Pasqua di Risurrezione: una vita nuova

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La seconda domenica di Pasqua, chiamata anche domenica della Divina Misericordia, mette in risalto la prima conseguenza della risurrezione di Cristo: la nascita della Chiesa. 
 
I teologi della critica liberale, che negavano la risurrezione come fatto storico, si sono battuti e hanno voluto spiegare due cose che, senza la risurrezione, mancano di logica. 
1.     La nascita della domenica come giorno del Signore. 
2.     La nascita della comunità della Chiesa. 
 
Il cambiamento dal sabato alla domenica all'interno dell'ebraismo può essere spiegato solo se in quel giorno è successo qualcosa che ha superato le aspettative dei discepoli di Gesù. Allo stesso modo, la nascita della Chiesa ha una giusta spiegazione se Gesù si è mostrato vivo e risorto agli apostoli che non hanno creduto all'annuncio delle donne.
 
La risurrezione è stata una vera rivoluzione nel giudaismo. Non fu solo il passaggio dall'incredulità alla fede, ma la presa di coscienza che nell'umanità era avvenuto un cambiamento sostanziale: se la morte era stata sconfitta, tutto acquistava una nuova dimensione. 
 
Perciò la risurrezione è intesa come una "nuova creazione" che dà senso alla prima e, di fatto, la redime. I primi cristiani lo capirono molto chiaramente. Nel libro degli Atti la prima comunità è descritta come un modo di vivere del tutto nuovo: la comunione dei beni, che si faceva gratuitamente, esprimeva la trasformazione operata dalla risurrezione del Signore. 
 
Inoltre, il testo degli Atti degli Apostoli afferma che questo modo di vivere ha goduto dell'approvazione e della simpatia delle persone che si erano unite a loro per partecipare a questa novità. La testimonianza dei cristiani era così attraente da diventare, come aveva promesso Gesù nel suo discorso di addio, la migliore via di evangelizzazione. 
 
È molto significativo il commento di san Luca nel descrivere la vita dei cristiani: «Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo» (At 2,46-47).
 
Questo carattere evangelizzatore della vita dei cristiani si è ripetuto nella storia del cristianesimo ogni volta che la risurrezione è stata intesa come una svolta copernicana nel modo di vivere. 
 
L'apostolo Paolo ha esortato i Colossesi a vivere aspirando alle cose di lassù, il che non significa che avrebbero dovuto lasciare questo mondo. Si tratta di lasciarsi trasportare dallo Spirito di Vita che il Risorto ha alitato nella Chiesa, in modo simile a quanto ha fatto Dio nella creazione quando ha alitato la vita in Adamo e lo ha reso un essere vivente. 
 
Gesù alita sui suoi apostoli e infonde in loro il suo stesso spirito perché siano capaci di svolgere la missione loro affidata.
 
Merita insistere su questa idea: i cristiani non debbono fare del cristianesimo un'idea, o una filosofia, né tanto meno un'ideologia, ma piuttosto sono chiamati a vivere la fede radicata nella vita, e offrire a tutti la medesima esperienza di conversione. 
 
Per fare questo, occorre lasciarsi trasformare dalla forza del Risorto. È evidente che nella Chiesa primitiva c'era il peccato, la divisione, l'incoerenza. Gli scritti del Nuovo Testamento non ci offrono un'immagine idilliaca di Chiesa. 
 
Tuttavia, la forza della grazia si faceva sentire in coloro che abbracciavano la fede in Cristo con la certezza che si trattava di un modo di vivere assai differente da quello pagano.
 
Anche oggi bisogna vivere così. Il pericolo di ideologizzare la fede è reale. La mancanza di testimonianza di vita può ridurre la fede a proselitismo, all'attivismo incoerente e, nel peggiore dei casi, a quella che è stata definita l'"apostasia silenziosa" che è il grande dramma dell'Europa.
 

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