Dizionario dei termini su matrimonio e famiglia

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Il sacramento del matrimonio

nella missione della Chiesa

 

All’inizio del suo pontificato, meditando sul mistero della Sacra Famiglia, il Papa Giovanni Paolo II invitava i cristiani a “meditare e a vivere coscientemente ciò che Dio, la Chiesa, l’umanità intera si aspettano oggi dalla famiglia”. Questa triplice attesa, attesa di Dio, attesa della Chiesa e attesa dell’umanità ci offre la prospettiva che deve  strutturare  oggi una riflessione del ruolo del matrimonio cristiano nella missione della Chiesa. L’attesa dell’umanità non è vista, in questa frase del Papa, in opposizione con l’attesa di Dio e quella della Chiesa. L’attesa più profonda nel cuore dell’uomo è, nella visione della Chiesa, il desiderio di amare e di essere amato, una aspirazione che si realizza nella comunione.
 
     Questa verità del proprio essere è rivelata a ogni uomo dalla persona di Gesù Cristo che, per parafrasare il celebre passaggio conciliare, rivela all’uomo la verità integrale sulla persona, sul matrimonio, sulla famiglia. Non è certo che mezzo secolo fa un tale approccio fosse accettato. L’espressione attesa dell’umanità sarebbe sembrata una clausola di stile, un’espressione molto vaga, troppo generica in ogni caso, per ciò che concerne il matrimonio. Tra l’istituzione civile del matrimonio e la sua forma cristiana, sanzionata canonicamente dal sacramento del matrimonio, vi era in comune il patrimonio del diritto naturale. L’approfondimento da parte del Diritto Ecclesiastico dei contenuti del matrimonio, delle sue finalità, del consenso e degli effetti di quest’ultimo, trovavano un appoggio e una risonanza naturali nelle diverse legislazioni civili: l’impegno degli sposi alla fedeltà, la loro apertura alla vita, i doveri genitoriali dell’educazione erano gli stessi da una parte e dall’altra. Infatti, niente di strano in questo: la riflessione della Chiesa sul matrimonio e sulla famiglia si è sempre inserita in una prospettiva che ha messo in primo piano le persone contraenti, tanto da servire di fonte di ispirazione per i redattori civili del Codice napoleonico. 
 
A dir poco ci troviamo da qualche decina d’anni davanti a una situazione totalmente inedita che vede l’autorià civile dell’insieme delle nazioni  occidentali  basarsi non più sui modelli canonici ma su considerazioni sociologiche. Le priorità non sono più la traduzione nella leggi della natura del legame coniugale, ma il fondamento giuridico di nuovi modelli che corrispondono sociologicamente a delle esigenze inedite derivanti da una certa categoria sociale da un certo gruppo di pressione, da una certa scuola di pensiero o da una certa ideologia. Il risultato di ciò che bisogna considerare come una vera rivoluzione è l’allontanamento apparentemente irreversibile del diritto naturale che ha perso per lo stato moderno il suo valore di criterio di riferimento, e che è perfino diventato oggetto di sospetto e di ostracismo... Le discussioni che hanno accompagnato la creazione del Patto civile di solidarietà recentemente in Francia (PaCS) hanno evidenziato tra sostenitori e avversari di questo nuovo modello un vero dialogo tra sordi, in cui una espressione così a lungo provata e ammessa nel corso dei secoli come quella che descrive il matrimonio come una unione naturale di un uomo e di una donna si è trovata brutalmente squalificata. 
 
Il matrimonio sembra aver cessato di essere una buona notizia agli occhi dei nostri contemporanei che si ritrovano nella posizione dei Farisei interlocutori di Gesù  nel capitolo 19 del Vangelo di Matteo, Hanno bisogno di sentire Gesù rispondere loro su un piano diverso dal piano sociologico del ripudio e rinviarli al principio (arché). Al principio: questo situa la verità dell’uomo in una pienezza di senso, al di là delle risposte parziali. Al principi: questo rinvia anche a quel momento originario in cui l’uomo creato trova la sua misura ultima nelle relazione con Dio e in cui l’immagina di Dio è inscritta in lui: uomo e donna li creò. La pienezza dell’uomo si traduce in una comunione di persone, il cui primo legame è manifestato da una complementarietà sessuale. Così nella realtà di immagine di Dio, è concretamente inscritta la corporeità dell’uomo come un richiamo originale alla comunione. Ciò che va a smuovere la sua libertà e a dargli la sua finalità interna è questo richiamo originario alla comunione: L’uomo diventa immagine di Dio non tanto nel momento della solitudine quanto nel momento della comunione. Egli è infatti fin dall’origine non soltanto un’immagine nella quale si riflette la solitudine di una Persona che governa il mondo, ma anche, e essenzialmente, immagine di una impenetrabile e divina comunione di Persone. 
 
L’allontanamento dello stato moderno dal diritto naturale, di cui abbiamo indicato la realtà, fa sì che la missione della Chiesa si trovi anche di fronte a un sfida radicalmente nuova: riprendere daccapo tutto un insieme di valori di umanità che tempo fa si potevano considerare a buon diritto come acquisiti. In effetti, non è più sufficiente esporre e trasmettere lo specifico cristiano, sulla base di una terminologia comune a tutti, basandosi sul fatto che il matrimonio è all’origine una istituzione propria di tutta l’umanità; essa si trova nella necessità di approfondire sempre più, alla luce della Rivelazione, le implicazione antropologiche di ciò che essa considera la verità sul matrimonio e la famiglia, cioè il progetto di Dio su questa comunità di vita e d’amore tra un uomo e una donna, voluta e creata da Dio e salvata da Lui. Il Magistero della Chiesa non ha cessato di insistere negli ultimi tempi sulla missione cristiana dell’annuncio di esplicitazione dell’amore umano. I testi sono estremamente numerosi. Per esempio: Familiaris Consortio: Tutta la Chiesa ha il dovere di riflettere e di impegnarsi in profondità affinché la nuova cultura che appare sia intimamente evangelizzata, che siano riconosciuti i veri valori, che siano difesi i diritti dell’uomo e della donna e che la giustizia sia promossa nelle strutture stesse della società...Così, il nuovo umanesimo non allontanerà gli uomini dai loro rapporti con Dio, ma ve li condurrà in modo più pieno ...La missione della Chiesa deve così essere apprezzata successivamente nelle due direzioni principali: quella che la spinge fuori delle sue frontiere (ad extra) e quella che la determina ad ammaestrare i suoi figli (ad intra), pur mantenendo il principio di unità che la ispira. 
 
Come si articola oggi la missione della Chiesa ad extra e come contribuisce la Chiesa ai dibattiti attuali sul matrimonio e sulla famiglia? La Chiesa parla del matrimonio in una prospettiva di fede di cui è importante cogliere bene la logica interna fin dall’inizio, per evitare qualsiasi malinteso nel dialogo sociale. Questa prospettiva, che è certo quella della fede cristiana, afferma chiaramente che la comunità profonda di vita e di amore che forma la coppia è stata fondata  e dotata delle sue proprie leggi dal Creatore, per riprendere testualmente la formula conciliare. In che senso? L’aspirazione che un uomo e una donna hanno di darsi l’un l’altro per formare una comunione di tutta la loro vita corrisponde a delle esigenze profondamente inscritte nell’essere dell’uomo e della donna. Esse corrispondono a ciò che essi sono, alla loro natura. L’istituzione del matrimonio è chiamata ad esprimere queste esigenze, di modo che la forma che essa riveste  non può essere sottomessa a dei capovolgimenti che le contraddirebbero. Ritorneremo su queste esigenze dette naturali, ma sottolineiamo qui che è molto logico che questa prospettiva faccia risalire questi tratti naturali all’Autore della natura. A questo livello si capisce che espressioni quali il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia, oppure la verità integrale dell’amore coniugale, lungi dal costituire delle affermazioni di tipo fondamentalista, si inscrivono nelle logica naturale di una teologia e di una filosofia della Creazione, accessibili alla ragione. Mi sembra che un primo aspetto dell’apostolato cristiano dovrebbe consistere nel convincersi e nell’impregnarsi di questa verità che non offende la ragione e a difenderla senza sosta. 
 
Come riassumere succintamente queste esigenze naturali? La prima si fonda, come si è detto, sull’aspirazione (che la Chiesa, nella logica da noi indicata , chiama vocazione) di ogni essere umano all’amore (comunione di persone). La comunione particolare tra un uomo e una donna uniti dal matrimonio è ordinata al bene degli sposi e alla generazione e all’educazione dei figli. Essa pone le sue basi su un mutuo consenso che è un dono reciproco che gli sposi si fanno liberamente della loro persona. Questo dono è affermato pubblicamente e forma il legame del matrimonio, legame che ha la caratteristica agli occhi della Chiesa di essere indissolubile. Sono questi degli elementi, che ci paiono senza dubbio semplici perché li conosciamo bene, di cui bisogna essere pronti a rispondere. Non si può ricostruire qui tutta una antropologia adeguata (per riprendere una espressione cara a Papa Giovanni Paolo II), ma si possono tuttavia illustrare alcuni punti. 
 
La condizione di libertà nella quale un consenso deve essere dato non fa difficoltà, poiché è ammessa da tutti. Il carattere pubblico dello scambio dei consensi, pure: è una certa garanzia, benché non assoluta, che il matrimonio è stato liberamente voluto. Il difetto di consenso è motivo di nullità del matrimonio, per il diritto civile come per il diritto canonico. 
La questione del carattere irrevocabile del consenso e del legame indissolubile che esso crea agli occhi della Chiesa è ben più delicato. Si immagina, sovente a torto, anche presso i cristiani, che l’indissolubilità è per la Chiesa un’esigenza che proviene dalla sola sacramentalità del matrimonio. In effetti, il sacramento non crea l’indissolubilità, anche se esso contribuisce ad accrescerne la solidità. L’indissolubilità nasce dall’esigenza interna del patto d’amore tra gli sposi. Non saprebbe costituire un’aggiunta estrinseca a una forma di istituzione. E’ una qualità permanente propria a un matrimonio validamente costituito e un’esigenza intrinseca dell’essenza del matrimonio. Ed è perché il matrimonio è un dono personale nel quale tutta la persona si mette in gioco in modo esclusivo (d’altronde è ciò che esprimono gli atti propri di questa unione tra l’uomo e la donna) che è presente la dimensione temporale. Se la persona si riservasse la possibilità di decidere diversamente per il futuro, come si potrebbe ancora parlare di fedeltà? L’impegno alla fedeltà, sul piano antropologico, non può mettere un limite nel tempo: è questa una caratteristica stessa della relazione amorosa nella quale è riconosciuta e onorata la dignità della persona del coniuge verso il quale ci si impegna. Abbiamo qui degli elementi che forniscono una base solida nella maniera in cui siamo condotti ad extra a parlare dell’amore umano e del matrimonio cristiano. 
 
Sullo stesso registro è possibile anche mostrare come la fedeltà riconduce sempre all’amore, o almeno contiene nella sua dimensione più profonda, in un modo di cui forse il sentimento non è cosciente, la trama dell’amore, che è tessuta al di là del tempo. Il fidus, scrive Angelo Scola, cioè la fedeltà che è all’interno dell’amore, è in realtà l’apice dell’amore. Poiché è questo livello che garantisce all’amore di crescere sempre anche quando non se ne ha più coscienza e non se ne ha più la percezione immediata. La fedeltà, infatti, ha già unito l’uomo e la donna con un legame che va fino a sfidare il tempo. Abbiamo qui dei temi propri all’esperienza cristiana nel senso di esperienza umana completa, il che suppone un ritorno alla natura delle cose, all’occorrenza un ritorno all’origine, alla verità originale del matrimonio letta all’interno del disegno di Dio, il consilium Dei. 
 
Senza dubbio, una difficoltà viene dal fatto che la categoria di contratto, che è una nozione giuridica (dunque condizionale e sottomessa a delle clausole), non è appropriata per tradurre l’indissolubilità. I testi della Chiesa usano volentieri il termine di alleanza che ha il vantaggio di esprimere, dal suo punto di vista, una realtà sia naturale che sacramentale. L’aspetto naturale viene dalla convinzione che l’uomo è creato da Dio e da Lui dotato della capacità di impegnarsi in una unione indissolubile; l’aspetto sacramentale rinvia al concetto biblico di alleanza che esprime il dono definitivo di Dio al suo popolo, di cui il matrimonio è l’immagine e che è un dono che Cristo ha portato al suo compimento. 
 
L’altro punto delicato consiste nel definire il matrimonio come il luogo in cui si trasmette la vita. La Chiesa considera il matrimonio come il luogo naturale in cui la vita è trasmessa e la famiglia come il luogo in cui la vita è servita attraverso il compito dell’educazione dei figli. Niente di originale in tutto ciò, nella misura in cui questa convinzione è stata praticamente unanimemente condivisa nella società degli uomini di tutte le latitudini fino ad un’epoca molto recente. Lo spezzarsi della cellula famigliare in Occidente, con le sue conseguenze sulla vita dei figli, le tecniche che rendono scientificamente possibile la procreazione indipendentemente dalla relazione tra un uomo e una donna, rendono indispensabile spiegare perché la trasmissione della vita, nell’ottica cristiana, è necessariamente legata all’essere famigliare. Se il matrimonio è ordinato alla procreazione e all’educazione dei figli, è in ragione di questa disposizione naturale del Creatore secondo la quale, nell’ordine della natura, e non certo in quello delle manipolazioni, l’unione dell’uomo e delle donna può essere feconda e avere per conseguenza la venuta all’esistenza di un nuovo essere umano. Nel matrimonio questa unione non è anonima, essa è l’espressione di un atto di amore tale che ha dato luogo da parte degli sposi a una donazione totale, esclusiva e definitiva. E’ proprio l’amore nella sua espressione più piena che è fecondo. Sul piano teologico, sappiamo che la Chiesa si riferisce al “principio” così come è rappresentato nel racconto simbolico della Genesi; la parola: Siate fecondi e moltiplicatevi (Gn.1,28) è una formula di benedizione rivolta all’uomo e alla donna. Per questo motivo, gli sposi sono spesso chiamati cooperatori dell’amore di Dio creatore e suoi interpreti . 
 
Infine resta da considerare ciò che significa, nell’insegnamento della Chiesa, la questione dell’apertura del matrimonio alla procreazione. Essa fonda questo aspetto sul carattere indissolubile dei due valori di unione e di procreazione nell’atto coniugale. Questo carattere di inseparabilità non è affermato nella prospettiva puramente materiale: nella natura della donna esistono dei momenti di infecondità; ma l’unione indissolubile della dimensione unitiva e della dimensione procreatrice definisce la natura stessa dell’atto coniugale, secondo il consilium Dei. I due aspetti non possono dunque essere deliberatamente dissociati da un atto di volontà formale degli sposi (atto contraccettivo, atto di fecondazione artificiale). L’unione indissolubile delle dimensioni unitive e procreatrice dell’atto coniugale caratterizza ciò che le Catechesi sull’amore umano chiamano la volontà ontologica dell’atto coniugale. Questo ragionamento non è certo facile da trasmettere a chi non è disposto a integrare nella propria visione dell’amore umano la presenza o almeno la traccia di una intenzione del Creatore. Restano possibili altri approcci più accessibili. Tra questi, quello che riconosce che l’apertura del matrimonio alla procreazione manifesta una saggezza profonda che si indovina se si considera con realismo il crollo demografico contemporaneo nei paesi occidentali. La decisione di non avere figli (al di fuori di motivi seri, la iustae causae di cui parlava, dopo Pio XII, Humanae vitae), sfocia in una disperazione interiore, e si basa di fatto sulla convinzione implicita che non si hanno valori da trasmettere, in definitiva, che non si considera la propria persona un valore tale da essere trasmesso. Colui che esclude quelsiasi posterità non crede in se stesso. Il crollo demografico in questo senso si basa su un vero pessimismo antropologico delle nostre società. 
 
Per quanto urgente essa consideri oggi il dovere di approfondire le dimensioni naturali del matrimonio, la Chiesa è tuttavia chiamata in primo luogo a esercitare una missione di natura specificamente teologica. Il carattere della sua missione è relativo alla salvezza dell’uomo nell’ordine spirituale e temporale sebbene questi due aspetti non si situino sullo stesso piano. E’ in questa prospettiva che il matrimonio è preso in considerazione. La necessità di costruire un mondo migliore nella verità e la giustizia (aspetto temporale) è una implicazione della missione affidata agli Apostoli di annunciare il Regno di Cristo e il mistero di Dio, così come di illuminare il mondo attraverso il messaggio evangelico. Se si vuol comprendere il posto che il sacramento del matrimonio è destinato ad occupare nella missione della Chiesa, è opportuno tenere presenti i tratti distintivi che caratterizzano quest’ultima. 
 
-         La missione della Chiesa ha originalmente le sue radici nella missione del Figlio e in quella dello Spirito, secondo il disegno del Padre (ad Gentes 2-5);  essa è anche una missione di natura divina, nella misura in cui nessuna missione di santificazione potrebbe essere compiuta al di fuori dell’azione di Dio Stesso che agisce nella Sua Chiesa; 
-         la missione della Chiesa così, non può che manifestare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutte la nazioni; la sua finalità è di trasmettere i beni divini che Dio le affida per gli uomini e attraverso l’amore per essi; 
-         essa è universale. Da notare che questa qualità di universalità non si fonda innanzitutto sul carattere della razionalità delle leggi della natura, ma sulla volontà di Dio che tutti gli uomini siano salvi, come dice l’Apostolo. 
-         infine questa missione si esercita sotto forma di sacramento, che è propriamente idoneo a significare e a trasmettere la salvezza. La capacità di ogni sacramento di essere segno efficace dell’amore di Dio per gli uomini si fonda sul cambiamento operato nella natura stessa dell’uomo dal sigillo del battesimo. 
 
A questo titolo il sacramento del matrimonio attualizza alla maniera di tutti gli altri sacramenti questa immersione battesimale nella vita, la Passione, la morte e la Resurrezione di Cristo; esso possiede tutta la ricchezza e tutta la fecondità di grazie di un sacramento di salvezza. 
Pertanto, il suo ruolo nella missione della Chiesa non può essere assimilato in modo astratto a una sorgente qualunque di effusione di grazie per coloro che sono sacramentalmente uniti dal legame del matrimonio. Esiste una funzione particolare del matrimonio a partire dalla quale diventa possibile vedere la sua  missione specifica: esprimere in modo singolare il mistero nuziale di Cristo Sposo della Chiesa.  E’ nella natura della comunione di vita e di amore tra l’uomo e la donna significare e rendere attuale l’unione tra Cristo e la Chiesa. In che modo bisogna intenderlo? Per coglierlo è necessario risalire alla fonte per vedere cosa significa questa unione primaria tra Cristo e la Chiesa. Si definisce prima di tutto, anch’essa, come una comunione di vita e d’amore; trattandosi in questo caso di beni divini trasmessi da Cristo, è una comunicazione di beni eterni: comunicazione della vita eterna e comunicazione dell’amore eterno. La vita e l’amore comunicati, in ragione della loro origine e della loro natura divine, suggellano una unione necessariamente definitiva, ed è ciò che implica l’espressione unione eterna: definitiva e dunque indissolubile. 
 
Questo carattere dell’unione tra Cristo e la Chiesa può essere illustrato in due modi: da una parte è l’atto attraverso il quale Dio stesso fa alleanza con l’umanità, e una tale alleanza possiede lo stesso carattere di fedeltà di colui che la inaugura; dall’altra parte l’unione di Cristo con la Chiesa si dona affinché possiamo contemplare l’umanità concreta della Persona di Gesù Cristo, il dono effettivo della sua vita sulla Croce. Abbiamo qui tutta la storia della salvezza divina, espressa secondo una duplice sequenza: il dono che Cristo fa di se stesso all’umanità che ha unito a sé (incarnazione), e il dono della sua vita, sanzionato dall’effusione del sangue e dell’acqua sulla Croce, che costituisce nello Spirito Santo quella stessa umanità come suo Corpo. Spesso si è paragonata la nascita della Chiesa dal costato di Cristo alla nascita di Eva dal costato di Adamo (la nuova Eva nasce dal costato del nuovo Adamo). Si capisce ora che il legame tra i due avvenimenti non è soltanto simbolico. L’uno e l’altro sono due misteri d’amore di trasmissione della vita. Il sacrificio diventa vittoria definitiva sulla morte, e così vittoria su tutte le infedeltà del peccato.
 
Il Figlio di Dio, nella natura umana che Egli ha unito a sé, ha riscattato l’uomo e, trionfando della morte attraverso la sua morte e la sua resurrezione, l’ha trasformato in una creatura nuova. Infatti comunicando il suo Spirito ai suoi fratelli che egli raduna da tutte le nazioni, ha fatto misticamente di essi il suo Corpo (Lumen Gentium). Non c’è dunque soltanto un argomento di convenienza nella fedeltà di Cristo alla sua Chiesa (l’alleanza è fedele perché viene da Dio). c’è una fedeltà divina, certo, ma realizzata effettivamente nella natura umana. Il dono che Gesù ha fatto della sua vita sul Calvario è irrevocabile, l’alleanza è irrevocabile, indissolubile e indistruttibile. Occorre tuttavia aggiungere che la natura umana è stata resa capace di una tale unione irrevocabile, indissolubile e indistruttibile. 
 
Che il Cristo sia fedele alla Sua alleanza non è un’affermazione sorprendente; ci si potrebbe domandare invece che cosa, nella sua unione a Cristo, fonda la fedeltà della Chiesa. Apparentemente, infatti, dove si trova una garanzia che il secondo termine dell’Alleanza non fallisca? Mi sembra che non si debba cercarla al di fuori di Cristo stesso. La Chiesa è fedele perché è stata costituita in Cristo e gli è, cosi, organicamente, sostanzialmente unita. Essa vive di conseguenza della Sua vita. La sua fedeltà è un dono che lo Spirito le fa continuamente, conformemente alla promessa che Gesù fece a Pietro. Non bisogna temere di affermare che la fedeltà della Chiesa non è minore di quella di Cristo, poiché essa è in effetti la medesima fedeltà, quella che Cristo manifesta costantemente nella sua Alleanza. 
 
E’ notevole che l’insieme degli autori sacri e della Tradizione hanno sempre descritto l’unione tra Dio e la Chiesa in termini ispirati al mistero dell’amore nuziale. La visione della Chiesa celeste che Giovanni descrive nell’Apocalisse si riferisce all’immagine della sposa (qui, sposa dell’Agnello immacolato, Ap 19,7). Nel quadro di una istruzione coniugale, Paolo non teme di riferirsi al modello di Cristo che circonda di cure la Chiesa: nessuno ha mai odiato il proprio corpo,; lo si nutre al contrario e ci si prende cura di lui. E’ proprio ciò che Cristo ha fatto per la Chiesa: non siamo forse membra del suo Corpo? (Ef 5,29-30). L’attesa che la Chiesa ha di essere unita a Cristo si nutre della speranza di partecipare alla sua gloria eterna, di modo che la sua condizione in questo mondo è quella dell’esilio: Finché essa cammina su questa terra, lontano dal Signore, la Chiesa si considera come in esilio, per cui è alla ricerca di cose dall’alto di cui conserva il gusto, volta là dove il Cristo si trova, assiso alla destra di Dio, là dove la vita della Chiesa è nascosta con Cristo in Dio, in attesa dell’ora in cui, con il suo Sposo, apparirà nella gloria (Col 3,1-4). L’unione definitiva (cioè l’unione che si sviluppa nell’eternità) appare così come la celebrazione delle nozze eterne di Cristo con la Sua Sposa. 
 
La Chiesa è fin d’ora veramente unita al suo Sposo. Un altro modo per dirlo è sottolineare che,  resa feconda dal dono del Suo Spirito, essa è ormai per il mondo il luogo in cui Cristo dimora e in cui si dà a incontrare e amare. 
Ciò che abbiamo detto documenta sulla vera sacramentalità del matrimonio, la cui origine è così da ritrovarsi indissociabilmente in Cristo e nella Chiesa, anche se, certo, è la sacramentalità di Cristo che è primaria. Il matrimonio che la Chiesa ha l’incarico si amministrare è un atto di Cristo. L’insieme delle norme essenziali che condizionano la sua validità sono la testimonianza fedele dell’amore di Cristo che, per riprendere i termini del Concilio Vaticano II, viene incontro agli sposi cristiani col sacramento del matrimonio (e) continua a  rimanere con loro affinché gli sposi, attraverso il vicendevole dono, possano amarsi in una fedeltà perpetua, come Lui stesso ha amato la Chiesa e si è offerto per essa. La Chiesa con il suo rispetto della natura dell’unione dell’uomo e della donna, unione che essa rende possibile per l’autorità ricevuta dal suo Signore, e gli sposi per mezzo della loro fedeltà compiono la missione profetica della testimonianza resa alla fedeltà redentrice di Cristo. 
 
Dire che gli sposi hanno la stessa missione profetica è già un risultato importante, poiché questo ci preserva dal concepire una spiritualità coniugale al di fuori del suo contesto vitale, la Chiesa. Gli autori parlano del simbolismo nuziale inscritto nel matrimonio e lo qualificano talvolta come simbolismo forte, che assume il ruolo di modello che ispira gli altri stati di vita, come per esempio la vita consacrata. Quest’ultima, fanno notare,  si ispira perfino nel rito della celebrazione delle vergini consacrate, al simbolismo nuziale (per esempio il rito della velatio). 
 
Tuttavia mi sembra che il nostro discorso resterebbe incompleto, se omettessimo di collegare il sacramento del matrimonio alla sua sorgente sacramentale, in altri termini all’eucaristia. L’eucaristia è il luogo in cui si rende più manifesta la natura sacramentale della Chiesa. Essa non è soltanto la memoria, ma l’attualizzazione del dono che il Cristo-Sposo fa della sua vita alla Chiesa Sua Sposa. La Chiesa è costantemente generata dal dono di Cristo, poiché l’umanità in favore della quale è fatta questa offerta eucaristica, si trasforma in Chiesa, diventa il Corpo di Cristo. Si può dire che l’eucaristia è veramente il luogo in cui Cristo e l’umanità diventano una sola carne: Il costato aperto di Cristo, con l’effusione del sangue e dell’acqua segna simultaneamente l’atto di nascita della Sposa di una bellezza simile a quella dello Sposo e il patto di alleanza nuziale attraverso il quale il Corpo e il Sangue dello Sposo sono affidati alla Sposa-Chiesa, al punto che diventano una sola carne (una caro), cioè un solo Corpo Mistico. 
L’amore divino che presiede l’eucaristia è anche un amore nuziale, poiché è dono dello Sposo alla Sposa e accoglienza dello Sposo da parte della Sposa nella fede. 
 
La forza dell’avvenimento eucaristico è tale che impegna tutta la realtà corporale dei due termini della relazione: è veramente il Suo Corpo quello che Cristo offre ed è anche corporalmente (e non soltanto spiritualmente) che la Chiesa si unisce a Lui. A una tale struttura di natura nuziale corrisponde analogicamente la struttura nuziale della comunione coniugale che gli sposi realizzano attraverso il profetismo del corpo. Diventa chiaro che l’eucaristia, introducendo il cristiano nella comunione trinitaria, lo fa partecipare all’amore nuziale di Cristo per la Chiesa e lo rende così capace di vivere nel dono di sé e nell’accoglienza dell’altro la sua vocazione all’amore, amore il cui carattere nuziale è originariamente inscritto nella sua natura corporea (uomo e donna li creò). 
 
Il dono di Dio agli sposi e la risposta degli sposi a Dio indicano ciò che il teologo Balthasar chiamava una relazione asimmetrica. E’ nello Spirito Santo che Dio si dà nella Persona di Cristo, e  non c’è possibilità per gli sposi di rispondere in altro modo che con un atto di fede, cioè di accogliere questo dono nello Spirito Santo. Si capisce in questo modo l’importanza che la fede sia presente perché il sacramento del matrimonio operi e diventi anche un vero avvenimento dell’incontro di Cristo. Si comprende così che il rischio oggi cresciuto di conferire il sacramento del matrimonio a dei fidanzati che non si trovano nelle disposizioni di fede sufficienti per riceverlo con profitto, sarà per la Chiesa una sfida importante da rilevare in futuro. Numerose chiese ne hanno preso coscienza recentemente, come testimoniano i testi pubblicati da diversi episcopati nel corso dell’anno 2001.
 
Tutti coloro che si sono fino ad ora interessati seriamente di promuovere una autentica spiritualità coniugale sono stati attenti a studiare la missione dello Spirito Santo nella coppia e nella famiglia. Fu il caso di Padre Henri Caffarel che applicava al focolare cristiano la triplice divisione applicata classicamente alla funzione dello Spirito Santo: principio di vita, principio di unità, e principio di crescita. 
 
§  Principio di vita: lo Spirito Santo, introducendoli nella vita filiale di Cristo, rinnova nel cuore degli sposi la sorgente della carità: questa carità si insinua nel cuore dei membri del focolare e trasforma, divinizza tutti gli amori famigliari: l’amore coniugale, l’amore dei genitori, l’amore filiale, l’amore fraterno. 
§  Principio di unità: Lo Spirito Santo costruisce invisibilmente l’unità visibile della famiglia. E’ a questo proposito che il nostro autore scrisse questa frase affascinante: Una coppia unita è un capolavoro dello Spirito Santo. 
§  Principio di crescita infine, concepita come un’opera ecclesiale e spirituale in seno alla famiglia: E’ attraverso il dono che Egli fa dello Spirito Santo alla Chiesa che Cristo rende feconda la Sua Sposa. Allo stesso modo, nella famiglia, la Spirito d’amore sarà principio di crescita e dunque di crescita della Chiesa nella famiglia: poiché la famiglia è il luogo in cui cresce la Chiesa. 
 
Nella logica di questa azione feconda, gli sposi non soltanto esprimono simbolicamente il senso eucaristico del mistero d’amore che li unisce, ma diventano essi stessi, in certo modo, una realtà eucaristica. Il nostro autore, su questo punto, si esprime così: Se Cristo rinnova quest’atto (=la sua offerta sul Calvario)nella messa, se vi convoca per parteciparvi, è perché vuole che il suo sacrificio penetri fino nelle profondità carnali e spirituali del vostro focolare, al fine di creare anche in voi uno stato d’animo permanente di offerta al Padre. Diciamo meglio: è affinché voi gli permettiate di rivivere nel vostro focolare il suo sacrificio. Così, vedete, il sacrificio di Cristo non deve restare per voi esteriore ma deve diventare per voi interiore; l’offerta che ne fate non deve essere un atto transitorio, ma una disposizione abituale, una vita. 
 
Al termine di questa riflessione, appare chiaro che gli sposi sono i mediatori di un amore che li oltrepassa e che eleva il loro proprio amore alle dimensioni del mistero della carità divina. Sembra utile ricordare che questa carità divina è un amore redentore, un amore che salva, che vince il peccato e la morte. Di fronte alle tentazioni di divisione e ai rischi di fallimento della cellula familiare ai quali assistiamo oggi, gli sposi cristiani diventano i testimoni talvolta eroici della realtà della salvezza dell’amore. L’amore che essi hanno ricevuto per grazia li ha ristabiliti, per grazia,  nell’alleanza e li ha spesso riconciliati. Cristo ha continuato a rimanere presso di loro. La loro testimonianza ha le sue radici nel perdono ricevuto e trasmesso che è l’altro nome della fedeltà coniugale. 
 
L’attesa dell’umanità che evocavamo all’inizio è un’attesa, spesso poco cosciente, che sia veramente salvato l’amore umano e da ciò deriva spesso un’immagine snaturata. Il matrimonio cristiano non è soltanto l’oggetto dell’evangelizzazione, deve divenirne anche il soggetto. La Chiesa si basa su questa speranza vedendo nella cellula familiare la base della nuova evangelizzazione e esortando - per riprendere le parole che Giovanni Paolo II - alla promozione di una cultura della famiglia. 
 
Ogni famiglia scopre e trova in se stessa la chiamata irrevocabile che definisce allo stesso tempo la sua dignità e la sua responsabilità: famiglia, “diventa” ciò che sei!  
 
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Il presente Dizionario offre le sue “definizioni” attingendole testualmente a due Documenti pontifici: l’eortazione postolica post sinodale Familiaris  Consortio, e la Lettera alle famiglie di Giovanni Paolo II.
Familiaris consortio è – come detto – l’esortazione apostolica pubblicata dal Papa Giovanni Paolo II in seguito alla celebrazione del Sinodo dei Vescovi, celebratosi a Roma dal 26 settembre al 25 ottobre 1980.
I Padri Sinodali, concludendo la loro assemblea, hanno presentato al Papa un ampio elenco di proposte, in cui avevano raccolto i frutti delle riflessioni sviluppate nel corso delle loro intense giornate di lavoro, e hanno chiesto con voto unanime che il Successore di Pietro si facesse interprete davanti all'umanità della viva sollecitudine della Chiesa per la famiglia, e di dare le indicazioni opportune per un rinnovato impegno pastorale in questo fondamentale settore della vita umana ed ecclesiale.
La celebrazione dell'Anno della Famiglia ha offerto al Papa la gradita occasione di bussare alla porta delle famiglie attraverso la Lettera alle Famiglie (2 febbraio 1994), desideroso di intrattenersi con tutte loro. Con la Lettera alle Famiglie il Papa assicura quanto vivo e profondo sia il desiderio della Chiesa di prendere parte alle gioie e alle speranze, alle tristezze ed alle angosce del cammino quotidiano degli uomini, profondamente persuasa che è stato Cristo stesso ad introdurla in tutti questi sentieri: è Lui che ha affidato l'uomo alla Chiesa; l'ha affidato come « via » della sua missione e del suo ministero.
 
Roma
Solennità della Pentecoste
2005
Tommaso Stenico
 
 

 

A
 
Alleanza coniugale
La famiglia è stata sempre considerata come la prima e fondamentale espressione della natura sociale dell'uomo. Nel suo nucleo essenziale questa visione non è mutata neppure oggi. Ai nostri giorni, però, si preferisce mettere in rilievo quanto nella famiglia, che costituisce la più piccola e primordiale comunità umana, viene dall'apporto personale dell'uomo e della donna. La famiglia è infatti una comunità di persone, per le quali il modo proprio di esistere e di vivere insieme è la comunione: communio personarum. Anche qui, fatta salva l'assoluta trascendenza del Creatore rispetto alla creatura, emerge il riferimento esemplare al “Noi” divino. Solo le persone sono capaci di esistere “in comunione”. La famiglia prende inizio dalla comunione coniugale, che il Concilio Vaticano II qualifica come “alleanza” nella quale l'uomo e la donna “mutuamente si danno e si ricevono”.
Il Libro della Genesi ci apre a questa verità quando afferma, riferendosi alla costituzione della famiglia mediante il matrimonio: “L'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne” (Gn 2,24). Nel Vangelo Cristo, in polemica con i farisei, riporta le stesse parole ed aggiunge: “Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi” (Mt 19,6). Egli rivela nuovamente il contenuto normativo di un fatto che esiste “dal principio” (Mt 19,8) e che conserva sempre in sé tale contenuto. Se il Maestro lo conferma “ora”, lo fa per rendere chiaro ed inequivocabile, alla soglia della Nuova Alleanza, il carattere indissolubile del matrimonio, quale fondamento del bene comune della famiglia.
Lettera alle Famiglie 7
 
Amore esigente
Quell'amore a cui l'apostolo Paolo ha dedicato un inno nella Prima Lettera ai Corinzi — quell'amore che è “paziente”, è “benigno” e “tutto sopporta” (1 Cor 13,4.7) — è certamente un amore esigente. Ma proprio in questo sta la sua bellezza: nel fatto di essere esigente, perché in questo modo costituisce il vero bene dell'uomo e lo irradia anche sugli altri. Il bene infatti, dice san Tommaso, è per sua natura “diffusivo”. L'amore è vero quando crea il bene delle persone e delle comunità, lo crea e lo dona agli altri. Soltanto chi, nel nome dell'amore, sa essere esigente con se stesso, può anche esigere l'amore dagli altri. Perché l'amore è esigente. Lo è in ogni situazione umana; lo è ancor più per chi si apre al Vangelo. Non è questo che Cristo proclama nel “suo” comandamento? Bisogna che gli uomini di oggi scoprano questo amore esigente, perché in esso sta il fondamento veramente saldo della famiglia, un fondamento che è capace di “tutto sopportare”. Secondo l'Apostolo, l'amore non è in grado di “sopportare tutto”, se cede alle “invi- die”, se “si vanta”, se “si gonfia”, se “manca di rispetto” (cfr 1 Cor 13,5-6). Il vero amore, insegna san Paolo, è diverso: “tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,7). Proprio questo amore “tutto sopporterà”. Agisce in esso la potente forza di Dio stesso, che “è amore” (1 Gv 4,8.16). Vi agisce la potente forza di Cristo, Redentore dell'uomo e Salvatore del mondo.
Meditando il capitolo 13 della Prima Lettera di Paolo ai Corinzi, ci incamminiamo sulla via che in modo più immediato ed incisivo ci fa comprendere la verità piena circa la civiltà dell'amore. Nessun altro testo biblico esprime tale verità in modo più semplice e profondo dell'inno alla carità.
Lettera alle Famiglie 14
 
Amore: principio e forza della comunione
La famiglia fondata e vivificata dall'amore, è una comunità di persone: dell'uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. Suo primo compito è di vivere fedelmente la realtà della comunione nell'impegno costante di sviluppare un'autentica comunità di persone. Il principio interiore, la forza permanente e la meta ultima di tale compito è l'amore: come, senza l'amore, la famiglia non è una comunità di persone, così senza l'amore, la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone. Quanto ho scritto nell'enciclica «Redemptor Hominis» trova la sua originaria e privilegiata applicazione proprio nella famiglia come tale: «L'uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non si incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (num. 10).
L'amore tra l'uomo e la donna nel matrimonio e, in forma derivata ed allargata, l'amore tra i membri della stessa famiglia - tra genitori e figli tra fratelli e sorelle, tra parenti e familiari - è animato e sospinto da un interiore e incessante dinamismo, che conduce la famiglia ad una comunione sempre più profonda ed intensa, fondamento e anima della comunità coniugale e familiare.
& Familiaris Consortio, 18
 
Anziani in famiglia
Ci sono culture che manifestano una singolare venerazione ed un grande amore per l'anziano: lungi dall'essere estromesso dalla famiglia o dall'essere sopportato come un peso inutile, l'anziano ridervi parte attiva e responsabile - pur dovendo rispettare l'autonomia della nuova famiglia - e soprattutto svolge la preziosa missione di testimone del passato e di ispiratore di saggezza per i giovani e per l'avvenire.
Altre culture, invece, specialmente in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione, che sono fonte ad un tempo di acute sofferenze per loro stessi e di impoverimento spirituale per tante famiglie.
E' necessario che l'azione pastorale della Chiesa stimoli tutti a scoprire e a valorizzare i compiti degli anziani nella comunità civile ed ecclesiale, e in particolare nella famiglia. In realtà, «la vita degli anziani ci aiuta a far luce sulla scala dei valori umani; fa vedere la continuità delle generazioni e meravigliosamente dimostra l'interdipendenza del Popolo di Dio. Gli anziani inoltre hanno il carisma di oltrepassare le barriere fra le generazioni, prima che queste insorgano. Quanti bambini hanno trovato comprensione e amore negli occhi, nelle parole e nelle carezze degli anziani! E quante persone anziane hanno volentieri sottoscritto le ispirate parole bibliche che «corona dei vecchi sono i figli dei figli» (Pr 17,6) (Giovanni Paolo PP. II Discorso ai partecipanti all'«International Forum on Active Aging» 5 [5 Settembre 1980]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 539).
& Familiaris Consortio, 27
 
Ascesi e vita coniugale
Paolo VI, con profondo intuito di sapienza e di amore, altro non ha fatto che dare voce all'esperienza di tante coppie di sposi quando ha scritto nella sua enciclica: «il dominio dell'istinto mediante la ragione e la libera volontà, impone indubbiamente una ascesi, affinché le manifestazioni affettive della vita coniugale siano secondo il retto ordine e in particolare per l'osservanza della continenza periodica. Ma questa disciplina, propria della purezza degli sposi, ben lungi dal nuocere all'amore coniugale, gli conferisce invece un più alto valore umano. Esige un continuo sforzo, ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la loro personalità arricchendosi di valori spirituali: essa apporta alla vita familiare frutti di serenità e di pace e agevola la soluzione di altri problemi; favorisce l'attenzione verso l'altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l'egoismo, nemico del vero amore, ed approfondisce il loro senso di responsabilità nel compimento dei loro doveri. I genitori acquistano con essa la capacità di un influsso più profondo ed efficace per l'educazione dei figli» («Humanae Vitae», 21).
& Familiaris Consortio, 33,3
 
Attività lavorativa delle donne
Parlando del lavoro in riferimento alla famiglia, è giusto sottolineare l'importanza ed il peso dell'attività lavorativa delle donne all'interno del nucleo familiare: essa deve essere riconosciuta e valorizzata fino in fondo. La “fatica” della donna, che, dopo aver dato alla luce un figlio, lo nutre, lo cura e si occupa della sua educazione, specialmente nei primi anni, è così grande da non temere il confronto con nessun lavoro professionale. Ciò va chiaramente affermato, non meno di come va rivendicato ogni altro diritto connesso col lavoro. La maternità, con tutto quello che essa comporta di fatica, deve ottenere un riconoscimento anche economico almeno pari a quello degli altri lavori, affrontati per mantenere la famiglia in una fase così delicata della sua esistenza.
Lettera alle Famiglie 17,5
 
 
B
 
 
Bell’amore e bellezza dell’amore
Quando parliamo del “bell'amore”, parliamo per ciò stesso della bellezza: bellezza dell'amore e bellezza dell'essere umano che, in virtù dello Spirito Santo, è capace di tale amore. Parliamo della bellezza dell'uomo e della donna: della loro bellezza come fratelli o sorelle, come fidanzati, come coniugi. Il Vangelo chiarisce non soltanto il mistero del “bell'amore”, ma anche quello non meno profondo della bellezza, che è da Dio come l'amore. Sono da Dio l'uomo e la donna, persone chiamate a diventare un dono reciproco. Dal dono originario dello Spirito “che dà la vita” scaturisce il dono vicendevole di essere marito o moglie, non meno del dono di essere fratello o sorella.
Tutto questo trova conferma nel mistero della Incarnazione, divenuto, nella storia degli uomini fonte di una bellezza nuova che ha ispirato innumerevoli capolavori artistici. Dopo il severo divieto di raffigurare il Dio invisibile con delle immagini (cfr Dt 4,15-20), l'epoca cristiana ha, al contrario, offerto la rappresentazione artistica del Dio fatto uomo, di Maria sua Madre e di Giuseppe, dei Santi dell'Antica e Nuova Alleanza, e in genere dell'intera creazione redenta da Cristo, inaugurando in tal modo un nuovo rapporto col mondo della cultura e dell'arte. Si può dire che il nuovo canone dell'arte, attento alla dimensione profonda dell'uomo e al suo futuro, prende inizio dal mistero dell'Incarnazione di Cristo, ispirandosi ai misteri della sua vita: la nascita a Betlemme, il nascondimento a Nazaret, il ministero pubblico, il Golgota, la risurrezione, il ritorno finale nella gloria.
Lettera alle Famiglie 20,3
 
Bell’amore e coppia umana
Si può dire anche che la storia del “bell'amore” è iniziata, in un certo senso, con la prima coppia umana, con Adamo ed Eva. La tentazione a cui essi cedettero ed il conseguente peccato originale non li privò completamente della capacità del “bell'amore”. Lo si comprende leggendo, ad esempio nel Libro di Tobia, che gli sposi Tobia e Sara, nel definire il senso della loro unione, si richiamano ai progenitori Adamo ed Eva (cfr Tb 8,6). Nella Nuova Alleanza, lo testimonia anche san Paolo parlando di Cristo come nuovo Adamo (cfr 1 Cor 15,45): Cristo non viene a condannare il primo Adamo e la prima Eva, ma a redimerli; viene a rinnovare ciò che nell'uomo è dono di Dio, quanto in lui è eternamente buono e bello e che costituisce il substrato del bell'amore. La storia del “bell'amore” è, in certo senso, la storia della salvezza dell'uomo. Il “bell'amore” prende sempre inizio dalla autorivelazione della persona. Nella creazione Eva si rivela ad Adamo, come Adamo si rivela ad Eva. Nel corso della storia le nuove coppie umane si dicono reciprocamente: “Cammineremo insieme nella vita”. Così ha inizio la famiglia come unione dei due e, in forza del Sacramento, come nuova comunità in Cristo. L'amore, perché sia realmente bello, deve essere dono di Dio, innestato dallo Spirito Santo nei cuori umani ed in essi continuamente alimentato (cfrRm 5,5). Ben consapevole di ciò, la Chiesa nel sacramento del matrimonio domanda allo Spirito Santo di visitare i cuori umani. Perché sia veramente il “bell'amore”, dono cioè della persona alla persona, deve provenire da Colui che è Dono Egli stesso e fonte di ogni dono.
Lettera alle Famiglie 20,2
 
Bene comune del matrimonio e della famiglia
Il consenso matrimoniale definisce e rende stabile il bene che è comune al matrimonio e alla famiglia. “Prendo te... come mia sposa — come mio sposo — e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita”. Il matrimonio è una singolare comunione di persone. Sulla base di tale comunione, la famiglia è chiamata a diventare comunità di persone. È un impegno che i novelli sposi assumono “davanti a Dio e alla Chiesa”, come ricorda loro il celebrante al momento dello scambio dei consensi. Di tale impegno sono testimoni quanti partecipano al rito; in essi sono rappresentate in un certo senso la Chiesa e la società, ambiti vitali della nuova famiglia.
Le parole del consenso matrimoniale definiscono ciò che costituisce il bene comune della coppia e della famiglia. Anzitutto, il bene comune dei coniugi: l'amore, la fedeltà, l'onore, la durata della loro unione fino alla morte: “per tutti i giorni della vita”. Il bene di entrambi, che è al tempo stesso il bene di ciascuno, deve diventare poi il bene dei figli. Il bene comune, per sua natura, mentre unisce le singole persone, assicura il vero bene di ciascuna. Se la Chiesa, come del resto lo Stato, riceve il consenso dei coniugi espresso attraverso le parole sopra riferite, lo fa perché esso è “scritto nei loro cuori” (Rm 2,15). Sono i coniugi a darsi reciprocamente il consenso matrimoniale, giurando, confermando cioè davanti a Dio, la verità del loro consenso. In quanto battezzati, essi sono, nella Chiesa, i ministri del sacramento del matrimonio. San Paolo insegna che questo loro reciproco impegno è un “grande mistero” (Ef 5,32).
Lettera alle Famiglie 10
 
Bene dei figli nel matrimonio
Le parole del consenso esprimono, dunque, ciò che costituisce il bene comune dei coniugi e indicano ciò che deve essere il bene comune della futura famiglia. Per metterlo in evidenza la Chiesa domanda loro se sono disposti ad accogliere e ad educare cristianamente i figli che Dio vorrà loro donare. La domanda si riferisce al bene comune del futuro nucleo familiare, tenendo presente la genealogia delle persone inscritta nella costituzione stessa del matrimonio e della famiglia. La domanda circa i figli e la loro educazione è strettamente collegata col consenso coniugale, col giuramento d'amore, di rispetto coniugale, di fedeltà fino alla morte. L'accoglienza e l'educazione dei figli — due tra gli scopi principali della famiglia — sono condizionate dall'adempimento di tale impegno. La paternità e la maternità rappresentano un compito di natura non semplicemente fisica, ma spirituale; attraverso di esse, infatti, passa la genealogia della persona, che ha il suo eterno inizio in Dio e che a Lui deve condurre….
Mediante la genealogia delle persone, la comunione coniugale diventa comunione delle generazioni. L'unione sacramentale dei due, sigillata nel patto stipulato davanti a Dio, perdura e si consolida nel succedersi delle generazioni. Essa deve diventare unità di preghiera. Ma perché questo possa trasparire in modo significativo nell'Anno della Famiglia, è necessario che il pregare diventi abitudine radicata nella vita quotidiana di ogni famiglia.
Lettera alle Famiglie 10,2
 
Bene del matrimonio e della famiglia 
La Chiesa, illuminata dalla fede, che le fa conoscere tutta la verità sul prezioso bene del matrimonio e della famiglia e sui loro significati più profondi, ancora una volta sente l'urgenza di annunciare il Vangelo, cioè la «buona novella» a tutti indistintamente, in particolare a tutti coloro che sono chiamati al matrimonio e vi si preparano, a tutti gli sposi e genitori del mondo. Essa è profondamente convinta che solo con l'accoglienza del Vangelo trova piena realizzazione ogni speranza, che l'uomo legittimamente pone nel matrimonio e nella famiglia.
Voluti da Dio con la stessa creazione (cfr. Gen 1-2), il matrimonio e la famiglia sono interiormente ordinati a compiersi in Cristo (cfr. Ef 5) ed hanno bisogno della sua grazia per essere guariti dalle ferite del peccato (cfr. «Gaudium et Spes», 47; «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 388s) e riportati al loro «principio» (cfr. Mt 19,4), cioè alla conoscenza piena e alla realizzazione integrale del disegno di Dio.
In un momento storico nel quale la famiglia è oggetto di numerose forze che cercano di distruggerla o comunque di deformarla, la Chiesa, consapevole che il bene della società e di se stessa è profondamente legato al bene della famiglia (cfr. «Gaudium et Spes», 47), sente in modo più vivo e stringente la sua missione di proclamare a tutti il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, assicurandone la piena vitalità e promozione umana e cristiana, e contribuendo così al rinnovamento della società e dello stesso Popolo di Dio.
& Familiaris Consortio, 3
 
Buona Novella sulla famiglia
Spetta ai cristiani il compito di annunciare con gioia e convinzione la «buona novella» sulla famiglia, la quale ha un assoluto bisogno di ascoltare sempre di nuovo e di comprendere sempre più a fondo le parole autentiche che le rivelano la sua identità, le sue risorse interiori, l'importanza della sua missione nella Città degli uomini e in quella di Dio. La Chiesa conosce la via sulla quale la famiglia può giungere al cuore della sua verità profonda. Questa via, che la Chiesa ha imparato alla scuola di Cristo e a quella della storia, interpretata nella luce dello Spirito, essa non la impone, ma sente in sé l'insopprimibile esigenza di proporla a tutti senza timore, anzi con grande fiducia e speranza, pur sapendo che la «buona novella» conosce il linguaggio della Croce. Ma è attraverso la Croce che la famiglia può giungere alla pienezza del suo essere e alla perfezione del suo amore. Desidero, infine, invitare tutti i cristiani a collaborare, cordialmente e coraggiosamente, con tutti gli uomini di buona volontà, che vivono la loro responsabilità al servizio della famiglia. Quanti si consacrano al suo bene in seno alla Chiesa, nel suo nome e da essa ispirati, siano essi individui o gruppi, movimenti o associazioni, trovano spesso al loro fianco persone e istituzioni diverse che operano per il medesimo ideale. Nella fedeltà ai valori del Vangelo e dell'uomo e nel rispetto di un legittimo pluralismo di iniziative, questa collaborazione potrà favorire una più rapida ed integrale promozione della famiglia.
& Familiaris Consortio, Conclusione,2
 
 
 
C
 
 
Carta dei diritti della famiglia
L'ideale di una reciproca azione di sostegno e di sviluppo tra la famiglia e la società si scontra spesso, e in termini assai gravi, con la realtà di una loro separazione, anzi di una loro contrapposizione.
In effetti, come ha continuamente denunciato il Sinodo, la situazione che tantissime famiglie di diversi Paesi incontrano è molto problematica, se non addirittura decisamente negativa: istituzioni e leggi misconoscono ingiustamente i diritti inviolabili della famiglia e della stessa persona umana, e la società, lungi dal porsi al servizio della famiglia, la aggredisce con violenza nei suoi valori e nelle sue esigenze fondamentali. E così la famiglia che, secondo il disegno di Dio, è cellula base della società, soggetto di diritti e doveri prima dello Stato e di qualunque altra comunità, si trova ad essere vittima della società, dei ritardi e delle lentezze dei suoi interventi e ancor più delle sue palesi ingiustizie. Per questo la Chiesa difende apertamente e fortemente i diritti della famiglia dalle intollerabili usurpazioni della società e dello Stato. In particolare, i Padri Sinodali hanno ricordato, tra gli altri, i seguenti diritti della famiglia:
·        di esistere e di progredire come famiglia, cioè il diritto di ogni uomo, specialmente anche se povero, a fondare una famiglia e ad avere i mezzi adeguati per sostenerla;
·        di esercitare la propria responsabilità nell'ambito della trasmissione della vita e di educare i figli;
·        dell'intimità della vita coniugale e familiare;
·        della stabilità del vincolo e dell'istituto matrimoniale;
·        di credere e di professare la propria fede, e di diffonderla;
·        di educare i figli secondo le proprie tradizioni e valori religiosi e culturali, con gli strumenti, i mezzi e le istituzioni necessarie;
·        di ottenere la sicurezza fisica, sociale, politica, economica, specialmente dei poveri e degli infermi;
·        il diritto all'abitazione adatta a condurre convenientemente la vita familiare;
·        di espressione e di rappresentanza davanti alle pubbliche autorità economiche, sociali e culturali e a quelle inferiori, sia direttamente sia attraverso associazioni
·        di creare associazioni con altre famiglie e istituzioni, per svolgere in modo adatto e sollecito il proprio compito;
·        di proteggere i minorenni mediante adeguate istituzioni e legislazioni da medicinali dannosi, dalla pornografia, dall'alcoolismo, ecc.;
·        di un onesto svago che favorisca anche i valori della famiglia;
·        il diritto degli anziani ad una vita degna e ad una morte dignitosa;
·        il diritto di emigrare come famiglie per cercare una vita migliore (Propositio 42).
La Santa Sede, accogliendo l'esplicita richiesta del Sinodo, avrà cura di approfondire tali suggerimenti, elaborando una «carta dei diritti della famiglia» da proporre agli ambienti e alle Autorità interessate.
& Familiaris Consortio, 46
 
Celebrazione del matrimonio ed evangelizzazione dei battezzati non credenti
Proprio perché nella celebrazione del sacramento una attenzione tutta speciale va riservata alle disposizioni morali e spirituali dei nubendi, in particolare alla loro fede, va qui affrontata una difficoltà non infrequente, nella quale possono trovarsi i pastori della Chiesa nel contesto della nostra società secolarizzata. La fede, infatti, di chi domanda alla Chiesa di sposarsi può esistere in gradi diversi ed è dovere primario dei pastori di farla riscoprire, di nutrirla e di renderla matura. Ma essi devono anche comprendere le ragioni che consigliano alla Chiesa di ammettere alla celebrazione anche chi è imperfettamente disposto. Il sacramento del matrimonio ha questo di specifico fra tutti gli altri: di essere il sacramento di una realtà che già esiste nell'economia della creazione, di essere lo stesso patto coniugale istituito dal Creatore «al principio». La decisione dunque dell'uomo e della donna di sposarsi secondo questo progetto divino, la decisione cioè di impegnare nel loro irrevocabile consenso coniugale tutta la loro vita in un amore indissolubile ed in una fedeltà incondizionata, implica realmente, anche se non in modo pienamente consapevole, un atteggiamento di profonda obbedienza alla volontà di Dio, che non può darsi senza la sua grazia. Essi sono già, pertanto, inseriti in un vero e proprio cammino di salvezza, che la celebrazione del sacramento e l'immediata preparazione alla medesima possono completare e portare a termine, data la rettitudine della loro intenzione.
& Familiaris Consortio, 68
 
Celebrazione sacramentale  del matrimonio
Il matrimonio cristiano richiede di norma una celebrazione liturgica, che esprima in forma sociale e comunitaria la natura essenzialmente ecclesiale e sacramentale del patto coniugale fra i battezzati. In quanto gesto sacramentale di santificazione, la celebrazione del matrimonio - inserita nella liturgia, culmine di tutta l'azione della Chiesa e fonte della sua forza santificatrice (cfr. «Sacrosantum Concilium» 10) - deve essere per sé valida, degna e fruttuosa. Si apre qui un vasto campo alla sollecitudine pastorale, affinché siano pienamente assolte le esigenze derivanti dalla natura del patto coniugale elevato a sacramento, e sia altresì fedelmente osservata la disciplina della Chiesa per quanto riguarda il libero consenso, gli impedimenti, la forma canonica e il rito stesso della celebrazione. Quest'ultimo dev'essere semplice e dignitoso, secondo le norme delle competenti autorità della Chiesa, alle quali spetta pure - secondo le concrete circostanze di tempo e di luogo e in conformità con le norme impartite dalla Sede Apostolica (cfr. «Ordo celebrandi Matrimonium», 17) - di assumere eventualmente nella celebrazione liturgica quegli elementi propri di ciascuna cultura, che meglio valgono ad esprimere il profondo significato umano e religioso del patto coniugale purché nulla contengano di meno confacente con la fede e la morale cristiana. In quanto segno, la celebrazione liturgica deve svolgersi in modo da costituire, anche nella sua realtà esteriore, una proclamazione della Parola di Dio e una professione di fede della comunità dei credenti. L'impegno pastorale si esprimerà qui con la cura intelligente e diligente della «liturgia della Parola» e con l'educazione alla fede dei partecipanti alla celebrazione e, in primo luogo, dei nubendi. In quanto gesto sacramentale della Chiesa, la celebrazione liturgica del matrimonio deve coinvolgere la comunità cristiana, con la partecipazione piena, attiva e responsabile di tutti i presenti, secondo il posto e il compito di ciascuno: gli sposi, il sacerdote, i testimoni, i parenti, gli amici, gli altri fedeli, tutti membri di un'assemblea che manifesta e vive il mistero di Cristo e della sua Chiesa.
Per la celebrazione del matrimonio cristiano nell'ambito delle culture o tradizioni ancestrali, si seguano i principi qui sopra enunziati.
& Familiaris Consortio, 67
 
 
Chiesa: amore e sollecitudine per tutte le famiglie
Le famiglie che realizzano nella comunione domestica la loro vocazione di vita umana e cristiana sono tante in ogni Nazione, diocesi e parrocchia! Si può ragionevolmente pensare che esse costituiscano «la regola», pur tenendo conto delle non poche “situazioni irregolari”. E l'esperienza dimostra quanto sia rilevante il ruolo di una famiglia coerente con la norma morale, perché l'uomo, che in essa nasce e si forma, intraprenda senza incertezze la strada del bene, inscritta pur sempre nel suo cuore. Alla disgregazione delle famiglie sembrano purtroppo puntare ai nostri giorni vari programmi sostenuti da mezzi molto potenti. A volte sembra proprio che si cerchi in ogni modo di presentare come “regolari” ed attraenti, conferendo loro esterne apparenze di fascino, situazioni che di fatto sono “irregolari”. Esse infatti contraddicono “la verità e l'amore” che devono ispirare e guidare il reciproco rapporto tra uomini e donne e, pertanto, sono causa di tensioni e divisioni nelle famiglie, con gravi conseguenze specialmente sui figli. Viene ottenebrata la coscienza morale, viene deformato ciò che è vero, buono e bello, e la libertà viene soppiantata da una vera e propria schiavitù. Di fronte a tutto questo, quanto attuali e stimolanti risuonano le parole dell'apostolo Paolo sulla libertà con cui Cristo ci ha liberati, e sulla schiavitù causata dal peccato (cfr Gal 5,1)!
Ci si rende conto pertanto di quanto sia opportuno e persino necessario nella Chiesa un Anno della Famiglia; di quanto sia indispensabile la testimonianza di tutte le famiglie che vivono ogni giorno la loro vocazione; di quanto sia urgente una grande preghiera delle famiglie, che cresca e attraversi il mondo intero, e nella quale si esprima il rendimento di grazie per l'amore nella verità, per l'“effusione della grazia dello Spirito Santo”, per la presenza di Cristo tra i genitori e i figli: Cristo Redentore e Sposo, che “ci ha amati fino alla fine” (cfr Gv 13,1). Siamo intimamente persuasi che questo amore è più grande di tutto (cfr 1 Cor 13,13) e crediamo che esso è capace di superare vittoriosamente tutto ciò che non è amore.
Lettera alle Famiglie 5
 
Chiesa domestica
I Padri della Chiesa, nel corso della tradizione cristiana, hanno parlato della famiglia come di “chiesa domestica”, di “piccola chiesa”. Si riferivano così alla civiltà dell'amore come ad un possibile sistema di vita e di convivenza umana. “Essere insieme” come famiglia, essere gli uni per gli altri, creare uno spazio comunitario per l'affermazione di ogni uomo come tale, per l'affermazione di “questo” uomo in concreto. A volte si tratta di persone con handicaps fisici o psichici, delle quali la società cosiddetta “progressista” preferisce liberarsi. Anche la famiglia può diventare simile ad una tale società. Lo diviene di fatto quando sbrigativamente si sbarazza di chi è anziano o affetto da malformazioni o colpito da malattie. Si agisce così perché vien meno la fede in quel Dio per il quale “tutti vivono” (Lc 20,38) e tutti sono chiamati alla pienezza della Vita.
Sì, la civiltà dell'amore è possibile, non è un'utopia. È possibile, però, soltanto grazie ad un costante e vivo riferimento a “Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale proviene ogni paternità 1 nel mondo” (cfr Ef 3,14-15), dal quale proviene ogni famiglia umana.
Lettera alle Famiglie 15,6
 
Chiesa e famiglia
 
La famiglia nei tempi odierni è stata, come e forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell'istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti.
Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell'umanità, la Chiesa vuole far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia, cerca di viverlo fedelmente a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare. Sostenendo i primi, illuminando i secondi ed aiutando gli altri, la Chiesa offre il suo servizio ad ogni uomo pensoso dei destini del matrimonio e della famiglia («Gaudium et Spes», 52).
In modo particolare essa si rivolge ai giovani, che stanno per iniziare il loro cammino verso il matrimonio e la famiglia, al fine di aprire loro nuovi orizzonti, aiutandoli a scoprire la bellezza e la grandezza della vocazione all'amore e al servizio della vita.
& Familiaris Consortio, 1
 
Chiesa e Stato per la famiglia
Lo Stato e la Chiesa hanno l'obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l'aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie. Pertanto, tutti coloro che nella società sono alla guida delle scuole non devono mai dimenticare che i genitori sono stati costituiti da Dio stesso come primi e principali educatori dei figli, e che il loro diritto è del tutto inalienabile. Ma complementare al diritto, si pone il grave dovere dei genitori di impegnarsi a fondo in un rapporto cordiale e fattivo con gli insegnanti ed i dirigenti delle scuole.
Se nelle scuole si insegnano ideologie contrarie alla fede cristiana, la famiglia insieme ad altre famiglie, possibilmente mediante forme associative familiari, deve con tutte le forze e con sapienza aiutare i giovani a non allontanarsi dalla fede. In questo caso la famiglia ha bisogno di aiuti speciali da parte dei pastori d'anime, i quali non dovranno dimenticare che i genitori hanno l'inviolabile diritto di affidare i loro figli alla comunità ecclesiale.
& Familiaris Consortio, 40,2
 
Chiesa e trasmissione della vita
La Chiesa è certamente consapevole anche dei molteplici e complessi problemi, che oggi in molti Paesi coinvolgono i coniugi nel loro compito di trasmettere responsabilmente la vita. Riconosce pure il grave problema dell'incremento demografico, come si configura in varie parti del mondo, con le implicazioni morali che esso comporta.
Essa ritiene, tuttavia, che una approfondita considerazione di tutti gli aspetti di tali problemi offra una nuova e più forte conferma dell'importanza della dottrina autentica circa la regolazione della natalità, riproposta nel Concilio Vaticano II e nell'enciclica «Humanae Vitae». Per questo, insieme con i Padri del Sinodo, sento il dovere di rivolgere un pressante invito ai teologi, affinché, unendo le loro forze per collaborare col Magistero gerarchico, si impegnino a porre sempre meglio in luce i fondamenti biblici, le motivazioni etiche e le ragioni personalistiche di questa dottrina. Sarà così possibile, nel contesto di un'esposizione organica, rendere la dottrina della Chiesa su questo importante capitolo veramente accessibile a tutti gli uomini di buona volontà, favorendone la comprensione ogni giorno più luminosa e profonda in tal modo il progetto divino potrà essere sempre più pienamente attuato per la salvezza dell'uomo e per la gloria del Creatore. A questo riguardo, il concorde impegno dei teologi, ispirato da convinta adesione al Magistero, che è l'unica guida autentica del Popolo di Dio, presenta particolare urgenza anche in ragione dell'intimo legame che esiste tra la dottrina cattolica su questo punto e la visione dell'uomo che la Chiesa propone: dubbi o errori nel campo matrimoniale o familiare comportano un grave oscurarsi della verità integrale sull'uomo in una situazione culturale già così spesso confusa e contraddittoria. Il contributo di illuminazione e di approfondimento, che i teologi sono chiamati ad offrire in adempimento del loro compito specifico, ha un valore incomparabile e rappresenta un servizio singolare, altamente meritorio, alla famiglia e all'umanità.
& Familiaris Consortio, 31
 
Chiesa e vita
La Chiesa fermamente crede che la vita umana, anche se debole e sofferente, è sempre uno splendido dono del Dio della bontà. Contro il pessimismo e l'egoismo, che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel «Sì», di quell'«Amen», che è Cristo stesso (cfr. 2Cor 1,19; Ap 3,14). Al «no» che invade ed affligge il mondo, contrappone questo vivente «Sì», difendendo in tal modo l'uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita.
La Chiesa è chiamata a manifestare nuovamente a tutti, con un più chiaro e fermo convincimento, la sua volontà di promuovere con ogni mezzo e di difendere contro ogni insidia la vita umana, in qualsiasi condizione e stadio di sviluppo si trovi.
Per questo la Chiesa condanna come grave offesa della dignità umana e della giustizia tutte quelle attività dei governi o di altre autorità pubbliche, che tentano di limitare in qualsiasi modo la libertà dei coniugi nel decidere dei figli. Di conseguenza qualsiasi violenza esercitata da tali autorità in favore della contraccezione e persino della sterilizzazione e dell'aborto procurato e del tutto da condannare e da respingere con forza. Allo stesso modo è da esecrare come gravemente ingiusto il fatto che nelle relazioni internazionali l'aiuto economico concesso per la promozione dei popoli venga condizionato a programmi di contraccezione, sterilizzazione e aborto procurato (cfr. Messaggio del VI Sinodo dei Vescovi alle Famiglie cristiane nel mondo contemporaneo, 5 [24 Ottobre 1980]).
& Familiaris Consortio, 30,2
 
Chiesa, pastorale e famiglia cristiana
Come ogni realtà vivente, anche la famiglia è chiamata a svilupparsi e a crescere. Dopo la preparazione del fidanzamento e la celebrazione sacramentale del matrimonio, la coppia inizia il cammino quotidiano verso la progressiva attuazione dei valori e dei doveri del matrimonio stesso. Alla luce della fede e in virtù della speranza, anche la famiglia cristiana partecipa, in comunione con la Chiesa, all'esperienza del pellegrinaggio terreno verso la piena rivelazione e realizzazione del Regno di Dio. Perciò è da sottolineare una volta di più l'urgenza dell'intervento pastorale della Chiesa a sostegno della famiglia. Bisogna fare ogni sforzo perché la pastorale della famiglia si affermi e si sviluppi, dedicandosi a un settore veramente prioritario, con la certezza che l'evangelizzazione, in futuro, dipende in gran parte dalla Chiesa domestica. La sollecitudine pastorale della Chiesa non si limiterà soltanto alle famiglie cristiane più vicine, ma, allargando i propri orizzonti sulla misura del Cuore di Cristo, si mostrerà ancor più viva per l'insieme delle famiglie in genere, e per quelle, in particolare, che si trovano in situazioni difficili o irregolari. Per tutte la Chiesa avrà una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza, di viva partecipazione alle loro difficoltà a volte drammatiche; a tutte offrirà il suo aiuto disinteressato affinché possano avvicinarsi al modello di famiglia, che il Creatore ha voluto fin dal «principio» e che Cristo ha rinnovato con la sua grazia redentrice. L'azione pastorale della Chiesa deve essere progressiva, anche nel senso che deve seguire la famiglia, accompagnandola passo a passo nelle diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo.
& Familiaris Consortio, 65
 
Civiltà dell’amore e gioia
La civiltà dell'amore richiama la gioia: gioia, tra l'altro, perché un uomo viene al mondo (cfr Gv 16,21) e, conseguentemente, perché i coniugi diventano genitori. Civiltà dell'amore significa “compiacersi della verità” (cfr 1 Cor 13,6). Ma una civiltà, ispirata ad una mentalità consumistica ed anti-natalista, non è e non può essere mai una civiltà dell'amore. Se la famiglia è così importante per la civiltà dell'amore, lo è per la particolare vicinanza ed intensità dei legami che in essa si instaurano tra le persone e le generazioni. Essa tuttavia resta vulnerabile e può facilmente subire i pericoli che indeboliscono o addirittura distruggono la sua unità e stabilità. Per effetto di tali pericoli le famiglie cessano di testimoniare a favore della civiltà dell'amore e possono perfino diventarne la negazione, una specie di contro-testimonianza. Una famiglia sfasciata può, a sua volta, rafforzare una specifica forma di “anti-civiltà”, distruggendo l'amore nei vari ambiti del suo esprimersi, con inevitabili ripercussioni sull'insieme della vita sociale.
Lettera alle Famiglie 13,5
 
Comandamento dell’amore e quarto comandamento
Il quarto comandamento è in stretta connessione col comandamento dell'amore. Tra “onora” ed “ama” il vincolo è profondo. L'onore, nel suo nucleo essenziale, è collegato con la virtù della giustizia, ma questa, a sua volta, non può esplicarsi pienamente senza far appello all'amore: per Dio e per il prossimo. E chi è più prossimo dei propri familiari, dei genitori e dei figli? È unilaterale il sistema interpersonale indicato dal quarto comandamento? Esso impegna ad onorare solo i genitori? In senso letterale, sì. Indirettamente, però, possiamo parlare anche dell'“onore” dovuto ai figli da parte dei genitori. “Onora” vuol dire: riconosci! Lasciati cioè guidare dal convinto riconoscimento della persona, di quella del padre e della madre prima di tutto, e poi di quella degli altri membri della famiglia. L'onore è un atteggiamento essenzialmente disinteressato. Si potrebbe dire che è “un dono sincero della persona alla persona”, ed in tal senso l'onore s'incontra con l'amore. Se il quarto comandamento esige di onorare il padre e la madre, lo esige anche in considerazione del bene della famiglia. Proprio per questo, però, esso pone delle esigenze agli stessi genitori. Genitori — sembra ricordare loro il precetto divino —, agite in modo che il vostro comportamento meriti l'onore (e l'amore) da parte dei vostri figli! Non lasciate cadere in un “vuoto morale” l'esigenza divina di onore per voi! In definitiva, si tratta dunque di un onore reciproco. Il comandamento “onora tuo padre e tua madre” dice indirettamente ai genitori: Onorate i vostri figli e le vostre figlie. Essi lo meritano perché esistono, perché sono quello che sono: ciò vale sin dal primo momento del concepimento. Così questo comandamento, esprimendo l'intimo legame della famiglia, mette in luce il fondamento della sua compattezza interiore.
Il comandamento continua: “perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio”. Questo “perché” potrebbe dare l'impressione di un calcolo “utilitaristico”: onorare in considerazione della futura longevità. Diciamo, intanto, che ciò non sminuisce l'essenziale significato dell'imperativo “onora”, per sua natura connesso con un atteggiamento disinteressato. Onorare non significa mai: “prevedi i vantaggi”. È difficile, tuttavia, non riconoscere che dall'atteggiamento di reciproco onore, esistente tra i membri della comunità familiare, deriva anche un vantaggio di varia natura. L'“onore” è certamente utile, come “utile” è ogni vero bene.
Lettera alle Famiglie 15,2
 
Compiti generali della famiglia cristiana
Ogni compito particolare della famiglia è l'espressione e l'attuazione concreta di tale missione fondamentale. E' necessario pertanto penetrare più a fondo nella singolare ricchezza della missione della famiglia e scandagliarne i molteplici ed unitari contenuti.
In tal senso, partendo dall'amore e in costante riferimento ad esso, sono quattro compiti generali della famiglia:
1) la formazione di una comunità di persone;
2) il servizio alla vita;
3) la partecipazione allo sviluppo della società;
4) la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.
& Familiaris Consortio 17,2
 
Compito politico della famiglia
Il compito sociale delle famiglie è chiamato ad esprimersi anche in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere «protagoniste» della cosiddetta «politica familiare» ed assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza. L'appello del Concilio Vaticano II a superare l'etica individualistica ha perciò valore anche per la famiglia come tale (cfr. «Gaudium et Spes», 30).
& Familiaris Consortio, 44,2
 
Compito sociale della famiglia
Il compito sociale della famiglia non può certo fermarsi all'opera procreativa ed educativa, anche se trova in essa la sua prima ed insostituibile forma di espressione. Le famiglie, sia singole che associate, possono e devono pertanto dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, e comunque di tutte quelle persone e situazioni che l'organizzazione previdenziale ed assistenziale delle pubbliche autorità non riesce a raggiungere.
Il contributo sociale della famiglia ha una sua originalità, che domanda di essere meglio conosciuta e più decisamente favorita, soprattutto man mano che i figli crescono, coinvolgendo di fatto il più possibile tutti i membri (cfr. «Apostolicam Actuositatem», 11).
In particolare è da rilevare l'importanza sempre più grande che nella nostra società assume l'ospitalità, in tutte le sue forme, dall'aprire la porta della propria casa e ancor più del proprio cuore alle richieste dei fratelli, all'impegno concreto di assicurare ad ogni famiglia la sua casa, come ambiente naturale che la conserva e la fa crescere. Soprattutto la famiglia cristiana è chiamata ad ascoltare la raccomandazione dell'apostolo: «Siate... premurosi nell'ospitalità» (Rm 12,13), e quindi ad attuare, imitando l'esempio e condividendo la carità di Cristo, l'accoglienza del fratello bisognoso: «Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42).
& Familiaris Consortio, 44
 
Comunione indissolubile
20. La comunione coniugale si caratterizza non solo per la sua unità, ma anche per la sua indissolubilità: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità» («Gaudium et Spes», 48). E' dovere fondamentale della Chiesa riaffermare con forza - come hanno fatto i Padri del Sinodo - la dottrina dell'indissolubilità del matrimonio: a quanti, ai nostri giorni, ritengono difficile o addirittura impossibile legarsi ad una persona per tutta la vita e a quanti sono travolti da una cultura che rifiuta l'indissolubilità matrimoniale e che deride apertamente l'impegno degli sposi alla fedeltà, è necessario ribadire il lieto annuncio della definitività di quell'amore coniugale, che ha in Gesù Cristo il suo fondamento e la sua forza (cfr. Ef 5,25). Radicata nella personale e totale donazione dei coniugi e richiesta dal bene dei figli, l'indissolubilità del matrimonio trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione. Egli vuole e dona l'indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell'amore assolutamente fedele che Dio ha per l'uomo e che il Signore Gesù vive verso la sua Chiesa.
Cristo rinnova il primitivo disegno che il Creatore ha iscritto nel cuore dell'uomo e della donna, e nella celebrazione del sacramento del matrimonio offre un «cuore nuovo»: così i coniugi non solo possono superare la «durezza del cuore» (Mt 19,8), ma anche e soprattutto possono condividere l'amore pieno e definitivo di Cristo, nuova ed eterna Alleanza fatta carne. Come il Signore Gesù è il «testimone fedele» (Ap 3,14), è il «sì» delle promesse di Dio (cfr. 2Cor 1,20) e quindi la realizzazione suprema dell'incondizionata fedeltà con cui Dio ama il suo popolo, così i coniugi cristiani sono chiamati a partecipare realmente all'indissolubilità irrevocabile, che lega Cristo alla Chiesa sua sposa, da Lui amata sino alla fine (cfr. Gc 13,1).
& Familiaris Consortio, 20
 
Comunione più ampia della famiglia
La comunione coniugale costituisce il fondamento sul quale si viene edificando la più ampia comunione della famiglia, dei genitori e dei figli, dei fratelli e delle sorelle tra loro, dei parenti e di altri familiari.
Tale comunione si radica nei legami naturali della carne e del sangue, e si sviluppa trovando il suo perfezionamento propriamente umano nell'instaurarsi e nel maturare dei legami ancora più profondi e ricchi dello spirito: l'amore, che anima i rapporti interpersonali dei diversi membri della famiglia, costituisce la forza interiore che plasma e vivifica la comunione e la comunità familiare.
La famiglia cristiana è poi chiamata a fare l'esperienza di una nuova e originale comunione, che conferma e perfeziona quella naturale e umana. In realtà, la grazia di Gesù Cristo, «il Primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), è per sua natura e interiore dinamismo una «grazia di fraternità», come la chiama san Tommaso d'Aquino («Summa Theologiae», II· II··, 14, 2, ad 4). Lo Spirito Santo, effuso nella celebrazione dei sacramenti, è la radice viva e l'alimento inesauribile della soprannaturale comunione che raccoglie e vincola i credenti con Cristo e tra loro nell'unità della Chiesa di Dio. Una rivelazione e attuazione specifica della comunione ecclesiale è costituita dalla famiglia cristiana, che anche per questo può e deve dirsi «Chiesa domestica» («Lumen Gentium», 11; cfr. «Apostolicam Actuositatem», 11).
& Familiaris Consortio, 21
 
Comunione tra le persone della famiglia
Tutti i membri della famiglia, ognuno secondo il proprio dono, hanno la grazia e la responsabilità di costruire, giorno per giorno, la comunione delle persone, facendo della famiglia una «scuola di umanità più completa e più ricca»: («Gaudium et Spes», 52) è quanto avviene con la cura e l'amore verso i piccoli, gli ammalati e gli anziani; col servizio reciproco di tutti i giorni; con la condivisione dei beni, delle gioie e delle sofferenze. Un momento fondamentale per costruire una simile comunione è costituito dallo scambio educativo tra genitori e figli (cfr. Ef 6,1-4; Col 3,20s), nel quale ciascuno dà e riceve. Mediante l'amore, il rispetto, l'obbedienza verso i genitori, i figli portano il loro specifico e insostituibile contributo all'edificazione di una famiglia autenticamente umana e cristiana («Gaudium et Spes», 48). In questo saranno facilitati, se i genitori eserciteranno la loro irrinunciabile autorità come un vero e proprio «ministero», ossia come un servizio ordinato al bene umano e cristiano dei figli, e in particolare ordinato a far loro acquistare una libertà veramente responsabile, e se i genitori manterranno viva la coscienza del «dono», che continuamente ricevono dai figli. La comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia ignora come l'egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella vita familiare. Ma, nello stesso tempo, ogni famiglia è sempre chiamata dal Dio della pace a fare l'esperienza gioiosa e rinnovatrice della «riconciliazione» cioè della comunione ricostruita, dell'unità ritrovata. In particolare la partecipazione al sacramento della riconciliazione e al banchetto dell'unico Corpo di Cristo offre alla famiglia cristiana la grazia e la responsabilità di superare ogni divisione e di camminare verso la piena verità della comunione voluta da Dio, rispondendo così al vivissimo desiderio del Signore: che «tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21).
& Familiaris Consortio, 21,2
 
Concepimento e nascita
Coronamento liturgico del rito matrimoniale è l'Eucaristia — sacrificio del “corpo dato” e del “sangue sparso” — che nel consenso dei coniugi trova, in qualche modo, una sua espressione.
Quando l'uomo e la donna nel matrimonio si donano e si ricevono reciprocamente nell'unità di “una sola carne”, la logica del dono sincero entra nella loro vita. Senza di essa, il matrimonio sarebbe vuoto, mentre la comunione delle persone, edificata su tale logica, diventa comunione dei genitori. Quando trasmettono la vita al figlio, un nuovo “tu” umano si inserisce nell'orbita del “noi” dei coniugi, una persona che essi chiameranno con un nome nuovo: “nostro figlio...; nostra figlia...”. “Ho acquistato un uomo dal Signore” (Gn 4,1), dice Eva, la prima donna della storia: un essere umano, prima atteso per nove mesi e poi “manifestato” ai genitori, ai fratelli e alle sorelle. Il processo del concepimento e dello sviluppo nel grembo materno, del parto, della nascita serve a creare quasi uno spazio adatto perché la nuova creatura possa manifestarsi come “dono”: tale, infatti, essa è sin dal principio. Potrebbe forse qualificarsi diversamente questo essere fragile ed indifeso, in tutto dipendente dai suoi genitori e completamente affidato a loro? Il neonato si dona ai genitori per il fatto stesso di venire all'esistenza. Il suo esistere è già un dono, il primo dono del Creatore alla creatura. Nel neonato si realizza il bene comune della famiglia. Come il bene comune dei coniugi trova compimento nell'amore sponsale, pronto a dare e ad accogliere la nuova vita, così il bene comune della famiglia si realizza mediante lo stesso amore sponsale concretizzato nel neonato. Nella genealogia della persona è inscritta la genealogia della famiglia, consegnata alla memoria mediante le annotazioni nei registri dei Battesimi, anche se queste non sono che la conseguenza sociale del fatto “che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21).
Lettera alle Famiglie 11,2
 
Coniugi come genitori
Affermando che i coniugi, come genitori, sono collaboratori di Dio Creatore nel concepimento e nella generazione di un nuovo essere umano non ci riferiamo solo alle leggi della biologia; intendiamo sottolineare piuttosto che nella paternità e maternità umane Dio stesso è presente in un modo diverso da come avviene in ogni altra generazione “sulla terra”. Infatti soltanto da Dio può provenire quell'“immagine e somiglianza” che è propria dell'essere umano, così come è avvenuto nella creazione. La generazione è la continuazione della creazione. Così, dunque, tanto nel concepimento quanto nella nascita di un nuovo uomo, i genitori si trovano davanti ad un “grande mistero” (Ef 5,32). Anche il nuovo essere umano, non diversamente dai genitori, è chiamato all'esistenza come persona, è chiamato alla vita “nella verità e nell'amore”. Tale chiamata non si apre soltanto a ciò che è nel tempo, ma in Dio si apre all'eternità. Questa è la dimensione della genealogia della persona che Cristo ci ha svelato definitivamente, gettando la luce del suo Vangelo sul vivere e sul morire umano e, pertanto, sul significato della famiglia umana.
Lettera alle Famiglie 9,2
 
Coniugi in difficoltà e maternità della Chiesa
Anche nel campo della morale coniugale la Chiesa è ed agisce come Maestra e Madre. Come Maestra, essa non si stanca di proclamare la norma morale che deve guidare la trasmissione responsabile della vita. Di tale norma la Chiesa non è affatto né l'autrice né l'arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione. Come Madre, la Chiesa si fa vicina alle molte coppie di sposi che si trovano in difficoltà su questo importante punto della vita morale: conosce bene la loro situazione, spesso molto ardua e a volte veramente tormentata da difficoltà di ogni genere, non solo individuali ma anche sociali; sa che tanti coniugi incontrano difficoltà non solo per la realizzazione concreta, ma anche per la stessa comprensione dei valori insiti nella norma morale. Ma è la stessa ed unica Chiesa ad essere insieme Maestra e Madre. Per questo la Chiesa non cessa mai di invitare e di incoraggiare, perché le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità: è infatti convinta che non può esserci vera contraddizione tra la legge divina del trasmettere la vita e quella di favorire l'autentico amore coniugale (cfr. «Gaudium et Spes«, 51). Per questo, la pedagogia concreta della Chiesa deve sempre essere connessa e non mai separata dalla sua dottrina. Ripeto, pertanto, con la medesima persuasione del mio predecessore: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime» (Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 29).
& Familiaris Consortio, 33
 
Conversione della mente e del cuore
Alla ingiustizia originata dal peccato - profondamente penetrato anche nelle strutture del mondo di oggi - e che spesso ostacola la famiglia nella piena realizzazione di se stessa e dei suoi diritti fondamentali, dobbiamo tutti opporci con una conversione della mente e del cuore, seguendo Cristo Crocifisso nel rinnegamento del proprio egoismo: una simile conversione non potrà non avere influenza benefica e rinnovatrice anche sulle strutture della società. E' richiesta una conversione continua, permanente, che, pur esigendo l'interiore distacco da ogni male e l'adesione al bene nella sua pienezza, si attua però concretamente in passi che conducono sempre oltre. Si sviluppa così un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio e delle esigenze del suo amore definitivo ed assoluto nell'intera vita personale e sociale dell'uomo. E' perciò necessario un cammino pedagogico di crescita affinché i singoli fedeli, le famiglie ed i popoli, anzi la stessa civiltà, da ciò che hanno già accolto del Mistero di Cristo siano pazientemente condotti oltre, giungendo ad una conoscenza più ricca e ad una integrazione più piena di questo Mistero nella loro vita.
& Familiaris Consortio, 9
 
Criteri per l’ammissione al sacramento del matrimonio
Voler stabilire ulteriori criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale. Quando, al contrario, nonostante ogni tentativo fatto, i nubendi mostrano di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati, il pastore d'anime non può ammetterli alla celebrazione. Anche se a malincuore, egli ha il dovere di prendere atto della situazione e di far comprendere agli interessati che, stando così le cose, non è la Chiesa ma sono essi stessi ad impedire quella celebrazione che pure domandano. Ancora una volta appare in tutta la sua urgenza la necessità di una evangelizzazione e catechesi pre e post-matrimoniale, messe in atto da tutta la comunità cristiana, perché ogni uomo ed ogni donna che si sposano, celebrino il sacramento del matrimonio non solo validamente ma anche fruttuosamente.
& Familiaris Consortio, 68,3
 
D
 
Destino ultimo dell’uomo
Il destino ultimo dell'uomo non è in contrasto con l'affermazione che Dio vuole l'uomo “per se stesso”? Se è creato per la vita divina, l'uomo esiste veramente “per se stesso”? È, questa, una domanda-chiave, di grande rilievo sia allo sbocciare che all'estinguersi della sua esistenza terrena: è importante per tutto l'arco della vita. Potrebbe sembrare che, destinando l'uomo alla vita divina, Dio lo sottragga definitivamente al suo esistere “per se stesso”. Qual è il rapporto che esiste tra la vita della persona e la partecipazione alla Vita trinitaria? Ci risponde sant'Agostino con le celebri parole: “Inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in te”. Questo “cuore inquieto” indica che non c'è affatto contraddizione tra una finalità e l'altra, bensì un legame, una coordinazione, un'unità profonda. Per la sua stessa genealogia, la persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, proprio partecipando alla Vita di Lui, esiste “per se stessa” e si realizza. Il contenuto di tale realizzazione è la pienezza della Vita in Dio, quella di cui parla Cristo (cfr Gv 6,37-40), che proprio per introdurci in essa ci ha redenti (cfr Mc 10,45).
Lettera alle Famiglie 9,4
 
Dio sposo
Parlando un giorno con i discepoli di Giovanni, Gesù accennò ad un invito a nozze e alla presenza dello sposo tra gli invitati: “Lo sposo è con loro” (Mt 9,15). Additava così il compimento nella sua persona dell'immagine di Dio-sposo, utilizzata già nell'Antico Testamento, per rivelare pienamente il mistero di Dio come mistero di Amore.
Qualificandosi come “sposo”, Gesù svela dunque l'essenza di Dio e conferma il suo amore immenso per l'uomo. Ma la scelta di questa immagine getta indirettamente luce anche sulla verità profonda dell'amore sponsale. Usandola infatti per parlare di Dio, Gesù mostra quanta paternità e quanto amore di Dio si riflettano nell'amore di un uomo e di una donna che si uniscono in matrimonio. Per questo, all'inizio della sua missione, Gesù è a Cana di Galilea, per partecipare ad un banchetto di nozze, insieme con Maria e con i primi discepoli (cfr Gv 2,1-11). Egli intende così dimostrare quanto la verità della famiglia sia inscritta nella Rivelazione di Dio e nella storia della salvezza. Nell'Antico Testamento, e specialmente nei Profeti, si incontrano parole molto belle sull'amore di Dio: un amore premuroso come quello di una madre verso il suo bambino, tenero come quello dello sposo per la sposa, ma al tempo stesso altrettanto vivacemente geloso; non è anzitutto un amore che punisce, ma che perdona; un amore che si china verso l'uomo come fa il padre verso il figlio prodigo, lo solleva e lo rende partecipe della vita divina. Un amore che stupisce: una novità sconosciuta sino ad allora in tutto il mondo pagano.
Lettera alle Famiglie 18
 
Direttorio per la pastorale familiare
E' auspicabile che le conferenze episcopali, come sono interessate ad opportune iniziative per aiutare i futuri sposi ad essere più consapevoli della serietà della loro scelta e i pastori d'anime ad accertarsi delle loro convenienti disposizioni, così curino che sia emanato un Direttorio per la pastorale della famiglia. In esso si dovranno stabilire, anzitutto, gli elementi minimi di contenuto, di durata e di metodo dei «Corsi di preparazione», equilibrando fra loro i diversi aspetti - dottrinali, pedagogici, legali e medici - che interessano il matrimonio, e strutturandoli in modo che quanti si preparano al matrimonio, al di là di un approfondimento intellettuale, si sentano spinti ad inserirsi vitalmente nella comunità ecclesiale. Benché il carattere di necessità e di obbligatorietà della preparazione immediata al matrimonio non sia da sottovalutare - ciò che succederebbe qualora se ne concedesse facilmente la dispensa - tuttavia, tale preparazione, deve essere sempre proposta e attuata in modo che la sua eventuale omissione non sia di impedimento per la celebrazione delle nozze.
& Familiaris Consortio, 66,5
 
Diritti del bambino
Nella famiglia, comunità di persone, deve essere riservata una specialissima attenzione al bambino, sviluppando una profonda stima per la sua dignità personale, come pure un grande rispetto ed un generoso servizio per i suoi diritti. Ciò vale di ogni bambino, ma acquista una singolare urgenza quanto più il bambino è piccolo e bisognoso di tutto, malato, sofferente o handicappato.
Sollecitando e vivendo una premura tenera e forte per ogni bambino che viene in questo mondo, la Chiesa adempie una sua fondamentale missione: è chiamata, infatti, a rivelare e a riproporre nella storia l'esempio e il comandamento di Cristo Signore, che ha voluto porre il bambino al centro del Regno di Dio: «Lasciate che i bambini vengano a me... perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio» (Lc 18,16; cfr. Mt 19,14; Mc 10,14).
Ripeto nuovamente quanto ho detto all'assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 ottobre 1979: Desidero... esprimere la gioia che per ognuno di noi costituiscono i bambini, primavera della vita, anticipo della storia futura di ognuna delle presenti patrie terrene. Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può pensare al proprio avvenire se non attraverso l'immagine di queste nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio dei valori, dei doveri e delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono e di tutta la famiglia umana. La sollecitudine per il bambino ancora prima della sua nascita, dal primo momento della concezione e, in seguito, negli anni dell'infanzia e della giovinezza, è la primaria e fondamentale verifica della relazione dell'uomo all'uomo. E perciò, che cosa di più si potrebbe augurare a ogni nazione e a tutta l'umanità, a tutti i bambini del mondo se non quel migliore futuro in cui il rispetto dei diritti dell'uomo diventi piena realtà nelle dimensioni del duemila che si avvicina? L'accoglienza, l'amore, la stima, il servizio molteplice ed unitario - materiale, affettivo, educativo, spirituale - per ogni bambino che viene in questo mondo dovranno costituire sempre una nota distintiva irrinunciabile dei cristiani, in particolare delle famiglie cristiane: così i bambini, mentre potranno crescere «in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52), porteranno il loro prezioso contributo all'edificazione della comunità familiare e alla stessa santificazione dei genitori (cfr. «Gaudium et Spes», 48).
& Familiaris Consortio, 26
 
Dignità della donna
Purtroppo il messaggio cristiano sulla dignità della donna viene contraddetto da quella persistente mentalità che considera l'essere umano non come persona, ma come cosa, come oggetto di compravendita, al servizio dell'interesse egoistico e del solo piacere: e prima vittima di tale mentalità è la donna.
Questa mentalità produce frutti assai amari, come il disprezzo dell'uomo e della donna, la schiavitù, l'oppressione dei deboli, la pornografia, la prostituzione - tanto più quando viene organizzata - e tutte quelle varie discriminazioni che si incontrano nell'ambito dell'educazione, della professione, della retribuzione del lavoro, ecc.
Inoltre, ancora oggi, in gran parte della nostra società, permangono molte forme di avvilente discriminazione che colpiscono ed offendono gravemente alcune categorie particolari di donne, come ad esempio, le spose che non hanno figli, le vedove, le separate, le divorziate, le madri-nubili. Queste ed altre discriminazioni sono state deplorate dai Padri Sinodali con tutta la forza possibile: chiedo pertanto che da parte di tutti si svolga un'azione pastorale specifica più vigorosa ed incisiva, affinché esse siano definitivamente vinte, così da giungere alla stima piena dell'immagine di Dio che risplende in tutti gli essere umani, nessuno escluso.
& Familiaris Consortio, 24
 
Diritti e compiti della donna
In quanto è, e deve sempre diventare, comunione e comunità di persone, la famiglia trova nell'amore la sorgente e la spinta incessante per accogliere, rispettare e promuovere ciascuno dei suo membri nell'altissima dignità di persone, e cioè di immagini viventi di Dio. Come hanno giustamente affermato i Padri Sinodali, il criterio morale dell'autenticità delle relazioni coniugali e familiari consiste nella promozione della dignità e vocazione delle singole persone, le quali si ritrovano nella loro pienezza mediante il dono sincero di se stesse (cfr. «Gaudium et Spes», 24). In questa prospettiva, il Sinodo ha voluto riservare una privilegiata attenzione alla donna, ai suoi diritti e compiti nella famiglia e nella società. Nella stessa prospettiva vanno considerati anche l'uomo come sposo e padre, il bambino e gli anziani.
Della donna è da rilevare, anzitutto, l'eguale dignità e responsabilità rispetto all'uomo: tale uguaglianza trova una singolare forma di realizzazione nella reciproca donazione di sé all'altro e di ambedue ai figli, propria del matrimonio e della famiglia. Quanto la stessa ragione umana intuisce e riconosce, viene rivelato in pienezza dalla Parola di Dio: la storia della salvezza, infatti, è una continua e luminosa testimonianza della dignità della donna. Creando l'uomo «maschio e femmina (Gen 1,27), Dio dona la dignità personale in eguale modo all'uomo e alla donna, arricchendoli dei diritti inalienabili e delle responsabilità che sono proprie della persona umana. Dio poi manifesta nella forma più alta possibile la dignità della donna assumendo Egli stesso la carne umana da Maria Vergine che la Chiesa onora come Maria Madre di Dio, chiamandola nuova Eva e proponendola come modello della donna redenta. Il delicato rispetto di Gesù verso le donne che ha chiamato alla sua sequela ed alla sua amicizia, la sua apparizione il mattino di Pasqua ad una donna prima che agli altri discepoli, la missione affidata alle donne di portare la buona novella della Resurrezione agli apostoli, sono tutti segni che confermano la stima speciale del Signore Gesù verso la donna. Dirà l'apostolo Paolo: «Tutti voi siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù... Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo ne donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù)» (Gal 3,26.28).
& Familiaris Consortio, 22
 
Diritti della Famiglia
Come comunità di amore e di vita, la famiglia è una realtà sociale saldamente radicata e, in modo tutto proprio, una società sovrana, anche se condizionata sotto vari aspetti. L'affermazione della sovranità dell'istituzione-famiglia e la constatazione dei suoi molteplici condizionamenti inducono a parlare dei diritti della famiglia. Al riguardo la Santa Sede ha pubblicato nel 1983 la Carta dei Diritti della Famiglia, che conserva anche ora tutta la sua attualità.
I diritti della famiglia sono strettamente connessi con i diritti dell'uomo: infatti, se la famiglia è comunione di persone, la sua autorealizzazione dipende in misura significativa dalla giusta applicazione dei diritti delle persone che la compongono. Alcuni di questi diritti riguardano immediatamente la famiglia, come il diritto dei genitori alla procreazione responsabile e all'educazione della prole; altri diritti invece riguardano il nucleo familiare solo in modo indiretto: tra questi, di singolare importanza sono il diritto alla proprietà, specialmente alla cosiddetta proprietà familiare, ed il diritto al lavoro. I diritti della famiglia non sono, però, semplicemente la somma matematica di quelli della persona, essendo la famiglia qualcosa di più della somma dei suoi membri presi singolarmente. Essa è comunità di genitori e di figli; a volte comunità di diverse generazioni. Per questo la sua soggettività, che si costruisce sulla base del disegno di Dio, fonda ed esige diritti propri e specifici. La Carta dei Diritti della Famiglia, partendo dai citati principi morali, consolida l'esistenza dell'istituto familiare nell'ordine sociale e giuridico della “grande” società: della Nazione, dello Stato e delle Comunità internazionali. Ognuna di queste “grandi” società è condizionata almeno indirettamente dall'esistenza della famiglia; per questo la definizione dei compiti e doveri della “grande” società nei confronti della famiglia è questione estremamente importante ed essenziale.
Lettera alle Famiglie 17,2
 
Diritto-dovere educativo dei genitori
Il compito dell'educazione affonda le radici nella primordiale vocazione dei coniugi a partecipare all'opera creatrice di Dio: generando nell'amore e per amore una nuova persona, che in sé ha la vocazione alla crescita ed allo sviluppo, i genitori si assumono perciò stesso il compito di aiutarla efficacemente a vivere una vita pienamente umana. Come ha ricordato il Concilio Vaticano II: «I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può appena essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell'atmosfera vivificata dall'amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l'educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali di cui appunto han bisogno tutte le società» («Gravissimum Educationis», 3). Il diritto-dovere educativo dei genitori si qualifica come essenziale, connesso com'è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l'unicità del rapporto d'amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e che pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altri usurpato. Al di là di queste caratteristiche, non si può dimenticare che l'elemento più radicale, tale da qualificare il compito educativo dei genitori, è l'amore paterno e materno, il quale trova nell'opera educativa il suo compimento nel rendere pieno e perfetto il servizio alla vita: l'amore dei genitori da sorgente diventa anima e pertanto norma, che ispira e guida tutta l'azione educativa concreta, arricchendola di quei valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il più prezioso frutto dell'amore.
& Familiaris Consortio, 36
 
Discernimento evangelico sulla famiglia
Il discernimento operato dalla Chiesa diventa l'offerta di un orientamento perché sia salvata e realizzata l'intera verità e la piena dignità del matrimonio e della famiglia. Esso è compiuto dal senso della fede (cfr. «Lumen Gentium», 12), che è un dono che lo Spirito partecipa a tutti i fedeli (cfr. Gv 2,20), ed è, pertanto, opera di tutta la Chiesa, secondo le diversità dei vari doni e carismi che, insieme e secondo la responsabilità propria di ciascuno, cooperano per una più profonda intelligenza ed attuazione della Parola di Dio. La Chiesa, dunque, non compie il proprio discernimento evangelico solo per mezzo dei Pastori, i quali insegnano in nome e col potere di Cristo, ma anche per mezzo dei laici: Cristo «li costituisce suoi testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della parola (cfr. At 2,17-18; Ap 19,10) perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale» («Lumen Gentium», 35). I laici, anzi, in ragione della loro particolare vocazione, hanno il compito specifico di interpretare alla luce di Cristo la storia di questo mondo, in quanto sono chiamati ad illuminare ed ordinare le realtà temporali secondo il disegno di Dio Creatore e Redentore.
& Familiaris Consortio, 5
 
Donazione totale
Il «luogo» unico, che rende possibile questa donazione secondo l'intera sua verità, è il matrimonio, ossia il patto di amore coniugale o scelta cosciente e libera, con la quale l'uomo e la donna accolgono l'intima comunità di vita e d'amore, voluta da Dio stesso (cfr. «Gaudium et Spes», 48), che solo in questa luce manifesta il suo vero significato. L'istituzione matrimoniale non è una indebita ingerenza della società o dell'autorità, ne l'imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza interiore del patto d'amore coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio Creatore. Questa fedeltà, lungi dal mortificare la libertà della persona, la pone al sicuro da ogni soggettivismo e relativismo, la fa partecipe della Sapienza creatrice.
& Familiaris Consortio, 11,3
 
Donna e lavoro
Se dev'essere riconosciuto anche alle donne, come agli uomini, il diritto di accedere ai diversi compiti pubblici, la società deve però strutturarsi in maniera tale che le spose e le madri non siano di fatto costrette a lavorare fuori casa e che le loro famiglie possano dignitosamente vivere e prosperare, anche se esse si dedicano totalmente alla propria famiglia. Si deve inoltre superare la mentalità secondo la quale l'onore della donna deriva più dal lavoro esterno che dall'attività familiare. Ma ciò esige che gli uomini stimino ed amino veramente la donna con ogni rispetto della sua dignità personale, e che la società crei e sviluppi le condizioni adatte per il lavoro domestico.
La Chiesa, col dovuto rispetto per la diversa vocazione dell'uomo e della donna, deve promuovere nella misura del possibile nella sua stessa vita la loro uguaglianza di diritti e di dignità: e questo per il bene di tutti, della famiglia, della società e della Chiesa. E' evidente però che tutto questo significa per la donna non la rinuncia alla sua femminilità né l'imitazione del carattere maschile, ma la pienezza della vera umanità femminile quale deve esprimersi nel suo agire, sia in famiglia sia al di fuori di essa, senza peraltro dimenticare in questo campo la varietà dei costumi e delle culture.
& Familiaris Consortio, 23,2
 
Donna e società
Senza entrare ora a trattare nei suoi vari aspetti l'ampio e complesso tema dei rapporti donna-società, ma limitando il discorso ad alcuni rilievi essenziali, non si può non osservare come nel campo più specificamente familiare un'ampia e diffusa tradizione sociale e culturale abbia voluto riservare alla donna solo il compito di sposa e madre, senza aprirla adeguatamente ai compiti pubblici, in genere riservati all'uomo. Non c'è dubbio che l'uguale dignità e responsabilità dell'uomo e della donna giustifichino pienamente l'accesso della donna ai compiti pubblici. D'altra parte la vera promozione della donna esige pure che sia chiaramente riconosciuto il valore del suo compito materno e familiare nei confronti di tutti gli altri compiti pubblici e di tutte le altre professioni. Del resto, tali compiti e professioni devono tra loro integrarsi se si vuole che l'evoluzione sociale e culturale sia veramente e pienamente umana. Ciò risulterà più facile se, come il Sinodo ha auspicato, una rinnovata «teologia del lavoro» porrà in luce e approfondirà il significato del lavoro nella vita cristiana e determinerà il fondamentale legame che esiste tra il lavoro e la famiglia, e, di conseguenza, il significato originale ed insostituibile del lavoro della casa e dell'educazione dei figli («Laborem Exercens», 19). Pertanto la Chiesa può e deve aiutare la società attuale, chiedendo instancabilmente che sia da tutti riconosciuto e onorato nel suo valore insostituibile il lavoro della donna in casa. Ciò è di particolare importanza nell'opera educativa: viene eliminata, infatti, la radice stessa della possibile discriminazione tra i diversi lavori e professioni, una volta che risulti chiaramente come tutti, in ogni campo, si impegnino con identico diritto e con identica responsabilità. Apparirà così più splendida l'immagine di Dio nell'uomo e nella donna.
& Familiaris Consortio, 23
 
 
E
 
Educare i figli ai valori essenziali della vita umana
Pur in mezzo alle difficoltà dell'opera educativa, oggi spesso aggravate, i genitori devono con fiducia e coraggio formare i figli ai valori essenziali della vita umana. I figli devono crescere in una giusta libertà di fronte ai beni materiali, adottando uno stile di vita semplice ed austero, ben convinti che «l'uomo vale più per quello che è che per quello che ha» («Gaudium et Spes», 35)
In una società scossa e disgregata da tensioni e conflitti per il violento scontro tra i diversi individualismi ed egoismi, i figli devono arricchirsi non soltanto del senso della vera giustizia, che sola conduce al rispetto della dignità personale di ciascuno, ma anche e ancora più del senso del vero amore, come sollecitudine sincera e servizio disinteressato verso gli altri, in particolare i più poveri e bisognosi. La famiglia è la prima e fondamentale scuola di socialità: in quanto comunità di amore, essa trova nel dono di sé la legge che la guida e la fa crescere. Il dono di sé, che ispira l'amore dei coniugi tra di loro, si pone come modello e norma del dono di sé quale deve attuarsi nei rapporti tra fratelli e sorelle e tra le diverse generazioni che convivono nella famiglia. E la comunione e la partecipazione quotidianamente vissuta nella casa, nei momenti di gioia e di difficoltà, rappresenta la più concreta ed efficace pedagogia dei figli nel più ampio orizzonte della società.
& Familiaris Consortio, 37
 
Educatore e educazione
In che cosa consiste l'educazione? Per rispondere a tale domanda vanno ricordate due verità fondamentali: la prima è che l'uomo è chiamato a vivere nella verità e nell'amore; la seconda è che ogni uomo si realizza attraverso il dono sincero di sé. Questo vale sia per chi educa, sia per chi viene educato. L'educazione costituisce, pertanto, un processo singolare nel quale la reciproca comunione delle persone è carica di grandi significati. L'educatore è una persona che «genera” in senso spirituale. In questa prospettiva, l'educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato. È una comunicazione vitale, che non solo costruisce un rapporto profondo tra educatore ed educando, ma li fa partecipare entrambi alla verità e all'amore, traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. La paternità e la maternità suppongono la coesistenza e la interazione di soggetti autonomi. Ciò è quanto mai evidente nella madre quando concepisce un nuovo essere umano. I primi mesi della sua presenza nel grembo materno creano un particolare legame, che già riveste un suo valore educativo. La madre, già nel periodo prenatale, struttura non soltanto l'organismo del figlio, ma indirettamente tutta la sua umanità. Anche se si tratta di un processo che si dirige dalla madre verso il figlio, non va dimenticata l'influenza specifica che il nascituro esercita sulla madre. A questo influsso reciproco, che si manifesterà all'esterno dopo la nascita del bambino, il padre non prende parte direttamente. Egli deve però impegnarsi responsabilmente ad offrire la sua attenzione ed il suo sostegno durante la gravidanza e, se possibile, anche al momento del parto. Per la “civiltà dell'amore” è essenziale che l'uomo senta la maternità della donna, sua sposa, come un dono: questo infatti incide enormemente sull'intero processo educativo. Molto dipende dalla sua disponibilità a prendere parte nel modo giusto a questa prima fase del dono dell'umanità, e a lasciarsi coinvolgere in quanto marito e padre nella maternità della moglie.
Lettera alle Famiglie 16
 
Educazione all’amore
L'educazione all'amore come dono di sé costituisce anche la premessa indispensabile per i genitori chiamati ad offrire ai figli una chiara e delicata educazione sessuale. Di fronte ad una cultura che «banalizza» in larga parte la sessualità umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e impoverito, collegandola unicamente al corpo e al piacere egoistico, il servizio educativo dei genitori deve puntare fermamente su di una cultura sessuale che sia veramente e pienamente personale: la sessualità, infatti, è una ricchezza di tutta la persona - corpo, sentimento e anima - e manifesta il suo intimo significato nel portare la persona al dono di sé nell'amore.
& Familiaris Consortio, 37,2
 
Educazione e apporto della Chiesa
Nell'ambito dell'educazione la Chiesa ha un ruolo specifico da svolgere. Alla luce della Tradizione e del Magistero conciliare, si può ben dire che non è soltanto questione di affidare alla Chiesa l'educazione religioso-morale della persona, ma di promuovere tutto il processo educativo della persona “insieme con” la Chiesa. La famiglia è chiamata a svolgere il suo compito educativo nella Chiesa, partecipando così alla vita e alla missione ecclesiale. La Chiesa desidera educare soprattutto attraverso la famiglia, a ciò abilitata dal sacramento del matrimonio, con la “grazia di stato” che ne consegue e lo specifico “carisma” che è proprio dell'intera comunità familiare.
Uno dei campi in cui la famiglia è insostituibile è certamente quello dell'educazione religiosa, grazie alla quale la famiglia cresce come “chiesa domestica”. L'educazione religiosa e la catechesi dei figli collocano la famiglia nell'ambito della Chiesa come un vero soggetto di evangelizzazione e di apostolato. Si tratta di un diritto intimamente connesso col principio della libertà religiosa. Le famiglie, e più concretamente i genitori, hanno libera facoltà di scegliere per i loro figli un determinato modo di educazione religiosa e morale corrispondente alle proprie convinzioni. Ma anche quando essi affidano tali compiti ad istituzioni ecclesiastiche o a scuole gestite da personale religioso, è necessario che la loro presenza educativa continui ad essere costante ed attiva.
Lettera alle Famiglie 16,6
 
Educazione e educatore
In che cosa consiste l'educazione? Per rispondere a tale domanda vanno ricordate due verità fondamentali: la prima è che l'uomo è chiamato a vivere nella verità e nell'amore; la seconda è che ogni uomo si realizza attraverso il dono sincero di sé. Questo vale sia per chi educa, sia per chi viene educato. L'educazione costituisce, pertanto, un processo singolare nel quale la reciproca comunione delle persone è carica di grandi significati. L'educatore è una persona che «genera” in senso spirituale. In questa prospettiva, l'educazione può essere considerata un vero e proprio apostolato. È una comunicazione vitale, che non solo costruisce un rapporto profondo tra educatore ed educando, ma li fa partecipare entrambi alla verità e all'amore, traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. La paternità e la maternità suppongono la coesistenza e la interazione di soggetti autonomi. Ciò è quanto mai evidente nella madre quando concepisce un nuovo essere umano. I primi mesi della sua presenza nel grembo materno creano un particolare legame, che già riveste un suo valore educativo. La madre, già nel periodo prenatale, struttura non soltanto l'organismo del figlio, ma indirettamente tutta la sua umanità. Anche se si tratta di un processo che si dirige dalla madre verso il figlio, non va dimenticata l'influenza specifica che il nascituro esercita sulla madre. A questo influsso reciproco, che si manifesterà all'esterno dopo la nascita del bambino, il padre non prende parte direttamente. Egli deve però impegnarsi responsabilmente ad offrire la sua attenzione ed il suo sostegno durante la gravidanza e, se possibile, anche al momento del parto. Per la “civiltà dell'amore” è essenziale che l'uomo senta la maternità della donna, sua sposa, come un dono: questo infatti incide enormemente sull'intero processo educativo. Molto dipende dalla sua disponibilità a prendere parte nel modo giusto a questa prima fase del dono dell'umanità, e a lasciarsi coinvolgere in quanto marito e padre nella maternità della moglie.
Lettera alle Famiglie 16
 
Educazione e scelta vocazionale
Né va tralasciata, nel contesto dell'educazione, la questione essenziale della scelta vocazionale e, in essa, in particolare della preparazione alla vita matrimoniale. Notevoli sono gli sforzi e le iniziative messi in atto dalla Chiesa a favore della preparazione al matrimonio, ad esempio sotto forma di corsi organizzati per i fidanzati. Tutto ciò è valido e necessario. Ma non va dimenticato che la preparazione alla futura vita di coppia è compito soprattutto della famiglia. Certo, solo le famiglie spiritualmente mature possono affrontare in modo adeguato tale impegno. E per questo va sottolineata l'esigenza di una particolare solidarietà tra le famiglie, che può esprimersi attraverso diverse forme organizzative, come le associazioni di famiglie per le famiglie. L'istituzione familiare trae vigore da tale solidarietà, che avvicina tra loro non solo le singole persone, bensì anche le comunità, impegnandole a pregare insieme ed a cercare con il contributo di tutti le risposte alle domande essenziali che emergono dalla vita. Non è questa una forma preziosa di apostolato delle famiglie tra di loro? È importante che le famiglie cerchino di costruire tra loro vincoli di solidarietà. Ciò, oltretutto, consente loro di prestarsi vicendevolmente un servizio educativo: i genitori vengono educati attraverso altri genitori, i figli attraverso i figli. Si crea così una peculiare tradizione educativa, che trae forza dal carattere di “chiesa domestica” che è proprio della famiglia.
Lettera alle Famiglie 16,7
 
Educazione e vangelo dell’amore
È il vangelo dell'amore l'inesauribile sorgente di tutto ciò di cui si nutre la famiglia umana come “comunione di persone”. Nell'amore trova sostegno e senso definitivo l'intero processo educativo, come frutto maturo della reciproca donazione dei genitori. Mediante le fatiche, le sofferenze e le delusioni, che accompagnano l'educazione della persona, l'amore non cessa di essere sottoposto ad una continua verifica. Per superare quest'esame occorre una sorgente di forza spirituale che si trova solo in Colui che “amò sino alla fine” (Gv 13,1). Così l'educazione si colloca pienamente nell'orizzonte della “civiltà dell'amore”; da essa dipende e, in grande misura, contribuisce a costruirla.
Lettera alle Famiglie 16,8
 
Educazione: elargizione di umanità
L'educazione è allora prima di tutto un'“elargizione” di umanità da parte di ambedue i genitori: essi comunicano insieme la loro umanità matura al neonato, il quale a sua volta dona loro la novità e la freschezza dell'umanità che porta con sé nel mondo. Questo si verifica anche nel caso di bambini segnati da handicaps psichici e fisici: in tal caso, anzi, la loro situazione può sviluppare una forza educativa del tutto particolare. A ragione, dunque, la Chiesa domanda durante il rito del matrimonio: “Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli secondo la legge di Cristo e della sua Chiesa?”. L'amore coniugale si manifesta nell'educazione come vero amore di genitori. La “comunione di persone”, che all'inizio della famiglia si esprime come amore coniugale, si completa e si perfeziona estendendosi ai figli con l'educazione. La potenziale ricchezza, costituita da ogni uomo che nasce e cresce nella famiglia, va responsabilmente assunta in modo che non degeneri né si disperda, ma, al contrario, si realizzi in una umanità sempre più matura. È pure questo un dinamismo di reciprocità, nel quale i genitori-educatori vengono, a loro volta, in certa misura educati. Maestri di umanità dei propri figli, essi la apprendono da loro. Qui emerge con evidenza l'organica struttura della famiglia e si rivela il senso fondamentale del quarto comandamento.
Il “noi” dei genitori, del marito e della moglie, si sviluppa, per mezzo della generazione e dell'educazione, nel “noi” della famiglia, che s'innesta sulle generazioni precedenti e si apre ad un graduale allargamento. Al riguardo, svolgono un ruolo singolare, da un lato, i genitori dei genitori e, dall'altro, i figli dei figli.
Lettera alle Famiglie 16,2
 
Educazione: partecipazione della pedagogia di Dio
Se, nel donare la vita, i genitori prendono parte all'opera creatrice di Dio, mediante l'educazione essi diventano partecipi della sua paterna ed insieme materna pedagogia. La paternità divina, secondo san Paolo, costituisce il modello originario di ogni paternità e maternità nel cosmo (cfr Ef 3,14-15), specialmente della maternità e paternità umana. Circa la pedagogia divina ci ha pienamente istruiti il Verbo eterno del Padre, che incarnandosi ha rivelato all'uomo la vera ed integrale dimensione della sua vocazione: la figliolanza divina. E così ha pure rivelato qual è il vero significato dell'educazione dell'uomo. Per mezzo di Cristo ogni educazione, in famiglia e fuori, viene inserita nella dimensione salvifica della pedagogia divina, che è rivolta agli uomini e alle famiglie e che culmina nel mistero pasquale della morte e risurrezione del Signore. Da questo “cuore” della nostra redenzione prende il via ogni processo di educazione cristiana, che al tempo stesso è sempre educazione alla piena umanità.
Lettera alle Famiglie 16,3
 
Educazione cristiana e prima esperienza di Chiesa
La missione dell'educazione esige che i genitori cristiani propongano ai figli tutti quei contenuti che sono necessari per la graduale maturazione della loro responsabilità da un punto di vista cristiano ed ecclesiale. Riprenderanno allora le linee educative sopra ricordate, con la cura di mostrare ai figli a quale profondità di significati la fede e la carità di Gesù Cristo sanno condurre. Inoltre la consapevolezza che il Signore affida loro la crescita di un figlio di Dio, di un fratello di Cristo, di un tempio dello Spirito Santo, di un membro della Chiesa, sorreggerà i genitori cristiani nel loro compito di rafforzare nell'anima dei figli il dono della grazia divina. Il Concilio Vaticano II così precisa il contenuto dell'educazione cristiana: «Essa non comporta solo la maturità propria dell'umana persona... ma tende soprattutto a far sì che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto: imparino ad adorare Dio in spirito e verità (cfr. Gv 4,23), specialmente attraverso l'azione liturgica, si preparino a vivere la propria vita secondo l'uomo nuovo della giustizia e nella santità della verità (Ef 4,22-24), così raggiungano l'uomo perfetto, la statura della pienezza di Cristo (cfr. Ef 4,13) e diano il loro apporto all'aumento del corpo mistico. Essi inoltre, consapevoli della loro vocazione, devono addestrarsi sia a testimoniare quella speranza che è in loro (cfr. 1Pt 3,14), sia a promuovere la elevazione in senso cristiano del mondo» («Gravissimum Educationis», 2).
& Familiaris Consortio, 39
 
Educazione sessuale
L'educazione sessuale, diritto e dovere fondamentale dei genitori, deve attuarsi sempre sotto la loro guida sollecita, sia in casa sia nei centri educativi da essi scelti e controllati. In questo senso la Chiesa ribadisce la legge della sussidiarietà, che la scuola è tenuta ad osservare quando coopera all'educazione sessuale, collocandosi nello spirito stesso che anima i genitori. In questo contesto è del tutto irrinunciabile l'educazione alla castità, come virtù che sviluppa l'autentica maturità della persona e la rende capace di rispettare e promuovere il «significato sponsale» del corpo. Anzi, i genitori cristiani riserveranno una particolare attenzione e cura, discernendo i segni della chiamata di Dio, per l'educazione alla verginità, come forma suprema di quel dono di sé che costituisce il senso stesso della sessualità umana. Per gli stretti legami che intercorrono tra la dimensione sessuale della persona e i suoi valori etici, il compito educativo deve condurre i figli a conoscere e a stimare le norme morali come necessaria e preziosa garanzia per una responsabile crescita personale nella sessualità umana.
Per questo la Chiesa si oppone fermamente a una certa forma di informazione sessuale, avulsa dai principi morali, così spesso diffusa, la quale altro non sarebbe che un'introduzione all'esperienza del piacere e uno stimolo che porta a perdere la serenità - ancora negli anni dell'innocenza - aprendo la strada al vizio.
& Familiaris Consortio, 37,3
 
Eucaristia e matrimonio
II compito di santificazione della famiglia cristiana ha la sua prima radice nel battesimo e la sua massima espressione nell'Eucaristia, alla quale è intimamente legato il matrimonio cristiano. Il Concilio Vaticano II ha voluto richiamare la speciale relazione che esiste tra l'Eucaristia e il matrimonio, chiedendo che questo «in via ordinaria si celebri nella Messa» («Sacrosantum Concilum», 78): riscoprire e approfondire tale relazione è del tutto necessario, se si vogliono comprendere e vivere con maggior intensità le grazie e le responsabilità del matrimonio e della famiglia cristiana. L'Eucaristia è la fonte stessa del matrimonio cristiano. Il sacrificio eucaristico, infatti, ripresenta l'alleanza di amore di Cristo con la Chiesa, in quanto sigillata con il sangue della sua Croce (cfr. Gv 19,34). E' in questo sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza che i coniugi cristiani trovano la radice dalla quale scaturisce, è interiormente plasmata e continuamente vivificata la loro alleanza coniugale. In quanto ripresentazione del sacrificio d'amore di Cristo per la Chiesa, l'Eucaristia è sorgente di carità. E nel dono eucaristico della carità la famiglia cristiana trova il fondamento e l'anima della sua «comunione» e della sua «missione»: il Pane eucaristico fa dei diversi membri della comunità familiare un unico corpo, rivelazione e partecipazione della più ampia unità della Chiesa; la partecipazione poi al Corpo «dato» e al Sangue «versato» di Cristo diventa inesauribile sorgente del dinamismo missionario ed apostolico della famiglia cristiana.
& Familiaris Consortio, 57
 
F
 
Famiglia, avvenire dell’umanità
L'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia!
E', dunque, indispensabile ed urgente che ogni uomo di buona volontà si impegni a salvare ed a promuovere i valori e le esigenze della famiglia. Un particolare sforzo a questo riguardo sento di dover chiedere ai figli della Chiesa. Essi, che nella fede conoscono pienamente il meraviglioso disegno di Dio, hanno una ragione in più per prendersi a cuore la realtà della famiglia in questo nostro tempo di prova e di grazia. Essi devono amare in modo particolare la famiglia. E' questa una consegna concreta ed esigente. Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e le possibilità, promuovendoli sempre. Amare la famiglia significa individuare i pericoli ed i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia significa adoperarsi per crearle un ambiente che favorisca il suo sviluppo. E, ancora, è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana di oggi, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le accresciute difficoltà, ragioni di fiducia in se stessa, nelle proprie ricchezze di natura e di grazia, nella missione che Dio le ha affidato. «Bisogna che le famiglie del nostro tempo riprendano quota! Bisogna che seguano Cristo!» (Giovanni Paolo PP. II, Lettera «Appropinaquat iam», 1 [15 Agosto 1980]: ASS 72 [1980], 791).
& Familiaris Consortio, Conslusione
 
Famiglia: base della civiltà dell’amore
La famiglia sta alla base di quella che Paolo VI ha qualificato come “civiltà dell'amore”, espressione entrata poi nell'insegnamento della Chiesa e diventata ormai familiare. Oggi è difficile pensare ad un intervento della Chiesa, oppure sulla Chiesa, che prescinda dal riferimento alla civiltà dell'amore. L'espressione si collega con la tradizione della “chiesa domestica” nel cristianesimo delle origini, ma possiede un preciso riferimento anche all'epoca contemporanea. Etimologicamente il termine “ci- viltà” deriva da “civis” — “cittadino”, e sottolinea la dimensione politica dell'esistenza di ogni individuo. Il senso più profondo dell'espressione “civiltà” non è però soltanto politico, quanto piuttosto “umanistico”. La civiltà appartiene alla storia dell'uomo, perché corrisponde alle sue esigenze spirituali e morali: creato ad immagine e somiglianza di Dio, egli ha ricevuto il mondo dalle mani del Creatore con l'impegno di plasmarlo a propria immagine e somiglianza. Proprio dall'adempimento di questo compito scaturisce la civiltà, che altro non è, in definitiva, se non l'“umanizzazione del mondo”. Civiltà dunque ha lo stesso significato, in certo modo, di “cultura”. Si potrebbe perciò anche dire: “cultura dell'amore”, pur essendo preferibile attenersi all'espressione diventata ormai familiare. La civiltà dell'amore, nel senso attuale del termine, si ispira alle parole della Costituzione conciliare Gaudium et spes: “Cristo... svela... pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”. Si può perciò affermare che la civiltà dell'amore prende avvio dalla rivelazione di Dio che “è amore” come dice Giovanni (1 Gv 4,8.16), ed è descritta efficacemente da Paolo nell'inno alla carità della Prima Lettera ai Corinti (13,1-13). Tale civiltà è intimamente connessa con l'amore “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5) e cresce grazie alla costante coltivazione di cui parla, in modo così incisivo, l'allegoria evangelica della vite e dei tralci: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv 15,1-2).
Lettera alle Famiglie 13
 
Famiglia e civiltà dell’amore
Appare chiaro a questo punto che la “civiltà dell'amore” è strettamente collegata con la famiglia. Per molti la civiltà dell'amore costituisce ancora una pura utopia. Si pensa infatti che l'amore non possa essere preteso da nessuno e che a nessuno possa essere imposto: sarebbe una libera scelta che gli uomini possono accettare o respingere.
C'è del vero in tutto questo. E tuttavia resta il fatto che Gesù Cristo ci ha lasciato il comandamento dell'amore, così come Dio sul monte Sinai aveva ordinato: “Onora tuo padre e tua madre”. L'amore dunque non è un'utopia: è dato all'uomo come compito da attuare con l'aiuto della grazia divina. È affidato all'uomo e alla donna, nel sacramento del matrimonio, come principio fontale del loro “dovere” e diventa per essi il fondamento del reciproco impegno: di quello coniugale prima, di quello paterno e materno poi. Nella celebrazione del sacramento, i coniugi si donano e si ricevono reciprocamente, dichiarando la loro disponibilità ad accogliere e ad educare i figli. Qui stanno i cardini della civiltà umana, la quale non può essere definita diversamente che come “civiltà dell'amore”. Di tale amore la famiglia è espressione e sorgente. Per essa passa la principale corrente della civiltà dell'amore, che in essa trova le sue “basi sociali”.
Lettera alle Famiglie 15,5
 
Famiglia chiesa domestica
I Padri della Chiesa, nel corso della tradizione cristiana, hanno parlato della famiglia come di “chiesa domestica”, di “piccola chiesa”. Si riferivano così alla civiltà dell'amore come ad un possibile sistema di vita e di convivenza umana. “Essere insieme” come famiglia, essere gli uni per gli altri, creare uno spazio comunitario per l'affermazione di ogni uomo come tale, per l'affermazione di “questo” uomo in concreto. A volte si tratta di persone con handicaps fisici o psichici, delle quali la società cosiddetta “progressista” preferisce liberarsi. Anche la famiglia può diventare simile ad una tale società. Lo diviene di fatto quando sbrigativamente si sbarazza di chi è anziano o affetto da malformazioni o colpito da malattie. Si agisce così perché vien meno la fede in quel Dio per il quale “tutti vivono” (Lc 20,38) e tutti sono chiamati alla pienezza della Vita. Sì, la civiltà dell'amore è possibile, non è un'utopia. È possibile, però, soltanto grazie ad un costante e vivo riferimento a “Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale proviene ogni paternità 1 nel mondo” (cfr Ef 3,14-15), dal quale proviene ogni famiglia umana.
Lettera alle Famiglie 15,6
 
Famiglia, comunione di persone
Nel matrimonio e nella famiglia si costituisce un complesso di relazioni interpersonali - nuzialità, paternità-maternità, filiazione, fraternità -, mediante le quali ogni persona umana è introdotta nella «famiglia umana» e nella «famiglia di Dio», che è la Chiesa. Il matrimonio e la famiglia cristiani edificano la Chiesa: nella famiglia, infatti, la persona umana non solo viene generata e progressivamente introdotta, mediante l'educazione, nella comunità umana, ma mediante la rigenerazione del battesimo e l'educazione alla fede, essa viene introdotta anche nella famiglia di Dio, che è la Chiesa. La famiglia umana, disgregata dal peccato, è ricostituita nella sua unità dalla forza redentrice della morte e risurrezione di Cristo (cfr. «Gaudium et Spes», 78). Il matrimonio cristiano, partecipe dell'efficacia salvifica di questo avvenimento, costituisce il luogo naturale nel quale si compie l'inserimento della persona umana nella grande famiglia della Chiesa. Il mandato di crescere e moltiplicarsi, rivolto in principio all'uomo e alla donna, raggiunge in questo modo la sua intera verità e la sua piena realizzazione. La Chiesa trova così nella famiglia, nata dal sacramento, la sua culla e il luogo nel quale essa può attuare il proprio inserimento nelle generazioni umane, e queste, reciprocamente, nella Chiesa.
& Familiaris Consortio, 15
 
Famiglia: comunità di persone
Quando insieme con l'Apostolo pieghiamo le ginocchia davanti al Padre dal quale ogni paternità e maternità trae nome (cfr Ef 3,14-15), prendiamo coscienza che l'essere genitori è l'evento mediante il quale la famiglia, già costituita col patto del matrimonio, si attua “in senso più pieno e specifico”. La maternità implica necessariamente la paternità e, reciprocamente, la paternità implica necessariamente la maternità: è il frutto della dualità, elargita dal Creatore all'essere umano “dal principio”. Ho fatto riferimento a due concetti tra loro affini, ma non identici: il concetto di “comunione” e quello di “comunità”. La “comunione” riguarda la relazione personale tra l'“io” e il “tu”. La “comunità” invece supera questo schema nella direzione di una “società”, di un “noi”. La famiglia, comunità di persone, è pertanto la prima “società” umana. Essa sorge allorquando si attua il patto del matrimonio, che apre i coniugi ad una perenne comunione di amore e di vita e si completa pienamente e in modo specifico con la generazione dei figli: la “comunione” dei coniugi dà inizio alla “comunità” familiare. La “comunità” familiare è pervasa fino in fondo da ciò che costituisce l'essenza propria della “comunione”. Ci può essere, sul piano umano, un'altra “comunione” paragonabile a quella che viene a stabilirsi tra la madre e il figlio, da lei prima portato in grembo e poi dato alla luce? Nella famiglia così costituita si manifesta una nuova unità, nella quale trova pieno compimento il rapporto “di comunione” dei genitori. L'esperienza insegna che tale compimento rappresenta pure un compito e una sfida. Il compito coinvolge i coniugi, in attuazione del loro patto originario. I figli da loro generati dovrebbero — qui sta la sfida — consolidare tale patto, arricchendo ed approfondendo la comunione coniugale del padre e della madre. Quando ciò non avviene, occorre domandarsi se l'egoismo, che a causa dell'inclinazione umana al male si nasconde anche nell'amore dell'uomo e della donna, non sia più forte di quest'amore. Bisogna che i coniugi se ne rendano ben conto. Occorre che, sin dall'inizio, essi abbiano i cuori e i pensieri rivolti verso quel Dio “dal quale ogni paternità prende nome”, affinché la loro paternità e maternità attingano a quella fonte la forza di rinnovarsi continuamente nell'amore.
Lettera alle Famiglie 7,2
 
Famiglia cristiana comunità al servizio dell'uomo
La Chiesa, popolo profetico-sacerdotale-regale, ha la missione di portare tutti gli uomini ad accogliere nella fede la Parola di Dio, e celebrarla e professarla nei sacramenti e nella preghiera, ed infine a manifestarla nella concretezza della vita secondo il dono e il comandamento nuovo dell'amore. La vita cristiana trova la sua legge non in un codice scritto, ma nell'azione personale dello Spirito Santo che anima e guida il cristiano, cioè nella «legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8,2): «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Ibid. 5,5). Ciò ha valore anche per la coppia e per la famiglia cristiana: loro guida e norma è lo Spirito di Gesù, diffuso nei cuori con la celebrazione del sacramento del matrimonio. In continuità col battesimo nell'acqua e nello Spirito il matrimonio ripropone la legge evangelica dell'amore e col dono dello Spirito la incide più a fondo nel cuore dei coniugi cristiani: il loro amore, purificato e salvato, è frutto dello Spirito, che agisce nel cuore dei credenti, e si pone, nello stesso tempo, come il comandamento fondamentale della vita morale richiesta alla loro libertà responsabile. La famiglia cristiana viene così animata e guidata con la legge nuova dello Spirito ed in intima comunione con la Chiesa, popolo regale, è chiamata a vivere il suo «servizio» d'amore a Dio e ai fratelli. Come Cristo esercita la sua potestà regale ponendosi al servizio degli uomini (Mc 10,45), così il cristiano trova il senso autentico della sua partecipazione alla regalità del suo Signore nel condividerne lo spirito e il comportamento di servizio nei confronti dell'uomo: «Questa potestà Egli (Cristo) l'ha comunicata ai discepoli, perché anch'essi siano costituiti nella libertà regale e con l'abnegazione di sé e la vita santa vincano in se stessi il regno del peccato (cfr. Rm 6,12), anzi, servendo a Cristo anche negli altri, con umiltà e pazienza conducano i loro fratelli al Re, servire al quale è regnare. Il Signore infatti desidera dilatare il suo regno anche per mezzo dei fedeli laici, il regno cioè "della verità e della vita, il regno della santità e della grazia, il regno della giustizia, dell'amore e della pace"; e in questo regno anche le stesse creature saranno liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio (cfr. Rm 8,21)» («Lumen Gentium», 36).
& Familiaris Consortio, 63
 
Famiglia cristiana e l’accoglienza
Animata e sostenuta dal comandamento nuovo dell'amore, la famiglia cristiana vive l'accoglienza, il rispetto, il servizio verso ogni uomo, considerato sempre nella sua dignità di persona e di figlio di Dio. Ciò deve avvenire, anzitutto, all'interno e a favore della coppia e della famiglia, mediante il quotidiano impegno a promuovere un'autentica comunità di persone, fondata e alimentata dall'interiore comunione di amore. Ciò deve poi svilupparsi entro la più vasta cerchia della comunità ecclesiale, entro cui la famiglia cristiana è inserita: grazie alla carità della famiglia, la Chiesa può e deve assumere una dimensione più domestica, cioè più familiare, adottando uno stile più umano e fraterno di rapporti. La carità va oltre i propri fratelli di fede, perché «ogni uomo è mio fratello»; in ciascuno, soprattutto se povero, debole, sofferente e ingiustamente trattato, la carità sa scoprire il volto di Cristo e un fratello da amare e da servire. Perché il servizio dell'uomo sia vissuto dalla famiglia secondo lo stile evangelico, occorrerà attuare con premura quanto scrive il Concilio Vaticano II: «Affinché tale esercizio di carità possa essere al di sopra di ogni sospetto e manifestarsi tale, si consideri nel prossimo l'immagine di Dio secondo cui è stato creato, e Cristo Signore al quale veramente è donato quanto si dà al bisognoso» («Apostolicam Actuositatem», 8)
La famiglia cristiana, mentre nella carità edifica la Chiesa, si pone al servizio dell'uomo e del mondo, attuando veramente quella «promozione umana», il cui contenuto è stato sintetizzato nel Messaggio del Sinodo alle famiglie: «Un altro compito della famiglia è quello di formare gli uomini all'amore e di praticare l'amore in ogni rapporto con gli altri, cosicché essa non si chiuda in se stessa, bensì rimanga aperta alla comunità, essendo mossa dal senso della giustizia e dalla sollecitudine verso gli altri, nonché dal dovere della propria responsabilità verso la società intera» (Messaggio del VI Sinodo dei Vescovi alle Famiglie cristiane nel mondo contemporaneo, 12 [24 Ottobre 1980]).
& Familiaris Consortio, 64
 
Famiglia cristiana comunità credente
Partecipe della vita e della missione della Chiesa, la quale sta in religioso ascolto della Parola di Dio e la proclama con ferma fiducia (cfr. «Dei Verbum», 1), la famiglia cristiana vive il suo compito profetico accogliendo e annunciando la Parola di Dio: diventa così, ogni giorno di più, comunità credente ed evangelizzante. Anche agli sposi e ai genitori cristiani è chiesta l'obbedienza della fede (cfr. Rm 16,26): sono chiamati ad accogliere la Parola del Signore, che ad essi rivela la stupenda novità - la Buona Novella - della loro vita coniugale e familiare, resa da Cristo santa e santificante. Infatti, soltanto nella fede essi possono scoprire e ammirare in gioiosa gratitudine a quale dignità Dio abbia voluto elevare il matrimonio e la famiglia, costituendoli segno e luogo dell'alleanza d'amore tra Dio e gli uomini, tra Gesù Cristo e la Chiesa sua sposa. Già la stessa preparazione al matrimonio cristiano si qualifica come itinerario di fede: si pone, infatti, come privilegiata occasione perché i fidanzati riscoprano e approfondiscano la fede ricevuta col Battesimo e nutrita con l'educazione cristiana. In tal modo riconoscono e liberamente accolgono la vocazione a vivere la sequela di Cristo e il servizio del Regno di Dio nello stato matrimoniale. Il momento fondamentale della fede degli sposi è dato dalla celebrazione del sacramento del matrimonio, che nella sua profonda natura è la proclamazione, nella Chiesa, della Buona Novella sull'amore coniugale: esso è Parola di Dio che «rivela» e «compie» il progetto sapiente e amoroso che Dio ha sugli sposi, introdotti nella misteriosa e reale partecipazione all'amore stesso di Dio per l'umanità. Se in se stessa la celebrazione sacramentale del matrimonio è proclamazione della Parola di Dio, in quanti sono a vario titolo protagonisti e celebranti deve essere una «professione di fede» fatta entro e con la Chiesa, comunità di credenti. Se in se stessa la celebrazione sacramentale del matrimonio è proclamazione della Parola di Dio, in quanti sono a vario titolo protagonisti e celebranti deve essere una «professione di fede» fatta entro e con la Chiesa, comunità di credenti. Questa professione di fede richiede di essere prolungata nel corso della vita vissuta degli sposi e della famiglia: Dio, infatti, che ha chiamato gli sposi «al» matrimonio, continua a chiamarli «nel» matrimonio (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 25). Dentro e attraverso i fatti, i problemi, le difficoltà, gli avvenimenti dell'esistenza di tutti i giorni, Dio viene ad essi rivelando e proponendo le «esigenze» concrete della loro partecipazione all'amore di Cristo per la Chiesa in rapporto alla particolare situazione - familiare, sociale ed ecclesiale - nella quale si trovano. La scoperta e l'obbedienza al disegno di Dio devono farsi «insieme» dalla comunità coniugale e familiare, attraverso la stessa esperienza umana dell'amore vissuto nello Spirito di Cristo tra gli sposi, tra i genitori e i figli. Per questo, come la grande Chiesa, così anche la piccola Chiesa domestica ha bisogno di essere continuamente e intensamente evangelizzata: da qui il suo dovere di educazione permanente nella fede.
& Familiaris Consortio, 51
 
Famiglia cristiana comunità evangelizzante
Nella misura in cui la famiglia cristiana accoglie il Vangelo e matura nella fede diventa comunità evangelizzante. Riascoltiamo Paolo VI: «La famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell'intimo di una famiglia cosciente di questa missione tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell'ambiente nel quale è inserita» («Evangelii Nuntiandi», 71). Questa missione apostolica della famiglia è radicata nel battesimo e riceve dalla grazia sacramentale del matrimonio una nuova forza per trasmettere la fede. per santificare e trasformare l'attuale società secondo il disegno di Dio. La famiglia cristiana, soprattutto oggi, ha una speciale vocazione ad essere testimone dell'alleanza pasquale di Cristo, mediante la costante irradiazione della gioia dell'amore e della sicurezza della speranza, della quale deve rendere ragione: «La famiglia cristiana proclama ad alta voce e le virtù presenti del Regno di Dio e la speranza della vita beata» («Lumen Gentium», 35). L'assoluta necessità della catechesi familiare emerge con singolare forza in determinate situazioni, che la Chiesa purtroppo registra in diversi luoghi: «Laddove una legislazione antireligiosa pretende persino di impedire l'educazione alla fede, laddove una diffusa miscredenza o un invadente secolarismo rendono praticamente impossibile una vera crescita religiosa, questa che si potrebbe chiamare "Chiesa domestica" resta l'unico ambiente, in cui fanciulli e giovani possono ricevere una autentica catechesi» («Catechesi Tradendae», 68).
& Familiaris Consortio, 52
 
Famiglia cristiana edifica il Regno di Dio nella storia
La famiglia cristiana, poi, edifica il Regno di Dio nella storia mediante quelle stesse realtà quotidiane che riguardano e contraddistinguono la sua condizione di vita; è allora nell'amore coniugale e familiare - vissuto nella sua straordinaria ricchezza di valori ed esigenze di totalità, unicità, fedeltà e fecondità (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 9) - che si esprime e si realizza la partecipazione della famiglia cristiana alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù Cristo e della sua Chiesa: l'amore e la vita costituiscono pertanto il nucleo della missione salvifica della famiglia cristiana nella Chiesa e per la Chiesa.
Lo ricorda il Concilio Vaticano II quando scrive: «La famiglia metterà con generosità in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Perciò la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione del patto di amore del Cristo e della Chiesa, renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore del mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi che con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri» («Gaudium et Spes», 48) Posto così il fondamento della partecipazione della famiglia cristiana alla missione ecclesiale, è ora da illustrare il suo contenuto nel triplice e unitario riferimento a Gesù Cristo Profeta, Sacerdote e Re, presentando perciò la famiglia cristiana come 1) comunità credente ed evangelizzante, 2) comunità in dialogo con Dio, 3) comunità al servizio dell'uomo.
& Familiaris Consortio, 50,2
 
Famiglia cristiana, Chiesa e pastorale
Come ogni realtà vivente, anche la famiglia è chiamata a svilupparsi e a crescere. Dopo la preparazione del fidanzamento e la celebrazione sacramentale del matrimonio, la coppia inizia il cammino quotidiano verso la progressiva attuazione dei valori e dei doveri del matrimonio stesso. Alla luce della fede e in virtù della speranza, anche la famiglia cristiana partecipa, in comunione con la Chiesa, all'esperienza del pellegrinaggio terreno verso la piena rivelazione e realizzazione del Regno di Dio. Perciò è da sottolineare una volta di più l'urgenza dell'intervento pastorale della Chiesa a sostegno della famiglia. Bisogna fare ogni sforzo perché la pastorale della famiglia si affermi e si sviluppi, dedicandosi a un settore veramente prioritario, con la certezza che l'evangelizzazione, in futuro, dipende in gran parte dalla Chiesa domestica. La sollecitudine pastorale della Chiesa non si limiterà soltanto alle famiglie cristiane più vicine, ma, allargando i propri orizzonti sulla misura del Cuore di Cristo, si mostrerà ancor più viva per l'insieme delle famiglie in genere, e per quelle, in particolare, che si trovano in situazioni difficili o irregolari. Per tutte la Chiesa avrà una parola di verità, di bontà, di comprensione, di speranza, di viva partecipazione alle loro difficoltà a volte drammatiche; a tutte offrirà il suo aiuto disinteressato affinché possano avvicinarsi al modello di famiglia, che il Creatore ha voluto fin dal «principio» e che Cristo ha rinnovato con la sua grazia redentrice. L'azione pastorale della Chiesa deve essere progressiva, anche nel senso che deve seguire la famiglia, accompagnandola passo a passo nelle diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo.
& Familiaris Consortio, 65
 
Famiglia e anziani
Ci sono culture che manifestano una singolare venerazione ed un grande amore per l'anziano: lungi dall'essere estromesso dalla famiglia o dall'essere sopportato come un peso inutile, l'anziano ridervi parte attiva e responsabile - pur dovendo rispettare l'autonomia della nuova famiglia - e soprattutto svolge la preziosa missione di testimone del passato e di ispiratore di saggezza per i giovani e per l'avvenire.
Altre culture, invece, specialmente in seguito ad un disordinato sviluppo industriale ed urbanistico, hanno condotto e continuano a condurre gli anziani a forme inaccettabili di emarginazione, che sono fonte ad un tempo di acute sofferenze per loro stessi e di impoverimento spirituale per tante famiglie. E' necessario che l'azione pastorale della Chiesa stimoli tutti a scoprire e a valorizzare i compiti degli anziani nella comunità civile ed ecclesiale, e in particolare nella famiglia. In realtà, «la vita degli anziani ci aiuta a far luce sulla scala dei valori umani; fa vedere la continuità delle generazioni e meravigliosamente dimostra l'interdipendenza del Popolo di Dio. Gli anziani inoltre hanno il carisma di oltrepassare le barriere fra le generazioni, prima che queste insorgano. Quanti bambini hanno trovato comprensione e amore negli occhi, nelle parole e nelle carezze degli anziani! E quante persone anziane hanno volentieri sottoscritto le ispirate parole bibliche che «corona dei vecchi sono i figli dei figli» (Pr 17,6) (Giovanni Paolo PP. II Discorso ai partecipanti all'«International Forum on Active Aging» 5 [5 Settembre 1980]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 539).
& Familiaris Consortio, 27
 
Famiglia e Chiesa
E’ importante riscoprire le testimonianze dell'amore e della sollecitudine della Chiesa per la famiglia: amore e sollecitudine espressi fin dagli inizi del cristianesimo, quando la famiglia veniva significativamente considerata come “chiesa domestica”. Ai nostri tempi ritorniamo spesso all'espressione “chiesa domestica”, che il Concilio ha fatto sua e il cui contenuto desideriamo che rimanga sempre vivo ed attuale. Questo desiderio non viene meno per la consapevolezza delle mutate condizioni delle famiglie nel mondo di oggi. Proprio per questo è più che mai significativo il titolo che il Concilio ha scelto, nella Costituzione pastorale Gaudium et spes, per indicare i compiti della Chiesa nella situazione attuale: “Dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione”. Altro punto importante di riferimento dopo il Concilio è l'Esortazione apostolica Familiaris consortio del 1981. In questo testo si affronta una vasta e complessa esperienza che riguarda la famiglia, la quale, tra popoli e Paesi diversi, rimane sempre e dappertutto “la via della Chiesa”. In certo senso lo diventa ancora di più proprio là dove la famiglia soffre crisi interne, o è sottoposta ad influenze culturali, sociali ed economiche dannose, che ne minano l'interiore compattezza, quando non ne ostacolano lo stesso formarsi.
Lettera alle Famiglie 3
 
Famiglia e compito politico
Il compito sociale delle famiglie è chiamato ad esprimersi anche in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere «protagoniste» della cosiddetta «politica familiare» ed assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza. L'appello del Concilio Vaticano II a superare l'etica individualistica ha perciò valore anche per la famiglia come tale (cfr. «Gaudium et Spes», 30).
& Familiaris Consortio, 44,2
 
Famiglia e compito sociale
Il compito sociale della famiglia non può certo fermarsi all'opera procreativa ed educativa, anche se trova in essa la sua prima ed insostituibile forma di espressione. Le famiglie, sia singole che associate, possono e devono pertanto dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, e comunque di tutte quelle persone e situazioni che l'organizzazione previdenziale ed assistenziale delle pubbliche autorità non riesce a raggiungere.
Il contributo sociale della famiglia ha una sua originalità, che domanda di essere meglio conosciuta e più decisamente favorita, soprattutto man mano che i figli crescono, coinvolgendo di fatto il più possibile tutti i membri (cfr. «Apostolicam Actuositatem», 11).
In particolare è da rilevare l'importanza sempre più grande che nella nostra società assume l'ospitalità, in tutte le sue forme, dall'aprire la porta della propria casa e ancor più del proprio cuore alle richieste dei fratelli, all'impegno concreto di assicurare ad ogni famiglia la sua casa, come ambiente naturale che la conserva e la fa crescere. Soprattutto la famiglia cristiana è chiamata ad ascoltare la raccomandazione dell'apostolo: «Siate... premurosi nell'ospitalità» (Rm 12,13), e quindi ad attuare, imitando l'esempio e condividendo la carità di Cristo, l'accoglienza del fratello bisognoso: «Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa» (Mt 10,42).
& Familiaris Consortio, 44
 
Famiglia e Nazione
La Carta dei Diritti della Famiglia, partendo dai citati principi morali, consolida l'esistenza dell'istituto familiare nell'ordine sociale e giuridico della “grande” società: della Nazione, dello Stato e delle Comunità internazionali. Ognuna di queste “grandi” società è condizionata almeno indirettamente dall'esistenza della famiglia; per questo la definizione dei compiti e doveri della “grande” società nei confronti della famiglia è questione estremamente importante ed essenziale. Al primo posto sta il legame quasi organico che si instaura tra la famiglia e la Nazione. Naturalmente, non in ogni caso si può parlare di Nazione in senso proprio. Esistono comunque gruppi etnici che, pur non potendosi considerare vere Nazioni, adempiono però in una certa misura alla funzione di “grande” società. Tanto nell'una quanto nell'altra ipotesi, il legame della famiglia col gruppo etnico o con la Nazione si basa innanzitutto sulla partecipazione alla cultura. I genitori generano i figli, in un certo senso, anche per la Nazione, perché ne siano membri e partecipino del suo patrimonio storico e culturale. Sin dall'inizio l'identità della famiglia si delinea in certa misura sulla base di quella della Nazione a cui appartiene.
La famiglia, partecipando al patrimonio culturale della nazione, contribuisce a quella specifica sovranità, che scaturisce dalla propria cultura e lingua.….Per mezzo della cultura e della lingua, non soltanto la Nazione, ma ogni famiglia ritrova la sua sovranità spirituale. Diversamente sarebbe difficile spiegare molti eventi della storia dei popoli, specialmente europei; eventi antichi e moderni, esaltanti e dolorosi, di vittorie e di sconfitte, dai quali emerge quanto la famiglia sia organicamente unita alla Nazione, e la Nazione alla famiglia.
Lettera alle Famiglie 17,3
 
Famiglia e Organizzazioni Internazionali
Non è pertanto esagerato ribadire che la vita delle Nazioni, degli Stati, delle Organizzazioni internazionali “passa” attraverso la famiglia e “si fonda” sul quarto comandamento del Decalogo. L'epoca in cui viviamo, nonostante le molteplici Dichiarazioni di tipo giuridico che sono state elaborate, resta minacciata in notevole misura dalla “alienazione”, quale frutto delle premesse “illuministiche” secondo le quali l'uomo è “più” uomo se è “soltanto” uomo. Non è difficile avvertire come l'alienazione da tutto ciò che in vario modo appartiene alla piena ricchezza dell'uomo insidi la nostra epoca. E questo chiama in causa la famiglia. Infatti, l'affermazione della persona è in grande misura rapportata alla famiglia e, conseguentemente, al quarto comandamento. Nel disegno di Dio la famiglia è la prima scuola dell'essere uomo sotto i vari aspetti. Sii uomo! È questo l'imperativo che in essa si trasmette: uomo come figlio della patria, come cittadino dello Stato, e, si direbbe oggi, come cittadino del mondo. Colui che ha consegnato all'umanità il quarto comandamento è un Dio “benevolo” verso l'uomo (filanthropos, dicevano i greci). Il Creatore dell'universo è il Dio dell'amore e della vita. Egli vuole che l'uomo abbia la vita e l'abbia in abbondanza, come proclama Cristo (cfr Gv 10,10): che abbia la vita prima di tutto grazie alla famiglia.
Lettera alle Famiglie 15,4
 
Famiglia  e nuovo ordine internazionale
Di fronte alla dimensione mondiale che oggi caratterizza i vari problemi sociali, la famiglia vede allargarsi in modo del tutto nuovo il suo compito verso lo sviluppo della società: si tratta di cooperare anche ad un nuovo ordine internazionale, perché solo nella solidarietà mondiale si possono affrontare e risolvere gli enormi e drammatici problemi della giustizia nel mondo, della libertà dei popoli, della pace dell'umanità. La comunione spirituale delle famiglie cristiane, radicate nella fede e speranza comuni e vivificate dalla carità, costituisce un'interiore energia che origina, diffonde e sviluppa giustizia, riconciliazione, fraternità e pace tra gli uomini. In quanto «piccola Chiesa», la famiglia cristiana è chiamata, a somiglianza della «grande Chiesa», ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il Regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino. Le famiglie cristiane potranno far questo sia mediante la loro opera educativa, offrendo cioè ai figli un modello di vita fondato sui valori della verità, della libertà, della giustizia e dell'amore, sia con un attivo e responsabile impegno per la crescita autenticamente umana della società e delle sue istituzioni, sia col sostenere in vario modo le associazioni specificamente dedicate ai problemi dell'ordine internazionale.
& Familiaris Consortio, 48
 
Famiglia e responsabilità nella missione della chiesa
La famiglia cristiana è chiamata a prendere parte viva e responsabile alla missione della Chiesa in modo proprio e originale, ponendo cioè al servizio della Chiesa e della società se stessa nel suo essere ed agire, in quanto intima comunità di vita e di amore. Se la famiglia cristiana è comunità, i cui vincoli sono rinnovati da Cristo mediante la fede e i sacramenti, la sua partecipazione alla missione della Chiesa deve avvenire secondo una modalità comunitaria: insieme, dunque, i coniugi in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo. Devono essere nella fede «un cuore solo e un'anima sola» (cfr. At 4,32), mediante il comune spirito apostolico che li anima e la collaborazione che li impegna nelle opere di servizio alla comunità ecclesiale e civile.
& Familiaris Consortio, 50
 
Famiglia e società
La famiglia è una comunità di persone, la più piccola cellula sociale, e come tale è un'istituzione fondamentale per la vita di ogni società. Che cosa attende la famiglia come istituzione dalla società? Prima di tutto di essere riconosciuta nella sua identità e accettata nella sua soggettività sociale. Questa soggettività è legata all'identità propria del matrimonio e della famiglia. Il matrimonio, che sta alla base dell'istituzione familiare, è costituito dal patto con cui “l'uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole”. Solo una tale unione può essere riconosciuta e confermata come “matrimonio” nella società. Non lo possono invece le altre unioni interpersonali che non rispondono alle condizioni sopra ricordate, anche se oggi si diffondono, proprio su tale punto, tendenze assai pericolose per il futuro della famiglia e della stessa società. Nessuna società umana può correre il rischio del permissivismo in questioni di fondo concernenti l'essenza del matrimonio e della famiglia! Un simile permissivismo morale non può che recar danno alle autentiche esigenze della pace e della comunione fra gli uomini. Si comprende così perché la Chiesa difende con forza l'identità della famiglia e stimola le istituzioni competenti, specialmente i responsabili della politica, come pure le Organizzazioni internazionali, a non cedere alla tentazione di un'apparente e falsa modernità.
Lettera alle Famiglie 17
 
Famiglia e Stato
Nei confronti dello Stato, il legame della famiglia è in parte simile e in parte diverso. Lo Stato, infatti, si distingue dalla Nazione per la sua struttura meno “familiare”, organizzato com'è secondo un sistema politico ed in forma più “burocratica”. Nondimeno anche il sistema statale possiede, in certo senso, una sua “anima”, nella misura in cui risponde alla sua natura di “comunità politica” giuridicamente ordinata in funzione del bene comune. Con quest'“anima” è strettamente connessa la famiglia, legata allo Stato proprio in forza del principio di sussidiarietà. La famiglia, infatti, è realtà sociale che non dispone di ogni mezzo necessario per realizzare i propri fini, anche nel campo dell'istruzione e dell'educazione. Lo Stato è chiamato allora ad intervenire secondo il menzionato principio: là dove è autosufficiente, la famiglia va lasciata operare autonomamente; una eccessiva invadenza dello Stato risulterebbe dannosa, oltre che irrispettosa, costituendo una palese violazione dei diritti della famiglia; soltanto là dove essa non basta realmente a se stessa, lo Stato ha facoltà e dovere di intervenire.
Oltre l'ambito dell'educazione e dell'istruzione ad ogni livello, l'aiuto statale, che comunque non deve escludere le iniziative dei privati, si esprime, ad esempio, nelle istituzioni che mirano a salvaguardare la vita e la salute dei cittadini, e, in modo particolare, nelle misure previdenziali che riguardano il mondo del lavoro. La disoccupazione costituisce, ai nostri giorni, una delle più serie minacce alla vita familiare e preoccupa giustamente tutte le società. Essa rappresenta una sfida per la politica dei singoli Stati ed un oggetto di attenta riflessione per la dottrina sociale della Chiesa. Quanto mai indispensabile ed urgente è, pertanto, porvi rimedio con coraggiose soluzioni, che sappiano guardare, anche oltre i confini nazionali, alle tante famiglie per le quali la mancanza di lavoro si traduce in una situazione di drammatica miseria.
Lettera alle Famiglie 17,4
 
Famiglia: esperienza di comunione e di partecipazione
La stessa esperienza di comunione e di partecipazione, che deve caratterizzare la vita quotidiana della famiglia, rappresenta il suo primo e fondamentale contributo alla società. Le relazioni tra i membri della comunità familiare sono ispirate e guidate dalla legge della «gratuità» che, rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda. Così la promozione di un'autentica e matura comunione di persone nella famiglia diventa prima e insostituibile scuola di socialità, esempio e stimolo per i più ampi rapporti comunitari all'insegna del rispetto, della giustizia, del dialogo, dell'amore. In tal modo, come hanno ricordato i Padri Sinodali, la famiglia costituisce il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e di personalizzazione della società: essa collabora in un modo originale e profondo alla costruzione del mondo, rendendo possibile una vita propriamente umana, in particolare custodendo e trasmettendo le virtù e i «valori». Come scrive il Concilio Vaticano II, nella famiglia «le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e a comporre i diritti delle persone con le altre esigenze della vita sociale («Gaudium et Spes», 52)
Di conseguenza, di fronte ad una società che rischia di essere sempre più spersonalizzata e massificata, e quindi disumana e disumanizzante, con le risultanze negative di tante forme di «evasione» - come sono, ad esempio, l'alcoolismo, la droga e lo stesso terrorismo -, la famiglia possiede e sprigiona ancora oggi energie formidabili capaci di strappare l'uomo dall'anonimato, di mantenerlo cosciente della sua dignità personale, di arricchirlo di profonda umanità e di inserirlo, attivamente con la sua unicità e irripetibilità nel tessuto della società.
& Familiaris Consortio, 43
 
Famiglia grande mistero di Dio
La famiglia stessa è il grande mistero di Dio. Come “chiesa domestica”, essa è la sposa di Cristo. La Chiesa universale, e in essa ogni Chiesa particolare, si rivela più immediatamente come sposa di Cristo nella “chiesa domestica” e nell'amore in essa vissuto: amore coniugale, amore paterno e materno, amore fraterno, amore di una comunità di persone e di generazioni. L'amore umano è forse pensabile senza lo Sposo e senza l'amore con cui Egli amò per primo sino alla fine? Solo se prendono parte a tale amore e a tale “grande mistero”, gli sposi possono amare “fino alla fine”: o di esso diventano partecipi, oppure non conoscono fino in fondo che cosa sia l'amore e quanto radicali ne siano le esigenze. Questo indubbiamente costituisce per essi un grave pericolo. L'insegnamento della Lettera agli Efesini stupisce per la sua profondità e per la sua forza etica. Indicando il matrimonio, ed indirettamente la famiglia, come il “grande mistero” in riferimento a Cristo e alla Chiesa, l'apostolo Paolo può ribadire ancora una volta quanto aveva detto in precedenza ai mariti: “Ciascuno, da parte sua, ami la propria moglie come se stesso”. Aggiunge poi: “E la donna sia rispettosa verso il marito” (Ef 5,33). Rispettosa, perché ama e sa di essere riamata.
Lettera alle Famiglie 19,2
 
Famiglia nel mistero della Chiesa
Tra i compiti fondamentali della famiglia cristiana si pone il compito ecclesiale: essa, cioè, è posta al servizio dell'edificazione del Regno di Dio nella storia, mediante la partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa. Per meglio comprendere i fondamenti, i contenuti e le caratteristiche di tale partecipazione, occorre approfondire i molteplici e profondi vincoli che legano tra loro la Chiesa e la famiglia cristiana, e costituiscono quest'ultima come «una Chiesa in miniatura» facendo sì che questa, a suo modo, sia viva immagine e storica ripresentazione del mistero stesso della Chiesa. E' anzitutto la Chiesa Madre che genera, educa, edifica la famiglia cristiana, mettendo in opera nei suoi riguardi la missione di salvezza che ha ricevuto dal suo Signore. Con l'annuncio della Parola di Dio, la Chiesa rivela alla famiglia cristiana la sua vera identità, ciò che essa è e deve essere secondo il disegno del Signore; con la celebrazione dei sacramenti, la Chiesa arricchisce e corrobora la famiglia cristiana con la grazia di Cristo in ordine alla sua santificazione per la gloria del Padre; con la rinnovata proclamazione del comandamento nuovo della carità, la Chiesa anima e guida la famiglia cristiana al servizio dell'amore, affinché imiti e riviva lo stesso amore di donazione e di sacrificio, che il Signore Gesù nutre per l'umanità intera. A sua volta la famiglia cristiana è inserita a tal punto nel mistero della Chiesa da diventare partecipe, a suo modo, della missione di salvezza propria di questa: i coniugi e i genitori cristiani, in virtù del sacramento, «hanno nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio» («Lumen Gentium», 11). Perciò non solo «ricevono» l'amore di Cristo diventando comunità «salvata», ma sono anche chiamati a «trasmettere» ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità «salvante». In tal modo, mentre è frutto e segno della fecondità soprannaturale della Chiesa, la famiglia cristiana è resa simbolo, testimonianza, partecipazione della maternità della Chiesa (cfr. ibid. 41).
& Familiaris Consortio, 49
 
Famiglia prima e vitale cellula della società
«Poiché il Creatore di tutte le cose ha costituito il matrimonio quale principio e fondamento dell'umana società», la famiglia e divenuta la «prima e vitale cellula della società» («Apostolicam Actuositatem», 11). La famiglia possiede vincoli vitali e organici con la società, perché ne costituisce il fondamento e l'alimento continuo mediante il suo compito di servizio alla vita: dalla famiglia infatti nascono i cittadini e nella famiglia essi trovano la prima scuola di quelle virtù sociali, che sono l'anima della vita e dello sviluppo della società stessa.
Così in forza della sua natura e vocazione, lungi dal rinchiudersi in se stessa, la famiglia si apre alle altre famiglie e alla società, assumendo il suo compito sociale.
& Familiaris Consortio, 42
 
Famiglia: santuario domestico della Chiesa
L'annuncio del Vangelo e la sua accoglienza nella fede raggiungono la loro pienezza nella celebrazione sacramentale. La Chiesa, comunità credente ed evangelizzante, e anche popolo sacerdotale, rivestito cioè della dignità e partecipe della potestà di Cristo Sacerdote Sommo della Nuova ed Eterna Alleanza. (cfr. «Lumen Gentium», 10). Anche la famiglia cristiana è inserita nella Chiesa, popolo sacerdotale: mediante il sacramento del matrimonio, nel quale è radicata e da cui trae alimento, essa viene continuamente vivificata dal Signore Gesù, e da Lui chiamata e impegnata al dialogo con Dio mediante la vita sacramentale, l'offerta della propria esistenza e la preghiera.
E' questo il compito sacerdotale che la famiglia cristiana può e deve esercitare in intima comunione con tutta la Chiesa, attraverso le realtà quotidiane della vita coniugale e familiare: in tal modo la famiglia cristiana è chiamata a santificarsi ed a santificare la comunità ecclesiale e il mondo.
& Familiaris Consortio, 55
 
Famiglia società primordiale
Occorre davvero fare ogni sforzo, perché la famiglia sia riconosciuta come società primordiale e, in un certo senso, “sovrana”! La sua “sovranità” è indispensabile per il bene della società. Una Nazione veramente sovrana e spiritualmente forte è sempre composta di famiglie forti, consapevoli della loro vocazione e della loro missione nella storia. La famiglia sta al centro di tutti questi problemi e compiti: relegarla ad un ruolo subalterno e secondario, escludendola dalla posizione che le spetta nella società, significa recare un grave danno all'autentica crescita dell'intero corpo sociale.
Lettera alle Famiglie 17,6
 
Famiglia: soggetto comunitario
La famiglia realizza, innanzitutto, il bene dell'“essere insieme”, bene per eccellenza del matrimonio (di qui la sua indissolubilità) e della comunità familiare. Lo si potrebbe definire, inoltre, come bene della soggettività. La persona è infatti un soggetto e tale è pure la famiglia, perché formata da persone le quali, strette da un profondo vincolo di comunione, formano un unico soggetto comunitario. Anzi, la famiglia è soggetto più di ogni altra istituzione sociale: lo è più della Nazione, dello Stato, più della società e delle Organizzazioni internazionali. Queste società, specialmente le Nazioni, in tanto godono di soggettività propria in quanto la ricevono dalle persone e dalle loro famiglie. Sono, queste, osservazioni soltanto “teoriche”, formulate allo scopo di “elevare” la famiglia nell'opinione pubblica? No, si tratta piuttosto di un altro modo di esprimere ciò che è la famiglia. Ed anche questo si deduce dal quarto comandamento.
È una verità che merita di essere rilevata e approfondita: essa sottolinea infatti l'importanza di tale comandamento anche per il sistema moderno dei diritti dell'uomo. Gli ordinamenti istituzionali usano il linguaggio giuridico. Dio invece dice: “onora”. Tutti i “diritti dell'uomo” sono, in definitiva, fragili ed inefficaci, se alla loro base manca l'imperativo: “onora”; se manca, in altri termini, il riconoscimento dell'uomo per il semplice fatto che egli è uomo, “questo” uomo. Da soli, i diritti non bastano.
Lettera alle Famiglie 15,3
 
 
Famiglia, via della Chiesa
La famiglia è la prima e la più importante: una via comune, pur rimanendo particolare, unica ed irripetibile, come irripetibile è ogni uomo; una via dalla quale l'essere umano non può distaccarsi. In effetti, egli viene al mondo normalmente all'interno di una famiglia, per cui si può dire che deve ad essa il fatto stesso di esistere come uomo. Quando manca la famiglia, viene a crearsi nella persona che entra nel mondo una preoccupante e dolorosa carenza che peserà in seguito su tutta la vita. La Chiesa è vicina con affettuosa sollecitudine a quanti vivono simili situazioni, perché conosce bene il fondamentale ruolo che la famiglia è chiamata a svolgere. Essa sa inoltre che normalmente l'uomo esce dalla famiglia per realizzare, a sua volta, in un nuovo nucleo familiare la propria vocazione di vita. Persino quando sceglie di restare solo, la famiglia rimane, per così dire, il suo orizzonte esistenziale, come quella fondamentale comunità nella quale si radica l'intera rete delle sue relazioni sociali, da quelle più immediate e vicine a quelle più lontane. Non parliamo forse di «famiglia umana» riferendoci all'insieme degli uomini che vivono nel mondo?
Lettera alle Famiglie 2
 
Fecondità creativa
La fecondità delle famiglie deve conoscere una sua incessante «creatività», frutto meraviglioso dello Spirito di Dio che spalanca gli occhi del cuore per scoprire le nuove necessità e sofferenze della nostra società, e che infonde coraggio per assumerle e darvi risposta. In questo quadro si presenta alle famiglie un vastissimo campo d'azione: infatti, ancor più preoccupante dell'abbandono dei bambini è oggi il fenomeno dell'emarginazione sociale e culturale, che duramente colpisce anziani, ammalati, handicappati, tossicodipendenti, ex carcerati, ecc. In tal modo si dilata enormemente l'orizzonte della paternità e della maternità delle famiglie cristiane: il loro amore spiritualmente fecondo è sfidato da queste e da tante altre urgenze del nostro tempo. Con le famiglie e per mezzo loro, il Signore Gesù continua ad avere «compassione» delle folle.
& Familiaris Consortio, 41,2
 
Fecondità dell’amore coniugale
Con la creazione dell'uomo e della donna a sua immagine e somiglianza, Dio corona e porta a perfezione l'opera delle sue mani: Egli li chiama ad una speciale partecipazione del suo amore ed insieme del suo potere di Creatore e di Padre, mediante la loro libera e responsabile cooperazione a trasmettere il dono della vita umana: «Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela"» (Gen 1,28). Così il compito fondamentale della famiglia è il servizio alla vita, il realizzare lungo la storia la benedizione originaria del Creatore, trasmettendo nella generazione l'immagine divina da uomo a uomo (cfr. ibid. 5,1ss). La fecondità è il frutto e il segno dell'amore coniugale, la testimonianza viva della piena donazione reciproca degli sposi «II vero culto dell'amore coniugale e tutta la struttura familiare che ne nasce senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a questo tendono, che i coniugi, con fortezza d'animo siano disposti a cooperare con l'amore del Creatore e del Salvatore, che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia» («Gaudium et Spes», 50). La fecondità dell'amore coniugale non si restringe però alla sola procreazione dei figli, sia pure intesa nella sua dimensione specificamente umana: si allarga e si arricchisce di tutti quei frutti di vita morale, spirituale e soprannaturale che il padre e la madre sono chiamati a donare ai figli e, mediante i figli, alla Chiesa e al mondo.
& Familiaris Consortio, 28
 
Figli: dono preziosissimo
I coniugi desiderano i figli per sé, ed in essi vedono il coronamento del loro reciproco amore. Li desiderano per la famiglia, quale preziosissimo dono. È desiderio, in certa misura, comprensibile. Tuttavia, nell'amore coniugale e in quello paterno e materno deve inscriversi la verità sull'uomo, che è stata espressa in maniera sintetica e precisa dal Concilio con l'affermazione che Dio “vuole l'uomo per se stesso”. Occorre, perciò, che al volere di Dio si armonizzi quello dei genitori: in tal senso, essi devono volere la nuova creatura umana come la vuole il Creatore: “per se stessa”. Il volere umano è sempre e inevitabilmente sottoposto alla legge del tempo e della caducità. Quello divino invece è eterno. “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo — si legge nel Libro del Profeta Geremia —; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato” (1,5). La genealogia della persona è pertanto unita innanzitutto con l'eternità di Dio, e solo dopo con la paternità e maternità umana che si attuano nel tempo. Nel momento stesso del concepimento l'uomo è già ordinato all'eternità in Dio.
Lettera alle Famiglie 9,5
 
Figli, preziosissimo dono del matrimonio
Secondo il disegno di Dio, il matrimonio è il fondamento della più ampia comunità della famiglia, poiché l'istituto stesso del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione ed educazione della prole, in cui trovano il loro coronamento (cfr. «Gaudium et Spes», 50). Nella sua realtà più profonda, l'amore è essenzialmente dono e l'amore coniugale, mentre conduce gli sposi alla reciproca «conoscenza» che li fa «una carne sola» (cfr. Gen 2,24), non si esaurisce all'interno della coppia, poiché li rende capaci della massima donazione possibile, per la quale diventano cooperatori con Dio per il dono della vita ad una nuova persona umana. Così i coniugi, mentre si donano tra loro, donano al di là di se stessi la realtà del figlio, riflesso vivente del loro amore, segno permanente della unità coniugale e sintesi viva ed indissociabile del loro essere padre e madre.
Divenendo genitori, gli sposi ricevono da Dio il dono di una nuova responsabilità. Il loro amore parentale è chiamato a divenire per i figli il segno visibile dello stesso amore di Dio, «dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome» (Ef 3,15). Non si deve, tuttavia, dimenticare che anche quando la procreazione non è possibile, non per questo la vita coniugale perde il suo valore. La sterilità fisica infatti può essere occasione per gli sposi di altri servizi importanti alla vita della persona umana, quali ad esempio l'adozione, le varie forme di opere educative, l'aiuto ad altre famiglie, ai bambini poveri o handicappati.
& Familiaris Consortio, 14

 

G
 
Genealogia della persona
Mediante la comunione di persone, che si attua nel matrimonio, l'uomo e la donna danno inizio alla famiglia. Con la famiglia si collega la genealogia di ogni uomo: la genealogia della persona. La paternità e la maternità umane sono radicate nella biologia e allo stesso tempo la superano. L'Apostolo, “piegando le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità e maternità nei cieli e sulla terra prende nome”, pone in un certo senso dinanzi al nostro sguardo l'intero mondo degli esseri viventi, da quelli spirituali nei cieli a quelli corporali sulla terra. Ogni generazione trova il suo modello originario nella Paternità di Dio. Tuttavia, nel caso dell'uomo, questa dimensione “cosmica” di somiglianza con Dio non basta a definire in modo adeguato il rapporto di paternità e maternità. Quando dall'unione coniugale dei due nasce un nuovo uomo, questi porta con sé al mondo una particolare immagine e somiglianza di Dio stesso: nella biologia della generazione è inscritta la genealogia della persona.
Lettera alle Famiglie 9
 
Genesi dell’uomo
Come afferma il Concilio, l'uomo “in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa”. La genesi dell'uomo non risponde soltanto alle leggi della biologia, bensì direttamente alla volontà creatrice di Dio: è la volontà che riguarda la genealogia dei figli e delle figlie delle famiglie umane. Dio “ha voluto” l'uomo sin dal principio — e Dio lo “vuole” in ogni concepimento e nascita umana. Dio “vuole” l'uomo come un essere simile a sé, come persona. Quest'uomo, ogni uomo, è creato da Dio “per se stesso”. Ciò riguarda tutti, anche coloro che nascono con malattie o minorazioni. Nella costituzione personale di ognuno è inscritta la volontà di Dio, che vuole l'uomo finalizzato in un certo senso a se stesso. Dio consegna l'uomo a se stesso, affidandolo contemporaneamente alla famiglia e alla società, come loro compito. I genitori, davanti ad un nuovo essere umano, hanno, o dovrebbero avere, piena consapevolezza del fatto che Dio “vuole” quest'uomo “per se stesso”. Questa sintetica espressione è molto ricca e profonda. Sin dal momento del concepimento, e poi da quello della nascita, il nuovo essere è destinato ad esprimere in pienezza la sua umanità   a “ritrovarsi” come persona. Ciò riguarda assolutamente tutti, anche i malati cronici ed i disabili. “Essere uomo” è la sua fondamentale vocazione: “essere uomo” a misura del dono ricevuto. A misura di quel “talento” che è l'umanità stessa e, soltanto dopo, a misura degli altri talenti. In questo senso Dio vuole ogni uomo “per se stesso”. Nel disegno di Dio, tuttavia, la vocazione della persona va oltre i confini del tempo. Va incontro alla volontà del Padre, rivelata nel Verbo incarnato: Dio vuole elargire all'uomo la partecipazione alla sua stessa vita divina. Cristo dice: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).
Lettera alle Famiglie 9,3
 
Genitori, educatori di preghiera
In forza della loro dignità e missione, i genitori cristiani hanno il compito specifico di educare i figli alla preghiera, di introdurli nella progressiva scoperta del mistero di Dio e nel colloquio con lui: «Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e della missione del matrimonio-sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo e ad amare il prossimo secondo la fede che hanno ricevuto nel battesimo» («Gravissimum Educationis», 5; cfr. Giovanni Paolo PP. II «Catechesi Tradendae», 36). Elemento fondamentale e insostituibile dell'educazione alla preghiera è l'esempio concreto, la testimonianza viva dei genitori: solo pregando insieme con i figli, il padre e la madre, mentre portano a compimento il proprio sacerdozio regale, scendono in profondità nel cuore dei figli, lasciando tracce che i successivi eventi della vita non riusciranno a cancellare. Riascoltiamo l'appello che Paolo VI ha rivolto ai genitori: «Mamme, le insegnate ai vostri bambini le preghiere del cristiano? Li preparate, in consonanza con i sacerdoti, i vostri figli ai sacramenti della prima età: confessione, comunione, cresima? Li abituate, se ammalati, a pensare a Cristo sofferente? A invocare l'aiuto della Madonna e dei santi? Lo dite il Rosario in famiglia? E voi, papà, sapete pregare con i vostri figliuoli, con tutta la comunità domestica, almeno qualche volta? L'esempio vostro, nella rettitudine del pensiero e dell'azione, suffragato da qualche preghiera comune, vale una lezione di vita, vale un atto di culto di singolare merito; portate così la pace nelle pareti domestiche: "Pax huic domui!" Ricordate: così costruite la Chiesa!» (Discorso all'Udienza generale [11 agosto 1976]: «Insegnamenti di Paolo VI», XIV [1976] 640).
& Familiaris Consortio, 60
 
Genitori-Educatori alla preghiera liturgica
Tra la preghiera della Chiesa e quella dei singoli fedeli vi è un profondo e vitale rapporto, come ha chiaramente riaffermato il Concilio Vaticano II (cfr. «Sacrosantum Concilium», 12). Ora una finalità importante della preghiera della Chiesa domestica è di costituire, per i figli, la naturale introduzione alla preghiera liturgica propria dell'intera Chiesa, nel senso sia di preparare ad essa, sia di estenderla nell'ambito della vita personale, familiare e sociale. Di qui la necessità di una progressiva partecipazione di tutti i membri della famiglia cristiana all'Eucaristia, soprattutto domenicale e festiva, e agli altri sacramenti, in particolare quelli dell'iniziazione cristiana dei figli. Le direttive conciliari hanno aperto una nuova possibilità alla famiglia cristiana, che è stata annoverata tra i gruppi ai quali si raccomanda la celebrazione comunitaria dell'Ufficio divino (cfr. «Institutio Generalis de Liturgia Horarum» 27). Così pure sarà cura della famiglia cristiana celebrare, anche nella casa e in forma adatta ai suoi membri, i tempi e le festività dell'anno liturgico.
& Familiaris Consortio, 61
 
Genitori-Educatori alla preghiera privata
Per preparare e prolungare nella casa il culto celebrato nella Chiesa, la famiglia cristiana ricorre alla preghiera privata, che presenta una grande varietà, di forme: questa varietà mentre testimonia la straordinaria ricchezza secondo cui lo Spirito anima la preghiera cristiana, viene incontro alle diverse esigenze e situazioni di vita di chi si rivolge al Signore. Oltre alla preghiera del mattino e della sera, sono espressamente da consigliare, seguendo anche le indicazioni dei Padri Sinodali: la lettura e la meditazione della Parola di Dio, la preparazione ai sacramenti, la devozione e consacrazione al Cuore di Gesù, le varie forme di culto alla Vergine Santissima, la benedizione della mensa, l'osservanza della pietà popolare. Nel rispetto della libertà dei figli di Dio, la Chiesa ha proposto e continua a proporre ai fedeli alcune pratiche di pietà con una particolare sollecitudine ed insistenza. Tra queste è da ricordare la recita del Rosario: «Vogliamo ora, in continuità con i nostri predecessori, raccomandare vivamente la recita del santo Rosario in famiglia... Non v'è dubbio che la Corona della beata Vergine Maria sia da ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci preghiere in comune, che la famiglia cristiana è invitata a recitare. Noi amiamo, infatti, pensare e vivamente auspichiamo che, quando l'incontro familiare diventa tempo di preghiera. il Rosario ne sia espressione frequente e gradita» (Paolo PP. VI «Marialis Cultus», 52-54). Così l'autentica devozione mariana, che si esprime nel vincolo sincero e nella generosa sequela degli atteggiamenti spirituali della Vergine Santissima, costituisce uno strumento privilegiato per alimentare la comunione d'amore della famiglia e per sviluppare la spiritualità coniugale e familiare. Lei, la Madre di Cristo e della Chiesa, è infatti in maniera speciale anche la Madre delle famiglie cristiane delle Chiese domestiche.
& Familiaris Consortio, 61,2
 
Genitori primi e principali educatori
I genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli ed hanno anche in questo campo una fondamentale competenza: sono educatori perché genitori. Essi condividono la loro missione educativa con altre persone e istituzioni, come la Chiesa e lo Stato; ciò tuttavia deve sempre avvenire nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà. Questo implica la legittimità ed anzi la doverosità di un aiuto offerto ai genitori, ma trova nel loro diritto prevalente e nelle loro effettive possibilità il suo intrinseco e invalicabile limite. Il principio di sussidiarietà si pone, pertanto, al servizio dell'amore dei genitori, venendo incontro al bene del nucleo familiare. I genitori, infatti, non sono in grado di soddisfare da soli ad ogni esigenza dell'intero processo educativo, specialmente per quanto concerne l'istruzione e l'ampio settore della socializzazione. La sussidiarietà completa così l'amore paterno e materno, confermandone il carattere fondamentale, perché ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, persino su loro incarico.
Lettera alle Famiglie 16,4
 
Gesù araldo della verità sul matrimonio
A Cana di Galilea Gesù è come l'araldo della verità divina sul matrimonio; della verità su cui può poggiare la famiglia umana, facendosene forte contro tutte le prove della vita. Gesù annunzia questa verità con la sua presenza alle nozze di Cana e con il compimento del suo primo “segno”: l'acqua cambiata in vino.
Egli annunzia ancora la verità sul matrimonio parlando con i farisei e spiegando come l'amore che è da Dio, amore tenero e sponsale, sia fonte di esigenze profonde e radicali. Meno esigente era stato Mosè, che aveva permesso di dare l'atto di ripudio. Quando nella loro vivace controversia i farisei si richiamano a Mosè, Cristo risponde categorico: “Da principio non fu così” (Mt 19,8). E ricorda: Colui che ha creato l'uomo, l'ha creato maschio e femmina ed ha stabilito: “L'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola” (Gn 2,24). Con logica coerenza Cristo conclude: “Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi” (Mt 19,6). Alla obiezione dei farisei, che si fanno forti della legge mosaica, Egli risponde: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così” (Mt 19,8). Gesù si richiama “al principio”, ritrovando alle origini stesse della creazione il disegno di Dio, sul quale si basa la famiglia e, per suo tramite, l'intera storia dell'umanità. La realtà naturale del matrimonio diventa, per volontà di Cristo, vero e proprio sacramento della Nuova Alleanza, segnato dal sigillo del sangue redentore di Cristo. Sposi e famiglie, ricordatevi a quale prezzo siete stati “comprati”! (cfr 1 Cor 6,20). Questa stupenda verità è però umanamente difficile ad essere accolta e vissuta. Come meravigliarsi del cedimento di Mosè di fronte alle richieste dei suoi connazionali, se anche gli stessi Apostoli, ascoltando le parole del Maestro, replicano: “Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi” (Mt 19,10)! Gesù, tuttavia, per il bene dell'uomo e della donna, della famiglia e dell'intera società, conferma l'esigenza posta da Dio sin dal principio. Al tempo stesso, però, Egli coglie l'occasione per affermare il valore della scelta di non sposarsi in vista del Regno di Dio: anche questa scelta consente di “generare”, sia pure in modo diverso. Prendono inizio da questa scelta la vita consacrata, gli Ordini e le Congregazioni religiose in Oriente e in Occidente, come pure la disciplina del celibato sacerdotale, secondo la tradizione della Chiesa latina. Non è vero, dunque, che “non conviene sposarsi”, ma l'amore per il Regno dei cieli può spingere anche a non sposarsi (cfr Mt 19,12).
Lettera alle Famiglie 18,2
 
Gesù, sposo della Chiesa e il Sacramento del matrimonio
La comunione tra Dio e gli uomini trova il suo compimento definitivo in Gesù Cristo, lo Sposo che ama e si dona come Salvatore dell'umanità, unendola a Sé come suo corpo. Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del «principio» (cfr. Gen 2,24; Mt 19,5) e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente. Questa rivelazione raggiunge la sua pienezza definitiva nel dono d'amore che il Verbo di Dio fa all'umanità assumendo la natura umana, e nel sacrificio che Gesù Cristo fa di se stesso sulla Croce per la sua Sposa, la Chiesa. In questo sacrificio si svela interamente quel disegno che Dio ha impresso nell'umanità dell'uomo e della donna, fin dalla loro creazione (cfr. Ef 5,32s); il matrimonio dei battezzati diviene così il simbolo reale della nuova ed eterna Alleanza, sancita nel sangue di Cristo. Lo Spirito, che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l'uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L'amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla Croce.
& Familiaris Consortio, 13
 
Grazia e responsabilità della famiglia cristiana
Il compito sociale proprio di ogni famiglia compete, ad un titolo nuovo ed originale alla famiglia cristiana, fondata sul sacramento del matrimonio. Assumendo la realtà umana dell'amore coniugale in tutte le implicazioni, il sacramento abilita e impegna i coniugi e i genitori cristiani a vivere la loro vocazione di laici, e pertanto a «cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio» («Lumen Gentium», 31). Il compito sociale e politico rientra in quella missione regale o di servizio, alla quale gli sposi cristiani partecipano in forza del sacramento del matrimonio, ricevendo ad un tempo un comandamento al quale non possono sottrarsi ed una grazia che li sostiene e li stimola. In tal modo la famiglia cristiana è chiamata ad offrire a tutti la testimonianza di una dedizione generosa e disinteressata ai problemi sociali, mediante la «scelta preferenziale» dei poveri e degli emarginati. Perciò essa, progredendo nella sequela del Signore mediante una speciale dilezione verso tutti i poveri, deve avere a cuore specialmente gli affamati, gli indigenti, gli anziani, gli ammalati, i drogati, i senza famiglia.
 
 
H
 
Humanae Vitae e itinerario morale degli sposi
Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona umana è in grado di rispondere al comando divino con animo sereno, confidando nella grazia divina e nella propria volontà» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la conclusione del VI Sinodo dei Vescovi, 8 [25 Ottobre 1980]: ASS 72 [1980] 1083). In questa stessa linea, rientra nella pedagogia della Chiesa che i coniugi anzitutto riconoscano chiaramente la dottrina della «Humanae Vitae» come normativa per l'esercizio della loro sessualità, e sinceramente si impegnino a porre le condizioni necessarie per osservare questa norma. Questa pedagogia, come ha rilevato il Sinodo, comprende tutta la vita coniugale. Per questo il compito di trasmettere la vita deve essere integrato nella missione globale dell'intera vita cristiana, la quale senza la croce non può giungere alla risurrezione. In simile contesto si comprende come non si possa togliere il sacrificio dalla vita familiare, anzi si debba accettare di cuore, perché l'amore coniugale si approfondisca e diventi fonte di intima gioia. Questo comune cammino esige riflessione, informazione, idonea educazione dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici, che sono impegnati nella pastorale familiare: tutti costoro potranno aiutare i coniugi nel loro itinerario umano e spirituale, che comporta la coscienza del peccato, il sincero impegno di osservare la legge morale, il ministero della riconciliazione. E' pure da tenere presente come nell'intimità coniugale siano implicate le volontà di due persone, chiamate però ad una armonia di mentalità e di comportamento: ciò esige non poca pazienza, simpatia e tempo. Di singolare importanza in questo campo è l'unità dei giudizi morali e pastorali dei sacerdoti: tale unità dev'essere accuratamente ricercata ed assicurata, perché i fedeli non abbiano a soffrire ansietà di coscienza (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 28). Il cammino dei coniugi sarà dunque facilitato se, nella stima della dottrina della Chiesa e nella fiducia verso la grazia di Cristo, aiutati ed accompagnati dai pastori d'anime e dall'intera comunità ecclesiale, essi sapranno scoprire e sperimentare il valore di liberazione e di promozione dell'amore autentico, che il Vangelo offre ed il comandamento del Signore propone.
& Familiaris Consortio, 34,2
 
I
 
Inculturazione
E' conforme alla costante tradizione della Chiesa accogliere dalle culture dei popoli tutto ciò che è in grado di meglio esprimere le inesauribili ricchezze di Cristo (cfr. Ef 3,8; «Gaudium et Spes», 15 e 22). Solo col concorso di tutte le culture, tali ricchezze potranno manifestarsi sempre più chiaramente e la Chiesa potrà camminare verso una conoscenza ogni giorno più completa e profonda della verità, che già le è stata donata interamente dal suo Signore. Tenendo fisso il duplice principio della compatibilità col Vangelo delle varie culture da assumere e della comunione con la Chiesa universale, si dovrà proseguire nello studio, particolarmente da parte delle Conferenze Episcopali e dei Dicasteri competenti della Curia Romana, e nell'impegno pastorale perché questa «inculturazione» della fede cristiana avvenga sempre più ampiamente, anche nell'ambito del matrimonio e della famiglia. E' mediante l'«inculturazione» che si cammina verso la ricostituzione piena dell'alleanza con la Sapienza di Dio, che è Cristo stesso. La Chiesa intera sarà arricchita anche da quelle culture che, pur essendo prive di tecnologia, sono cariche di saggezza umana e vivificate da profondi valori morali. Perché sia chiara la meta di questo cammino, e di conseguenza, sicuramente indicata la strada, il Sinodo ha, in primo luogo, giustamente considerato a fondo il progetto originario di Dio circa il matrimonio e la famiglia: ha voluto «ritornare al principio», in ossequio all'insegnamento di Cristo (cfr. Mt 19,4ss).
& Familiaris Consortio, 10
 
 
Indissolubilità del matrimonio
Nell'affermare che l'uomo è l'unica creatura sulla terra voluta da Dio per se stessa, il Concilio aggiunge subito che egli non può “ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé”. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma non lo è affatto. È, piuttosto, il grande e meraviglioso paradosso dell'esistenza umana: un'esistenza chiamata a servire la verità nell'amore. L'amore fa sì che l'uomo si realizzi attraverso il dono sincero di sé: amare significa dare e ricevere quanto non si può né comperare né vendere, ma solo liberamente e reciprocamente elargire.
Il dono della persona esige per sua natura di essere duraturo ed irrevocabile. L'indissolubilità del matrimonio scaturisce primariamente dall'essenza di tale dono: dono della persona alla persona. In questo vicendevole donarsi viene manifestato il carattere sponsale dell'amore. Nel consenso matrimoniale i novelli sposi si chiamano con il proprio nome: “Io... prendo te... come mia sposa (come mio sposo) e prometto di esserti fedele... per tutti i giorni della mia vita”. Un simile dono obbliga molto più fortemente e profondamente di tutto ciò che può essere “acquistato” in qualunque modo ed a qualsiasi prezzo. Piegando le ginocchia davanti al Padre, dal quale proviene ogni paternità e maternità, i futuri genitori diventano consapevoli di essere stati “redenti”. Sono stati, infatti, acquistati a caro prezzo, a prezzo del dono più sincero possibile, il sangue di Cristo, al quale partecipano mediante il sacramento.
Lettera alle Famiglie 11
 
Indissolubilità e fedeltà matrimoniale
Il dono del sacramento è nello stesso tempo vocazione e comandamento per gli sposi cristiani, perché rimangano tra loro fedeli per sempre, al di là di ogni prova e difficoltà, in generosa obbedienza alla santa volontà del Signore: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» (Mt 19,6). Testimoniare l'inestimabile valore dell'indissolubilità e della fedeltà matrimoniale è uno dei doveri più preziosi e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo. Per questo, insieme con tutti i confratelli che hanno preso parte al Sinodo dei Vescovi, lodo e incoraggio tutte quelle numerose coppie che, pur incontrando non lievi difficoltà, conservano e sviluppano il bene dell'indissolubilità: assolvono così, in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un «segno» - un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato - dell'instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini ed ogni uomo. Ma è doveroso anche riconoscere il valore della testimonianza di quei coniugi che, pur essendo stati abbandonati dal partner, con la forza della fede e della speranza cristiana non sono passati ad una nuova unione: anche questi coniugi danno un'autentica testimonianza di fedeltà, di cui il mondo oggi ha grande bisogno. Per tale motivo devono essere incoraggiati e aiutati dai pastori e dai fedeli della Chiesa.
& Familiaris Consortio, 20,2
 
Individualismo e personalismo
L'amore, la civiltà dell'amore si collega con il personalismo. Perché proprio col personalismo? Perché l'individualismo minaccia la civiltà dell'amore? Troviamo la chiave della risposta nell'espressione conciliare: un “dono sincero”. L'individualismo suppone un uso della libertà nel quale il soggetto fa ciò che vuole, “stabilendo” egli stesso “la verità” di ciò che gli piace o gli torna utile. Non ammette che altri “voglia” o esiga qualcosa da lui nel nome di una verità oggettiva. Non vuole “dare” ad un altro sulla base della verità, non vuole diventare un “dono sincero”. L'individualismo rimane pertanto egocentrico ed egoistico. L'antitesi col personalismo nasce non soltanto sul terreno della teoria, ma ancor più su quello dell'“ethos”. L'“ethos” del personalismo è altruistico: muove la persona a farsi dono per gli altri e a trovare gioia nel donarsi. È la gioia di cui parla Cristo (cfr Gv 15,11; 16,20.22). Occorre pertanto che le società umane, ed in esse le famiglie, che vivono spesso in un contesto di lotta tra la civiltà dell'amore e le sue antitesi, cerchino il loro fondamento stabile in una giusta visione dell'uomo e di quanto decide della piena “realizzazione” della sua umanità.
Lettera alle Famiglie 14,3
 
Influsso della situazione d’oggi sulla coscienza dei fedeli
Vivendo sotto le pressioni derivanti soprattutto dai mass-media, non sempre i fedeli hanno saputo e sanno mantenersi immuni dall'oscurarsi dei valori fondamentali e porsi come coscienza critica di questa cultura familiare e come soggetti attivi della costruzione di un autentico umanesimo familiare. Fra i segni più preoccupanti di questo fenomeno, i Padri Sinodali hanno sottolineato, in particolare, il diffondersi del divorzio e del ricorso ad una nuova unione da parte degli stessi fedeli, l'accettazione del matrimonio puramente civile, in contraddizione con la vocazione dei battezzati a «sposarsi nel Signore»; la celebrazione del matrimonio sacramento senza una fede viva, ma per altri motivi; il rifiuto delle norme morali che guidano e promuovono l'esercizio umano e cristiano della sessualità nel matrimonio.
& Familiaris Consortio,7
 
Itinerario educativo
L'itinerario educativo conduce verso la fase dell'autoeducazione, che si raggiunge quando, grazie ad un adeguato livello di maturità psico-fisica, l'uomo comincia ad “educarsi da solo”. L'autoeducazione supera, col passare del tempo, i traguardi precedentemente raggiunti nel processo educativo, nel quale tuttavia continua ad affondare le sue radici. L'adolescente incontra nuove persone e nuovi ambienti, in particolare gli insegnanti e i compagni di scuola, i quali esercitano sulla sua vita un influsso che può risultare educativo o diseducativo. In questa tappa, egli si distacca in qualche misura dall'educazione ricevuta in famiglia assumendo talora un atteggiamento critico nei confronti dei genitori. Nonostante tutto, però, il processo di autoeducazione non può non essere segnato dall'influsso educativo esercitato dalla famiglia e dalla scuola sul bambino e sul ragazzo. Perfino trasformandosi e incamminandosi nella propria direzione, il giovane continua a rimanere intimamente collegato con le sue radici esistenziali.
Si delinea su questo sfondo, in modo nuovo, il significato del quarto comandamento: “Onora tuo padre e tua madre” (Es 20,12); esso rimane legato organicamente a tutto il processo dell'educazione. La paternità e maternità, questo primo e fondamentale dato nel dono dell'umanità, aprono davanti ai genitori e ai figli nuove e più approfondite prospettive. Generare secondo la carne significa avviare un'ulteriore “generazione”, graduale e complessa, attraverso l'intero processo educativo. Il comandamento del Decalogo esige dal figlio ch'egli onori il padre e la madre. Ma, come sopra si è detto, il medesimo comandamento impone ai genitori un dovere in un certo senso “simmetrico”. Anch'essi devono “onorare” i propri figli, sia piccoli che grandi, e tale atteggiamento è indispensabile lungo l'intero percorso educativo, compreso quello scolastico. Il “principio di rendere onore”, il riconoscimento cioè ed il rispetto dell'uomo come uomo, è la condizione fondamentale di ogni autentico processo educativo.
Lettera alle Famiglie 16,5
 
Itinerario morale degli sposi
E' sempre di grande importanza possedere una retta concezione dell'ordine morale, dei suoi valori e delle sue norme: l'importanza cresce, quando più numerose e gravi si fanno le difficoltà a rispettarli.
Proprio perché rivela e propone il disegno di Dio Creatore, l'ordine morale non può essere qualcosa di mortificante per l'uomo e di impersonale; al contrario, rispondendo alle esigenze più profonde dell'uomo creato da Dio, si pone al servizio della sua piena umanità, con l'amore delicato e vincolante con cui Dio stesso ispira, sostiene e guida ogni creatura verso la sua felicità. Ma l'uomo, chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita.
Anche i coniugi, nell'ambito della loro vita morale, sono chiamati ad un incessante cammino, sostenuti dal desiderio sincero e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e promuove, e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelle loro scelte concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un puro ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. «Perciò la cosiddetta "legge della gradualità", o cammino graduale, non può identificarsi con la "gradualità della legge", come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse. Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona umana è in grado di rispondere al comando divino con animo sereno, confidando nella grazia divina e nella propria volontà» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la conclusione del VI Sinodo dei Vescovi, 8 [25 Ottobre 1980]: ASS 72 [1980] 1083).
& Familiaris Consortio, 34
 
L
 
Lavoro e donna
Se dev'essere riconosciuto anche alle donne, come agli uomini, il diritto di accedere ai diversi compiti pubblici, la società deve però strutturarsi in maniera tale che le spose e le madri non siano di fatto costrette a lavorare fuori casa e che le loro famiglie possano dignitosamente vivere e prosperare, anche se esse si dedicano totalmente alla propria famiglia. Si deve inoltre superare la mentalità secondo la quale l'onore della donna deriva più dal lavoro esterno che dall'attività familiare. Ma ciò esige che gli uomini stimino ed amino veramente la donna con ogni rispetto della sua dignità personale, e che la società crei e sviluppi le condizioni adatte per il lavoro domestico.
La Chiesa, col dovuto rispetto per la diversa vocazione dell'uomo e della donna, deve promuovere nella misura del possibile nella sua stessa vita la loro uguaglianza di diritti e di dignità: e questo per il bene di tutti, della famiglia, della società e della Chiesa. E' evidente però che tutto questo significa per la donna non la rinuncia alla sua femminilità né l'imitazione del carattere maschile, ma la pienezza della vera umanità femminile quale deve esprimersi nel suo agire, sia in famiglia sia al di fuori di essa, senza peraltro dimenticare in questo campo la varietà dei costumi e delle culture.
& Familiaris Consortio, 23,2
 
Libero amore
Certamente contrario alla civiltà dell'amore è il cosiddetto “libero amore”, tanto più pericoloso perché proposto di solito come frutto di un sentimento “vero”, mentre di fatto distrugge l'amore. Quante famiglie sono andate in rovina proprio per il “libero amore”! Seguire in ogni caso il “vero” impulso affettivo in nome di un amore “libero” da condizionamenti, significa, in realtà, rendere l'uomo schiavo di quegli istinti umani che san Tommaso chiama “passioni dell'anima”. Il “libero amore” sfrutta le debolezze umane fornendo loro una certa “cornice” di nobiltà con l'aiuto della seduzione e col favore dell'opinione pubblica. Si cerca così di “tranquillizzare” la coscienza, creando un “alibi morale”. Non si prendono però in considerazione tutte le conseguenze che ne derivano, specialmente quando a pagarle sono, oltre al coniuge, i figli, privati del padre o della madre e condannati ad essere di fatto orfani di genitori vivi.
Lettera alle Famiglie 14,4
 
Luci e ombre della famiglia
 
Poiché il disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia riguarda l'uomo e la donna nella concretezza della loro esistenza quotidiana in determinate situazioni sociali e culturali, la Chiesa, per compiere il suo servizio, deve applicarsi a conoscere le situazioni entro le quali il matrimonio e la famiglia oggi si realizzano (cfr. «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 1 [1980] 472-476). Questa conoscenza è, dunque, una imprescindibile esigenza dell'opera evangelizzatrice. E', infatti, alle famiglie del nostro tempo che la Chiesa deve portare l'immutabile e sempre nuovo Vangelo di Gesù Cristo, così come sono le famiglie implicate nelle presenti condizioni del mondo che sono chiamate ad accogliere e a vivere il progetto di Dio che le riguarda. Non solo, ma le richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia, e pertanto la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell'inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia anche dalle situazioni, domande, ansie e speranze dei giovani, degli sposi e dei genitori di oggi (cfr. «Gaudium et Spes», 4). A ciò si deve aggiungere poi una ulteriore riflessione di particolare importanza nel tempo presente. Non raramente all'uomo e alla donna di oggi, in sincera e profonda ricerca di una risposta ai quotidiani e gravi problemi della loro vita matrimoniale e familiare, vengono offerte visioni e proposte anche seducenti, ma che compromettono in diversa misura la verità e la dignità della persona umana. E' un'offerta sostenuta spesso dalla potente e capillare organizzazione dei mezzi di comunicazione sociale, che mettono sottilmente in pericolo la libertà e la capacità di giudicare con obiettività. Molti sono già consapevoli di questo pericolo in cui versa la persona umana ed operano per la verità. La Chiesa, col suo discernimento evangelico, si unisce ad essi, offrendo il proprio servizio alla verità, alla libertà e alla dignità di ogni uomo e di ogni donna.
& Familiaris Consortio, 4
 
M
 
Madre del bell'amore
La storia del “bell'amore” prende inizio dall'Annunciazione, in quelle mirabili parole che l'angelo ha rivolto a Maria, chiamata a diventare la Madre del Figlio di Dio. Con il “sì” di Maria, Colui che è “Dio da Dio e Luce da Luce” diventa figlio dell'uomo; Maria è sua Madre, senza cessare di essere la Vergine che “non conosce uomo” (cfr Lc 1,34). Come Madre-Vergine, Maria diventa Madre del bell'amore. Questa verità è rivelata già nelle parole dell'Arcangelo Gabriele, ma il suo pieno significato sarà confermato e approfondito man mano che Maria seguirà il Figlio nel pellegrinaggio della fede.
La “Madre del bell'amore” fu accolta da colui che, secondo la tradizione d'Israele, era già suo sposo terreno, Giuseppe, della stirpe di Davide. Egli avrebbe avuto diritto di pensare alla promessa sposa come alla moglie sua e alla madre dei suoi figli. Dio interviene, però, in questo patto sponsale con la propria iniziativa: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo” (Mt 1,20). Giuseppe è consapevole, vede con i propri occhi che in Maria è concepita una nuova vita che da lui non proviene e pertanto, da uomo giusto, osservante della legge antica, che nel suo caso imponeva l'obbligo del divorzio, vuole sciogliere in forma caritatevole il suo matrimonio (cfr Mt 1,19). L'angelo del Signore gli fa sapere che ciò non sarebbe secondo la sua vocazione, anzi sarebbe contrario all'amore sponsale che lo unisce a Maria. Questo reciproco amore sponsale, per essere pienamente il “bell'amore”, esige che egli accolga Maria e il Figlio di lei sotto il tetto della sua casa, a Nazaret. Giuseppe ubbidisce al messaggio divino e agisce secondo quanto gli è stato comandato (cfr Mt 1,24).
Lettera alle Famiglie 20
 
Maschio e femmina li creò
Il cosmo, immenso e così diversificato, il mondo di tutti gli esseri viventi, è inscritto nella paternità di Dio come nella sua sorgente (cfr Ef 3,14-16). Vi è inscritto, naturalmente, secondo il criterio dell'analogia, grazie al quale ci è possibile distinguere, già all'inizio del Libro della Genesi, la realtà della paternità e maternità e perciò anche della famiglia umana. La chiave interpretativa sta nel principio dell'«immagine” e della “somiglianza” di Dio, che il testo biblico mette fortemente in rilievo (Gn 1,26). Dio crea in virtù della sua parola: “Sia!” (p.es. Gn 1,3). È significativo che questa parola di Dio, nel caso della creazione dell'uomo, sia completata con queste altre parole: “Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” (Gn 1,26). Prima di creare l'uomo, il Creatore quasi rientra in se stesso per cercarne il modello e l'ispirazione nel mistero del suo Essere che già qui si manifesta in qualche modo come il “Noi” divino. Da questo mistero scaturisce, per via di creazione, l'essere umano: “Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). Ai nuovi esseri Dio dice benedicendoli: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela” (Gn 1,28). Il Libro della Genesi usa espressioni già adoperate nel contesto della creazione degli altri esseri viventi: “moltipli- catevi”, ma è chiaro il loro senso analogico. Non è questa l'analogia della generazione e della paternità e maternità, da leggersi alla luce di tutto il contesto? Nessuno dei viventi, tranne l'uomo, è stato creato “ad immagine e somiglianza di Dio”. La paternità e la maternità umane, pur essendo biologicamente simili a quelle di altri esseri in natura, hanno in sé in modo essenziale ed esclusivo una «somiglianza” con Dio, sulla quale si fonda la famiglia, intesa come comunità di vita umana, come comunità di persone unite nell'amore (communio personarum).
Lettera alle Famiglie 6
 
Maternità della Chiesa e coniugi in difficoltà
Anche nel campo della morale coniugale la Chiesa è ed agisce come Maestra e Madre. Come Maestra, essa non si stanca di proclamare la norma morale che deve guidare la trasmissione responsabile della vita. Di tale norma la Chiesa non è affatto né l'autrice né l'arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione. Come Madre, la Chiesa si fa vicina alle molte coppie di sposi che si trovano in difficoltà su questo importante punto della vita morale: conosce bene la loro situazione, spesso molto ardua e a volte veramente tormentata da difficoltà di ogni genere, non solo individuali ma anche sociali; sa che tanti coniugi incontrano difficoltà non solo per la realizzazione concreta, ma anche per la stessa comprensione dei valori insiti nella norma morale. Ma è la stessa ed unica Chiesa ad essere insieme Maestra e Madre. Per questo la Chiesa non cessa mai di invitare e di incoraggiare, perché le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità: è infatti convinta che non può esserci vera contraddizione tra la legge divina del trasmettere la vita e quella di favorire l'autentico amore coniugale (cfr. «Gaudium et Spes«, 51). Per questo, la pedagogia concreta della Chiesa deve sempre essere connessa e non mai separata dalla sua dottrina. Ripeto, pertanto, con la medesima persuasione del mio predecessore: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime» (Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 29).
& Familiaris Consortio, 33
 
Matrimonio e comunione tra Dio e gli uomini
La comunione d'amore tra Dio e gli uomini, contenuto fondamentale della Rivelazione e dell'esperienza di fede di Israele, trova una significativa espressione nell'alleanza sponsale, che si instaura tra l'uomo e la donna. E' per questo che la parola centrale della Rivelazione, «(Dio ama il suo popolo», viene pronunciata anche attraverso le parole vive e concrete con cui l'uomo e la donna si dicono il loro amore coniugale. Il loro vincolo di amore diventa l'immagine e il simbolo dell'Alleanza che unisce Dio e il suo popolo (cfr. ad es. Os 2,21; Ger 3,6-13; Is 54). E lo stesso peccato, che può ferire il patto coniugale diventa immagine dell'infedeltà del popolo al suo Dio: l'idolatria e prostituzione (cfr. Ez 16,25), l'infedeltà è adulterio, la disobbedienza alla legge e abbandono dell'amore sponsale del Signore. Ma l'infedeltà di Israele non distrugge la fedeltà eterna del Signore e, pertanto, l'amore sempre fedele di Dio si pone come esemplare delle relazioni di amore fedele che devono esistere tra gli sposi (cfr. Os 3).
& Familiaris Consortio, 12
 
Matrimonio ed Eucaristia
II compito di santificazione della famiglia cristiana ha la sua prima radice nel battesimo e la sua massima espressione nell'Eucaristia, alla quale è intimamente legato il matrimonio cristiano. Il Concilio Vaticano II ha voluto richiamare la speciale relazione che esiste tra l'Eucaristia e il matrimonio, chiedendo che questo «in via ordinaria si celebri nella Messa» («Sacrosantum Concilum», 78): riscoprire e approfondire tale relazione è del tutto necessario, se si vogliono comprendere e vivere con maggior intensità le grazie e le responsabilità del matrimonio e della famiglia cristiana. L'Eucaristia è la fonte stessa del matrimonio cristiano. Il sacrificio eucaristico, infatti, ripresenta l'alleanza di amore di Cristo con la Chiesa, in quanto sigillata con il sangue della sua Croce (cfr. Gv 19,34). E' in questo sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza che i coniugi cristiani trovano la radice dalla quale scaturisce, è interiormente plasmata e continuamente vivificata la loro alleanza coniugale. In quanto ripresentazione del sacrificio d'amore di Cristo per la Chiesa, l'Eucaristia è sorgente di carità. E nel dono eucaristico della carità la famiglia cristiana trova il fondamento e l'anima della sua «comunione» e della sua «missione»: il Pane eucaristico fa dei diversi membri della comunità familiare un unico corpo, rivelazione e partecipazione della più ampia unità della Chiesa; la partecipazione poi al Corpo «dato» e al Sangue «versato» di Cristo diventa inesauribile sorgente del dinamismo missionario ed apostolico della famiglia cristiana.
& Familiaris Consortio, 57
 
Matrimonio evento della salvezza
Come ciascuno dei sette sacramenti, anche il matrimonio è un simbolo reale dell'evento della salvezza, ma a modo proprio. «Gli sposi vi partecipano in quanto sposi, in due, come coppia, a tal punto che l'effetto primo ed immediato del matrimonio (res et sacramentum) non è la grazia soprannaturale stessa, ma il legame coniugale cristiano, una comunione a due tipicamente cristiana perché rappresenta il mistero dell'Incarnazione del Cristo e il suo mistero di Alleanza. E il contenuto della partecipazione alla vita del Cristo è anch'esso specifico: l'amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona - richiamo del corpo e dell'istinto, forza del sentimento e dell'affettività, aspirazione dello spirito e della volontà -; esso mira ad una unità profondamente personale, quella che, al di là dell'unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuor solo e un'anima sola: esso esige l'indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 9). In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale naturale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma le eleva al punto di farne l'espressione di valori propriamente cristiani» (Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Delegati del «Centre de Liaison des Equipes de Recherche», 4 [3 Novembre 1979]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», II, 2 [1979] 1032).
& Familiaris Consortio, 13,4
 
Matrimonio e Sacramento della conversione e della riconciliazione
Parte essenziale e permanente del compito di santificazione della famiglia cristiana è l'accoglienza dell'appello evangelico alla conversione rivolto a tutti i cristiani, che non sempre rimangono fedeli alla «novità» di quel battesimo, che li ha costituiti «santi». Anche la famiglia cristiana non è sempre coerente con la legge della grazia e della santità battesimale, proclamata nuovamente dal sacramento del matrimonio. Il pentimento e il perdono vicendevole in seno alla famiglia cristiana, che tanta parte hanno nella vita quotidiana, trovano il momento sacramentale specifico nella penitenza cristiana. A riguardo dei coniugi così scriveva Paolo VI nell'enciclica «Humanae vitae»: «Se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita con abbondanza nel sacramento della penitenza» (num. 25).
La celebrazione di questo sacramento acquista un significato particolare per la vita familiare: mentre nella fede scoprono come il peccato contraddice non solo all'alleanza con Dio ma anche all'alleanza dei coniugi e alla comunione della famiglia, gli sposi e tutti i membri della famiglia sono condotti all'incontro con Dio «ricco di misericordia» (Ef 2,4), il quale, elargendo il suo amore che è più potente del peccato (cfr. Giovanni Paolo PP: II «Dives in Misericordia», 13), ricostruisce e perfeziona l'alleanza coniugale e la comunione familiare.
& Familiaris Consortio, 58
 
Matrimonio e verginità
La verginità e il celibato per il Regno di Dio non solo non contraddicono alla dignità del matrimonio, ma la presuppongono e la confermano. Il matrimonio e la verginità sono i due modi di esprimere e di vivere l'unico Mistero dell'Alleanza di Dio con il suo popolo. Quando non si ha stima del matrimonio, non può esistere neppure la verginità consacrata; quando la sessualità umana non è ritenuta un grande valore donato dal Creatore, perde significato il rinunciarvi per il Regno dei Cieli. Dice infatti assai giustamente san Giovanni Crisostomo: «Chi condanna il matrimonio priva anche la verginità della gloria: chi invece lo loda, rende la verginità più ammirabile, e splendente. Ciò che appare un bene soltanto a paragone di un male, non è poi un grande bene; ma ciò che è ancora migliore di beni universalmente riconosciuti tali, è certamente un bene al massimo grado» (San Giovanni Crisostomo, «La Verginità», X: PG 48,540).
Nella verginità l'uomo è in attesa, anche corporalmente, delle nozze escatologiche di Cristo con la Chiesa, donandosi integralmente alla Chiesa nella speranza che Cristo si doni a questa nella piena verità della vita eterna. La persona vergine anticipa così nella sua carne il mondo nuovo della risurrezione futura (cfr. Mt 22,30).
& Familiaris Consortio, 16
 
Matrimonio: fatto anche sociale
In alcuni territori motivi di carattere più sociale che non autenticamente religioso spingono i fidanzati a chiedere di sposarsi in chiesa. La cosa non desta meraviglia. Il matrimonio, infatti, non è un avvenimento che riguarda solo chi si sposa. Esso è per sua stessa natura un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società. E da sempre la sua celebrazione è stata una festa, che unisce famiglie ed amici. Va da sé, dunque, che motivi sociali entrino, assieme a quelli personali, nella richiesta di sposarsi in chiesa. Tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell'Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio. E, dunque, il solo fatto che in questa richiesta entrino anche motivi di carattere sociale non giustifica un eventuale rifiuto da parte dei pastori. Del resto, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, i sacramenti con le parole e gli elementi rituali nutrono ed irrobustiscono la fede (cfr. «Sacrosantum Concilium», 59): quella fede verso cui i fidanzati già sono incamminati in forza della rettitudine della loro intenzione, che la grazia di Cristo non manca certo di favorire e di sostenere.
& Familiaris Consortio, 68,2
 
Matrimonio: grande mistero
San Paolo sintetizza il tema della vita familiare con la parola: “grande mistero” (cfr Ef 5,32). Quanto egli scrive nella Lettera agli Efesini su tale “grande mistero”, anche se radicato nel Libro della Genesi e in tutta la tradizione dell'Antico Testamento, presenta tuttavia un'impostazione nuova, che troverà poi espressione nel Magistero della Chiesa. La Chiesa professa che il matrimonio, come sacramento dell'alleanza degli sposi, è un “grande mistero”, poiché in esso si esprime l'amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa. Scrive san Paolo: “E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola” (Ef 5,25-26). L'Apostolo parla qui del Battesimo, di cui tratta ampiamente nella Lettera ai Romani, presentandolo come partecipazione alla morte di Cristo per condividere la sua vita (cfr Rm 6,3-4). In questo sacramento il credente nasce come un uomo nuovo, poiché il Battesimo ha il potere di comunicare una vita nuova, la vita stessa di Dio. Il mistero del Dio-uomo si compendia, in certo senso, nell'evento battesimale: “Cristo Gesù Signore nostro, Figlio di Dio Altissimo — dirà più tardi sant'Ireneo e con lui tanti altri Padri della Chiesa d'Oriente e d'Occidente — divenne figlio dell'uomo, affinché l'uomo potesse divenire figlio di Dio”. Lo Sposo è, dunque, lo stesso Dio che si è fatto uomo. Nell'Antica Alleanza, Jahvè si presenta come lo Sposo di Israele, popolo eletto: uno Sposo tenero ed esigente, geloso e fedele. Tutti i tradimenti, le diserzioni e le idolatrie di Israele, descritte dai Profeti in modo drammatico e suggestivo, non riescono a spegnere l'amore con cui il Dio-Sposo “ama sino alla fine” (cfr Gv 13,1).
Lettera alle Famiglie 19
 
Matrimonio sacramento di mutua santificazione e atto di culto
Fonte propria e mezzo originale di santificazione per i coniugi e per la famiglia cristiana è il sacramento del matrimonio, che riprende e specifica la grazia santificante del battesimo. In virtù del mistero della morte e risurrezione di Cristo, entro cui il matrimonio cristiano nuovamente inserisce, l'amore coniugale viene purificato e santificato: «il Signore si è degnato di sanare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e di carità» («Gaudium et Spes», 49).
Il dono di Gesù Cristo non si esaurisce nella celebrazione del sacramento del matrimonio, ma accompagna i coniugi lungo tutta la loro esistenza. Lo ricorda esplicitamente il Concilio Vaticano II, quando dice che Gesù Cristo «rimane con loro perché, come Egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per lei, così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione... Per questo motivo i coniugi cristiani sono corroborati e sono consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo in forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dallo Spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, e perciò partecipano alla glorificazione di Dio («Gaudium et Spes», 48).
& Familiaris Consortio, 56
 
Matrimonio e sacramento della riconciliazione
Carissime famiglie, anche voi dovete essere coraggiose, pronte sempre a rendere testimonianza di quella speranza che è in voi (cfr 1 Pt 3,15), perché radicata nel vostro cuore dal buon Pastore mediante il Vangelo. Dovete essere pronte a seguire Cristo verso quei pascoli che danno la vita e che Lui stesso ha preparato col mistero pasquale della sua morte e risurrezione. Non abbiate paura dei rischi! Le forze divine sono di gran lunga più potenti delle vostre difficoltà! Smisuratamente più grande del male che opera nel mondo è l'efficacia del sacramento della Riconciliazione, non a caso chiamato dai Padri della Chiesa “secondo Battesimo”. Molto più incisiva della corruzione presente nel mondo è l'energia divina del sacramento della Confermazione, che porta a maturazione il Battesimo. Incomparabilmente più grande è, soprattutto, la potenza dell'Eucaristia.
Lettera alle Famiglie 18,4
 
Matrimonio e sacramento dell’eucarestia
L'Eucaristia è sacramento veramente mirabile. In esso Cristo ci ha lasciato se stesso come cibo e bevanda, come fonte di potenza salvifica. Ci ha lasciato se stesso affinché avessimo la vita e l'avessimo in abbondanza (cfr Gv 10,10): la vita che è in Lui e che Egli ci ha comunicato col dono dello Spirito risorgendo il terzo giorno dopo la morte. È infatti per noi la vita che viene da Lui. Essa è per voi, cari sposi, genitori e famiglie! Non ha Egli istituito l'Eucaristia in un contesto familiare, durante l'ultima Cena? Quando per i pasti vi incontrate e siete fra voi uniti, Cristo vi è vicino. Ed ancor più Egli è l'Emmanuele, il Dio con noi, quando vi accostate alla Mensa eucaristica. Può capitare che, come a Emmaus, lo si riconosca soltanto nello “spezzare il pane” (cfr Lc 24,35). Avviene anche che Egli stia a lungo alla porta e bussi, attendendo che la porta venga aperta per poter entrare e cenare con noi (cfr Ap 3,20). La sua ultima Cena, le parole allora pronunciate conservano tutta la potenza e la sapienza del sacrificio della Croce. Non esiste altra potenza e altra sapienza attraverso le quali possiamo essere salvati e mediante le quali possiamo contribuire a salvare gli altri. Non vi è altra potenza e altra sapienza mediante le quali, voi, genitori, possiate educare i vostri figli ed anche voi stessi. La potenza educativa dell'Eucaristia si è confermata attraverso le generazioni e i secoli. Il buon Pastore è con noi dappertutto. Com'era a Cana di Galilea, Sposo tra quegli sposi che si affidavano vicendevolmente per tutta la vita, il buon Pastore è oggi con voi come ragione di speranza, forza dei cuori, fonte di entusiasmo sempre nuovo e segno della vittoria della “civiltà dell'amore”. Gesù, il buon Pastore, ci ripete: Non abbiate paura. Io sono con voi. “Sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Da dove tanta forza? Da dove la certezza che Tu sei con noi, anche se Ti hanno ucciso, o Figlio di Dio, e sei morto come ogni altro essere umano? Da dove questa certezza? Dice l'evangelista: “Li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Tu dunque ci ami, Tu che sei il Primo e l'Ultimo, il Vivente; Tu che eri morto ed ora vivi per sempre (cfr Ap 1,17-18).
Lettera alle Famiglie 18,5
 
Mezzi della comunicazione, matrimonio e famiglia
La Chiesa è consapevole che la sua presenza nel mondo contemporaneo e, in particolare, che il suo contributo e sostegno alla valorizzazione della dignità del matrimonio e della famiglia, sono strettamente legati allo sviluppo della cultura; di ciò giustamente si preoccupa. Proprio per questo la Chiesa segue con sollecita attenzione gli orientamenti dei mezzi di comunicazione sociale, il cui compito è quello di formare oltre che di informare il grande pubblico. Ben conoscendo l'ampia e profonda incidenza di tali mezzi, essa non si stanca di mettere in guardia gli operatori della comunicazione dai pericoli della manipolazione della verità. Quale verità può esserci, infatti, nei films, negli spettacoli, nei programmi radio-televisivi nei quali dominano la pornografia e la violenza. È un buon servizio, questo, alla verità sull'uomo? Sono interrogativi ai quali non possono sottrarsi gli operatori di questi strumenti ed i vari responsabili della elaborazione e commercializzazione dei loro prodotti.
Grazie ad una simile riflessione critica la nostra civiltà, che pur registra tanti aspetti positivi sul piano sia materiale che culturale, dovrebbe rendersi conto di essere, da diversi punti di vista, una civiltà malata, che genera profonde alterazioni nell'uomo. Perché si verifica questo? La ragione sta nel fatto che la nostra società s'è distaccata dalla piena verità sull'uomo, dalla verità su ciò che l'uomo e la donna sono come persone. Di conseguenza, essa non sa comprendere in maniera adeguata che cosa veramente siano il dono delle persone nel matrimonio, l'amore responsabile al servizio della paternità e della maternità, l'autentica grandezza della generazione e dell'educazione. È allora esagerato affermare che i mass media, se non sono orientati secondo i sani principi etici, non servono la verità nella sua dimensione essenziale? Ecco, dunque, il dramma: i moderni strumenti della comunicazione sociale sono soggetti alla tentazione di manipolare il messaggio, rendendo falsa la verità sull'uomo. L'essere umano non è quello reclamizzato dalla pubblicità e presentato nei moderni mass media. È molto di più, come unità psico-fisica, come tutt'uno di anima e di corpo, come persona. È molto di più per la sua vocazione all'amore, che lo introduce come maschio e femmina nella dimensione del “grande mistero”.
Lettera alle Famiglie 20,4
 
Minaccia alla civiltà dell’amore
I pericoli che incombono sull'amore costituiscono una minaccia anche alla civiltà dell'amore, perché favoriscono quanto è in grado di contrastarla efficacemente. Si pensi anzitutto all'egoismo, non solo all'egoismo del singolo, ma anche a quello della coppia o, in un ambito ancora più vasto, all'egoismo sociale, p.es. di classe o di nazione (nazionalismo). L'egoismo, in ogni sua forma, si oppone direttamente e radicalmente alla civiltà dell'amore. Si vuol dire, forse, che l'amore è da definirsi semplicemente come “anti-egoismo”? Sarebbe una definizione troppo povera e in definitiva solo negativa, anche se è vero che per realizzare l'amore e la civiltà dell'amore debbono essere superate varie forme di egoismo. Più giusto è parlare di “altruismo”, che è l'antitesi dell'egoismo. Ma ancor più ricco e completo è il concetto di amore illustrato da san Paolo. L'inno alla carità della Prima Lettera ai Corinzi rimane come la magna charta della civiltà dell'amore. In esso non è questione tanto di singole manifestazioni (sia dell'egoismo che dell'altruismo), quanto dell'accettazione radicale del concetto di uomo come persona che “si ritrova” attraverso il dono sincero di se stesso. Un dono è, ovviamente, “per gli altri”; è questa la dimensione più importante della civiltà dell'amore.
Entriamo così nel nucleo stesso della verità evangelica sullalibertà. La persona si realizza mediante l'esercizio della libertà nella verità. La libertà non può essere intesa come facoltà di fare qualsiasi cosa: essa significa dono di sé. Di più: significa interiore disciplina del dono. Nel concetto di dono non è inscritta soltanto la libera iniziativa del soggetto, ma anche la dimensione del dovere. Tutto ciò si realizza nella “comunione delle persone”. Siamo così nel cuore stesso di ogni famiglia.
Lettera alle Famiglie 14,2

Ministero di evangelizzazione dei genitori cristiani
Il ministero di evangelizzazione dei genitori cristiani è originale e insostituibile: assume le connotazioni tipiche della vita familiare, intessuta come dovrebbe essere d'amore, di semplicità, di concretezza e di testimonianza quotidiana. La famiglia deve formare i figli alla vita, in modo che ciascuno adempia in pienezza il suo compito secondo la vocazione ricevuta da Dio. Infatti, la famiglia che è aperta ai valori trascendenti, che serve i fratelli nella gioia, che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio. Il ministero di evangelizzazione e di catechesi dei genitori deve accompagnare la vita dei figli anche negli anni della loro adolescenza e giovinezza, quando questi, come spesso avviene, contestano o addirittura rifiutano la fede cristiana ricevuta nei primi anni della loro vita. Come nella Chiesa l'opera di evangelizzazione non va mai disgiunta dalla sofferenza dell'apostolo, così nella famiglia cristiana i genitori devono affrontare con coraggio e con grande serenità d'animo le difficoltà, che il loro ministero di evangelizzazione alcune volte incontra negli stessi figli. Non si dovrà dimenticare che il servizio svolto dai coniugi e dai genitori cristiani in favore del Vangelo è essenzialmente un servizio ecclesiale, rientra cioè nel contesto dell'intera Chiesa quale comunità evangelizzata ed evangelizzante. In quanto radicato e derivato dall'unica missione della Chiesa ed in quanto ordinato all'edificazione dell'unico Corpo di Cristo (cfr. 1Cor 12,4ss; Ef 4,12s), il ministero di evangelizzazione e di catechesi della Chiesa domestica deve restare in intima comunione e deve responsabilmente armonizzarsi con tutti gli altri servizi di evangelizzazione e di catechesi, presenti e operanti nella comunità ecclesiale, sia diocesana sia parrocchiale.
& Familiaris Consortio, 53
 
Ministero di evangelizzazione missionaria della famiglia cristiana
L'universalità senza frontiere è l'orizzonte proprio della evangelizzazione, interiormente animata dallo slancio missionario: è infatti la risposta alla esplicita ed inequivocabile consegna di Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15). Anche la fede e la missione evangelizzatrice della famiglia cristiana posseggono questo respiro missionario cattolico. Il sacramento del matrimonio, che riprende e ripropone il compito, radicato nel battesimo e nella cresima, di difendere e diffondere la fede (cfr. «Lumen Gentium», 11), costituisce i coniugi e i genitori cristiani testimoni di Cristo «fino agli estremi confini della terra» (At 1,8), veri e propri «missionari» dell'amore e della vita. Una certa forma di attività missionaria può essere svolta già all'interno della famiglia. Ciò avviene quando qualche componente di essa non ha la fede o non la pratica con coerenza. In tale caso i congiunti devono offrirgli una testimonianza vissuta della loro fede, che lo stimoli e lo sostenga nel cammino verso la piena adesione a Cristo Salvatore (cfr. 1Pt 3,1s).
Animata dallo spirito missionario già al proprio interno, la Chiesa domestica è chiamata ad essere un segno luminoso della presenza di Cristo e del suo amore anche per i «lontani», per le famiglie che non credono ancora e per le stesse famiglie cristiane che non vivono più in coerenza con la fede ricevuta: è chiamata «col suo esempio e con la sua testimonianza» a illuminare «quelli che cercano la verità» (cfr. «Lumen Gentium», 35; «Apostolicam Actuositatem», 11).
Come già agli albori del cristianesimo Aquila e Priscilla si presentavano come coppia missionaria (cfr. At 18; Rm 16,3s), così oggi la Chiesa testimonia la sua incessante novità e fioritura con la presenza di coniugi e di famiglie cristiane che, almeno per un certo periodo di tempo, vanno nelle terre di missione ad annunciare il Vangelo, servendo l'uomo con l'amore di Gesù Cristo. Le famiglie cristiane portano un particolare contributo alla causa missionaria della Chiesa coltivando le vocazioni missionarie in mezzo ai loro figli e figlie (cfr. «Ad Gentes», 39) e, più generalmente, con un'opera educativa che fa «disporre i loro figli, fin dalla giovinezza, a riconoscere l'amore di Dio verso tutti gli uomini» («Apostolicam Actuositatem», 30).
& Familiaris Consortio, 54
 
Missione educativa dei genitori
Anche il Sinodo, riprendendo e sviluppando le linee conciliari, ha presentato la missione educativa della famiglia cristiana come un vero ministero, per mezzo del quale viene trasmesso e irradiato il Vangelo, al punto che la stessa vita di famiglia diventa itinerario di fede e in qualche modo iniziazione cristiana e scuola della sequela di Cristo. Nella famiglia cosciente di tale dono, come ha scritto Paolo VI, «tutti i membri evangelizzano e sono evangelizzati» («Evangelii Nuntiandi», 71). In forza del mistero dell'educazione i genitori mediante la testimonianza della vita, sono i primi araldi del Vangelo presso i figli. Di più, pregando con i figli, dedicandosi con essi alla lettura della Parola di Dio ed inserendoli nell'intimo del Corpo - eucaristico ed ecclesiale - di Cristo mediante l'iniziazione cristiana, diventano pienamente genitori generatori cioè non solo della vita carnale, ma anche di quella che, mediante la rinnovazione dello Spirito, scaturisce dalla Croce e risurrezione di Cristo.
Perché i genitori cristiani possano compiere degnamente il loro ministero educativo, i Padri Sinodali hanno auspicato che sia preparato un adeguato testo di catechismo per le famiglie, chiaro, breve e tale da poter essere facilmente assimilato da tutti. Le conferenze episcopali sono state caldamente invitate ad impegnarsi per la realizzazione di questo catechismo.
& Familiaris Consortio, 39,2
 
Missione educativa e il sacramento del matrimonio
Per i genitori cristiani la missione educativa, radicata come si è detto nella loro partecipazione all'opera creatrice di Dio, ha una nuova e specifica sorgente nel sacramento del matrimonio, che li consacra all'educazione propriamente cristiana dei figli, li chiama cioè a partecipare alla stessa autorità e allo stesso amore di Dio Padre e di Cristo Pastore, come pure all'amore materno della Chiesa, e li arricchisce di sapienza, consiglio, fortezza e di ogni altro dono dello Spirito Santo per aiutare i figli nella loro crescita umana e cristiana.
Dal sacramento del matrimonio il compito educativo riceve la dignità e la vocazione di essere un vero e proprio «ministero» della Chiesa al servizio della edificazione dei suoi membri. Tale è la grandezza e lo splendore del ministero educativo dei genitori cristiani, che san Tommaso non esita a paragonare al ministero dei sacerdoti: «Alcuni propagano e conservano la vita spirituale con un ministero unicamente spirituale, e questo spetta al sacramento dell'ordine; altri lo fanno quanto alla vita ad un tempo corporale e spirituale e ciò avviene col sacramento del matrimonio, nel quale l'uomo e la donna si uniscono per generare la prole ed educarla al culto di Dio («Summa contra Gentiles», IV, 58).
La coscienza viva e vigile della missione ricevuta col sacramento del matrimonio aiuterà i genitori cristiani a porsi con grande serenità e fiducia al servizio educativo dei figli e, nello stesso tempo, con senso di responsabilità di fronte a Dio che li chiama e li manda ad edificare la Chiesa nei figli. Così la famiglia dei battezzati, convocata quale chiesa domestica dalla Parola e dal Sacramento, diventa insieme, come la grande Chiesa, maestra e madre.
& Familiaris Consortio, 38
 
Mentalità contro la vita
La dottrina della Chiesa si colloca oggi in una situazione sociale e culturale, che la rende ad un tempo più difficile da comprendere e più urgente ed insostituibile per promuovere il vero bene dell'uomo e della donna. Infatti, il progresso scientifico-tecnico, che l'uomo contemporaneo accresce di continuo nel suo dominio sulla natura, non sviluppa solo la speranza di creare una nuova e migliore umanità, ma anche un'angoscia sempre più profonda circa il futuro. Alcuni si domandano se sia bene vivere o se non sia meglio neppure essere nati; dubitano, se sia lecito chiamare altri alla vita, i quali forse malediranno la propria esistenza in un mondo crudele, i cui terrori non sono neppure prevedibili. Altri pensano di essere gli unici destinatari dei vantaggi della tecnica ed escludono gli altri, ai quali vengono imposti mezzi contraccettivi o metodi ancor peggiori. Altri ancora, imprigionati come sono dalla mentalità consumistica e con l'unica preoccupazione di un continuo aumento di beni materiali, finiscono per non comprendere più e quindi per rifiutare la ricchezza spirituale di una nuova vita umana. La ragione ultima di queste mentalità è l'assenza, nel cuore degli uomini di Dio, il cui amore soltanto è più forte di tutte le possibile paure del mondo e le può vincere.
E' nata così una mentalità contro la vita (anti-life mentality), come emerge in molte questioni attuali: si pensi, ad esempio, a un certo panico derivato dagli studi degli ecologi e dei futurologi sulla demografia, che a volte esagerano il pericolo dell'incremento demografico per la qualità della vita.
& Familiaris Consortio, 30
 
Missione della famiglia cristiana
Nel disegno di Dio Creatore e Redentore la famiglia scopre non solo la sua «identità», ciò che essa «è», ma anche la sua «missione)», ciò che essa può e deve «fare». I compiti, che la famiglia è chiamata da Dio a svolgere nella storia, scaturiscono dal suo stesso essere e ne rappresentano lo sviluppo dinamico ed esistenziale. Ogni famiglia scopre e trova in se stessa l'appello insopprimibile, che definisce ad un tempo la sua dignità e la sua responsabilità: famiglia, «diventa» ciò che «sei»! Risalire al «principio» del gesto creativo di Dio è allora una necessità per la famiglia, se vuole conoscersi e realizzarsi secondo l'interiore verità non solo del suo essere ma anche del suo agire storico. E poiché, secondo il disegno divino, è costituita quale «intima comunità di vita e di amore («Gaudium et Spes», 48), la famiglia ha la missione di diventare sempre più quello che è, ossia comunità di vita e di amore, in una tensione che, come per ogni realtà creata e redenta troverà il suo componimento nel Regno di Dio. In una prospettiva poi che giunge alle radici stesse della realtà, si deve dire che l'essenza e i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall'amore. Per questo la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa.
& Familiaris Consortio, 17
 
Modello originario della Famiglia
Alla luce del Nuovo Testamento è possibile intravedere come il modello originario della famiglia vada ricercato in Dio stesso, nel mistero trinitario della sua vita. Il “Noi” divino costituisce il modello eterno del “noi” umano; di quel “noi” innanzitutto che è formato dall'uomo e dalla donna, creati ad immagine e somiglianza divina. Le parole del Libro della Genesi contengono quella verità sull'uomo a cui corrisponde l'esperienza stessa dell'umanità. L'uomo è creato sin “dal principio” come maschio e femmina: la vita dell'umana collettività — delle piccole comunità come dell'intera società — porta il segno di questa dualità originaria. Da essa derivano la “mascolinità” e la “femminilità” dei singoli individui, così come da essa ogni comunità attinge la propria caratteristica ricchezza nel reciproco completamento delle persone. A ciò sembra riferirsi il passo del Libro della Genesi: “Maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). Questa è anche la prima affermazione della pari dignità dell'uomo e della donna: ambedue, ugualmente, sono persone. Tale loro costituzione, con la specifica dignità che ne deriva, definisce sin “dal principio” le caratteristiche del bene comune dell'umanità in ogni dimensione ed ambito di vita. A questo bene comune ambedue, l'uomo e la donna, recano il contributo loro proprio, grazie al quale si ritrova, alle radici stesse della convivenza umana, il carattere di comunione e di complementarietà.
Lettera alle Famiglie 6,2

N
 
Nascita e pericolo
Univoca e categorica è la legge di Dio nei riguardi della vita umana. Dio comanda: “Non uccidere” (Es 20,13). Nessun legislatore umano può pertanto affermare: ti è lecito uccidere, hai diritto di uccidere, dovresti uccidere. Purtroppo, nella storia del nostro secolo, questo si è verificato, quando sono andate al potere, in modo anche democratico, forze politiche che hanno emanato leggi contrarie al diritto di ogni uomo alla vita, in nome di presunte quanto aberranti ragioni eugeniche, etniche e simili. Un fenomeno non meno grave, anche perché accompagnato da larga acquiescenza o consenso di opinione pubblica, è quello delle legislazioni non rispettose del diritto alla vita fin dal concepimento. Come si potrebbero moralmente accettare delle leggi che permettono di uccidere l'essere umano non ancora nato, ma che già vive nel grembo materno? Il diritto alla vita diventa in tal modo appannaggio esclusivo degli adulti, che si servono degli stessi parlamenti per attuare i propri progetti e per perseguire i propri interessi. Ci troviamo di fronte ad un'enorme minaccia contro la vita: non solo di singoli individui, ma anche dell'intera civiltà. L'affermazione che questa civiltà è diventata, sotto alcuni aspetti, “civiltà della morte” riceve una preoccupante conferma. E non è forse evento profetico il fatto che la nascita di Cristo sia stata accompagnata dal pericolo per la sua esistenza? Sì, anche la vita di Colui che è al tempo stesso figlio dell'uomo e figlio di Dio è stata minacciata, è stata in pericolo sin dall'inizio, e solo per miracolo ha evitato la morte.
Negli ultimi decenni, tuttavia, si notano alcuni sintomi confortanti di un risveglio delle coscienze: esso riguarda sia il mondo del pensiero che la stessa opinione pubblica. Cresce, specialmente tra i giovani, una nuova coscienza di rispetto della vita fino dal concepimento; si diffondono i movimenti per la vita (“pro life”). È un lievito di speranza per il futuro della famiglia e dell'intera umanità.
Lettera alle Famiglie 20,5
 
Nuova vita: per i genitori e la società
Ma è poi vero che il nuovo essere umano è un dono per i genitori? Un dono per la società? Apparentemente nulla sembra indicarlo. La nascita di un uomo pare talora un semplice dato statistico, registrato come tanti altri nei bilanci demografici. Certamente la nascita di un figlio significa per i genitori ulteriori fatiche, nuovi pesi economici, altri condizionamenti pratici: motivi, questi, che possono indurli nella tentazione di non desiderare un'altra nascita. In alcuni ambienti sociali e culturali poi la tentazione si fa più forte. Il figlio non è dunque un dono? Viene solo per prendere e non per dare? Ecco alcuni inquietanti interrogativi, da cui l'uomo d'oggi fa fatica a liberarsi. Il figlio viene ad occupare dello spazio, mentre di spazio nel mondo sembra essercene sempre meno. Ma è proprio vero che egli non porta niente alla famiglia ed alla società? Non è forse una “particella” di quel bene comune, senza del quale le comunità umane si frantumano e rischiano di morire? Come negarlo? Il bambino fa di sé un dono ai fratelli, alle sorelle, ai genitori, all'intera famiglia. La sua vita diventa dono per gli stessi donatori della vita, i quali non potranno non sentire la presenza del figlio, la sua partecipazione alla loro esistenza, il suo apporto al bene comune loro e della comunità familiare. Verità, questa, che nella sua semplicità e profondità rimane ovvia, nonostante la complessità, ed anche l'eventuale patologia, della struttura psicologica di certe persone. Il bene comune dell'intera società dimora nell'uomo, che, come è stato ricordato, è “la via della Chiesa”. Egli è anzitutto la “gloria di Dio”: “Gloria Dei vivens homo”, secondo la nota affermazione di sant'Ireneo, che potrebbe essere tradotta anche così: “La gloria di Dio è che l'uomo viva”. Siamo qui in presenza, si direbbe, della definizione più alta dell'uomo: la gloria di Dio è il bene comune di tutto ciò che esiste; il bene comune del genere umano.
Lettera alle Famiglie 11,3
 
Nuovo Umanesimo
A tutta la Chiesa si pone il compito di una riflessione e di un impegno assai profondi, perché la nuova cultura emergente sia intimamente evangelizzata, siano riconosciuti i veri valori, siano difesi i diritti dell'uomo e della donna e sia promossa la giustizia nelle strutture stesse della società. In tal modo il «nuovo umanesimo» non distoglierà gli uomini dal loro rapporto con Dio, ma ve li condurrà più pienamente. Nella costruzione di tale umanesimo, la scienza e le sue applicazioni tecniche offrono nuove ed immense possibilità. Tuttavia, la scienza, in conseguenza di scelte politiche che ne decidono la direzione di ricerca e le applicazioni, viene spesso usata contro il suo significato originario, la promozione della persona umana.
& Familiaris Consortio, 8
 
O
 
 Onora tuo padre e tua madre
Il quarto comandamento del Decalogo riguarda la famiglia, la sua compattezza interiore; potremmo dire, la sua solidarietà.
Nella sua formulazione non si parla esplicitamente della famiglia. Di fatto, però, è proprio di essa che si tratta. Per esprimere la comunione tra le generazioni il divino Legislatore non ha trovato parola più adatta di questa: “Onora...” (Es 20,12). Siamo di fronte ad un altro modo per esprimere ciò che la famiglia è. Tale formulazione non eleva la famiglia in modo “artificiale”, ma pone in luce la sua soggettività ed i diritti che ne scaturiscono. La famiglia è una comunità di relazioni interpersonali particolarmente intense: tra coniugi, tra genitori e figli, tra generazioni. È una comunità che va garantita in modo particolare. E Dio non trova garanzia migliore di questa: “Onora”.
“Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio” (Es 20,12). Questo comandamento segue i tre precetti fondamentali che riguardano il rapporto dell'uomo e del popolo d'Israele con Dio: “Shema, Izrael...”, “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo” (Dt 6,4). “Non avrai altri dèi di fronte a me” (Es 20,3). Ecco il primo e il più grande comandamento, il comandamento dell'amore per Dio “sopra ogni cosa”: Egli va amato “con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze” (Dt 6,5; cfr Mt 22,37). È significativo che il quarto comandamento si inserisca proprio in tale contesto: “Onora tuo padre e tua madre”, perché essi sono per te, in un certo senso, i rappresentanti del Signore, coloro che ti hanno dato la vita, che ti hanno introdotto nell'esistenza umana: in una stirpe, in una nazione, in una cultura. Dopo Dio, sono essi i tuoi primi benefattori. Se Dio solo è buono, anzi è il Bene stesso, i genitori partecipano in modo singolare di questa sua bontà suprema. E dunque: onora i tuoi genitori! Vi è qui una certa analogia con il culto dovuto a Dio.
Lettera alle Famiglie 15
 
Operatori della pastorale familiare: i laici
Pastori e laici partecipano, nella Chiesa, alla missione profetica di Cristo: i laici, testimoniando la fede con le parole e con la vita cristiana; i pastori, discernendo in tale testimonianza ciò che è espressione di fede genuina da ciò che è meno rispondente alla luce della fede; la famiglia, in quanto comunità cristiana, con la sua peculiare partecipazione e testimonianza di fede. Si avvia così un dialogo anche tra i pastori e le famiglie. I teologi e gli esperti di problemi familiari possono essere di grande aiuto a tale dialogo, spiegando esattamente il contenuto del Magistero della Chiesa e quello dell'esperienza della vita di famiglia. In tal modo l'insegnamento del Magistero viene meglio compreso e si spiana la strada al suo progressivo sviluppo. Giova tuttavia ricordare che la norma prossima e obbligatoria nella dottrina della fede - anche circa i problemi della famiglia - compete al Magistero gerarchico. Rapporti chiari tra i teologi, gli esperti di problemi familiari e il Magistero giovano non poco alla retta intelligenza della fede ed a promuovere - entro i confini di essa - il legittimo pluralismo.
& Familiaris Consortio, 73,3

Operatori della pastorale familiare: laici specializzati
Non poco giovamento possono recare alle famiglie quei laici specializzati (medici, uomini di legge, psicologi, assistenti sociali, consulenti, ecc.) che sia individualmente sia impegnati in diverse associazioni e iniziative, prestano la loro opera di illuminazione, di consiglio, di orientamento, di sostegno. Ad essi possono bene applicarsi le esortazioni che ebbi occasione di rivolgere alla Confederazione dei Consultori familiari di ispirazione cristiana: «E' un impegno il vostro, che ben merita la qualifica di missione, tanto nobili sono le finalità che persegue e tanto determinati, per il bene della società e della stessa comunità cristiana, sono i risultati che ne derivano... Tutto quello che riuscirete a fare a sostegno della famiglia è destinato ad avere un'efficacia che, travalicando il suo ambito proprio, raggiunge anche altre persone ed incide sulla società. Il futuro del mondo e della Chiesa passa attraverso la famiglia» (nn. 3-4 [29 Novembre 1980]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 2 [1980] 1453).
& Familiaris Consortio, 75
 
Operatori della pastorale familiare: i presbiteri
I vescovi si valgono in modo particolare dei presbiteri, il cui compito - come ha espressamente sottolineato il Sinodo - costituisce parte essenziale del ministero della Chiesa verso il matrimonio e la famiglia. Lo stesso si dica di quei diaconi, ai quali eventualmente venga affidata la cura di questo settore pastorale. La loro responsabilità si estende non solo ai problemi morali e liturgici, ma anche a quelli di carattere personale e sociale. Essi devono sostenere la famiglia nelle sue difficoltà e sofferenze, affiancandosi ai membri di essa, aiutandoli a vedere la loro vita alla luce del Vangelo. Non è superfluo notare che da tale missione, se esercitata col dovuto discernimento e con vero spirito apostolico, il ministro della Chiesa attinge nuovi stimoli ed energie spirituali anche per la propria vocazione e per l'esercizio stesso del ministero.
Tempestivamente e seriamente preparati a tale apostolato, il sacerdote o il diacono devono comportarsi costantemente, nei riguardi delle famiglie, come padre, fratello, pastore e maestro, aiutandole coi sussidi della grazia e illuminandole con la luce della verità. Il loro insegnamento e i loro consigli, quindi, dovranno essere sempre in piena consonanza col Magistero autentico della Chiesa, in modo da aiutare il Popolo di Dio a formarsi un retto senso della fede da applicare, poi, alla vita concreta. Tale fedeltà al Magistero consentirà pure ai sacerdoti di curare con ogni impegno l'unità nei loro giudizi, per evitare ai fedeli ansietà di coscienza.
& Familiaris Consortio, 73,2
 
Operatori della pastorale familiare: recettori e operatori della comunicazione sociale
Una parola a parte è da riservare a questa categoria tanto importante nella vita moderna. E' risaputo che gli strumenti della comunicazione sociale incidono, e spesso profondamente, sia sotto l'aspetto affettivo e intellettuale, sia sotto l'aspetto morale e religioso, nell'ambito di quanti li usano. Essi, perciò, possono esercitare un benefico influsso sulla vita e sui costumi della famiglia e sulla educazione dei figli, ma al tempo stesso nascondono anche insidie e pericoli non trascurabili e potrebbero diventare veicolo - a volte abilmente e sistematicamente manovrato, come purtroppo accade in diversi Paesi del mondo - di ideologie disgregatrici e di visioni deformate della vita, della famiglia, della religione, della moralità, non rispettose della vera dignità e del destino dell'uomo. Pericolo tanto più reale, in quanto l'odierno modo di vivere - specialmente nelle nazioni più industrializzate - porta assai spesso le famiglie a scaricarsi delle loro responsabilità educative, trovando nella facilità di evasione (rappresentata, in casa, specialmente dalla televisione e da certe pubblicazioni), il modo di tenere occupati tempo ed attività dei bambini e dei ragazzi». Di qui il dovere... di proteggere specialmente i bambini e ragazzi dalle "aggressioni" che subiscono dai mass-media, procurando che l'uso di questi in famiglia sia accuratamente regolato. Così pure dovrebbe stare altrettanto a cuore alla famiglia cercare, per i propri figli, anche altri diversivi più sani, più utili e formativi fisicamente, moralmente e spiritualmente, per potenziare e valorizzare il tempo libero dei ragazzi e indirizzarne le energie. Poiché, poi, gli strumenti della comunicazione sociale - al pari della scuola e dell'ambiente - incidono spesso anche in notevole misura sulla formazione dei figli, i genitori, in quanto recettori, devono farsi parte attiva nell'uso moderato, critico, vigile e prudente di essi, individuando quale influsso esercitano sui figli, e nella mediazione orientativa che consenta di educare la coscienza dei figli ad esprimere giudizi sereni e oggettivi, che poi la guidano nella scelta e nel rifiuto dei programmi proposti. Con eguale impegno i genitori cercheranno di influire sulla scelta e preparazione dei programmi stessi, mantenendosi in contatto - con opportune iniziative - con i responsabili dei vari momenti della produzione e della trasmissione, per assicurarsi che non siano abusivamente trascurati o espressamente conculcati quei valori umani fondamentali che fanno parte del vero bene comune della società, ma, al contrario, vengano diffusi programmi atti a presentare, nella loro giusta luce, i problemi della famiglia e la loro adeguata soluzione.
& Familiaris Consortio, 76
 
Operatori della pastorale familiare: religiosi e religiose
Il contributo che i religiosi e le religiose, e le anime consacrate in genere, possono dare all'apostolato della famiglia trova la sua prima, fondamentale e originale espressione proprio nella loro consacrazione a Dio, che li rende «davanti a tutti i fedeli... richiamo di quel mirabile connubio operato da Dio e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, per cui la Chiesa ha Cristo come unico suo sposo» («Perfectae Caritatis», 12), e testimoni di quella carità universale che, per mezzo della castità abbracciata per il Regno dei cieli, li rende sempre più disponibili per dedicarsi generosamente al servizio divino e alle opere di apostolato. Di qui la possibilità che religiosi e religiose, membri di Istituti secolari e di altri Istituti di perfezione, singolarmente o associati, sviluppino un loro servizio alle famiglie, con particolare sollecitudine verso i bambini, specialmente se abbandonati, indesiderati, orfani, poveri o handicappati; visitando le famiglie e prendendosi cura dei malati; coltivando rapporti di rispetto e di carità con famiglie incomplete, in difficoltà o disgregate; offrendo la propria opera di insegnamento e di consulenza nella preparazione dei giovani al matrimonio e nell'aiuto alle coppie per una procreazione veramente responsabile; aprendo le proprie case all'ospitalità semplice e cordiale, affinché le famiglie possano trovarvi il senso di Dio, il gusto della preghiera e del raccoglimento, l'esempio concreto di una vita vissuta in carità e letizia fraterna come membri della più grande famiglia di Dio.
Vorrei aggiungere l'esortazione più pressante ai responsabili degli Istituti di vita consacrata, a voler considerare - sempre nel sostanziale rispetto del carisma proprio ed originario - l'apostolato rivolto alle famiglie come uno dei compiti prioritari, resi più urgenti dall'odierno stato di cose.
& Familiaris Consortio, 74
 
Operatori della pastorale familiare: i vescovi
Il primo responsabile della pastorale familiare nella diocesi è il vescovo. Come Padre e Pastore egli dev'essere particolarmente sollecito di questo settore, senza dubbio prioritario, della pastorale. Ad esso deve consacrare interessamento, sollecitudine, tempo, personale, risorse; soprattutto, però, appoggio personale alle famiglie ed a quanti, nelle diverse strutture diocesane, lo aiutano nella pastorale della famiglia. Avrà particolarmente a cuore il proposito di far sì che la propria diocesi sia sempre più una vera «famiglia diocesana», modello e sorgente di speranza per tante famiglie che vi appartengono. La creazione del Pontificio Consiglio per la Famiglia va vista in questo contesto: essere un segno dell'importanza che attribuisco alla pastorale della famiglia nel mondo, e al tempo stesso uno strumento efficace per aiutare a promuoverla ad ogni livello.
& Familiaris Consortio, 73
 
Organizzazioni Internazionali e Famiglia
Non è pertanto esagerato ribadire che la vita delle Nazioni, degli Stati, delle Organizzazioni internazionali “passa” attraverso la famiglia e “si fonda” sul quarto comandamento del Decalogo. L'epoca in cui viviamo, nonostante le molteplici Dichiarazioni di tipo giuridico che sono state elaborate, resta minacciata in notevole misura dalla “alienazione”, quale frutto delle premesse “illuministiche” secondo le quali l'uomo è “più” uomo se è “soltanto” uomo. Non è difficile avvertire come l'alienazione da tutto ciò che in vario modo appartiene alla piena ricchezza dell'uomo insidi la nostra epoca. E questo chiama in causa la famiglia. Infatti, l'affermazione della persona è in grande misura rapportata alla famiglia e, conseguentemente, al quarto comandamento. Nel disegno di Dio la famiglia è la prima scuola dell'essere uomo sotto i vari aspetti. Sii uomo! È questo l'imperativo che in essa si trasmette: uomo come figlio della patria, come cittadino dello Stato, e, si direbbe oggi, come cittadino del mondo. Colui che ha consegnato all'umanità il quarto comandamento è un Dio “benevolo” verso l'uomo (filanthropos, dicevano i greci). Il Creatore dell'universo è il Dio dell'amore e della vita. Egli vuole che l'uomo abbia la vita e l'abbia in abbondanza, come proclama Cristo (cfr Gv 10,10): che abbia la vita prima di tutto grazie alla famiglia.
Lettera alle Famiglie 15,4
 
Origine della famiglia
La famiglia ha la sua origine da quello stesso amore con cui il Creatore abbraccia il mondo creato, come è già espresso “al principio”, nel Libro della Genesi (1,1). Gesù nel Vangelo ne offre una suprema conferma: “Dio... ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). Il Figlio unigenito, consostanziale al Padre, “Dio da Dio e Luce da Luce”, è entrato nella storia degli uomini attraverso la famiglia: “Con l'Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo,... ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine, Egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato”. Dunque, se Cristo “svela pienamente l'uomo all'uomo”, lo fa a cominciare dalla famiglia nella quale ha scelto di nascere e di crescere. Si sa che il Redentore ha trascorso gran parte della sua vita nel nascondimento di Nazaret, “sottomesso” (Lc 2,51) come “Figlio dell'uomo” a Maria, sua Madre, e a Giuseppe, il falegname. Questa sua “obbedienza” filiale non è già la prima espressione di quell'obbedienza al Padre “fino alla morte” (Fil 2,8), mediante la quale ha redento il mondo? Il mistero divino dell'Incarnazione del Verbo è dunque in stretto rapporto con la famiglia umana. Non soltanto con una, quella di Nazaret, ma in qualche modo con ogni famiglia, analogamente a quanto il Concilio Vaticano II afferma del Figlio di Dio, che nell'Incarnazione “si è unito in certo modo ad ogni uomo”. Seguendo il Cristo “venuto” al mondo “per servire” (Mt 20,28), la Chiesa considera il servizio alla famiglia uno dei suoi compiti essenziali. In tal senso, sia l'uomo che la famiglia costituiscono “la via della Chiesa”.
Lettera alle Famiglie 2,2
 
P
 
Pastorale familiare: matrimoni misti
Il numero crescente dei matrimoni fra cattolici ed altri battezzati richiede pure una peculiare attenzione pastorale alla luce degli orientamenti e delle norme, contenute nei più recenti documenti della Santa Sede e in quelli elaborati dalle Conferenze episcopali, per consentirne l'applicazione concreta alle diverse situazioni.
Le coppie che vivono in matrimonio misto presentano peculiari esigenze, le quali possono ridursi a tre capi principali.
Vanno, anzitutto, tenuti presenti gli obblighi della parte cattolica derivanti dalla fede, per quanto concerne il libero esercizio di essa e il conseguente obbligo di provvedere, secondo le proprie forze, a battezzare e ad educare i figli nella fede cattolica. Bisogna tenere presenti le particolari difficoltà inerenti ai rapporti tra marito e moglie, per quanto riguarda il rispetto della libertà religiosa: questa può essere violata sia mediante pressioni indebite per ottenere il cambiamento delle convinzioni religiose della comparte, sia mediante impedimenti frapposti alla libera manifestazione di esse nella pratica religiosa.
Per quanto riguarda la forma liturgica e canonica del matrimonio, gli Ordinari possono largamente far uso delle loro facoltà per varie necessità. Nel trattare di queste speciali esigenze bisogna tener presenti i punti seguenti:
·        nell'apposita preparazione a questo tipo di matrimonio, deve essere compiuto ogni ragionevole sforzo per far ben comprendere la dottrina cattolica sulle qualità ed esigenze del matrimonio, come pure per assicurarsi che in futuro, non abbiano a verificarsi le pressioni e gli ostacoli, di cui si è parlato sopra;
·        è di somma importanza che, con l'appoggio della comunità, la parte cattolica venga fortificata nella sua fede e positivamente aiutata a maturare nella comprensione e nella pratica di essa, in modo da diventare vera testimone credibile in seno alla famiglia, attraverso la vita stessa e la qualità dell'amore dimostrato all'altro coniuge e ai figli.
& Familiaris Consortio, 78
 
 
Pastorale familiare: matrimoni fra cattolici e altri battezzati
I matrimoni fra cattolici ed altri battezzati presentano, pur nella loro particolare fisionomia, numerosi elementi che è bene valorizzare e sviluppare, sia per il loro intrinseco valore, sia per l'apporto che possono dare al movimento ecumenico. Ciò è particolarmente vero quando ambedue i coniugi sono fedeli ai loro impegni religiosi. Il comune battesimo e il dinamismo della grazia forniscono agli sposi, in questi matrimoni, la base e la motivazione per esprimere la loro unità nella sfera dei valori morali e spirituali.
A tal fine, anche per mettere in evidenza l'importanza ecumenica di un tale matrimonio misto, vissuto pienamente nella fede dei due coniugi cristiani, va ricercata - anche se non sempre ciò si rivela facile - una cordiale collaborazione tra il ministro cattolico e quello non cattolico, fin dal tempo della preparazione al matrimonio e delle nozze.
Quanto alla partecipazione del coniuge non cattolico alla comunione eucaristica, si seguano le norme impartite dal Segretariato per l'unione dei cristiani (Istruz. «In quibus rerum circumstantiis» [15 Giugno 1972], 518-525; Nota del 17 Ottobre 1973: ASS 64 [1973] 616-619).
In varie parti del mondo si registra, oggi, un crescente numero di matrimoni fra cattolici e non battezzati. In molti di essi il coniuge non battezzato professa un'altra religione e le sue convinzioni devono essere trattate con rispetto, secondo i principi della Dichiarazione «Nostra Aetate» del Concilio Ecumenico Vaticano II circa le relazioni con le religioni non cristiane; ma in non pochi altri, particolarmente nelle società secolarizzate, la persona non battezzata non professa alcuna religione. Per questi matrimoni è necessario che le Conferenze episcopali ed i singoli vescovi prendano misure pastorali adeguate, dirette a garantire la difesa della fede del coniuge cattolico e la tutela del libero esercizio di essa, soprattutto per quanto concerne il dovere di fare quanto è in suo potere perché i figli siano battezzati ed educati cattolicamente. Il coniuge cattolico deve essere, altresì, sostenuto in ogni modo nell'impegno di offrire all'interno della famiglia una genuina testimonianza di fede e di vita cattolica.
& Familiaris Consortio, 78,2
 
Pastorale familiare  e matrimonio per esperimento
Negli odierni rapidi mutamenti delle culture vanno purtroppo diffondendosi anche fra i cattolici alcune situazioni difficili, con non lieve danno dello stesso istituto familiare e della società, di cui esso costituisce la cellula fondamentale. Una prima situazione irregolare è data da quello che chiamano «matrimonio per esperimento», che molti oggi vorrebbero giustificare, attribuendo ad esso un certo valore. Già la stessa ragione umana insinua la sua inaccettabilità, mostrando quanto sia poco convincente che si faccia un «esperimento» nei riguardi di persone umane, la cui dignità esige che siano sempre e solo il termine dell'amore di donazione senza alcun limite né di tempo né di altra circostanza. Dal canto suo, la Chiesa non può ammettere un tale tipo di unione per ulteriori, originali motivi, derivanti dalla fede. Da una parte, infatti, il dono del corpo nel rapporto sessuale è il simbolo reale della donazione di tutta la persona: una tale donazione peraltro, nell'attuale economia non può attuarsi con verità piena senza il concorso dell'amore di carità, dato da Cristo. Dall'altra parte, poi, il matrimonio fra due battezzati è il simbolo reale dell'unione di Cristo con la Chiesa, una unione non temporanea o «ad esperimento», ma eternamente fedele; tra due battezzati, pertanto, non può esistere che un matrimonio indissolubile. Tale situazione ordinariamente non può essere superata, se la persona umana, fin dall'infanzia, con l'aiuto della grazia di Cristo e senza timori, non è stata educata a dominare la nascente concupiscenza e ad instaurare con gli altri rapporti di amore genuino. Ciò non si ottiene senza una vera educazione all'amore autentico e al retto uso della sessualità, tale che introduca la persona umana secondo ogni sua dimensione, e perciò anche in quella che riguarda il proprio corpo, nella pienezza del mistero di Cristo.
Sarà molto utile indagare sulle cause di questo fenomeno, anche nel suo aspetto psicologico e sociologico, per giungere a trovare un'adeguata terapia.
& Familiaris Consortio, 79-80
 
Pastorale familiare: unioni libere di fatto
Si tratta di unioni senza alcun vincolo istituzionale pubblicamente riconosciuto, né civile né religioso. Questo fenomeno - esso pure sempre più frequente - non può non attirare l'attenzione dei pastori d'anime, anche perché alla sua base possono esserci elementi molto diversi fra loro, agendo sui quali sarà forse possibile limitarne le conseguenze. Alcuni, infatti, vi si considerano quasi costretti da situazioni difficili - economiche, culturali e religiose - in quanto, contraendo regolare matrimonio, verrebbero esposti ad un danno, alla perdita di vantaggi economici, a discriminazioni, ecc. In altri, invece, si riscontra un atteggiamento di disprezzo, di contestazione o di rigetto della società, dell'istituto familiare, dell'ordinamento socio-politico, o di sola ricerca del piacere. Altri, infine, vi sono spinti dall'estrema ignoranza e povertà, talvolta da condizionamenti dovuti a situazioni di vera ingiustizia, o anche da una certa immaturità psicologica, che li rende incerti e timorosi di contrarre un vincolo stabile e definitivo. In alcuni Paesi le consuetudini tradizionali prevedono il matrimonio vero e proprio solo dopo un periodo di coabitazione e dopo la nascita del primo figlio. Ognuno di questi elementi pone alla Chiesa ardui problemi pastorali, per le gravi conseguenze che ne derivano, sia religiose e morali (perdita del senso religioso del matrimonio, visto alla luce dell'Alleanza di Dio con il suo popolo: privazione della grazia del sacramento; grave scandalo), sia anche sociali (distruzione del concetto di famiglia; indebolimento del senso di fedeltà anche verso la società; possibili traumi psicologici nei figli; affermazione dell'egoismo).
Sarà cura dei pastori e della comunità ecclesiale conoscere tali situazioni e le loro cause concrete, caso per caso; avvicinare i conviventi con discrezione e rispetto; adoperarsi con una azione di paziente illuminazione, di caritatevole correzione, di testimonianza familiare cristiana, che possa spianare loro la strada verso la regolarizzazione della situazione. Soprattutto, però, sia fatta opera di prevenzione, coltivando il senso della fedeltà in tutta l'educazione morale e religiosa dei giovani, istruendoli circa le condizioni e le strutture che favoriscono tale fedeltà, senza la quale non si dà vera libertà, aiutandoli a maturare spiritualmente, facendo loro comprendere la ricca realtà umana e soprannaturale del matrimonio-sacramento.
Il Popolo di Dio si adoperi anche presso le pubbliche autorità affinché resistendo a queste tendenze disgregatrici della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei singoli cittadini, si adoperino perché l'opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare l'importanza istituzionale del matrimonio e della famiglia. E poiché in molte regioni, per l'estrema povertà derivante da strutture socioeconomiche ingiuste o inadeguate, i giovani non sono in condizione di sposarsi come si conviene, la società e le pubbliche autorità favoriscono il matrimonio legittimo mediante una serie di interventi sociali e politici, garantendo il salario familiare, emanando disposizioni per un'abitazione adatta alla vita familiare, creando adeguate possibilità di lavoro e di vita.
& Familiaris Consortio, 81
 
Pastorale familiare di cattolici uniti col solo matrimonio civile
E' sempre più diffuso il caso di cattolici che, per motivi ideologici e pratici, preferiscono contrarre il solo matrimonio civile, rifiutando o almeno rimandando quello religioso. La loro situazione non può equipararsi senz'altro a quella dei semplici conviventi senza alcun vincolo, in quanto vi si riscontra almeno un certo impegno a un preciso e probabilmente stabile stato di vita, anche se spesso non è estranea a questo passo la prospettiva di un eventuale divorzio. Ricercando il pubblico riconoscimento del vincolo da parte dello Stato, tali coppie mostrano di essere disposte ad assumersene, con i vantaggi, anche gli obblighi. Ciò nonostante, neppure questa situazione è accettabile da parte della Chiesa. L'azione pastorale tenderà a far comprendere la necessità della coerenza tra la scelta di vita e la fede che si professa, e cercherà di far quanto è possibile per indurre tali persone a regolare la propria situazione alla luce dei principi cristiani. Pur trattandole con grande carità, e interessandole alla vita delle rispettive comunità, i pastori della Chiesa non potranno purtroppo ammetterle ai sacramenti.
& Familiaris Consortio, 82
 
Pastorale familiare di separati e divorziati non risposati
Motivi diversi, quali incomprensioni reciproche, incapacità di aprirsi a rapporti interpersonali, ecc. possono dolorosamente condurre il matrimonio valido a una frattura spesso irreparabile. Ovviamente la separazione deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano.
La solitudine e altre difficoltà sono spesso retaggio del coniuge separato, specialmente se innocente. In tal caso la comunità ecclesiale deve più che mai sostenerlo; prodigargli stima, solidarietà, comprensione ed aiuto concreto in modo che gli sia possibile conservare la fedeltà anche nella difficile situazione in cui si trova; aiutarlo a coltivare l'esigenza del perdono propria dell'amore cristiano e la disponibilità all'eventuale ripresa della vita coniugale anteriore.
Analogo è il caso del coniuge che ha subito divorzio, ma che - ben conoscendo l'indissolubilità del vincolo matrimoniale valido - non si lascia coinvolgere in una nuova unione, impegnandosi invece unicamente nell'adempimento dei suoi doveri di famiglia e delle responsabilità della vita cristiana. In tal caso il suo esempio di fedeltà e di coerenza cristiana assume un particolare valore di testimonianza di fronte al mondo e alla Chiesa, rendendo ancor più necessaria, da parte di questa, un'azione continua di amore e di aiuto, senza che vi sia alcun ostacolo per l'ammissione ai sacramenti.
& Familiaris Consortio, 83
 
Pastorale familiare dei divorziati risposati
L'esperienza quotidiana mostra, purtroppo, che chi ha fatto ricorso al divorzio ha per lo più in vista il passaggio ad una nuova unione, ovviamente non col rito religioso cattolico. Poiché si tratta di una piaga che va, al pari delle altre, intaccando sempre più largamente anche gli ambienti cattolici, il problema dev'essere affrontato con premura indilazionabile. La Chiesa istituita per condurre a salvezza tutti gli uomini e soprattutto i battezzati, non può abbandonare a se stessi coloro che - già congiunti col vincolo matrimoniale sacramentale - hanno cercato di passare a nuove nozze. Perciò si sforzerà, senza stancarsi, di mettere a loro disposizione i suoi mezzi di salvezza. Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido.
Esorto caldamente i pastori e l'intera comunità dei fedeli affinché aiutino i divorziati procurando con sollecita carità che non si considerino separati dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita. Siano esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia, a educare i figli nella fede cristiana, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio. La Chiesa preghi per loro, li incoraggi, si dimostri madre misericordiosa e così li sostenga nella fede e nella speranza. La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio. La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi…..
& Familiaris Consortio, 84
 
Pastorale familiare dei senza-famiglia
Ancora una parola desidero aggiungere per una categoria di persone che, per la concreta condizione in cui si trovano a vivere - e spesso non per loro deliberata volontà - io considero particolarmente vicine al Cuore di Cristo e degne dell'affetto della sollecitudine fattiva della Chiesa e dei pastori. Esistono al mondo moltissime persone le quali, disgraziatamente, non possono riferirsi in alcun modo a ciò che si potrebbe definire in senso proprio una famiglia. Grandi settori dell'umanità vivono in condizioni di enorme povertà, in cui la promiscuità, la carenza di abitazioni, l'irregolarità ed instabilità dei rapporti, l'estrema mancanza di cultura non consentono praticamente di poter parlare di vera famiglia. Ci sono altre persone che, per motivi diversi, sono rimaste sole al mondo. Eppure per tutti costoro esiste un «buon annunzio della famiglia». In favore di quanti vivono in estrema povertà, già ho parlato dell'urgente necessità di lavorare coraggiosamente per trovare soluzioni, anche a livello politico, che consentano di aiutarli a superare questa inumana condizione di prostrazione. E' un compito che incombe, solidarmente, all'intera società, ma in maniera speciale alle autorità in forza della loro carica e delle conseguenti responsabilità, nonché alle famiglie, che devono dimostrare grande comprensione e volontà di aiuto.
A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28).
& Familiaris Consortio, 85
 
Pastorale familiare nei casi difficili
Un impegno pastorale ancor più generoso, intelligente e prudente, sull'esempio del Buon Pastore, è richiesto nei confronti di quelle famiglie che - spesso indipendentemente dalla propria volontà o premute da altre esigenze di diversa natura - si trovano ad affrontare situazioni obiettivamente difficili.
A questo proposito è necessario richiamare specialmente l'attenzione su alcune categorie particolari, che maggiormente abbisognano non solo di assistenza, ma di un'azione più incisiva sulla pubblica opinione e soprattutto sulle strutture culturali, economiche e giuridiche, al fine di eliminare al massimo le cause profonde dei loro disagi.
Tali sono, ad esempio, le famiglie dei migranti per motivi di lavoro; le famiglie di quanti sono costretti a lunghe assenze, quali, ad esempio, i militari, i naviganti, gli itineranti d'ogni tipo; le famiglie dei carcerati, dei profughi e degli esiliati; le famiglie che nelle grande città vivono praticamente emarginate; quelle che non hanno casa; quelle incomplete o monoparentali; le famiglie con i figli handicappati o drogati, le famiglie di alcoolizzati; quelle sradicate dal loro ambiente culturale e sociale o in rischio di perderlo; quelle discriminate per motivi politici o per altre ragioni; le famiglie ideologicamente divise; quelle che non riescono ad avere facilmente un contatto con la parrocchia; quelle che subiscono violenza o ingiusti trattamenti a motivo della propria fede; quelle composte da coniugi minorenni; gli anziani, non raramente costretti a vivere in solitudine e senza adeguati mezzi di sussistenza.
& Familiaris Consortio, 77
 
Pastorale familiare nei casi difficili: famiglie divise
Un problema difficile è quello delle famiglie ideologicamente divise. In questi casi si richiede una particolare cura pastorale. Anzitutto bisogna, con discrezione, mantenere un contatto personale con tali famiglie. I credenti devono essere fortificati nella fede e sostenuti nella vita cristiana. Anche se la parte fedele al cattolicesimo non può cedere, tuttavia bisogna sempre mantenere vivo il dialogo con l'altra parte. Devono essere moltiplicate le manifestazioni di amore e di rispetto, nella ferma speranza di mantenere salda l'unità. Molto dipende anche dai rapporti tra genitori e figli. Le ideologie estranee alla fede possono, del resto, stimolare i membri credenti della famiglia a crescere nella fede e nella testimonianza di amore.
& Familiaris Consortio, 77,3
 
Pastorale familiare nei casi difficili: i migranti
Le famiglie dei migranti, specialmente trattandosi di operai e di contadini, devono poter trovare dappertutto, nella Chiesa, la loro patria. E' questo un compito connaturale alla Chiesa, essendo segno di unità nella diversità. Per quanto è possibile siano assistiti da sacerdoti del loro stesso rito, cultura e idioma. Spetta pure alla Chiesa fare appello alla coscienza pubblica e a quanti hanno autorità nella vita sociale, economica e politica, affinché gli operai trovino lavoro nella propria regione e patria, siano retribuiti con giusto salario, le famiglie vengano al più presto riunite, siano prese in considerazione nella loro identità culturale, trattate al pari delle altre, ed ai loro figli sia data l'opportunità della formazione professionale e dell'esercizio della professione, come pure del possesso della terra necessaria per lavorare e vivere.
& Familiaris Consortio, 77,2
 
Pastorale familiare nei casi difficili: le età complesse
Altri momenti difficili, nei quali la famiglia ha bisogno dell'aiuto della comunità ecclesiale e dei suoi pastori, possono essere: l'adolescenza irrequieta contestatrice ed a volte tempestosa dei figli; il loro matrimonio, che li stacca dalla famiglia di origine; l'incomprensione o la mancanza di amore da parte delle persone più care; l'abbandono da parte del coniuge o la sua perdita, che apre la dolorosa esperienza della vedovanza, della morte di un familiare che mutila e trasforma in profondità il nucleo originario della famiglia.
Similmente non può essere trascurato dalla Chiesa il momento dell'età anziana, con tutti i suoi contenuti positivi e negativi: di possibile approfondimento dell'amore coniugale sempre più purificato e nobilitato dalla lunga e ininterrotta fedeltà; di disponibilità a porre a servizio degli altri, in forma nuova, la bontà e la saggezza accumulata e le energie rimaste; di pesante solitudine, più spesso psicologica e affettiva che non fisica, per l'eventuale abbandono o per una insufficiente attenzione da parte dei figli e dei parenti; di sofferenza per la malattia, per il progressivo declino delle forze, per l'umiliazione di dover dipendere da altri, per l'amarezza di sentirsi forse di peso ai propri cari, per l'avvicinarsi degli ultimi momenti della vita. Sono queste le occasioni nelle quali - come hanno insinuato i Padri Sinodali - più facilmente si possono far comprendere e vivere quegli elevati aspetti della spiritualità matrimoniale e familiare, che si ispirano al valore della Croce e risurrezione di Cristo, fonte di santificazione e di profonda letizia nella vita quotidiana, nella prospettiva delle grandi realtà escatologiche della vita terrena.
In tutte queste diverse situazioni non sia mai trascurata la preghiera, sorgente di luce e di forza ed alimento della speranza cristiana.
& Familiaris Consortio, 77,4
 
Pastorale post-matrimoniale
La cura pastorale della famiglia regolarmente costituita significa, in concreto, l'impegno di tutte le componenti della comunità ecclesiale locale nell'aiutare la coppia a scoprire e a vivere la sua nuova vocazione e missione. Perché la famiglia divenga sempre più una vera comunità di amore, è necessario che tutti i suoi membri siano aiutati e formati alle loro responsabilità di fronte ai nuovi problemi che si presentano, al servizio reciproco, alla compartecipazione attiva alla vita di famiglia. Ciò vale soprattutto per le giovani famiglie, le quali, trovandosi in un contesto di nuovi valori e di nuove responsabilità, sono più esposte, specialmente nei primi anni di matrimonio, ad eventuali difficoltà, come quelle create dall'adattamento alla vita in comune o dalla nascita di figli. I giovani coniugi sappiano accogliere cordialmente e valorizzare intelligentemente l'aiuto discreto, delicato e generoso di altre coppie, che già da tempo vanno facendo l'esperienza del matrimonio e della famiglia. Così in seno alla comunità ecclesiale - grande famiglia formata da famiglie cristiane - si attuerà un mutuo scambio di presenza e di aiuto fra tutte le famiglie, ciascuna mettendo a servizio delle altre la propria esperienza umana, come pure i doni di fede e di grazia. Animato da vero spirito apostolico, questo aiuto da famiglia a famiglia costituirà uno dei modi più semplici, più efficaci e alla portata di tutti per trasfondere capillarmente quei valori cristiani, che sono il punto di partenza e di arrivo di ogni cura pastorale. In tal modo le giovani famiglie non si limiteranno solo a ricevere, ma a loro volta, così aiutate, diverranno fonte di arricchimento per le altre famiglie, già da tempo costituite, con la loro testimonianza di vita e il loro contributo fattivo. Nell'azione pastorale verso le giovani famiglie, poi, la Chiesa dovrà riservare una specifica attenzione per educarle a vivere responsabilmente l'amore coniugale in rapporto alle sue esigenze di comunione e di servizio alla vita, come pure a conciliare l'intimità della vita di casa con la comune e generosa opera per edificare la Chiesa e la società umana. Quando, con l'avvento dei figli, la coppia diventa in senso pieno e specifico una famiglia, la Chiesa sarà ancora vicina ai genitori perché accolgano i loro figli e li amino come dono ricevuto dal Signore della vita, assumendo con gioia la fatica di servirli nella loro crescita umana e cristiana.
& Familiaris Consortio, 69
 
Paternità e maternità responsabili
… La “paternità e maternità responsabili” esprimono l'impegno concreto per attuare tale dovere, che nel mondo contemporaneo riveste nuove caratteristiche. In particolare, esse riguardano direttamente il momento in cui l'uomo e la donna, unendosi “in una sola carne”, possono diventare genitori. È momento ricco di un valore peculiare sia per il loro rapporto interpersonale che per il loro servizio alla vita: essi possono diventare genitori — padre e madre — comunicando la vita ad un nuovo essere umano. Le due dimensioni dell'unione coniugale, quella unitiva e quella procreativa, non possono essere separate artificialmente senza intaccare la verità intima dell'atto coniugale stesso. Questo è l'insegnamento costante della Chiesa ed i “segni dei tempi”, di cui siamo oggi testimoni, offrono nuovi motivi per ribadirlo con particolare forza. San Paolo, così attento alle esigenze pastorali del suo tempo, esigeva con chiarezza e fermezza di “insistere in ogni occasione opportuna e non opportuna” (cfr 2 Tm 4,2), senza alcun timore per il fatto che “non si sopporta più la sana dottrina” (cfr 2 Tm 4,3). Le sue parole sono ben note a quanti, comprendendo a fondo le vicende del nostro tempo, attendono che la Chiesa, non solo non abbandoni “la sana dottrina”, ma la annunzi con rinnovato vigore, ricercando negli attuali “segni dei tempi” le ragioni per un suo ulteriore e provvidenziale approfondimento.
Lettera alle Famiglie 12
 
Paternità e maternità: conferma dell’amore
Paternità e maternità rappresentano in se stesse una particolare conferma dell'amore, del quale permettono di scoprire l'estensione e la profondità originale. Questo però non avviene automaticamente. È piuttosto un compito affidato ad ambedue: al marito e alla moglie. Nella loro vita la paternità e la maternità costituiscono una “novità” e una ricchezza tanto sublimi da non potervisi accostare che “in ginocchio”. L'esperienza insegna che l'amore umano, per sua natura orientato verso la paternità e la maternità, viene toccato a volte da una profonda crisi ed è pertanto seriamente minacciato. Sarà da prendere in considerazione, in tali casi, il ricorso ai servizi offerti dai consultori matrimoniali e familiari, mediante i quali è possibile avvalersi, tra l'altro, dell'aiuto di psicologi e psicoterapeuti specificamente preparati. Non si può, tuttavia, dimenticare che rimangono sempre valide le parole dell'Apostolo: “Piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome”. Il matrimonio, il matrimonio sacramento, è un'alleanza di persone nell'amore. E l'amore può essere approfondito e custodito soltanto dall'Amore, quell'Amore che viene “riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). La preghiera nell'Anno della Famiglia non dovrebbe concentrarsi sul punto cruciale e decisivo del passaggio dall'amore coniugale alla generazione, e perciò alla paternità e maternità? Non è proprio allora che diventa indispensabile l'“effusione della grazia dello Spirito Santo”, invocata nella celebrazione liturgica del sacramento del matrimonio?
L'Apostolo, piegando le ginocchia davanti al Padre, lo implora affinché “conceda ... di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore” (Ef 3,16). Questa “forza dell'uomo interiore” è necessaria nella vita familiare, specialmente nei suoi momenti critici, quando cioè l'amore, che nel rito liturgico del consenso coniugale è stato espresso con le parole: “Prometto di esserti fedele sempre, ... tutti i giorni della mia vita”, è chiamato a superare un difficile esame.
Lettera alle Famiglie 7,3
 
Pedagogia ecclesiale per i coniugi cristiani
D'altra parte l'autentica pedagogia ecclesiale rivela il suo realismo e la sua sapienza solo sviluppando un impegno tenace e coraggioso nel creare e sostenere tutte quelle condizioni umane - psicologiche, morali e spirituali - che sono indispensabili per comprendere e vivere il valore e la norma morale. Non c'è dubbio che tra queste condizioni si debbano annoverare la costanza e la pazienza, l'umiltà e la fortezza d'animo, la filiale fiducia in Dio e nella sua grazia, il ricorso frequente alla preghiera e ai sacramenti dell'Eucaristia e della riconciliazione (cfr. ibid. 25). Così corroborati, i coniugi cristiani potranno mantenere viva la coscienza del singolare influsso che la grazia del sacramento del matrimonio esercita su tutte le realtà della vita coniugale, e quindi anche sulla loro sessualità: il dono dello Spirito, accolto e corrisposto dai coniugi, li aiuta a vivere la sessualità umana secondo il piano di Dio e come segno dell'amore unitivo e fecondo di Cristo per la sua Chiesa.
Ma tra le condizioni necessarie rientra anche la conoscenza della corporeità e dei suoi ritmi di fertilità. In tal senso bisogna far di tutto perché una simile conoscenza sia resa accessibile a tutti i coniugi, e prima ancora alle persone giovani, mediante un'informazione ed una educazione chiare, tempestive e serie, ad opera di coppie, di medici e di esperti. La conoscenza poi deve sfociare nell'educazione all'autocontrollo: di qui l'assoluta necessità della virtù della castità e della permanente educazione ad essa. Secondo la visione cristiana, la castità non significa affatto né rifiuto né disistima della sessualità umana: significa piuttosto energia spirituale, che sa difendere l'amore dai pericoli dell'egoismo e dell'aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione.
& Familiaris Consortio, 33,2
 
Preghiera della Chiesa per la famiglia
L'amore, con cui Dio “ha tanto amato il mondo” (Gv 3,16), l'amore con cui Cristo “ha amato sino alla fine” tutti e ciascuno (Gv 13,1), rende possibile rivolgere questo messaggio ad ogni famiglia, “cellula» vitale della grande ed universale “famiglia” umana. Il Padre, Creatore dell'universo, ed il Verbo incarnato, Redentore dell'umanità, costituiscono la fonte di questa universale apertura agli uomini come a fratelli e sorelle, e spingono ad abbracciarli tutti con la preghiera che comincia con le dolcissime parole: “Padre nostro”.
La preghiera fa sì che il Figlio di Dio dimori in mezzo a noi: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Questa Lettera alle Famiglie vuole essere innanzitutto una supplica rivolta a Cristo perché resti in ogni famiglia umana; un invito a Lui, attraverso la piccola famiglia dei genitori e dei figli, ad abitare nella grande famiglia delle nazioni, affinché tutti, insieme con Lui, possiamo dire in verità: “Padre nostro”! Bisogna che la preghiera diventi l'elemento dominante dell'Anno della Famiglia nella Chiesa: preghiera della famiglia, preghiera per la famiglia, preghiera con la famiglia. È significativo che, proprio nella preghiera e mediante la preghiera, l'uomo scopra in modo quanto mai semplice ed insieme profondo la propria tipica soggettività: l'“io” umano nella preghiera percepisce più facilmente la profondità del suo essere persona. Ciò vale anche per la famiglia, la quale non è soltanto la “cellula” fondamentale della società, ma possiede pure una propria peculiare soggettività. Questa trova la sua prima e fondamentale conferma e si consolida quando i membri della famiglia si incontrano nella comune invocazione: “Padre nostro”. La preghiera rafforza la saldezza e la compattezza spirituale della famiglia, contribuendo a far sì che essa partecipi alla “fortezza” di Dio. Nella solenne “benedizione nuziale” durante il rito del matrimonio il celebrante così invoca il Signore: “Effondi su di loro (i novelli sposi) la grazia dello Spirito Santo, affinché, in virtù del tuo amore riversato nei loro cuori, perseverino fedeli nell'alleanza coniugale”. È da questa “effusione dello Spirito Santo” che scaturisce la forza interiore delle famiglie, come pure la potenza capace di unificarle nell'amore e nella verità.
Lettera alle Famiglie 4
 
Preghiera della famiglia
La preghiera è rendimento di grazie, lode a Dio, domanda di perdono, supplica ed invocazione. In ciascuna di queste forme, la preghiera della famiglia ha molto da dire a Dio. Ha anche tanto da dire agli uomini, a cominciare dalla reciproca comunione delle persone unite da legami familiari. “Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi?” (Sal 8,5), si domanda il Salmista. La preghiera è il luogo in cui, nel più semplice dei modi, si manifesta il ricordo creativo e paterno di Dio: non solo e non tanto il ricordo di Dio da parte dell'uomo, quanto piuttosto il ricordo dell'uomo da parte di Dio. Per questo la preghiera della comunità familiare può diventare luogo del ricordo comune e reciproco: la famiglia infatti è comunità di generazioni. Nella preghiera tutti debbono essere presenti: coloro che vivono e coloro che già sono morti, come pure quanti ancora devono venire al mondo. Occorre che nella famiglia si preghi per ciascuno, a misura del bene che la famiglia costituisce per lui e del bene che egli costituisce per la famiglia. La preghiera conferma più saldamente tale bene, proprio come bene comune familiare. Anzi, essa dà anche inizio a questo bene, in modo sempre rinnovato. Nella preghiera la famiglia si ritrova come il primo “noi” nel quale ciascuno è “io” e “tu”; ciascuno è per l'altro rispettivamente marito o moglie, padre o madre, figlio o figlia, fratello o sorella, nonno o nipote.
Lettera alle Famiglie 10,3
 
Preghiera e vita
Non si dovrà mai dimenticare che la preghiera è parte costitutiva essenziale della vita cristiana, colta nella sua integralità e centralità, anzi appartiene alla nostra stessa «umanità»: è «la prima espressione della verità interiore dell'uomo, la prima condizione dell'autentica libertà dello spirito» (Giovanni Paolo PP. II, Discorso al Santuario della Mentorella [29 Ottobre 1978]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 78 s.). Per questo la preghiera non rappresenta affatto un'evasione dall'impegno quotidiano, ma costituisce la spinta più forte perché la famiglia cristiana assuma ed assolva in pienezza tutte le sue responsabilità di cellula prima e fondamentale della società umana. In tal senso, l'effettiva partecipazione alla vita e missione della Chiesa nel mondo è proporzionale alla fedeltà e all'intensità della preghiera con la quale la famiglia cristiana si unisce alla Vite feconda, che è Cristo Signore (cfr. «Apostolicam Actuositatem», 4). Dall'unione vitale con Cristo, alimentata dalla liturgia, dall'offerta di sé e dalla preghiera, deriva pure la fecondità della famiglia cristiana nel suo specifico servizio di promozione umana, che di per se non può non portare alla trasformazione del mondo (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Vescovi della XII Regione Pastorale degli Stati Uniti d'America [21 Settembre 1978]: ASS 70 [1978] 767).
& Familiaris Consortio, 62
 
Preghiera familiare
La Chiesa prega per la famiglia cristiana e la educa a vivere in generosa coerenza con il dono e il compito sacerdotale, ricevuti da Cristo Sommo Sacerdote. In realtà, il sacerdozio battesimale dei fedeli, vissuto nel matrimonio-sacramento, costituisce per i coniugi e per la famiglia il fondamento di una vocazione e di una missione sacerdotale, per la quale le loro esistenze quotidiane si trasformano in «sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo» (cfr. 1Pt 2,5): è quanto avviene, non solo con la celebrazione dell'Eucaristia e degli altri sacramenti e con l'offerta di se stessi alla gloria di Dio, ma anche con la vita di preghiera, con il dialogo orante col Padre per Gesù Cristo nello Spirito Santo. La preghiera familiare ha sue caratteristiche. E' una preghiera fatta in comune, marito e moglie insieme, genitori e figli insieme. La comunione nella preghiera è, ad un tempo, frutto ed esigenza di quella comunione che viene donata dai sacramenti del battesimo e del matrimonio. Ai membri della famiglia cristiana si possono applicare in modo particolare le parole con le quali il Signore Gesù promette la sua presenza: «In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18,19s). Tale preghiera ha come contenuto originale la stessa vita di famiglia, che in tutte le sue diverse circostanze viene interpretata come vocazione di Dio e attuata come risposta filiale al suo appello: gioie e dolori, speranze e tristezze, nascite e compleanni, anniversari delle nozze dei genitori, partenze, lontananze e ritorni, scelte importanti e decisive, la morte di persone care, ecc. segnano l'intervento dell'amore di Dio nella storia della famiglia, così come devono segnare il momento favorevole per il rendimento di grazie, per l'implorazione, per l'abbandono fiducioso della famiglia al comune Padre che sta nei cieli. La dignità, poi, e la responsabilità della famiglia cristiana come Chiesa domestica possono essere vissute solo con l'aiuto incessante di Dio, che immancabilmente sarà concesso, se sarà implorato con umiltà e fiducia nella preghiera.
& Familiaris Consortio, 59
 
Preparazione dei giovani al matrimonio
Più che mai necessaria ai nostri giorni è la preparazione dei giovani al matrimonio e alla vita familiare. In alcuni Paesi sono ancora le famiglie stesse che, secondo antiche usanze, si riservano di trasmettere ai giovani i valori riguardanti la vita matrimoniale e familiare, mediante una progressiva opera di educazione o iniziazione. Ma i mutamenti sopravvenuti in seno a quasi tutte le società moderne esigono che non solo la famiglia, ma anche la società e la Chiesa siano impegnate nello sforzo di preparare adeguatamente i giovani alle responsabilità del loro domani. Molti fenomeni negativi che oggi si lamentano nella vita familiare derivano dal fatto che, nelle nuove situazioni, i giovani non solo perdono di vista la giusta gerarchia dei valori, ma, non possedendo più criteri sicuri di comportamento, non sanno come affrontare e risolvere le nuove difficoltà. L'esperienza però insegna che i giovani ben preparati alla vita familiare in genere riescono meglio degli altri.
Ciò vale ancor più per il matrimonio cristiano, il cui influsso si estende sulla santità di tanti uomini e donne. Per questo la Chiesa deve promuovere migliori e più intensi programmi di preparazione al matrimonio, per eliminare, il più possibile, le difficoltà in cui si dibattono tante coppie a ancor più per favorire positivamente il sorgere e il maturare dei matrimoni riusciti.
& Familiaris Consortio, 66
 
Preparazione immediata al matrimonio
La preparazione immediata a celebrare il sacramento del matrimonio deve aver luogo negli ultimi mesi e settimane che precedono le nozze quasi a dare un nuovo significato, nuovo contenuto e forma nuova al cosiddetto esame prematrimoniale richiesto dal diritto canonico. Sempre necessaria in ogni caso, tale preparazione si impone con maggiore urgenza per quei fidanzati che ancora presentassero carenze e difficoltà nella dottrina e nella pratica cristiana.
Tra gli elementi da comunicare in questo cammino di fede, analogo al catecumenato, ci deve essere anche una conoscenza approfondita del mistero di Cristo e della Chiesa, dei significati di grazia e di responsabilità del matrimonio cristiano, nonché la preparazione a prendere parte attiva e consapevole ai riti della liturgia nuziale.
Alle diverse fasi della preparazione al matrimonio - che abbiamo descritto solo a grandi linee indicative - devono sentirsi impegnate la famiglia cristiana e tutta la comunità ecclesiale.
& Familiaris Consortio, 66,4
 
Preparazione prossima al matrimonio
Su questa base in seguito si imposterà, a largo respiro, la preparazione prossima, la quale - dall'età opportuna e con un'adeguata catechesi, come in un cammino catecumenale - comporta una più specifica preparazione ai sacramenti, quasi una loro riscoperta. Questa rinnovata catechesi di quanti si preparano al matrimonio cristiano è del tutto necessaria, affinché il sacramento sia celebrato e vissuto con le dovute disposizioni morali e spirituali. La formazione religiosa dei giovani dovrà essere integrata, al momento conveniente e secondo le varie esigenze concrete, da una preparazione alla vita a due che, presentando il matrimonio come un rapporto interpersonale dell'uomo e della donna da svilupparsi continuamente, stimoli ad approfondire i problemi della sessualità coniugale e della paternità responsabile, con le conoscenze medico-biologiche essenziali che vi sono connesse, ed avvii alla familiarità con retti metodi di educazione dei figli, favorendo l'acquisizione degli elementi di base per un'ordinata conduzione della famiglia (lavoro stabile, sufficiente disponibilità finanziaria, saggia amministrazione, nozioni di economia domestica, ecc.).
Infine non si dovrà tralasciare la preparazione all'apostolato familiare, alla fraternità e collaborazione con le altre famiglie, all'inserimento attivo in gruppi, associazioni, movimenti e iniziative che hanno per finalità il bene umano e cristiano della famiglia.
& Familiaris Consortio, 66,3
 
Preparazione remota al matrimonio
La preparazione al matrimonio va vista e attuata come un processo graduale e continuo. Essa, infatti, comporta tre principali momenti: una preparazione remota, una prossima e una immediata.
La preparazione remota ha inizio fin dall'infanzia, in quella saggia pedagogia familiare, orientata a condurre i fanciulli a scoprire se stessi come esseri dotati di una ricca e complessa psicologia e di una personalità particolare con le proprie forze e debolezze. E' il periodo in cui va istillata la stima per ogni autentico valore umano, sia nei rapporti interpersonali, sia in quelli sociali, con quel che ciò significa per la formazione del carattere, per il dominio ed il retto uso delle proprie inclinazioni, per il modo di considerare e incontrare le persone dell'altro sesso, e così via. E' richiesta, inoltre, specialmente per i cristiani, una solida formazione spirituale e catechetica, che sappia mostrare nel matrimonio una vera vocazione e missione, senza escludere la possibilità del dono totale di sé a Dio nella vocazione alla vita sacerdotale o religiosa.
& Familiaris Consortio, 66,2
 
Primato dei valori
Si rende, pertanto, necessario ricuperare da parte di tutti la coscienza del primato dei valori morali, che sono i valori della persona umana come tale. La ricomprensione del senso ultimo della vita e dei suoi valori fondamentali è il grande compito che si impone oggi per il rinnovamento della società. Solo la consapevolezza del primato di questi valori consente un uso delle immense possibilità, messe nelle mani dell'uomo dalla scienza, che sia veramente finalizzato alla promozione della persona umana nella sua intera verità, nella sua libertà e dignità. La scienza è chiamata ad allearsi con la sapienza.
Si possono pertanto applicare anche ai problemi della famiglia le parole del Concilio Vaticano II: «L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza, perché diventino più umane tutte le sue nuove scoperte. E' in pericolo, di fatto, il futuro del mondo, a meno che non vengano suscitati uomini più saggi» («Gaudium et Spes», 15).
L'educazione della coscienza morale, che rende ogni uomo capace di giudicare e di discernere i modi adeguati per realizzarsi secondo la sua verità originaria, diviene così una esigenza prioritaria ed irrinunciabile.
E' l'alleanza con la Sapienza divina che deve essere più profondamente ricostituita nella cultura odierna. Di tale Sapienza ogni uomo è reso partecipe dallo stesso gesto creatore di Dio. Ed è solo nella fedeltà a questa alleanza che le famiglie di oggi saranno in grado di influire positivamente nella costruzione di un mondo più giusto e fraterno.
& Familiaris Consortio, 8,2
 
R
 
Rapporti con altre agenzie educative
La famiglia è la prima, ma non l'unica ed esclusiva comunità educante: la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un'opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri (cfr. «Gravissimum Educationis», 3).
Il compito educativo della famiglia cristiana ha perciò un posto assai importante nella pastorale organica: ciò implica una nuova forma di collaborazione tra i genitori e le comunità cristiane, tra i diversi gruppi educativi e i pastori. In questo senso il rinnovamento della scuola cattolica deve riservare una speciale attenzione sia ai genitori degli alunni sia alla formazione di una perfetta comunità educante.
Dev'essere assolutamente assicurato il diritto dei genitori alla scelta di un'educazione conforme alla loro fede religiosa.
& Familiaris Consortio, 40
 
Razionalismo e mistero
Il razionalismo moderno non sopporta il mistero. Non accetta il mistero dell'uomo, maschio e femmina, né vuol riconoscere che la piena verità sull'uomo è stata rivelata in Gesù Cristo. Non tollera, in particolare, il “grande mistero”, annunziato dalla Lettera agli Efesini, e lo combatte in modo radicale. Se riconosce, in un contesto di vago deismo, la possibilità e perfino il bisogno di un Essere supremo o divino, rifiuta decisamente la nozione di un Dio che si fa uomo per salvare l'uomo. Per il razionalismo è impensabile che Dio sia il Redentore, tanto meno che sia “lo Sposo”, la fonte originaria ed unica dell'amore sponsale umano. Esso interpreta la creazione e il senso dell'esistenza umana in maniera radicalmente diversa. Ma se all'uomo vien meno la prospettiva di un Dio che lo ama e, mediante Cristo, lo chiama a vivere in Lui e con Lui, se alla famiglia non è aperta la possibilità di partecipare al “grande mistero”, che cosa rimane se non la sola dimensione temporale della vita? Resta la vita temporale come terreno di lotta per l'esistenza, di ricerca affannosa del profitto, di quello economico prima di tutto. Il “grande mistero”, il sacramento dell'amore e della vita, che ha il suo inizio nella creazione e nella redenzione e di cui è garante Cristo-Sposo, ha smarrito nella mentalità moderna le sue più profonde radici. Esso è minacciato in noi ed intorno a noi. Possa l'Anno della Famiglia, celebrato nella Chiesa, diventare per gli sposi un'occasione propizia per riscoprirlo e per riaffermarlo con forza, coraggio ed entusiasmo.                                   Lettera alle Famiglie 19,5
 
Riconciliazione e matrimonio
Parte essenziale e permanente del compito di santificazione della famiglia cristiana è l'accoglienza dell'appello evangelico alla conversione rivolto a tutti i cristiani, che non sempre rimangono fedeli alla «novità» di quel battesimo, che li ha costituiti «santi». Anche la famiglia cristiana non è sempre coerente con la legge della grazia e della santità battesimale, proclamata nuovamente dal sacramento del matrimonio. Il pentimento e il perdono vicendevole in seno alla famiglia cristiana, che tanta parte hanno nella vita quotidiana, trovano il momento sacramentale specifico nella penitenza cristiana. A riguardo dei coniugi così scriveva Paolo VI nell'enciclica «Humanae vitae»: «Se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita con abbondanza nel sacramento della penitenza» (num. 25).
La celebrazione di questo sacramento acquista un significato particolare per la vita familiare: mentre nella fede scoprono come il peccato contraddice non solo all'alleanza con Dio ma anche all'alleanza dei coniugi e alla comunione della famiglia, gli sposi e tutti i membri della famiglia sono condotti all'incontro con Dio «ricco di misericordia» (Ef 2,4), il quale, elargendo il suo amore che è più potente del peccato (cfr. Giovanni Paolo PP: II «Dives in Misericordia», 13), ricostruisce e perfeziona l'alleanza coniugale e la comunione familiare.
& Familiaris Consortio, 58
 
Ritmi naturali della procreazione
Alla luce della stessa esperienza di tante coppie di sposi e dei dati delle diverse scienze umane, la riflessione teologica può cogliere ed è chiamata ad approfondire la differenza antropologica e al tempo stesso morale, che esiste tra la contraccezione e il ricorso ai ritmi temporali: si tratta di una differenza assai più vasta e profonda di quanto abitualmente non si pensi e che coinvolge in ultima analisi due concezioni della persona e della sessualità umana tra loro irriducibili. La scelta dei ritmi naturali comporta l'accettazione del tempo della persona, cioè della donna, e con ciò l'accettazione anche del dialogo, del rispetto reciproco, della comune responsabilità, del dominio di sé. Accogliere poi il tempo e il dialogo significa riconoscere il carattere insieme spirituale e corporeo della comunione coniugale, come pure vivere l'amore personale nella sua esigenza di fedeltà. In questo contesto la coppia fa l'esperienza che la comunione coniugale viene arricchita di quei valori di tenerezza e di affettività, i quali costituiscono l'anima profonda della sessualità umana, anche nella sua dimensione fisica. In tal modo la sessualità viene rispettata e promossa nella sua dimensione veramente e pienamente umana, non mai invece «usata» come un «oggetto» che, dissolvendo l'unità personale di anima e corpo, colpisce la stessa creazione di Dio nell'intreccio più intimo tra natura e persona.
& Familiaris Consortio, 32,3

Regolazione della natalità e sostegno da parte della comunità cristiana
Di fronte al problema di un'onesta regolazione della natalità, la comunità ecclesiale, nel tempo presente, deve assumersi il compito di suscitare convinzioni e di offrire aiuti concreti per quanti vogliono vivere la paternità e la maternità in modo veramente responsabile.
In questo campo, mentre si compiace dei risultati raggiunti dalle ricerche scientifiche per una conoscenza più precisa dei ritmi di fertilità femminile e stimola una più decisiva ed ampia estensione di tali studi, la Chiesa non può non sollecitare con rinnovato vigore la responsabilità di quanti - medici, esperti, consulenti coniugali, educatori, coppie - possono aiutare effettivamente i coniugi a vivere il loro amore nel rispetto della struttura e delle finalità dell'atto coniugale che lo esprime. Ciò significa un impegno più vasto, decisivo e sistematico per far conoscere, stimare e applicare i metodi naturali di regolazione della fertilità (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Delegati del «Centre de Liaison des Equipes de Recherche», 9 [3 Novembre 1979]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», II 2 [1979] 1035; cfr. anche Discorso ai Partecipanti al primo Congresso per la Famiglia d'Africa e d'Europa (15 Gennaio 1981): «L'Osservatore Romano» (16 Gennaio 1981). Una preziosa testimonianza può e deve essere data da quegli sposi che, mediante l'impegno comune della continenza periodica, sono giunti ad una più matura responsabilità personale di fronte all'amore ed alla vita. Come scriveva Paolo VI, «ad essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità e la soavità della legge che unisce l'amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all'amore di Dio autore della vita umana» («Humanae Vitae», 25).
& Familiaris Consortio, 35

S
 
Sacramento del matrimonio criteri per l’ammissione
Voler stabilire criteri di ammissione alla celebrazione ecclesiale del matrimonio, che dovrebbero riguardare il grado di fede dei nubendi, comporta oltre tutto gravi rischi. Quello, anzitutto, di pronunciare giudizi infondati e discriminatori; il rischio, poi, di sollevare dubbi sulla validità di matrimoni già celebrati, con grave danno per le comunità cristiane, e di nuove ingiustificate inquietudini per la coscienza degli sposi; si cadrebbe nel pericolo di contestare o di mettere in dubbio la sacramentalità di molti matrimoni di fratelli separati dalla piena comunione con la Chiesa cattolica, contraddicendo così la tradizione ecclesiale. Quando, al contrario, nonostante ogni tentativo fatto, i nubendi mostrano di rifiutare in modo esplicito e formale ciò che la Chiesa intende compiere quando si celebra il matrimonio dei battezzati, il pastore d'anime non può ammetterli alla celebrazione. Anche se a malincuore, egli ha il dovere di prendere atto della situazione e di far comprendere agli interessati che, stando così le cose, non è la Chiesa ma sono essi stessi ad impedire quella celebrazione che pure domandano. Ancora una volta appare in tutta la sua urgenza la necessità di una evangelizzazione e catechesi pre e post-matrimoniale, messe in atto da tutta la comunità cristiana, perché ogni uomo ed ogni donna che si sposano, celebrino il sacramento del matrimonio non solo validamente ma anche fruttuosamente.
& Familiaris Consortio, 68,3
 
 

 

Santuario domestico della Chiesa
L'annuncio del Vangelo e la sua accoglienza nella fede raggiungono la loro pienezza nella celebrazione sacramentale. La Chiesa, comunità credente ed evangelizzante, e anche popolo sacerdotale, rivestito cioè della dignità e partecipe della potestà di Cristo Sacerdote Sommo della Nuova ed Eterna Alleanza. (cfr. «Lumen Gentium», 10). Anche la famiglia cristiana è inserita nella Chiesa, popolo sacerdotale: mediante il sacramento del matrimonio, nel quale è radicata e da cui trae alimento, essa viene continuamente vivificata dal Signore Gesù, e da Lui chiamata e impegnata al dialogo con Dio mediante la vita sacramentale, l'offerta della propria esistenza e la preghiera.
E' questo il compito sacerdotale che la famiglia cristiana può e deve esercitare in intima comunione con tutta la Chiesa, attraverso le realtà quotidiane della vita coniugale e familiare: in tal modo la famiglia cristiana è chiamata a santificarsi ed a santificare la comunità ecclesiale e il mondo.
& Familiaris Consortio, 55
 
Scelta vocazionale ed educazione
Né va tralasciata, nel contesto dell'educazione, la questione essenziale della scelta vocazionale e, in essa, in particolare della preparazione alla vita matrimoniale. Notevoli sono gli sforzi e le iniziative messi in atto dalla Chiesa a favore della preparazione al matrimonio, ad esempio sotto forma di corsi organizzati per i fidanzati. Tutto ciò è valido e necessario. Ma non va dimenticato che la preparazione alla futura vita di coppia è compito soprattutto della famiglia. Certo, solo le famiglie spiritualmente mature possono affrontare in modo adeguato tale impegno. E per questo va sottolineata l'esigenza di una particolare solidarietà tra le famiglie, che può esprimersi attraverso diverse forme organizzative, come le associazioni di famiglie per le famiglie. L'istituzione familiare trae vigore da tale solidarietà, che avvicina tra loro non solo le singole persone, bensì anche le comunità, impegnandole a pregare insieme ed a cercare con il contributo di tutti le risposte alle domande essenziali che emergono dalla vita. Non è questa una forma preziosa di apostolato delle famiglie tra di loro? È importante che le famiglie cerchino di costruire tra loro vincoli di solidarietà. Ciò, oltretutto, consente loro di prestarsi vicendevolmente un servizio educativo: i genitori vengono educati attraverso altri genitori, i figli attraverso i figli. Si crea così una peculiare tradizione educativa, che trae forza dal carattere di “chiesa domestica” che è proprio della famiglia.
Lettera alle Famiglie 16,7
 
Senso della fede su matrimonio e famiglia
Il «soprannaturale senso della fede» (cfr. «Lumen Gentium», 12; Sacra Congregazione della Fede, «Mysterium Ecclesiae», 2: AAS 65 [1973] 398-400) non consiste solamente o necessariamente nel consenso dei fedeli. La Chiesa, seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l'opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere ed in questo difende i poveri e i disprezzati. La Chiesa può apprezzare anche la ricerca sociologica e statistica, quando si rivela utile per cogliere il contesto storico nel quale l'azione pastorale deve svolgersi e per conoscere meglio la verità; tale ricerca sola, però, non è da ritenersi senz'altro espressione del senso della fede.
Perché è compito del ministero apostolico di assicurare la permanenza della Chiesa nella verità di Cristo e di introdurvela più profondamente, i Pastori devono promuovere il senso della fede in tutti i fedeli, vagliare e giudicare autorevolmente la genuinità delle sue espressioni, educare i credenti a un discernimento evangelico sempre più maturo (cfr. «Lumen Gentium», 12 «Dei Verbum», 10).Per l'elaborazione di un autentico discernimento evangelico nelle varie situazioni e culture in cui l'uomo e la donna vivono il loro matrimonio e la loro vita familiare, gli sposi e i genitori cristiani possono e devono offrire un loro proprio e insostituibile contributo. A questo li abilita il loro carisma o dono proprio, il dono del sacramento del matrimonio (cfr. «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 2 [1980] 735s).
& Familiaris Consortio, 5,2
 
Servizio molteplice alla vita
Il fecondo amore coniugale si esprime in un servizio alla vita dalle forme molteplici, delle quali la generazione e l'educazione sono quelle più immediate, proprie ed insostituibili. In realtà, ogni atto di vero amore verso l'uomo testimonia e perfeziona la fecondità spirituale della famiglia perché è obbedienza al dinamismo interiore profondo dell'amore come donazione di sé agli altri. A questa prospettiva, per tutti ricca di valore e di impegno, sapranno ispirarsi in particolare quei coniugi che fanno l'esperienza della sterilità fisica. Le famiglie cristiane che nella fede riconoscono tutti gli uomini come figli del comune Padre dei cieli, verranno generosamente incontro ai figli delle altre famiglie, sostenendoli ed amandoli non come estranei, ma come membri dell'unica famiglia dei figli di Dio. I genitori cristiani potranno così allargare il loro amore al di là dei vincoli della carne e del sangue, alimentando i legami che si radicano nello spirito e che si sviluppano nel servizio concreto ai figli di altre famiglie, spesso bisognosi delle cose più necessarie.
Le famiglie cristiane sapranno vivere una maggiore disponibilità verso l'adozione e l'affidamento di quei figli che sono privati dei genitori o da essi abbandonati: mentre questi bambini, ritrovando il valore affettivo di una famiglia, possono fare esperienza dell'amorevole e provvida paternità di Dio, testimoniata dai genitori cristiani, e così crescere con serenità e fiducia nella vita, la famiglia intera sarà arricchita dai valori spirituali di una più ampia fraternità.
& Familiaris Consortio, 41
 
Sessualità intimo nucleo della per sona umana
Di conseguenza la sessualità, mediante la quale l'uomo e la donna si donano l'uno all'altra con gli atti propri ed esclusivi degli sposi, non è affatto qualcosa di puramente biologico, ma riguarda l'intimo nucleo della persona umana come tale. Essa si realizza in modo veramente umano, solo se è parte integrale dell'amore con cui l'uomo e la donna si impegnano totalmente l'uno verso l'altra fino alla morte. La donazione fisica totale sarebbe menzogna se non fosse segno e frutto della donazione personale totale, nella quale tutta la persona, anche nella sua dimensione temporale, è presente: se la persona si riservasse qualcosa o la possibilità di decidere altrimenti per il futuro, già per questo essa non si donerebbe totalmente.
Questa totalità, richiesta dall'amore coniugale, corrisponde anche alle esigenze di una fecondità responsabile, la quale, volta come è a generare un essere umano, supera per sua natura l'ordine puramente biologico, ed investe un insieme di valori personali, per la cui armoniosa crescita è necessario il perdurante e concorde contributo di entrambi i genitori.
& Familiaris Consortio, 11,2
 
Significato unitivo e procreativo della sessualità umana
Quando i coniugi, mediante il ricorso alla contraccezione, scindono questi due significati che Dio Creatore ha inscritti nell'essere dell'uomo e della donna e nel dinamismo della loro comunione sessuale, si comportano come «arbitri» del disegno divino e «manipolano» e avviliscono la sessualità umana, e con essa la persona propria e del coniuge, alterandone il valore di donazione «totale». Così, al linguaggio nativo che esprime la reciproca donazione totale dei coniugi, la contraccezione impone un linguaggio oggettivamente contraddittorio, quello cioè del non donarsi all'altro in totalità: ne deriva, non soltanto il positivo rifiuto all'apertura alla vita, ma anche una falsificazione dell'interiore verità del personale.
Quando invece i coniugi, mediante il ricorso a periodi di infecondità, rispettano la connessione inscindibile dei significati unitivo e procreativo della sessualità umana, si comportano come «ministri» del disegno di Dio ed «usufruiscono» della sessualità secondo l'originario dinamismo della donazione «totale», senza manipolazioni ed alterazioni (Ibid 13).
& Familiaris Consortio, 32,2
 
Situazione culturale e famiglia
Nell’attuale simile situazione culturale la famiglia non può non sentirsi minacciata, perché insidiata nelle sue stesse fondamenta. Quanto è contrario alla civiltà dell'amore è contrario all'intera verità sull'uomo e diventa per lui una minaccia: non gli permette di ritrovare se stesso e di sentirsi al sicuro come coniuge, come genitore, come figlio. Il cosiddetto “sesso sicuro”, propagandato dalla “civiltà tecnica”, è in realtà, sotto il profilo delle esigenze globali della persona, radicalmente non-sicuro, ed anzi gravemente pericoloso. La persona, infatti, vi si trova in pericolo, così come, a sua volta, in pericolo versa la famiglia. Qual è il pericolo? È la perdita della verità su se stessa, a cui si unisce il rischio di perdita della libertà e, conseguentemente, di perdita dello stesso amore. “Conoscerete la verità — dice Gesù — e la verità vi farà liberi” (Gv 8,32): la verità, soltanto la verità, vi preparerà ad un amore di cui si possa dire che è “bello”. La famiglia contemporanea, come quella di sempre, va in cerca del “bell'amore”. Un amore non “bello”, ossia ridotto a solo soddisfacimento della concupiscenza (cfr 1 Gv 2,16), o ad un reciproco “uso” dell'uomo e della donna, rende le persone schiave delle loro debolezze. Non portano a questa schiavitù certi moderni “programmi culturali”? Sono programmi che “giocano” sulle debolezze dell'uomo, rendendolo così sempre più debole ed indifeso.
Lettera alle Famiglie 13,4
 
Situazione della famiglia nel mondo di oggi
La situazione, in cui versa la famiglia, presenta aspetti positivi ed aspetti negativi: segno, gli uni, della salvezza di Cristo operante nel mondo; segno, gli altri, del rifiuto che l'uomo oppone all'amore di Dio. Da una parte, infatti, vi è una coscienza più viva della libertà personale, e una maggiore attenzione alla qualità delle relazioni interpersonali nel matrimonio, alla promozione della dignità della donna, alla procreazione responsabile, alla educazione dei figli; vi è inoltre la coscienza della necessità che si sviluppino relazioni tra le famiglie per un reciproco aiuto spirituale e materiale, la riscoperta della missione ecclesiale propria della famiglia e della sua responsabilità per la costruzione di una società più giusta. Dall'altra parte, tuttavia non mancano segni di preoccupante degradazione di alcuni valori fondamentali: una errata concezione teorica e pratica dell'indipendenza dei coniugi fra di loro; le gravi ambiguità circa il rapporto di autorità fra genitori e figli; le difficoltà concrete, che la famiglia spesso sperimenta nella trasmissione dei valori; il numero crescente dei divorzi; la piaga dell'aborto; il ricorso sempre più frequente alla sterilizzazione; l'instaurarsi di una vera e propria mentalità contraccettiva. Alla radice di questi fenomeni negativi sta spesso una corruzione dell'idea e dell'esperienza della libertà, concepita non come la capacità di realizzare la verità del progetto di Dio sul matrimonio e la famiglia, ma come autonoma forza di affermazione, non di rado contro gli altri, per il proprio egoistico benessere.
 
Socialità del matrimonio
In alcuni territori motivi di carattere più sociale che non autenticamente religioso spingono i fidanzati a chiedere di sposarsi in chiesa. La cosa non desta meraviglia. Il matrimonio, infatti, non è un avvenimento che riguarda solo chi si sposa. Esso è per sua stessa natura un fatto anche sociale, che impegna gli sposi davanti alla società. E da sempre la sua celebrazione è stata una festa, che unisce famiglie ed amici. Va da sé, dunque, che motivi sociali entrino, assieme a quelli personali, nella richiesta di sposarsi in chiesa.
Tuttavia, non si deve dimenticare che questi fidanzati, in forza del loro battesimo, sono realmente già inseriti nell'Alleanza sponsale di Cristo, con la Chiesa e che, per la loro retta intenzione, hanno accolto il progetto di Dio sul matrimonio e, quindi, almeno implicitamente, acconsentono a ciò che la Chiesa intende fare quando celebra il matrimonio. E, dunque, il solo fatto che in questa richiesta entrino anche motivi di carattere sociale non giustifica un eventuale rifiuto da parte dei pastori. Del resto, come ha insegnato il Concilio Vaticano II, i sacramenti con le parole e gli elementi rituali nutrono ed irrobustiscono la fede (cfr. «Sacrosantum Concilium», 59): quella fede verso cui i fidanzati già sono incamminati in forza della rettitudine della loro intenzione, che la grazia di Cristo non manca certo di favorire e di sostenere.
& Familiaris Consortio, 68,2
 
Società al servizio della famiglia
L'intima connessione tra la famiglia e la società, come esige l'apertura e la partecipazione della famiglia alla società e al suo sviluppo, così impone che la società non venga mai meno al suo fondamentale compito di rispettare e di promuovere la famiglia stessa.
Certamente la famiglia e la società hanno una funzione complementare nella difesa e nella promozione del bene di tutti gli uomini e di ogni uomo. Ma la società, e più specificamente lo Stato, devono riconoscere che la famiglia è «una società che gode di un diritto proprio e primordiale» («Dignitatis Humanae», 5), e quindi nelle loro relazioni con la famiglia sono gravemente obbligati ad attenersi al principio di sussidiarietà. In forza di tale principio lo Stato non può né deve sottrarre alle famiglie quei compiti che esse possono ugualmente svolgere bene da sole o liberamente associate, ma positivamente favorire e sollecitare al massimo l'iniziativa responsabile delle famiglie. Convinte che il bene della famiglia costituisce un valore indispensabile e irrinunciabile della comunità civile, le autorità pubbliche devono fare il possibile per assicurare alle famiglie tutti quegli aiuti - economici, sociali, educativi, politici, culturali - di cui hanno bisogno per far fronte in modo umano a tutte le loro responsabilità.
& Familiaris Consortio,45
 
Società e la donna
Senza entrare ora a trattare nei suoi vari aspetti l'ampio e complesso tema dei rapporti donna-società, ma limitando il discorso ad alcuni rilievi essenziali, non si può non osservare come nel campo più specificamente familiare un'ampia e diffusa tradizione sociale e culturale abbia voluto riservare alla donna solo il compito di sposa e madre, senza aprirla adeguatamente ai compiti pubblici, in genere riservati all'uomo. Non c'è dubbio che l'uguale dignità e responsabilità dell'uomo e della donna giustifichino pienamente l'accesso della donna ai compiti pubblici. D'altra parte la vera promozione della donna esige pure che sia chiaramente riconosciuto il valore del suo compito materno e familiare nei confronti di tutti gli altri compiti pubblici e di tutte le altre professioni. Del resto, tali compiti e professioni devono tra loro integrarsi se si vuole che l'evoluzione sociale e culturale sia veramente e pienamente umana. Ciò risulterà più facile se, come il Sinodo ha auspicato, una rinnovata «teologia del lavoro» porrà in luce e approfondirà il significato del lavoro nella vita cristiana e determinerà il fondamentale legame che esiste tra il lavoro e la famiglia, e, di conseguenza, il significato originale ed insostituibile del lavoro della casa e dell'educazione dei figli («Laborem Exercens», 19). Pertanto la Chiesa può e deve aiutare la società attuale, chiedendo instancabilmente che sia da tutti riconosciuto e onorato nel suo valore insostituibile il lavoro della donna in casa. Ciò è di particolare importanza nell'opera educativa: viene eliminata, infatti, la radice stessa della possibile discriminazione tra i diversi lavori e professioni, una volta che risulti chiaramente come tutti, in ogni campo, si impegnino con identico diritto e con identica responsabilità. Apparirà così più splendida l'immagine di Dio nell'uomo e nella donna.
& Familiaris Consortio, 23

 

Splendore della verità
Chi può negare che la nostra sia un'epoca di grande crisi, che si esprime anzitutto come profonda “crisi della verità”? Crisi di verità significa, in primo luogo, crisi di concetti. I termini “amore”, “libertà”, “dono sincero”, e perfino quelli di “persona”, “diritti della persona”, significano in realtà ciò che per loro natura contengono? Ecco perché si rivela tanto significativa ed importante per la Chiesa e per il mondo — prima di tutto nell'Occidente — l'Enciclica sullo “splendore della verità” (Veritatis splendor). Solo se la verità circa la libertà e la comunione delle persone nel matrimonio e nella famiglia riacquisterà il suo splendore, si avvierà veramente l'edificazione della civiltà dell'amore e sarà allora possibile parlare con efficacia — come fa il Concilio — di “valorizzazione della dignità del matrimonio e della famiglia”. Perché è così importante lo “splendore della verità”? Lo è, anzitutto, per contrasto: lo sviluppo della civiltà contemporanea è legato ad un progresso scientifico-tecnologico che si attua in modo spesso unilaterale, presentando di conseguenza caratteristiche puramente positivistiche. Il positivismo, come si sa, ha come suoi frutti l'agnosticismo in campo teorico e l'utilitarismo in campo pratico ed etico. Ai nostri tempi la storia in un certo senso si ripete. L'utilitarismo è una civiltà del prodotto e del godimento, una civiltà delle “cose” e non delle “persone”; una civiltà in cui le persone si usano come si usano le cose. Nel contesto della civiltà del godimento, la donna può diventare per l'uomo un oggetto, i figli un ostacolo per i genitori, la famiglia un'istituzione ingombrante per la libertà dei membri che la compongono. Per convincersene, basta esaminare certi programmi di educazione sessuale, introdotti nelle scuole, spesso nonostante il parere contrario e le stesse proteste di molti genitori; oppure le tendenze abortiste, che cercano invano di nascondersi dietro il cosiddetto “diritto di scelta” (“pro choice”) da parte di ambedue i coniugi, e particolarmente da parte della donna. Sono soltanto due esempi tra i molti che si potrebbero ricordare.
Lettera alle Famiglie 13,3
 
Sposarsi, vocazione ordinaria dell’uomo
Sposarsi rimane la vocazione ordinaria dell'uomo, che è abbracciata dalla più ampia porzione del popolo di Dio. È nella famiglia che si formano le pietre vive dell'edificio spirituale, di cui parla l'apostolo Pietro (cfr 1 Pt 2,5). I corpi dei coniugi sono dimora dello Spirito Santo (cfr 1 Cor 6,19). Poiché la trasmissione della vita divina suppone quella della vita umana, dal matrimonio nascono non solo i figli degli uomini, ma anche, in forza del Battesimo, i figli adottivi di Dio, che vivono della vita nuova ricevuta da Cristo mediante il suo Spirito. I discepoli erano ben consapevoli che Cristo aveva tutto rinnovato; che l'uomo era divenuto “nuova creatura”: non più giudeo né greco, non più schiavo né libero, non più uomo né donna, ma “uno” in lui (cfr Gal 3,28), insignito della dignità di figlio adottivo di Dio. Il giorno della Pentecoste, quest'uomo ha ricevuto lo Spirito Consolatore, lo Spirito di verità; ha avuto così inizio il nuovo Popolo di Dio, la Chiesa, anticipazione di un nuovo cielo e di un nuova terra (cfr Ap 21,1). Gli Apostoli, prima timorosi anche in rapporto al matrimonio e alla famiglia, sono diventati coraggiosi. Hanno compreso che il matrimonio e la famiglia costituiscono una vera vocazione proveniente da Dio stesso, un apostolato: l'apostolato dei laici. Servono alla trasformazione della terra e al rinnovamento del mondo, del creato e dell'intera umanità.
Lettera alle Famiglie 18,3
 
Sposi reciproco dono
È in forza di tale amore che gli sposi diventano reciproco dono. Nell'amore è contenuto il riconoscimento della dignità personale dell'altro e della sua irripetibile unicità: ciascuno di loro, infatti, in quanto essere umano, tra tutte le creature della terra è stato scelto da Dio per se stesso; ciascuno però, con atto consapevole e responsabile, fa di sé libero dono all'altro e ai figli ricevuti dal Signore. San Paolo prosegue la sua esortazione ricollegandosi significativamente al quarto comandamento: “Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato ad una promessa: perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra. E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore” (Ef 6,1-4). L'Apostolo vede, dunque, nel quarto comandamento l'implicito impegno del reciproco rispetto tra marito e moglie, tra genitori e figli, riconoscendo così in esso il principio della compattezza familiare.
La stupenda sintesi paolina a proposito del “grande mistero” si presenta come il compendio, la summa, in un certo senso,dell'insegnamento su Dio e sull'uomo, che Cristo ha portato a compimento. Purtroppo il pensiero occidentale, con lo sviluppo del razionalismo moderno, è andato via via allontanandosi da tale insegnamento. Il filosofo che ha formulato il principio del “Cogito, ergo sum”: “Penso, dunque esisto”, ha pure impresso alla moderna concezione dell'uomo il carattere dualista che la distingue. È proprio del razionalismo contrapporre in modo radicale nell'uomo lo spirito al corpo e il corpo allo spirito. L'uomo invece è persona nell'unità del corpo e dello spirito. Il corpo non può mai essere ridotto a pura materia: è un corpo “spiritualizzato”, così come lo spirito è tanto profondamente unito al corpo da potersi qualificare uno spirito “corporeizzato”. La fonte più ricca per la conoscenza del corpo è il Verbo fatto carne. Cristo rivela l'uomo all'uomo. Questa affermazione del Concilio Vaticano II è in un certo senso la risposta, da lungo tempo attesa, che la Chiesa ha dato al razionalismo moderno.
Lettera alle Famiglie 19,3
 
Sposi testimoni della salvezza
La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa. Gli sposi sono il richiamo permanente per la Chiesa di ciò che è accaduto sulla Croce; sono l'uno per l'altra e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento è memoriale, attualizzazione e profezia: «in quanto memoriale, il sacramento dà loro la grazia e il dovere di fare memoria delle grandi opere di Dio e di darne testimonianza presso i loro figli; in quanto attualizzazione, dà loro la grazia e il dovere di mettere in opera nel presente, l'uno verso l'altra e verso i figli, le esigenze di un amore che perdona e che redime; in quanto profezia, dà loro la grazia e il dovere di vivere e di testimoniare la speranza del futuro incontro con Cristo» (Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Delegati del «Centre de Liaison des Equipes de Recherche», 3 [3 Novembre 1979]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», II, 2 [1979] 1032).
& Familiaris Consortio, 13,3
 
Stato e Chiesa per la famiglia
Lo Stato e la Chiesa hanno l'obbligo di dare alle famiglie tutti gli aiuti possibili, affinché possano adeguatamente esercitare i loro compiti educativi. Per questo sia la Chiesa sia lo Stato devono creare e promuovere quelle istituzioni ed attività, che le famiglie giustamente richiedono: e l'aiuto dovrà essere proporzionato alle insufficienze delle famiglie. Pertanto, tutti coloro che nella società sono alla guida delle scuole non devono mai dimenticare che i genitori sono stati costituiti da Dio stesso come primi e principali educatori dei figli, e che il loro diritto è del tutto inalienabile. Ma complementare al diritto, si pone il grave dovere dei genitori di impegnarsi a fondo in un rapporto cordiale e fattivo con gli insegnanti ed i dirigenti delle scuole.
Se nelle scuole si insegnano ideologie contrarie alla fede cristiana, la famiglia insieme ad altre famiglie, possibilmente mediante forme associative familiari, deve con tutte le forze e con sapienza aiutare i giovani a non allontanarsi dalla fede. In questo caso la famiglia ha bisogno di aiuti speciali da parte dei pastori d'anime, i quali non dovranno dimenticare che i genitori hanno l'inviolabile diritto di affidare i loro figli alla comunità ecclesiale.
& Familiaris Consortio, 40,2
 
Strutture della pastorale familiare: la famiglia
[E’ alla famiglia cristiana e ai coniugi che soprattutto dev'essere riconosciuto il posto singolare e una singolare missione], in forza della grazia ricevuta nel sacramento. Tale missione dev'essere posta a servizio dell'edificazione della Chiesa, della costruzione del Regno di Dio nella storia. Ciò è richiesto come atto di docile obbedienza a Cristo Signore. Egli, infatti, in forza del matrimonio dei battezzati elevato a sacramento, conferisce agli sposi cristiani una peculiare missione di apostoli, inviandoli come operai nella sua vigna, e, in modo tutto speciale, in questo campo della famiglia.
In questa attività essi operano in comunione e collaborazione con gli altri membri della Chiesa, che pure s'impegnano a favore della famiglia, mettendo a frutto i loro doni e ministeri. Tale apostolato si svolgerà anzitutto in seno alla propria famiglia, con la testimonianza della vita vissuta in conformità della legge divina in tutti i suoi aspetti, con la formazione cristiana dei figli, con l'aiuto dato alla loro maturazione nella fede, con l'educazione alla castità, con la preparazione alla vita, con la vigilanza per preservarli dai pericoli ideologici e morali da cui spesso sono minacciati, col loro graduale e responsabile inserimento nella comunità ecclesiale e in quella civile, con l'assistenza e il consiglio nella scelta della vocazione, col mutuo aiuto tra i membri della famiglia per la comune crescita umana e cristiana, e così via. L'apostolato della famiglia, poi, si irradierà con opere di carità spirituale e materiale verso le altre famiglie, specialmente quelle più bisognose di aiuto e di sostegno, verso i poveri, i malati, gli anziani, gli handicappati, gli orfani, le vedove, i coniugi abbandonati, le madri nubili e quelle che, in situazioni difficili, sono tentate di disfarsi del frutto del loro seno, ecc.
& Familiaris Consortio, 71

Strutture della pastorale familiare: la parrocchia
L'azione pastorale è sempre espressione dinamica della realtà della Chiesa, impegnata nella sua missione di salvezza. Anche la pastorale familiare - forma particolare e specifica della pastorale - ha come suo principio operativo e come protagonista responsabile la Chiesa stessa, attraverso le sue strutture e i suoi operatori.
Comunità al tempo stesso salvata e salvante, la Chiesa deve essere qui considerata nella sua duplice dimensione universale e particolare: questa si esprime e si attua nella comunità diocesana, pastoralmente divisa in comunità minori fra cui si distingue, per la sua peculiare importanza, la parrocchia.
La comunione con la Chiesa universale non mortifica, ma garantisce e promuove la consistenza e l'originalità delle diverse Chiese particolari; queste ultime restano il soggetto operativo più immediato e più efficace per l'attuazione della pastorale familiare. In tal senso ogni Chiesa locale e, in termini più particolari, ogni comunità parrocchiale deve prendere più viva coscienza della grazia e della responsabilità che riceve dal Signore in ordine a promuovere la pastorale della famiglia. Ogni piano di pastorale organica, ad ogni livello, non deve mai prescindere dal prendere in considerazione la pastorale della famiglia.
Alla luce di tale responsabilità va compresa anche l'importanza di un'adeguata preparazione da parte di quanti verranno più specificamente impegnati in questo genere di apostolato. I sacerdoti, i religiosi e le religiose, fin dal tempo della loro formazione, vengano orientati e formati in maniera progressiva e adeguata ai rispettivi compiti. Anche in alcune diocesi sono stati fondati Istituti di questo genere; i Vescovi s'impegnino affinché il più gran numero possibile di sacerdoti, prima di assumere responsabilità parrocchiali, vi frequentino corsi specializzati. Altrove corsi di formazione vengono periodicamente tenuti presso Istituti Superiori di studi teologici e pastorali. Tali iniziative vanno incoraggiate, sostenute, moltiplicate ed aperte, ovviamente, anche ai laici che presteranno la loro opera professionale (medica, legale, psicologica, sociale, educativa) in aiuto della famiglia.
& Familiaris Consortio, 70
 
Strutture della pastorale familiare: le Associazioni di famiglie
Sempre nell'ambito della Chiesa, soggetto responsabile della pastorale familiare, sono da ricordare i diversi raggruppamenti di fedeli, nei quali si manifesta e si vive in qualche misura il mistero della Chiesa di Cristo. Sono perciò da riconoscere e valorizzare - ciascuna in rapporto alle caratteristiche, finalità, incidenze e metodi propri - le diverse comunità ecclesiali, i vari gruppi e i numerosi movimenti impegnati in vario modo, a diverso titolo e a diverso livello, nella pastorale familiare. Per tale motivo il Sinodo ha espressamente riconosciuto l'utile apporto di tali associazioni di spiritualità, di formazione e di apostolato. Sarà loro compito suscitare nei fedeli un vivo senso di solidarietà, favorire una condotta di vita ispirata al Vangelo e alla fede della Chiesa, formare le coscienze secondo i valori cristiani e non sui parametri della pubblica opinione, stimolare alle opere di carità vicendevole e verso gli altri con uno spirito di apertura, che faccia delle famiglie cristiane una vera sorgente di luce e un sano fermento per le altre. Similmente e desiderabile, che, con vivo senso del bene comune, le famiglie cristiane si impegnino attivamente a ogni livello anche in altre associazioni non ecclesiali. Alcune di tali associazioni si propongono la preservazione, trasmissione e tutela dei sani valori etici e culturali dei rispettivi popoli, lo sviluppo della persona umana, la protezione medica, giuridica e sociale della maternità e dell'infanzia, la giusta promozione della donna e la lotta a quanto mortifica la sua dignità, l'incremento della mutua solidarietà, la conoscenza dei problemi connessi con la responsabile regolazione della fecondità secondo i metodi naturali conformi alla dignità umana e alla dottrina della Chiesa. Altre mirano alla costruzione di un mondo più giusto e più umano, alla promozione di leggi giuste che favoriscano il retto ordine sociale nel pieno rispetto della dignità e di ogni legittima libertà dell'individuo e della famiglia, a livello sia nazionale sia internazionale, alla collaborazione con la scuola e con le altre istituzioni, che completano l'educazione dei figli, e così via
& Familiaris Consortio, 72
 
T
 
 Trasmissione della vita umana
Perché l'amore dei coniugi è una singolare partecipazione al mistero della vita e dell'amore di Dio stesso, la Chiesa sa di aver ricevuto la missione speciale di custodire e di proteggere l'altissima dignità del matrimonio e la gravissima responsabilità della trasmissione della vita umana. Così, in continuità con la tradizione viva della comunità ecclesiale lungo la storia, il recente Concilio Vaticano II e il magistero del mio predecessore Paolo VI, espresso soprattutto nell'enciclica «Humanae Vitae», hanno trasmesso ai nostri tempi un annuncio veramente profetico, che riafferma e ripropone con chiarezza la dottrina e la norma sempre antiche e sempre nuove della Chiesa sul matrimonio e sulla trasmissione della vita umana.
Per questo, nella loro ultima assemblea, i Padri Sinodali hanno testualmente dichiarato: «Questo Sacro Sinodo, riunito nell'unità della fede col successore di Pietro, fermamente mantiene ciò che nel Concilio Vaticano II (cfr. «Gaudium et Spes», 50) e, in seguito, nell'enciclica «Humanae Vitae» viene proposto, e in particolare che l'amore coniugale deve essere pienamente umano, esclusivo e aperto alla nuova vita (Propositio 22. La conclusione del n. 11 dell'enciclica «Humanae Vitae» così afferma: «Richiamando gli uomini all'osservanza delle norme della legge naturale interpreta dalla sua costante dottrina, la Chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» AAS 60 [1968] 488).
& Familiaris Consortio, 29
 
U
 
Una sola carne
L'uomo e la donna nel matrimonio si uniscono tra loro così saldamente da divenire — secondo le parole del Libro della Genesi — “una sola carne” (Gn 2,24). Maschio e femmina per costituzione fisica, i due soggetti umani, pur somaticamente differenti, partecipano in modo uguale alla capacità di vivere “nella verità e nell'amore”. Questa capacità, caratteristica dell'essere umano in quanto persona, ha una dimensione spirituale e corporea insieme. È anche attraverso il corpo che l'uomo e la donna sono predisposti a formare una “comunione di persone” nel matrimonio. Quando, in virtù del patto coniugale, essi si uniscono così da diventare “una sola carne”, la loro unione si deve attuare “nella verità e nell'amore” mettendo in luce in tal modo la maturità propria delle persone create ad immagine e somiglianza di Dio.
La famiglia che ne scaturisce trae la sua solidità interiore dal patto tra i coniugi, che Cristo ha elevato a Sacramento. Essa attinge la propria natura comunitaria, anzi, le sue caratteristiche di “comunione”, da quella fondamentale comunione dei coniugi che si prolunga nei figli. “Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli...?” — domanda il Celebrante durante il rito del matrimonio. La risposta degli sposi corrisponde all'intima verità dell'amore che li unisce. La loro unità, tuttavia, anziché chiuderli in se stessi, li apre ad una nuova vita, ad una nuova persona. Come genitori, essi saranno capaci di donare la vita ad un essere simile a loro, non soltanto “carne della loro carne e ossa delle loro ossa” (cfr Gn 2,23), ma immagine e somiglianza di Dio, cioè persona.
Domandando: “Siete disposti?”, la Chiesa ricorda ai novelli sposi che essi si trovano di fronte alla potenza creatrice di Dio. Sono chiamati a diventare genitori, ossia a cooperare con il Creatore nel dare la vita. Cooperare con Dio nel chiamare alla vita nuovi esseri umani significa contribuire alla trasmissione di quell'immagine e somiglianza divina di cui ogni “nato di donna” è portatore.
Lettera alle Famiglie 8,2
 
Unità dei coniugi
“Prometto di esserti fedele sempre, ... tutti i giorni della mia vita”, è chiamato a superare un difficile esame. Soltanto le “persone” sono in grado di pronunciare queste parole; solo esse sono capaci di vivere “in comunione” sulla base della reciproca scelta, che è, o dovrebbe essere, pienamente consapevole e libera. Il Libro della Genesi, là dove riferisce dell'uomo che abbandona il padre e la madre per unirsi a sua moglie (cfr Gn 2,24), mette in luce la scelta consapevole e libera che dà origine al matrimonio, rendendo marito un figlio e moglie una figlia. Come intendere adeguatamente questa reciproca scelta, se non si ha davanti agli occhi la piena verità della persona, ossia dell'essere razionale e libero? Il Concilio Vaticano II parla della somiglianza con Dio usando termini quanto mai significativi. Esso fa riferimento non soltanto all'immagine e somiglianza divina che ogni essere umano già possiede di per sé, ma anche e soprattutto ad “una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità”. Questa formulazione, particolarmente ricca e pregnante, innanzitutto conferma ciò che decide dell'intima identità di ogni uomo e di ogni donna. Tale identità consiste nella capacità di vivere nella verità e nell'amore; anzi, e ancor più, consiste nel bisogno di verità e di amore quale dimensione costitutiva della vita della persona. Tale bisogno di verità e di amore apre l'uomo sia a Dio che alle creature: lo apre alle altre persone, alla vita “in comunione”, in particolare al matrimonio e alla famiglia. Nelle parole del Concilio la “comunione” delle persone è, in un certo senso, dedotta dal mistero del “Noi” trinitario e quindi anche la “comunione coniugale” viene riferita a tale mistero. La famiglia, che prende inizio dall'amore dell'uomo e della donna, scaturisce radicalmente dal mistero di Dio. Ciò corrisponde all'essenza più intima dell'uomo e della donna, alla loro nativa ed autentica dignità di persone.
Lettera alle Famiglie 8
 
Unità indivisibile della comunione coniugale
La prima comunione è quella che si instaura e si sviluppa tra i coniugi: in forza del patto d'amore coniugale, l'uomo e la donna «non sono più due, ma una carne sola» (Mt 19,6; cfr. Gen 2,24) e sono chiamati a crescere continuamente nella loro comunione attraverso la fedeltà quotidiana alla promessa matrimoniale del reciproco dono totale. Questa comunione coniugale affonda le sue radici nella naturale complementarietà che esiste tra l'uomo e la donna, e si alimenta mediante la volontà personale degli sposi di condividere l'intero progetto di vita, ciò che hanno e ciò che sono: perciò tale comunione è il frutto e il segno di una esigenza profondamente umana. Ma in Cristo Signore, Dio assume questa esigenza umana, la conferma, la purifica e la eleva, conducendola a perfezione col sacramento del matrimonio: lo Spirito Santo effuso nella celebrazione sacramentale offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d'amore che è immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l'indivisibile Corpo mistico del Signore Gesù. Il dono dello Spirito è comandamento di vita per gli sposi cristiani, ed insieme stimolante impulso affinché ogni giorno progrediscano verso una sempre più ricca unione tra loro a tutti i livelli - dei corpi dei caratteri, dei cuori, delle intelligenze, e delle volontà, delle anime - rivelando così alla Chiesa e al mondo la nuova comunione d'amore, donata dalla grazia di Cristo. Una simile comunione viene radicalmente contraddetta dalla poligamia: questa, infatti, nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo. Come scrive il Concilio Vaticano II: «L'unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale sia dell'uomo che della donna, che deve essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore» («Gaudium et Spes», 49).
& Familiaris Consortio, 19
 
Uomo: bene comune
Sì! L'uomo è un bene comune: bene comune della famiglia e dell'umanità, dei singoli gruppi e delle molteplici strutture sociali. C'è però una significativa distinzione di grado e di modalità da fare: l'uomo è bene comune, ad esempio, della Nazione a cui appartiene o dello Stato di cui è cittadino; ma lo è in un modo molto più concreto, unico ed irrepetibile per la sua famiglia; lo è non solo come individuo che fa parte della moltitudine umana, bensì come “questo uomo”. Dio Creatore lo chiama all'esistenza “per se stesso”, e nel venire al mondo l'uomo comincia, nella famiglia, la sua “grande avventura”, l'avventure della vita. “Quest'uomo” ha, in ogni caso, diritto alla propria affermazione a motivo della sua dignità umana. È precisamente questa dignità a stabilire il posto della persona tra gli uomini, ed anzitutto nella famiglia. La famiglia è infatti — più di ogni altra realtà umana — l'ambiente nel quale l'uomo può esistere “per se stesso” mediante il dono sincero di sé. Per questo essa rimane un'istituzione sociale che non si può e non si deve sostituire: è “il santuario della vita”. Il fatto poi che sta nascendo un uomo, che “è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21), costituisce un segno pasquale. Ne parla Gesù stesso ai discepoli, come riferisce l'evangelista Giovanni, prima della passione e morte, paragonando la tristezza per la sua dipartita alla sofferenza di una donna partoriente: “La donna, quando partorisce, è afflitta (cioè, soffre), perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21). L'“ora” della morte di Cristo (cfr Gv 13,1) è qui paragonata all'“ora” della donna in travaglio; la nascita di un nuovo uomo trova il suo pieno riscontro nella vittoria della vita sulla morte operata dalla risurrezione del Signore. Questo raffronto si presta a diverse riflessioni. Come la risurrezione di Cristo è la manifestazione della Vita oltre la soglia della morte, così anche la nascita di un bambino è manifestazione della vita, sempre destinata, per mezzo di Cristo, alla “pienezza della vita” che è in Dio stesso: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Ecco svelato nel suo valore più profondo il vero significato dell'espressione di sant'Ireneo: “Gloria Dei vivens homo”.
Lettera alle Famiglie 11,4
 
Uomo: immagine di Dio Amore
Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26s): chiamandolo all'esistenza per amore, l'ha chiamato nello stesso tempo all'amore. Dio è amore (1Gv 4,8) e vive in se stesso un mistero di comunione personale d'amore. Creandola a sua immagine e continuamente conservandola nell'essere, Dio iscrive nell'umanità dell'uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell'amore e della comunione (cfr. «Gaudium et Spes», 12). L'amore è, pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano. In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l'uomo è chiamato all'amore in questa sua totalità unificata. L'amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale. La Rivelazione cristiana conosce due modi specifici di realizzare la vocazione della persona umana, nella sua interezza, all'amore: il Matrimonio e la Verginità. Sia l'uno che l'altra nella forma loro propria, sono una concretizzazione della verità più profonda dell'uomo, del suo «essere ad immagine di Dio».
& Familiaris Consortio, 11
 
Uomo: padre
L'amore alla sposa diventata madre e l'amore ai figli sono per l'uomo la strada naturale per la comprensione e la realizzazione della sua paternità. Soprattutto là dove le condizioni sociali e culturali spingono facilmente il padre ad un certo disimpegno rispetto alla famiglia o comunque ad una sua minor presenza nell'opera educativa, è necessario adoperarsi perché si recuperi socialmente la convinzione che il posto e il compito del padre nella e per la famiglia sono di un'importanza unica e insostituibile (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Omelia ai fedeli di Terni, 3-5 [19 Marzo 1981]: ASS 73 [1981], 268-271). Come l'esperienza insegna, l'assenza del padre provoca squilibri psicologici e morali e difficoltà notevoli nelle relazioni familiari, come pure, in circostanze opposte, la presenza oppressiva del padre, specialmente là dove e ancora in atto il fenomeno del «machismo», ossia della superiorità abusiva delle prerogative maschili che umiliano la donna e inibiscono lo sviluppo di sane relazioni familiari.
Rivelando e rivivendo in terra la stessa paternità di Dio (cfr. Ef 3,15), l'uomo è chiamato a garantire lo sviluppo unitario di tutti i membri della famiglia: assolverà a tale compito mediante una generosa responsabilità per la vita concepita sotto il cuore della madre, un impegno educativo più sollecito e condiviso con la propria sposa (cfr. «Gaudium et Spes», 52), un lavoro che non disgreghi mai la famiglia ma la promuova nella sua compattezza e stabilità, una testimonianza di vita cristiana adulta, che introduca più evidentemente i figli nell'esperienza viva di Cristo e della Chiesa.
& Familiaris Consortio, 25,2
 
Uomo: spirito e corpo
Grande è stato, nell'era moderna, il progresso nella conoscenza del mondo materiale ed anche della psicologia umana, ma quanto alla dimensione sua più intima, la dimensione metafisica, l'uomo di oggi rimane in gran parte un essere sconosciuto a se stesso; conseguentemente una realtà sconosciuta rimane anche la famiglia. Ciò si verifica a motivo del distacco da quel “grande mistero” di cui parla l'Apostolo. La separazione nell'uomo tra spirito e corpo ha avuto come conseguenza l'affermarsi della tendenza a trattare il corpo umano non secondo le categorie della sua specifica somiglianza con Dio, ma secondo quelle della sua somiglianza con tutti gli altri corpi presenti in natura, corpi che l'uomo utilizza quale materiale per la sua attività finalizzata alla produzione di beni di consumo. Ma tutti possono immediatamente comprendere come l'applicazione all'uomo di simili criteri nasconda in realtà enormi pericoli. Quando il corpo umano, considerato indipendentemente dallo spirito e dal pensiero, viene utilizzato come materiale alla stregua del corpo degli animali, — è ciò che avviene, ad esempio, nelle manipolazioni sugli embrioni e sui feti — si va incontro inevitabilmente ad una terribile sconfitta etica.
In una simile prospettiva antropologica, la famiglia umana si trova a vivere l'esperienza di un nuovo manicheismo, nel quale il corpo e lo spirito vengono fra loro radicalmente contrapposti: né il corpo vive dello spirito, né lo spirito vivifica il corpo. Così l'uomo cessa di vivere come persona e soggetto. Nonostante le intenzioni e le dichiarazioni contrarie, egli diventa esclusivamente un oggetto. In tal modo, ad esempio, questa civiltà neomanichea porta a guardare alla sessualità umana più come ad un terreno di manipolazione e di sfruttamento, che come alla realtà di quello stupore originario che nel mattino della creazione spinge Adamo ad esclamare davanti ad Eva: “È carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa” (Gn 2,23). È lo stupore che riecheggia nelle parole del Cantico dei Cantici: “Tu mi hai rapito il cuore, sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo” (Ct 4,9). Quanto sono lontane certe moderne concezioni dalla profonda comprensione della mascolinità e della femminilità offerta dalla Rivelazione divina! Essa ci porta a scoprire nella sessualità umana una ricchezza della persona, che trova la sua vera valorizzazione nella famiglia ed esprime la sua vocazione profonda anche nella verginità e nel celibato per il Regno di Dio.
Lettera alle Famiglie 19,4
 
Uomo: sposo
Entro la comunione-comunità coniugale e familiare, l'uomo è chiamato a vivere il suo dono e compito di sposo e di padre.
Egli vede nella sposa il compiersi del disegno di Dio: «Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile» (Gen 2,18), e fa sua l'esclamazione di Adamo, il primo sposo: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa» (Ibid. 2,23).
L'autentico amore coniugale suppone ed esige che l'uomo porti profondo rispetto per l'eguale dignità della donna: «Non sei il suo padrone - scrive san Ambrogio - bensì il suo marito; non ti è stata data schiava, ma in moglie... Ricambia a lei le sue attenzioni verso di te e sii ad essa grato del suo amore» («Exameron», V,7,19: CSEL 32,I,154). Con la sposa l'uomo deve vivere «una forma tutta speciale di amicizia personale» (Paolo PP. VI, «Humanae Vitae», 9). Il cristiano poi è chiamato a sviluppare un atteggiamento di amore nuovo, manifestando verso la propria sposa la carità delicata e forte che Cristo ha per la Chiesa (cfr. Ef 5,25).
& Familiaris Consortio, 25
 
Utilitarismo
Alla base dell'utilitarismo etico, come si sa, c'è la continua ricerca del “massimo” di felicità, ma di una “felicità utilitaristica”, intesa solo come piacere, come immediato soddisfacimento a vantaggio esclusivo del singolo individuo, al di fuori o contro le oggettive esigenze del vero bene. Il programma dell'utilitarismo, fondato su di una libertà orientata in senso individualistico, ossia una libertà senza responsabilità, costituisce l'antitesi dell'amore, anche come espressione della civiltà umana considerata nel suo insieme. Quando tale concetto di libertà trova accoglienza nella società, alleandosi facilmente con le più diverse forme di umana debolezza, si rivela ben presto come una sistematica e permanente minaccia per la famiglia. Si potrebbero citare, al riguardo, molte conseguenze nefaste, documentabili a livello statistico, anche se non poche di esse rimangono nascoste nei cuori degli uomini e delle donne, come ferite dolorose e sanguinanti.
Lettera alle Famiglie 14,5

 

V
 
Vangelo dell’amore ed educazione
È il vangelo dell'amore l'inesauribile sorgente di tutto ciò di cui si nutre la famiglia umana come “comunione di persone”. Nell'amore trova sostegno e senso definitivo l'intero processo educativo, come frutto maturo della reciproca donazione dei genitori. Mediante le fatiche, le sofferenze e le delusioni, che accompagnano l'educazione della persona, l'amore non cessa di essere sottoposto ad una continua verifica. Per superare quest'esame occorre una sorgente di forza spirituale che si trova solo in Colui che “amò sino alla fine” (Gv 13,1). Così l'educazione si colloca pienamente nell'orizzonte della “civiltà dell'amore”; da essa dipende e, in grande misura, contribuisce a costruirla.
Lettera alle Famiglie 16,8
 
Verginità
La verginità tiene viva nella Chiesa la coscienza del mistero del matrimonio e lo difende da ogni riduzione e da ogni impoverimento.
Rendendo libero in modo speciale il cuore dell'uomo (cfr. 1Cor 7,32-35), «così da accenderlo maggiormente di carità verso Dio e verso tutti gli uomini» («Perfectae Caritatis», 12), la verginità testimonia che il Regno di Dio e la sua giustizia sono quella perla preziosa che va preferita ad ogni altro valore sia pure grande, e va anzi cercato come l'unico valore definitivo. E' per questo che la Chiesa, durante tutta la sua storia, ha sempre difeso la superiorità di questo carisma nei confronti di quello del matrimonio, in ragione del legame del tutto singolare che esso ha con il Regno di Dio (cfr. Pio XII, «Sacra Virginitas», II: AAS 46 [1954] 174ss). Pur avendo rinunciato alla fecondità fisica, la persona vergine diviene spiritualmente feconda, padre e madre di molti, cooperando alla realizzazione della famiglia secondo il disegno di Dio. Gli sposi cristiani hanno perciò il diritto di aspettarsi dalle persone vergini il buon esempio e la testimonianza della fedeltà alla loro vocazione fino alla morte. Come per gli sposi la fedeltà diventa talvolta difficile ed esige sacrificio, mortificazione e rinnegamento di sé, così può avvenire anche per le persone vergini. La fedeltà di queste, anche nella prova eventuale, deve edificare la fedeltà di quelli (cfr. Giovanni Paolo PP. II, «Novo Incipiente», 9 [8 Aprile 1979]: AAS 71 [1979], 410s). Queste riflessioni sulla verginità possono illuminare ed aiutare coloro che, per motivi indipendenti dalla loro volontà, non hanno potuto sposarsi ed hanno poi accettato la loro situazione in spirito di servizio.
& Familiaris Consortio, 16,2
 
Verità dell’amore umano
 È la verità evangelica del dono di sé, senza di cui l'uomo non può “ritrovarsi pienamente”, che permette di valutare quanto profondamente questo “dono sincero” sia radicato nel dono di Dio Creatore e Redentore, nella “grazia dello Spirito Santo”, la cui “effusione” sugli sposi il celebrante invoca nel rito del matrimonio. Senza tale “effusione” sarebbe veramente difficile comprendere tutto questo e compierlo come vocazione dell'uomo. E tuttavia tanta gente lo intuisce! Tanti uomini e donne fanno propria questa verità giungendo ad intravedere che solo in essa incontrano “la Verità e la Vita” (Gv 14,6). Senza questa verità la vita dei coniugi e della famiglia non riesce ad attingere un senso pienamente umano.
Ecco perché la Chiesa non si stanca mai di insegnare e di testimoniare tale verità. Pur manifestando una comprensione materna per le non poche e complesse situazioni di crisi nelle quali le famiglie sono coinvolte, come pure per la fragilità morale di ogni essere umano, la Chiesa è convinta di dover rimanere assolutamente fedele alla verità sull'amore umano: diversamente, tradirebbe se stessa. Discostarsi da questa verità salvifica sarebbe infatti come chiudere “gli occhi della mente” (Ef 1,18), che invece devono sempre rimanere aperti alla luce con cui il Vangelo illumina le vicende umane (cfr 2 Tm 1,10). La consapevolezza di quel dono sincero di sé, mediante il quale l'uomo “ritrova se stesso”, va rinnovata saldamente e costantemente garantita, di fronte alle molte opposizioni che la Chiesa incontra da parte dei fautori di una falsa civiltà del progresso. La famiglia esprime sempre una nuova dimensione del bene per gli uomini, e per questo genera una nuova responsabilità. Si tratta della responsabilità per quel singolare bene comune nel quale è racchiuso il bene dell'uomo: di ogni membro della comunità familiare; un bene certamente “difficile” (“bonum arduum”), ma affascinante.
Lettera alle Famiglie 11,5
 
Vero amore
Alla luce testi del Nuovo Testamento è possibile comprendere che cosa s'intende per “civiltà dell'amore”, e perché la famiglia è organicamente unita con tale civiltà. Se prima “via della Chiesa” è la famiglia, occorre aggiungere che anche la civiltà dell'amore è “via della Chiesa”, la quale cammina nel mondo e chiama su tale via le famiglie e le altre istituzioni sociali, nazionali e internazionali, a motivo proprio delle famiglie ed attraverso le famiglie. La famiglia infatti dipende per molteplici motivi dalla civiltà dell'amore, nella quale trova le ragioni del suo essere famiglia. E in pari tempo la famiglia è il centro e il cuore della civiltà dell'amore.
Vero amore, tuttavia, non c'è senza la consapevolezza che Dio “è Amore” — e che l'uomo è l'unica creatura in terra chiamata da Dio all'esistenza “per se stessa”. L'uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio non può “ritrovarsi pienamente” se non attraverso il dono sincero di sé. Senza un tale concetto dell'uomo, della persona e della “comunio- ne di persone” nella famiglia, non ci può essere la civiltà dell'amore; reciprocamente, senza la civiltà dell'amore è impossibile un tale concetto di persona e di comunione di persone. La famiglia costituisce la “cellula” fondamentale della società. Ma c'è bisogno di Cristo — “vite” dalla quale traggono linfa i “tralci” —, perché questa cellula non sia esposta alla minaccia di una specie di sradicamento culturale, che può venire sia dall'interno che dall'esterno. Infatti, se esiste da un lato la “civiltà dell'amore”, permane dall'altro lato la possibilità di un'“anti-civiltà” distruttiva, com'è confermato oggi da tante tendenze e situazioni di fatto.
Lettera alle Famiglie 13,2
 
Visione integrale dell'uomo e  sua vocazione
Nel contesto di una cultura che gravemente deforma o addirittura smarrisce il vero significato della sessualità umana, perché la sradica dal suo essenziale riferimento alla persona, la Chiesa sente più urgente e insostituibile la sua missione di presentare la sessualità come valore e compito di tutta la persona creata, maschio e femmina, ad immagine di Dio. In questa prospettiva il Concilio Vaticano II ha chiaramente affermato che «quando si tratta di comporre l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella natura stessa della persona umana e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana; e tutto ciò non sarà possibile se non venga coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale» («Gaudium et Spes», 51). E' proprio movendo dalla «visione integrale dell'uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche soprannaturale ed eterna» (Paolo PP. VI, «Humanae Vitae», 7), che Paolo VI ha affermato che la dottrina della Chiesa «è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (Ibid. 12). Ed ha concluso ribadendo che è da escludere come intrinsecamente disonesta «ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione» (Ibid. 14).
& Familiaris Consortio, 32
 
Vita coniugale e ascesi
Paolo VI, con profondo intuito di sapienza e di amore, altro non ha fatto che dare voce all'esperienza di tante coppie di sposi quando ha scritto nella sua enciclica: «il dominio dell'istinto mediante la ragione e la libera volontà, impone indubbiamente una ascesi, affinché le manifestazioni affettive della vita coniugale siano secondo il retto ordine e in particolare per l'osservanza della continenza periodica. Ma questa disciplina, propria della purezza degli sposi, ben lungi dal nuocere all'amore coniugale, gli conferisce invece un più alto valore umano. Esige un continuo sforzo, ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la loro personalità arricchendosi di valori spirituali: essa apporta alla vita familiare frutti di serenità e di pace e agevola la soluzione di altri problemi; favorisce l'attenzione verso l'altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l'egoismo, nemico del vero amore, ed approfondisce il loro senso di responsabilità nel compimento dei loro doveri. I genitori acquistano con essa la capacità di un influsso più profondo ed efficace per l'educazione dei figli» («Humanae Vitae», 21).
& Familiaris Consortio, 33,3
 
Vita coniugale in Cristo
In una pagina meritatamente famosa, Tertulliano ha ben espresso la grandezza della vita coniugale in Cristo e la sua bellezza: «Come sarò capace di esporre la felicità di quel matrimonio che la Chiesa unisce, l'offerta eucaristica conferma, la benedizione suggella, gli angeli annunciano e il Padre ratifica?... Quale giogo quello di due fedeli uniti in un'unica speranza, in un'unica osservanza, in un'unica servitù! Sono tutt'e due fratelli e tutt'e due servono insieme; non vi è nessuna divisione quanto allo spirito e quanto alla carne. Anzi sono veramente due in una sola carne e dove la carne è unica, unico è lo spirito» (Tertulliano «Ad uxorem», II; VIII, 6-8: CCL I, 393).
Accogliendo e meditando fedelmente la Parola di Dio, la Chiesa ha solennemente insegnato ed insegna che il matrimonio dei battezzati è uno dei sette sacramenti della Nuova Alleanza (cfr. Conc. Ecum. Trident., Sessio XXIV, can. 1: I. D. Mansi, «Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio», 33, 149s).
Infatti, mediante il battesimo, l'uomo e la donna sono definitivamente inseriti nella Nuova ed Eterna Alleanza, nell'Alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa. Ed è in ragione di questo indistruttibile inserimento che l'intima comunità di vita e di amore coniugale fondata dal Creatore (cfr. «Gaudium et Spes», 48), viene elevata ed assunta nella carità sponsale del Cristo, sostenuta ed arricchita dalla sua forza redentrice. In virtù della sacramentalità del loro matrimonio, gli sposi sono vincolati l'uno all'altra nella maniera più profondamente indissolubile. La loro reciproca appartenenza è la rappresentazione reale, per il tramite del segno sacramentale, del rapporto stesso di Cristo con la Chiesa.
& Familiaris Consortio, 13,2
 
Vita e preghiera
Non si dovrà mai dimenticare che la preghiera è parte costitutiva essenziale della vita cristiana, colta nella sua integralità e centralità, anzi appartiene alla nostra stessa «umanità»: è «la prima espressione della verità interiore dell'uomo, la prima condizione dell'autentica libertà dello spirito» (Giovanni Paolo PP. II, Discorso al Santuario della Mentorella [29 Ottobre 1978]: «Insegnamenti di Giovanni Paolo II, I [1978] 78 s.). Per questo la preghiera non rappresenta affatto un'evasione dall'impegno quotidiano, ma costituisce la spinta più forte perché la famiglia cristiana assuma ed assolva in pienezza tutte le sue responsabilità di cellula prima e fondamentale della società umana. In tal senso, l'effettiva partecipazione alla vita e missione della Chiesa nel mondo è proporzionale alla fedeltà e all'intensità della preghiera con la quale la famiglia cristiana si unisce alla Vite feconda, che è Cristo Signore (cfr. «Apostolicam Actuositatem», 4). Dall'unione vitale con Cristo, alimentata dalla liturgia, dall'offerta di sé e dalla preghiera, deriva pure la fecondità della famiglia cristiana nel suo specifico servizio di promozione umana, che di per se non può non portare alla trasformazione del mondo (cfr. Giovanni Paolo PP. II, Discorso ai Vescovi della XII Regione Pastorale degli Stati Uniti d'America [21 Settembre 1978]: ASS 70 [1978] 767).
& Familiaris Consortio, 62
 
Vocazione alla santità dei coniugi cristiani
La vocazione universale alla santità è rivolta anche ai coniugi e ai genitori cristiani: viene per essi specificata dal sacramento celebrato e tradotta concretamente nelle realtà proprie della esistenza coniugale e familiare («Lumen Gentium», 41). Nascono di qui la grazia e l'esigenza di una autentica e profonda spiritualità coniugale e familiare, che si ispiri ai motivi della creazione, dell'alleanza, della Croce, della risurrezione e del segno, sui quali più volte si è soffermato il Sinodo.
Il matrimonio cristiano, come tutti i sacramenti che «sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del Corpo di Cristo, e, infine a rendere culto a Dio» («Sacrosantum Concilium», 59), è in se stesso un atto liturgico di glorificazione di Dio in Gesù Cristo e nella Chiesa: celebrandolo, i coniugi cristiani professano la loro gratitudine a Dio per il sublime dono ad essi elargito di poter rivivere nella loro esistenza coniugale e familiare l'amore stesso di Dio per gli uomini e del Signore Gesù per la Chiesa sua sposa.
E come dal sacramento derivano ai coniugi il dono dell'obbligo di vivere quotidianamente la santificazione ricevuta, così dallo stesso sacramento discendono la grazia e l'impegno morale di trasformare tutta la loro vita in un continuo «sacrificio spirituale» (cfr. 1Pt 2,5; «Lumen Gentium», 34). Anche agli sposi e ai genitori cristiani, in particolare per quelle realtà terrene e temporali che li caratterizzano, si applicano le parole del Concilio: «Così anche i laici, in quanto adoratori dappertutto santamente operanti, consacrano a Dio il mondo stesso» («Lumen Gentium», 34).
& Familiaris Consortio, 56,2