Lettera aperta a mons. Charles Scicluna che auspica l’abolizione del celibato sacerdotale

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Caro Monsignore, 

Per ben due volte in meno di un mese lei è tornato sul tema della “liberalizzazione del celibato sacerdotale” per ricevere il sacramento dell'ordine nella Chiesa di rito latino.
Non mi ha sorpreso questa notizia; ma – stante a quanto riferiscono i giornali - sorprendente è la motivazione che lei adduce: perché venga impedita la doppia vita dei preti”.
 
Mi creda Monsignore; se davvero la pensa così, lei della vita del prete non ha capito proprio nulla.
Le propongo una analogia con altre categorie a partire dal suo assioma: perché venga impedita la doppia vita dei preti”.
Allora:
  •  Approviamo l'adulterio, e così finirebbe la doppia vita degli adulteri.
  •  Approviamo l'omicidio, e così finirebbe la doppia vita degli assassini.
  • Approviamo la pedofilia (materia che sembra conoscere bene!) e così finirebbe la doppia vita dei pedofili.
  • Approviamo il furto e così finirebbe la doppia vita dei ladri.
 E potremmo continuare. Mi creda, Monsignore:
 
-  non è davvero rendendo facoltativo il celibato che avremmo più vocazioni,
-  non è davvero rendendo facoltativo il celibato che elimineremmo, come dice lei, la doppia vita dei preti.
 
Nella mia missione di prete e psicanalista le posso assicurare che alla radice di ogni crisi di un sacerdote c’è una crisi di fede. 
Quando un prete non mette Dio al centro: quando Dio non è più il fondamento, il progetto, l'architetto, la pietra angolare della sua vita. Quando un prete
non prega più, quando il suo ministero diventa attivismo e professione, quando cede alla mondanità va da sé che egli avverta acuta e profonda una situazione fisica e psicologica innaturale, perfino dannosa all'equilibrio e alla maturazione della personalità.

Certamente, come ha dichiarato il Concilio Vaticano II, il celibato «non è richiesto dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta dalla prassi della Chiesa primitiva e dalla tradizione delle Chiese orientali» (PO 16).
 
E mi guardo bene da proporle delle riflessioni circa le ragioni, il senso e il significato del celibato che lei ben conosce.
 
Mi soffermo solo sulla sua proposta di rendere facoltativo o cassare la legge del celibato “perché venga impedita la doppia vita del prete”.
Ha mai avuto modo di frequentare sacerdoti sposati della Chiesa Ortodossa, o Pastori protestanti di altre Confessioni?
Ha mai sentito parlare delle loro “scappatelle” e più concretamente del tradimento commesso a danno della loro consorte?
Conosce il numero delle loro separazioni coniugali e dei successivi divorzi?  
 
Ho avuto modo di parlare con qualche Patriarca delle Chiese Orientali che oggi ancora lodano e benedicono la disciplina del celibato nella Chiesa latina.
 
Lei mi dirà: “Se uno prima di diventare prete si sposa è pacifico che si assumerà tutti i rischi di chi contrae matrimonio”.
Ma la sua proposta non era tesa a scongiurare la doppia vita del prete con l’eliminazione del celibato?
Lei, Monsignore è troppo intelligente per non capire il senso del mio ragionamento.

Avrei preferito che lei auspicasse una migliore formazione dei candidati al sacerdozio che, per i profondi mutamenti di questi ultimi tempi, non è più del tutto adeguata a formare una personalità degna di un uomo di Dio.
 
Credo che questo sia il tema vero! Per molti e differenti motivi la formazione dei futuri sacerdoti nei nostri seminari non appare adeguata a partire dalla formazione umana fondamentale per costruire il cristiano e il prete.
Dunque: una formazione autenticamente umana, intensamente spirituale, profondamente intellettuale, concretamente pastorale.
 
Una formazione affidata a formatori competenti! Spesso la mancanza di una degna formazione è la conseguenza di una precarietà e labilità dei formatori stessi, che dovrebbero essere preparati con sana dottrina, adeguata esperienza pastorale e speciale formazione spirituale e pedagogica. Oggi più che mai si impone l’esigenza di promuovere una pedagogia più dinamica, vivace, aperta alla realtà della vita e attenta ai processi evolutivi della persona, sempre più differenziati e complessi

La vocazione del formatore presuppone il possesso di un certo carisma che si coniuga nella necessità di possedere un forte spirito di fede, una viva coscienza sacerdotale e pastorale, solidità nella propria vocazione, un chiaro senso ecclesiale, facilità di relazione e capacità di guida, un maturo equilibrio psicologico, emotivo e affettivo, intelligenza unita a prudenza e sanità mentale, una vera cultura della mente e del cuore. capacità di collaborazione, profonda conoscenza dell'animo giovanile e dello spirito comunitario. 

 
Insomma la doppia vita di un prete, come la chiama lei, non è il risultato di una vita celibataria, ma la conseguenza del dubbio e della aridità della fede, della notte oscura dello spirito.
Un prete, come ogni buon cristiano, con un’anima ricolma di amore e di un'ininterrotta unione d'amore con Dio, non ha il tempo né di lasciarsi tentare, né di condurre una doppia vita.
 
Devo dirle, per concludere, che mi piacerebbe incontrarla per condividere, a tu per tu, queste e altre idee.
Cordialmente
mons. Tommaso Stenico


 

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