Catechismo della Chiesa Cattolica
l'economia sacramentale

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Il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica la seconda parte alla celebrazione del mistero cristiano: i sacramenti della fede.

Si tratta dell'esposizione della salvezza di Dio, realizza­ta una volta per tutte per mezzo di Cristo Gesù e per mezzo dello Spirito Santo, e resa presente attraverso le azioni sa­cre della Liturgia della Chiesa, particolarmente nei sette sa­cramenti (cfr. Prologo 15).

 

La seconda parte si suddivide in due sezioni:

- Sezione Prima: l'economia sacramentale

- Sezione Seconda: i sette sacramenti della Chiesa.

 

La scelta che il Catechismo della Chiesa Cattolica fa di collocare la dottrina dei sacramenti immediatamente dopo la presentazione del Credo sta ad indicare assai chiara­mente che la salvezza dell'uomo non può compiersi che per mezzo della vita di Dio comunicata all'umanità e a ogni sin­golo mediante la passione, la morte e la risurrezione di Ge­sù, il Cristo. Questa stessa vita di Dio comunicata all'umanità da Cristo si rende presente e agisce soprattutto nei sacramen­ti, vertice di tutta l'economia della salvezza, che attualizza­no la presenza e l'opera di Cristo tra gli uomini. L'azione personale di Cristo, presente nei sacramenti, è accolta nella fede della Chiesa, che ne è gelosa custode e che li celebra.

Se questa è la scelta operata dal Catechismo, per ragio­ni che sono riconducibili a un preciso impianto teologico-pastorale, è da dire che meno evidente è il significato che il sacramento e i sacramenti hanno, oggi, per la vita cri­stiana.

 

Non è infatti difficile avvertire una certa angustia da parte di molti pastoralisti e operatori della pastorale e ca­techesi sacramentale, i quali dichiarano che vi è una mar­cata impreparazione delle persone alla celebrazione dei sa­cramenti. Da un lato vi sono coloro che possiedono solo i primi ru­dimenti dell'evangelizzazione, denunciando gravi limiti quanto a comprensione del segno-mistero che celebrano. Dall'altro vi sono coloro che attendono i sacramenti co­me un atto d'ufficio che la Chiesa deve, appunto, compiere. «Desidero che mio figlio riceva il Battesimo, faccia la prima comunione, sia ammesso al sacramento della Cresi­ma, contragga matrimonio...»

 

E se la Chiesa dovesse obiettare che, per ricevere il sacra­mento, è esigila una adeguata preparazione catechistica sia da parte del diretto interessato, sia da parte dei familiari, l'e­sperienza pastorale, purtroppo, insegna che vengono d'abitu­dine sollevate ogni sorta di difficoltà, o quanto meno sono concesse ampie deleghe al parroco e ai catechisti.

Gli è che, nei confronti dei sacramenti, molto spesso vi è un atteggiamento quasi magico-rituale, o di mera conve­nienza. Certamente a nessuno sfugge che la nostra epoca è for­temente contrassegnata da una riduzione o smarrimento del senso di Dio e da una tangibile eclissi del sacro. Si tratta di una perdita o eclissi non tanto in termini emotivi, quanto piuttosto del senso che Dio non è più inte­so e percepito come il Dio della storia, il Dio-con-noi, il Dio amante della vita, la cui gloria è l'uomo vivente.

 

Il card. Camillo Ruini, nell'allocuzione tenuta in occa­sione del II Convegno nazionale dei catechisti della Chiesa che vive in Italia (20/22-11-1992), disse tra l'altro: «...adden­trarsi nel mondo culturale odierno, come fa san Paolo nel­l'areopago di Atene, significa come ieri, imbattersi in visio­ni di vita, magari più vissute che riflesse, ma quanto mai in­fluenti, che sono sostenute da ambiguità e oscillazioni: tra secolarità giusta e secolarismo deformante, tra responsabi­lità necessaria ed eteronomia o autonomia non sostenibile, tra senso di personalità da rispettare e promuovere e soggettivismo quanto mai fragile e capzioso... Siamo infatti oggi di fronte a una complessiva fragilità degli orientamenti cul­turali, delle scelte morali, degli orizzonti spirituali, collega­ta a una pari e più avvertita debolezza del tessuto sociale. Ridurre il vero a ciò che si può sperimentare, il giusto a ciò che appaga, il bene a ciò che è funzionale e utile: sono questi i drammatici esiti di una cultura che, nel rifiuto del trascendente, spesso si chiude anche all'autenticità degli orizzonti umani» (n. 12).

 

In verità si tratta di una rarefazione del senso della fe­de, per cui l'uomo sembra avere occhi solo per ciò che è im­mediato, contingente, concreto; quando non è addirittura incapace di cogliere, oltre il segno più semplice, i significa­ti del segno espresso per goderne profondamente. Francesco d'Assisi potè definire sorella acqua, umile pretiosa et casta, quasi rapito dal mistero dell'acqua, sco­prendone, per così dire, il senso e il significato indefinibile, impalpabile, inafferrabile, di cui l'acqua è rivelazione.

Forse il nostro mondo contemporaneo ha smarrito un poco il senso della contemplazione. Si guarda, si vede, si di­ce fugacemente: oh! che bello! Ma poi tutto finisce là. Contemplare è sapersi soffermare sulla realtà osserva­ta, ascoltarla nella sua profondità e tuttavia quel consenso, l'assenso, l'entusiasmo, vanno oltre e superano - in qualche modo - l'assenso e l'entusiasmo per la stessa realtà os­servata.

 

Schleiermacher direbbe: «le cose in quel momento di­ventano fessure, attraverso le quali giunge a noi un raggio dell'Amore eterno».

L'esperienza è invece amara. Per dirla ancora con le pa­role del cardinale Ruini - nel discorso citato - «è sempre più diffusa la convinzione che non esiste una vera religione, ma che ci sia un po' di verità in ogni religione o visione di vita, o, più in profondità, che il concetto di religione non com­porti necessariamente quello di verità. Così i contenuti di fede diventano posizioni orientative e mutevoli, sottoposti essi stessi al nostro gradimento e a quello dell'ambiente in cui ci troviamo a vivere.

 

La fede, allora, non costituisce più l'ispirazione unifi­cante di una vita, ma un riferimento facoltativo e plausibile in quanto utile: per sanare le nostre angosce personali, per offrire quadri di riferimento all'agire sociale, per soddisfare i bisogni più vari. E così negata alla radice la natura specifi­ca della fede cristiana: apertura fiduciosa a Dio che, nella totalità gratuita del suo amore, si fa a noi più vicino, fino a rivelarsi pienamente nella persona di Gesù Cristo. Dietro questi atteggiamenti - consapevolmente o no -stanno il rifiuto della trascendenza e la chiusura immanen­tistica di molti percorsi della cultura umana. C'è la convin­zione che non possa darsi una verità che sia oltre l'uomo, che non ci sia una verità unica, che non sia possibile coglie­re la sua identità... Alle incertezze del pensiero e della prassi dell'oggi, la Chiesa non può non rispondere con l'annuncio della verità, perché alla scuola del Maestro, sa che un so­stanziale, anzi, primo atto di carità verso le persone è dire la verità: la verità che essa non inventa, ma che ha ricevuto dal suo Signore e che riconosce, confessa e di cui si pone al servizio condividendola con tutti, perché non è una sua con­quista o una proprietà da conservare solo per sé, ma è un compito affidato alla sua responsabilità, perché ciascuno ne possa gustare. Tale verità - secondo la parola di Dio - è la fedeltà di Dio all'uomo nella storia, quindi, soprattutto e centralmente, la persona stessa di Gesù» (n. 18-19).