire indicazioni concrete per i necessari adattamenti alle diverse situazioni, non soltanto culturali ma anche di età spirituale, ecc.

Soltanto i santi sono sufficientemente universali, per dire a tutti, con parole sorgenti dalla vita, le verità della fede.

Come non essere convinto che le parole di una santa Ca­terina, di una santa Teresa d'Avila o del «Piccolo Fiore» avranno la forza di attraversare tutte le frontiere culturali e umane per dire a tutti, in un linguaggio ardente di amore verso Cristo, le verità antiche e sempre nuove della Buona Novella di Cristo?

 



[1] Catechismus Romanus, ed. P. Rodrìguez e.a., Città del Vaticano-Pamplona 1989.

[2] Nel suo Compendium, san Tommaso legava queste tre colonne con le tre virtù teologali; «tre cose sono necessarie per essere salvato: conoscere ciò che bi­sogna credere, conoscere ciò che bisogna desiderare e conoscere ciò che bisogna fare.