le fonti del Catechismo della Chiesa Cattolica

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Nella prefazione al Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) si legge: «Questo catechismo ha lo scopo di presenta­re una esposizione organica e sintetica dei contenuti essen­ziali e fondamentali della dottrina cattolica sia sulla fede che sulla morale, alla luce del Concilio Vaticano II e dell'in­sieme della Tradizione della Chiesa. Le sue fonti principali sono la Sacra Scrittura, i Santi Padri, la Liturgia e il magi­stero della Chiesa» (CCC 11). Il paragrafo - che continua af­fermando come lo scopo del Catechismo sia servire quale punto di riferimento per la stesura dei Catechismi locali - costituisce una sintetica «autopresentazione» del libro, per quel che concerne la sua specifica natura, tenendo con­to delle finalità ad esso proprie. Il testo riecheggia, ripren­dendone per larga parte quasi alla lettera la formulazione, il voto con cui nell'Assemblea straordinaria del Sinodo del 1985 moltissimi Padri avevano richiesto la composizione di «un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattoli­ca»[1], un voto e una formulazione che vengono ricordati esplicitamente dal Papa Giovanni Paolo II nella Costituzio­ne Apostolica con cui presenta il nuovo catechismo.[2]

Di questa «autopresentazione» fa parte, anzitutto, la di­chiarazione che il Catechismo della Chiesa Cattolica costi­tuisce una «esposizione organica e sintetica dei contenuti essenziali e fondamentali della dottrina cattolica». La defi­nizione esprime il carattere specifico del testo, come stru­mento di conoscenza della fede in vista della sua comunicazione. Essa rappresenta anche un'indicazione non secon­daria per individuare la collocazione propria di questo li­bro nell'ambito, peraltro assai variegato, del genere lette­rario «catechismo». Lo stesso testo, più tardi, precisa che «l'accento di questo catechismo è posto sull'esposizione dot­trinale» (CCC, 23) e che, pertanto, «questo catechismo non si propone di attuare gli adattamenti dell'esposizione e dei metodi catechistici che sono richiesti dalle differenze di cul­tura, di età, di vita spirituale e di situazione sociale ed eccle­siale di coloro cui la catechesi è rivolta» (CCC 24).

 

Se queste considerazioni appaiono importanti per coglie­re la natura propria del Catechismo della Chiesa Cattolica, non meno importante è la seconda affermazione contenuta in quel paragrafo 11, che abbiamo indicato come «autopre­sentazione» del testo; quell'affermazione, cioè, che ne indica le fonti principali: Scrittura, Padri, Liturgia e magistero. La determinazione delle fonti del libro, l'estensione e le modali­tà del loro uso, gli orizzonti di utilizzazione del testo da esse aperti rappresentano, infatti, un elemento non secondario dell'identità stessa del catechismo.

 

1. FONTI PER LA CATECHESI: UNITÀ E PLURALITÀ

 

Il problema delle fonti della catechesi ha ricevuto debi­ta attenzione nei documenti recenti del magistero della Chiesa. Merita richiamare qui alcune di queste indicazioni per inquadrare le modalità con cui il Catechismo della Chiesa Cattolica si pone nei loro confronti.

Il nostro catechismo attribuisce al Concilio Vaticano II, pur nel contesto della totalità della Tradizione della Chie­sa, un ruolo di riferimento primario per l'esposizione della fede. Questo appare ulteriormente avvalorato da quanto si può leggere nella Costituzione Apostolica che lo introduce: è fortemente ribadito il legame tra questo testo e l'evento conciliare, soprattutto nella prospettiva che esso si poneva «di meglio custodire e presentare il prezioso deposito della dottrina cristiana per renderlo più accessibile ai fedeli di Cristo e a tutti gli uomini di buona volontà»[3]. Ciò spinge a cercare anzitutto nello stesso Concilio indicazioni anche a riguardo del problema delle fonti nella catechesi.

 

La prima di queste indicazioni, va individuata nella Co­stituzione Dogmatica Dei verbum[4]. Qui il Concilio dichia­ra che l'intero ministero della Parola, e in esso quindi la ca­techesi, «si nutre con profitto e santamente vigoreggia con la parola della Scrittura» (DV 24). Prima ancora lo stesso docu­mento chiede che «tutta la predicazione ecclesiastica... sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (DV 21). Le due afferma­zioni vanno colte nella globalità del documento conciliare, il quale, mediante una più profonda intuizione dell'unità e dell'interdipendenza di Scrittura e Tradizione, segna l'o­rizzonte di una ricomprensione unitaria della realtà stessa della parola di Dio.

 

Questa Parola, prima di ogni sua articolazione nella sto­ria, è l'oggetto della Rivelazione divina e quindi il contenuto stesso delle varie forme con cui questa viene comunicata agli uomini. È ciò che il nostro Catechismo chiama il tesoro della Buona Novella, che, ricevuta dagli Apostoli, viene tra­smessa nell'annuncio, nella vita e nella celebrazione dai fe­deli di Cristo (CCC 3). Sta qui, nella Parola, la fonte di ogni cate­chesi, quella Parola che trova poi la sua espressione prima­ria nella Scrittura, da leggersi poi con e nella Tradizione.

 

Questa impostazione unitaria attorno alla realtà e al concetto di parola di Dio - e il corrispettivo posto priorita­rio attribuito alla Scrittura, sempre in legame con la Tradi­zione - non vuole misconoscere che poi la stessa Parola si articola in forme diverse e complementari. È quanto in mo­do specifico emerge in un altro documento conciliare, il de­creto sull'ufficio pastorale dei vescovi: l'istruzione catechi­stica «si basi sulla Sacra Scrittura, sulla Tradizione, sulla Liturgia, sul magistero, sulla vita della Chiesa» (CD 14).

 

L'asciutto enunciato conciliare viene sviluppato nel Di­rettorio Catechistico Generale. Qui viene riaffermato che il contenuto della catechesi va ricercato unicamente nella parola di Dio, ma si ricorda anche che questa si comunica mediante forme diverse. L'enumerazione va oltre il dettato conciliare e ne esplicita le modalità: accanto a Scrittura e Tradizione, che trasmettono la parola di Dio, si collocano il suo approfondimento e la sua spiegazione da parte del­l'intera comunità credente sotto la guida del magistero, il celebrarla nella Liturgia e il viverla nella vita della Chiesa, specialmente nella testimonianza dei santi; ma compaiono anche i «valori morali, che per grazia di Dio esistono nella comunità umana» (DCG 45). Vengono pure distinte fonti principali e sussidiarie: le prime sembrano doversi riconoscere nella Scrittura, nella Tradizione e nel magistero. Inoltre, al pro­blema delle fonti il documento connette direttamente il principio del cristocentrismo, quasi a ricordare che la va­rietà dei modi con cui il mistero giunge all'uomo non deve far perdere di vista la sua unità e quindi la necessità di pre­sentarlo in modo unitario, nonché in rapporto alla sua attualizzazione (ibid.).

L'ampia enumerazione del Direttorio Catechistico Gene­rale lascia intravvedere come il problema delle fonti oscil­li, per sua stessa natura, tra due poli opposti e insieme tra loro connessi. Da una parte si sente l'esigenza di cogliere, in tutta la sua varietà, la molteplicità delle manifestazioni con cui Dio ha manifestato e manifesta all'umanità il pro­prio progetto di salvezza. Dall'altra appare altrettanto co­gente l'imperativo di ricondurre tale molteplicità di forme alla sua sorgente ultima - e cioè il Verbo -, per non cadere nella frammentarietà o, peggio ancora, in una falsa con­trapposizione di diversi dettati: la Scrittura contro la Tra­dizione e viceversa, oppure ambedue contro il magistero, e così via.

Il desiderio, ma anche l'esigenza pratica, di enumerare i loci catechetici, porta anche alla conseguenza che non sempre le distinzioni si corrispondano. Già abbiamo visto che, rispetto all'elencazione del decreto conciliare, il Diret­torio aggiunge anche i valori che sussistono nella comunità umana. Si tratta di quelli che altrove lo stesso Concilio chiama i «semina Verbi» (AG 11) presenti nelle tradizioni culturali e religiose dei popoli. Ma se in questo caso siamo di fronte ad una integrazione - peraltro sempre legata alle proposizioni conciliari -, altri documenti ecclesiali allarga­no e restringono il numero delle fonti non per esclusione o aggiunta, ma per inglobamento o esplicitazione. Così, so­lo per fare qualche esempio, l'episcopato francese nel suo Direttorio parla di tre fonti della catechesi: Scrittura, Li­turgia e vita della Chiesa, con quest'ultima che ovviamente ingloba in sé anche Tradizione e magistero[5]. A sua volta l'ampio e ricco capitolo che nel Documento di base per la catechesi l'episcopato italiano dedica alle fonti, ne indica quattro: Scrittura, Tradizione, Liturgia e opere del creato, con esplicita inclusione di magistero, teologia e storia del­la Chiesa nell'ambito della Tradizione, mentre il creato è visto in proiezione storica e quindi appare includere anche l'opera dell'uomo[6].

 

2. CRITERI E PROBLEMATICHE

 

Potremmo continuare la nostra analisi e scoprire enu­merazioni diverse, ma questi veloci richiami permettono già di formulare alcune considerazioni previe relativamen­te al nostro compito.

La ricerca delle varie fonti del testo non deve contraddi­re la convinzione di fondo per cui la molteplicità delle fonti materiali va considerata secondaria rispetto all'unicità della fonte che è la parola di Dio. Compito di ogni catechesi è porre l'uomo di fronte alla Parola, perché conoscendola ne resti giudicato e accogliendola ne sia redento. Al di là dello schermo delle parole umane e al di là del confronto dell'uomo con se stesso, un catechismo deve saper condur­re all'incontro con la parola di Dio nella sua integralità, e quindi all'incontro con la persona del Cristo e con il miste­ro divino di cui è portatore.

 

Un catechismo che si propone di esporre tutta la dottri­na cattolica, seppure nei suoi contenuti essenziali e fonda­mentali, rischia di frantumarsi in una molteplicità di asserti di cui si rischia di perdere le radici, scivolando facil­mente in un amalgama più o meno ben riuscito di dottrine. La risposta a questo pericolo è una considerazione unitaria del contenuto proprio della catechesi salvaguardata trami­te il ricorso al principio della gerarchia delle verità.

È quanto fa il Catechismo della Chiesa Cattolica tramite la sua impostazione anzitutto trinitaria e in secondo luogo cristocentrica. L'unicità della Parola si traduce in organi­cità attorno al mistero trinitario e cristologico, come veri­tà generanti l'intero patrimonio della fede e della morale.

In secondo luogo, il fatto che il primo paragrafo del Ca­techismo parli di quattro fonti principali del testo, va colto all'interno di questa situazione non definita della enumera­zione delle fonti immediate. È possibile e doverosa l'espan­sione delle voci anche a forme della manifestazione della Parola non esplicitate.

Il catechismo parla inoltre di fonti «principali», e ciò la­scia spazio per introdurre altre fonti che, con il linguaggio del Direttorio Catechistico Generale, possono definirsi «sussidiarie». È quanto appunto avviene ed è immediata­mente constatabile anche solo attraverso gli indici, i quali lasciano scoprire la presenza non soltanto di passi scritturistici e patristici, di testi liturgici e magisteriali, ma anche di scritti teologici e di testimonianze tratte dalle parole e dalla vita dei santi.

Una terza considerazione pone in luce il ruolo priorita­rio che, tra queste diverse e convergenti manifestazioni della parola di Dio, ha la Sacra Scrittura. Ad essa va rico­nosciuto un primato indiscutibile, così che appare del tut­to giustificato il compito che le viene affidato di essere «anima e "libro"» della catechesi (RdC 105). Ciò le appartiene in quante essa non è semplicemente una trasmissione della Parola, un luogo in cui questa è contenuta, ma essa stessa è, in virtù dell'ispirazione divina, parola di Dio.

Fare della Scrittura il riferimento primo della cateche­si non vuoi dire isolarla dalle altre fonti: si tratta, ovvia­mente, di una Scrittura accolta nella Chiesa e mai indipen­dentemente da essa, e, in particolare, letta nella Tradizione e alla luce del magistero. Così si traduce per l'ambito della catechesi quanto la dottrina conciliare dice in genere del rapporto tra Scrittura e Chiesa nella lettura e interpretazione del testo sacro (DV 12). Sarà pertanto da verificare come il Catechismo della Chiesa Cattolica traduce questa visione di rapporti e come si pone di fronte al testo biblico.

 

Infine, merita che non sia dimenticata anche in questo ambito la distinzione tra catechesi e catechismo. Le consi­derazioni proposte dai documenti sopra ricordati concernono tutta la catechesi nella sua globalità. In quanto ha per scopo di comunicare e approfondire la conoscenza del messaggio salvifico, la catechesi deve preoccuparsi di at­tingere all'insieme dei «luoghi» in cui esso si manifesta.

Ciò non vuoi dire, però, che un catechismo abbia l'ob­bligo e perfino la possibilità di includere un esplicito ri­mando a tutte queste fonti: Scrittura, Tradizione, Liturgia, Padri, storia della Chiesa, teologia (allargandosi pure ma­gari alla testimonianza di altri fratelli nella fede non anco­ra nella piena comunione ecclesiale), segni di Dio nella na­tura e germi del Verbo nella storia, e, in senso lato, l'intera vicenda umana e la vicenda del destinatario concreto della catechesi in quanto in essa viene alla luce l'opera di Dio e a questa essa fa appello per essere interpretata dalla paro­la di Dio. Soprattutto queste ultime «fonti» sono stretta­mente legate alla particolarità del singolo atto catechistico e sfuggono quindi alla globalità di un testo, tanto più se es­so si presenta come un compendio della fede, che volutamente lascia gli «indispensabili adattamenti... a catechismi appropriati e, ancor più, a coloro che istruiscono i fedeli» (CCC 24).

Qui occorrerà vedere come il Catechismo non aspiri ad una impossibile esaustività delle fonti, ma adempia ad una delle funzioni fondamentali della catechesi, quella cioè di introdurre alle fonti e iniziare alla loro utilizzazione.

 

3. IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA SCRITTURA

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica non è certamente un catechismo biblico, non si inscrive certo all'interno di quella catechesi kerygmatica che fa della Scrittura, a livello di contenuti e di linguaggio, il riferimento totalizzante della comunicazione della fede. Eppure le oltre tremila ci­tazioni di testi biblici testimoniate dagli indici non posso­no non far riflettere. Il Catechismo è strumento coerente-mente costruito all'interno di una visione globalmente dot­trinale della catechesi, ma è esso stesso frutto di un evento conciliare che nell'ambito della dottrina ha saputo restitui­re alla Bibbia un ruolo non più ancillare ma fondante. Il Catechismo sembra aver ben assimilato quanto il Concilio Vaticano II ha detto a riguardo della struttura degli studi teologici, in specie dogmatici, circa il fondamento scritturistico e il metodo, cosiddetto, genetico (OT 16). Senza essere quindi un catechismo biblico, il Catechi­smo della Chiesa Cattolica denuncia una forte dipendenza dalla componente biblica, almeno nella maggior parte del­le sue pagine. Ciò è più evidente nella prima e nella quarta parte, ma non resta meno vero per le altre parti del libro.

 

Tale presenza biblica prende anzitutto la forma di una presentazione in prospettiva storico-salvifica del contenu­to biblico delle diverse articolazioni del messaggio propo­sto. Questo è senza dubbio ancorato prima allo scandire delle verità del Credo, poi alla successione dei sacramenti, quindi dei Comandamenti e infine del Padre Nostro. Tutta­via, all'interno di queste scansioni, come pure nelle intro­duzioni più o meno ampie che le aprono, il ritmo della ri­flessione è anzitutto dettato dalla proposta biblica. Nor­malmente una breve formulazione del tema, in termini catechistico-teologici contemporanei, basta ad aprire la porta ad una rivisitazione, sia pure essenziale, del traccia­to veterotestamentario e poi neotestamentario della verità che viene presentata. Caratteristico è anche il concedere un certo spazio alle svolte più significative della storia sal­vifica che la Scrittura attesta, pur cercando in genere non un semplice accostamento di momenti e di testi, ma la trac­cia almeno di un cammino più globale, che dia cioè gli ele­menti essenziali della progressività della Rivelazione.

Tra i possibili esempi di questo modello di accostamen­to alla fonte biblica possiamo indicare i paragrafi dedicati a «Io credo in Dio», (CCC199-227) la prima affermazione della fede cristiana, dove il mistero dell'unicità di Dio, i nomi che lo rive­lano, il suo essere verità e Amore, vengono approfonditi nel­l'intreccio della Rivelazione del mistero divino dall'Antico al Nuovo Testamento. In modo simile una traccia neotesta­mentaria, non priva di rimandi all'esperienza di Israele, aiuta ad entrare nel mistero della persona di Gesù (CCC 430-451). Una vera catechesi biblica - per portare un ulteriore esempio -introduce alla preghiera, ripercorrendo figure e momenti salienti di questa esperienza nel popolo di Israele, poi in Ge­sù e nella sua Madre, quindi nel tempo della Chiesa (CCC 2568-2649).

 

Non sempre tuttavia - occorre riconoscerlo - il fonda­mento biblico appare così coerente e soprattutto sviluppa­to in questa dimensione storico-salvifica. Si ha così un ri­corso a testi biblici isolati, ovvero a più testi biblici solo tra loro accostati. È però da dire che, anche in questi casi, non si ha di norma un uso improprio del testo, con scopi si potrebbe dire puramente «ornamentali» o, peggio anco­ra, di prova a posteriori. Anche quando il pensiero è con­dotto non in prospettiva biblica, il rispetto del testo scritturistico nella sua propria natura non manca.

C'è ovviamente da chiarire che la lettura che del testo biblico viene proposta non è una lettura esegetica. È una lettura nella fede e nella Tradizione della Chiesa. Ciò non significa affatto che essa sia esegeticamente scorretta, o anche solo non attenta alle dimensioni storiche e letterarie del testo: basta leggere al riguardo il paragrafo 289 sulla natura letteraria di Gn 1-3. In un quadro di correttezza ese­getica è però l'intento di fede, quello che il testo rincorre, e di una fede ecclesiale. L'interpretazione proposta è dun­que sempre nella prospettiva della fede della Chiesa e della sua Tradizione.

 

Si giunge anche a proporre testi che la critica testuale odierna non accoglie più nelle edizioni critiche correnti, quelle stesse che sono a fondamento della Neo-Vulgata. Si può così anche incontrare un riferimento ad At 8,37; un te­sto assai importante nella Tradizione e nella storia della teologia cristiana per il suo contenuto cristologico, ma og­gi da tutti ritenuto una glossa rispetto al testo lucano (CCC 454).

Così pure, più di una volta, il passo veterotestamentario ci­tato rimanda alla traduzione greca dei LXX e non al testo ebraico oggi accreditato[7]. È chiaro che in questi casi non è tanto il testo biblico a parlare, quanto la Tradizione che lo ha utilizzato in queste forme nel passato.

 

Tali osservazioni non devono però distrarci da quella che è l'impressione di fondo che il Catechismo della Chiesa Cattolica offre: un catechismo ben nutrito biblicamente, sia pure in modi diversi. Tra questi modi un ruolo non se­condario è assunto dal linguaggio biblico con cui spesso il Catechismo si esprime. Se prima si era manifestata una qualche riserva sul pericolo insito in citazioni bibliche iso­late dal contesto, occorre però dire che è grazie ad esse che il Catechismo riesce a far esprimere in un linguaggio forte­mente biblico molte delle verità cristiane. Si giunge al pun­to che interi paragrafi si presentano quasi come un puro susseguirsi di citazioni[8]. Se il Catechismo della Chiesa Cattolica segna la ricerca di esprimere la verità di sempre in un linguaggio più vicino all'uomo del nostro tempo, va anche detto che fa questo anche con un ritorno alle fonti, grazie al quale all'uomo di oggi viene riproposta la fre­schezza del linguaggio biblico come modalità esemplare di dire ancora oggi in pienezza la fede cristiana. È significati­vo, in questa prospettiva, constatare che non di rado una o più delle formulazioni, che chiudono le articolazioni del libro («in sintesi»), comprendono ampie citazioni bibliche o,   addirittura,   sono   semplicemente   citazioni   di   testi biblici.

Ma il rapporto di un catechismo alla Bibbia non si mi­sura soltanto nel modo con cui questa è presente in esso, bensì anche nel modo con cui esso costituisce un ingresso nel testo della Bibbia. Non è infatti da dimenticare che una delle finalità fondamentali della catechesi è di rendere il credente capace di accedere al testo sacro per la sua cre­scita personale, secondo quello che è un dettame preciso del Concilio, con speciale accentuazione per i catechisti, che sono anche tra i primi destinatari del Catechismo (DV 25).

 

Qui occorre auspicare che chi utilizzerà il testo, sia per produrre altri testi che per un'attività catechistica diretta, non manchi di valorizzare non solo la ricchezza delle cita­zioni esplicite - che pur sempre scontano la frammentarie­tà - e neppure soltanto l'ancor più ricco ma anche più va­riegato patrimonio di testi a cui si rimanda, ma sappia ri­costruire un tessuto di teologia biblica che li sorregga tut­ti, secondo quella unità della Scrittura che costituisce uno dei principi che lo stesso Catechismo ritiene necessari per una retta interpretazione del testo sacro (CCC 112).

 

4. TRADIZIONE, LITURGIA E MAGISTERO

 

L'impostazione genetica nella presentazione della veri­tà cristiana non tocca soltanto il primato e il costante ri­mando alla Scrittura, ma anche il passaggio attraverso gli altri momenti in cui la vita ecclesiale ha espresso la verità rivelata, in particolare nella riflessione e nella cele­brazione.

Indizio primario sono anche questa volta gli indici fina­li del libro. La ricchezza della Tradizione ecclesiale appare anzitutto nella presenza numerosa e diversificata dei Padri della Chiesa. Soprattutto la diversificazione va sotto­lineata.

Gli spazi maggiori sono ovviamente occupati da Agosti­no, anzitutto, e poi da Giovanni Crisostomo, nonché da Ireneo ed Ambrogio. Ma la scelta non si ferma ai grandi Padri, né privilegia eccessivamente la tradizione occidentale. Ap­paiono anche figure cosiddette minori, come potrebbero essere considerati Fulgenzio di Ruspe e Teofilo di Antiochia. Una maggiore attenzione andava invece probabilmen­te riservata alla tradizione siriaca. Una presenza significa­tiva e ampia è invece quella di Origene.

Si poteva forse fare di più; ma qui, ancor più che per la Scrittura, il Catechismo non può che aprire delle porte: sta poi alla catechesi tracciare il prosieguo del cammino. Della natura di questo cammino, tuttavia, il Catechismo della Chiesa Cattolica indica le caratteristiche fondamentali, proprio attraverso le modalità d'uso dei testi patristici.

 

Ai Padri si ricorre certamente per trovare formulazioni felici e sintetiche della fede, e se ne troverà talvolta traccia anche nelle sintesi finali dei diversi articoli e paragrafi [9]. Soprattutto, però, i Padri costituiscono uno squarcio di ap­profondimento, che permette di intravvedere traiettorie nuove di ricerca della verità appena ascoltata: i pur brevi testi stampati in caratteri piccoli e rientranti sono esem­plari florilegi di letture da iniziare, per riscoprire il cam­mino della Chiesa nella fede.

Dopo che la teologia cattolica, a partire dagli anni '50, ha operato il suo ritorno alle fonti patristiche, c'è da augurarsi che ora, magari tramite l'impulso dato da questo Catechi­smo, anche la catechesi possa sperimentare un ritorno alle fonti patristiche, non per una meccanica ripetizione di for­mule, di strutture e di simboliche - caduta in un archeologismo che è sostanziale tradimento della verità della Parola per l'oggi -, ma per una scoperta di dinamiche di fede, di mo­dalità di interazione tra fede e cultura, da riassumere e rivi­vere nei nostri giorni con la stessa attenzione all'uomo del tempo in cui si vive e con la stessa fedeltà al dato rivelato. Un discorso per certi versi simile potrebbe essere fatto per le fonti liturgiche. Anche in questo caso è da salutare nel Catechismo della Chiesa Cattolica una presenza di testi liturgici non usuale nei catechismi anche recenti, soprattut­to quanto alla evidenziazione della varietà delle tradizioni che convivono nell'unità della Chiesa Cattolica. Per molti credenti sarà una felice scoperta di ricchezze insospettate, presenti nelle tradizioni liturgiche dell'Oriente.

La Liturgia, come i Padri, è per il Catechismo fonte di formulazioni di fede e di approfondimenti. Diventa essa stessa oggetto di analisi della fede nella seconda parte del testo, quando la trattazione dei singoli sacramenti include anche uno sguardo sulla celebrazione liturgica del sacra­mento stesso.[10] Questa parte del testo potrebbe diventare il punto di avvio della stessa riflessione catechistica, in un itinerario che voglia far perno sulla concreta esperienza del credente, per recuperare solo successivamente interro­gativi per sé più aridi e un po' scolastici, come quelli relati­vi al nome del sacramento, al ministro, agli effetti...

In realtà, la dimensione propriamente mistagogica del­la catechesi appare un poco sacrificata nel Catechismo. Ma, ancora una volta, occorre tener conto che proprio la mistagogia rappresenta uno di quegli adattamenti cui il ca­techismo si nega, volendo rimanere sul piano del compen­dio della fede. Se, dunque, già il testo si presenta come un valido strumento per una catechesi che aiuti ad entrare nella dimensione celebrativa della fede cristiana, non sarà tuttavia inopportuno che la catechesi vissuta, proprio in forza delle sollecitazioni presenti nel Catechismo, sappia riscoprire anche le strade che partendo dalla vita liturgica della Chiesa aprono ad una riconsiderazione della fede che vi è celebrata.

 

Un ruolo basilare all'interno del Catechismo della Chie­sa Cattolica è, infine, sostenuto dai testi del magistero del­la Chiesa. L'intera storia della Chiesa è chiamata a farsi protagonista in questo senso. Non c'è Concilio significativo - ecumenico ma anche locale - che non trovi il suo spazio e, prima ancora, non mancano i rimandi alle diverse forme di simboli della fede. Lo stesso valga per i documenti di molti Pontefici romani e degli stessi dicasteri della Santa Sede.[11] La parte più rilevante è ovviamente riservata al Concilio Vaticano II e al magistero degli ultimi Papi.

L'utilizzazione delle formule magisteriali, soprattutto di quelle del Concilio Vaticano II, ha lo scopo anzitutto di introdurre spesso la riflessione catechistica. In secondo luogo, quelle stesse formule servono a puntualizzare le ac­quisizioni irrinunciabili di un cammino di approfondimen­to nella verità. Ancora più significativo appare il loro ruolo quando - e ciò accade non poche volte - vengono assunte per esprimere, nelle «sintesi», l'espressione breve della fe­de proclamata. Qui si distinguono in modo particolare, ac­canto ai testi del Concilio Vaticano II, alcuni documenti di Paolo VI - con particolare valorizzazione del suo «Credo del popolo di Dio» - ma soprattutto la ricchezza dei numerosi pronunciamenti del Santo Padre Giovanni Paolo II: enci­cliche, esortazioni, lettere, discorsi ecc.[12]

 

Tra gli altri documenti ecclesiali, in questa funzione di espressione sintetica della fede, un posto di riguardo è ri­coperto dal diretto predecessore del Catechismo della Chiesa Cattolica, e cioè il Catechismo Romano,[13] che svol­ge però anche un'importante opera nell'approfondimento degli enunciati. Anche in questo caso sarà una felice sco­perta per molti poter apprezzare la freschezza di certe for­mulazioni della catechesi post-tridentina, che il successivo adeguamento della catechesi alle esigenze dell'imperante razionalismo aveva fatto dimenticare. La stessa funzione appare esemplarmente assolta in diversi casi dal Codice di diritto canonico, che svela qui le sue potenzialità di espres­sione sintetica del pensiero conciliare.[14]

Per l'insieme di questi documenti magisteriali vale an­cora il richiamo che altro è il catechismo e altra è la cate­chesi. Il primo non può esaurire le fonti; esso però può es­sere autorevole indicatore di un cammino da compiere in esse. Anche in questo caso i numerosi rimandi in nota a te­sti non citati per esteso valgono come altrettante indicazio­ni di percorsi da fare.

 

5. LA FEDE RIFLESSA E VISSUTA NELLA STORIA DELLA CHIESA

 

Su questo terzo momento del nostro viaggio nelle fonti della catechesi, così come emergono dal Catechismo della Chiesa Cattolica, le considerazioni appaiono forse meno soddisfacenti. La storia della Chiesa nella sua globalità può, infatti, dirsi in qualche modo assente, almeno visibil­mente, dal Catechismo.

Essa sta certo alle spalle dell'intera trattazione, sup­portando l'intervento di tutte le altre fonti, dalla Scrittura fino ai più recenti scrittori ecclesiastici. La storia, in effet­ti, costituisce lo scenario che giustifica e orienta l'interpre-tazione delle varie fonti.

In questo senso si può ridimensionare l’«accusa» di as­senza sopra formulata. Sarà però necessario che catechismi e catechisti sappiano far emergere il cammino storico della comunità cristiana al momento opportuno. In questo senso qualche semplice aggancio poteva essere di aiuto. Ma qui il Catechismo della Chiesa Cattolica condivide una difficoltà nei confronti della storia della Chiesa tipica di tutta la catechesi contemporanea e non disgiunta dalle esi­tazioni della stessa storia della Chiesa a definire la propria natura in rapporto alla teologia e alla fede.

Se la storia della Chiesa nella sua globalità pone questo problema, ben rappresentati appaiono invece due filoni es­senziali di essa: quello testimoniale e quello riflessivo. È da salutare con grande gioia il salire alla ribalta di numerose figure di santi, di tutti i secoli e di molti luoghi, per portare la loro testimonianza di vita a riguardo della fede professa­ta. È bello constatare che quanto emerge dalla loro espe­rienza di vita cristiana può diventare perfino «sintesi» del­la fede.[15]

 

Ci sarà chi contesterà l'assenza di questo o quel santo, di questo o quel filone di spiritualità, ma ciò andava messo in conto in ogni caso. Occorre, tuttavia, riconoscere che l'a­ver dovuto aprire una strada per certi versi nuova non ri­sparmia l'impressione, almeno a volte, di una certa casua­lità di intervento e di una certa prevalenza di questa o quell'area geografica. Ma forse ciò è connesso alla natura stes­sa dell'oggetto: l'esperienza spirituale non è per sé facil­mente classificabile!

Anche lo spazio riservato alla riflessione teologica rap­presenta un pregio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Una volta che si consideri come la riflessione teologica non si sovrappone dall'esterno alla fede della Chiesa, ma ne costi­tuisce un momento essenziale di quel cammino di ingresso sempre più profondo nella verità, cui spetta poi ai pastori in­dicare congruità e conseguenze vitali per l'intero popolo di Dio, apparirà allora significativo che il Catechismo lasci con­gruo spazio alla voce della riflessione sul dato di fede che la teologia offre all'intera comunità, senza per questo ridurre la catechesi a semplice ripetizione di dati teologici.

 

Qui il pericolo è duplice. Da una parte considerare la catechesi come una riproposizione in chiave minore della teologia, e offrire pertanto nella catechesi null'altro che una presentazione più abbordabile di quella. D'altra parte è consistente anche il pericolo di far entrare una o più teo­logie nel complesso dell'enunciato catechistico in modo in­distinto rispetto ai dati di fede, confondendo quindi il con­tenuto della fede così come è professato dalla Chiesa con questa o quella forma teologica in cui esso viene approfon­dito e analizzato.

L'equilibrio sembra ben mantenuto dal Catechismo, che non rifugge certo dal ricorrere ai teologi per chiarire il dato di fede e neppure per prenderne in prestito espressioni che possano aiutarne la formulazione, ma non sembra scadere in un piccolo manuale di teologia e di una teologia in parti­colare. Certamente la prospettiva di fondo resta quella riflessivo-conoscitiva, ma questo è specifico della catechesi rispetto alle altre dimensioni della vita cristiana cui pure è collegata, come quella celebrativa e quella testimoniale; se la catechesi è per la vita cristiana, è sempre vero che essa contribuisce a costruire tale vita a partire da una consape­volezza di fede che conduce all'assenso della mente, per poi tradursi in gesto di celebrazione e in scelta testimoniale.

 

Quanto poi alla scelta di una teologia, sono nuovamente gli indici del volume a rivelare con chiarezza il grande de­bito del Catechismo all'opera di san Tommaso d'Aquino; ma il debito grande non è, ancora una volta, del Catechi­smo, bensì dell'intera storia della fede cristiana. E tuttavia occorre pure dire che gli spazi accanto al grande teologo medioevale non sono affatto chiusi. Non lo sono verso il passato, e la grande presenza della teologia patristica è sta­ta già sottolineata. Ma non lo sono neppure verso altri tem­pi e nomi, contemporanei e successivi, seppure con minore insistenza: da Anselmo d'Aosta e Ugo di San Vittore fino - e piace sottolinearlo - a John Henry Newmann.[16] È que­st'ultima una presenza non sporadica e che, per il perso­naggio e il contenuto del pensiero, apre le porte verso i mondi più recenti della riflessione teologica cattolica. Non ci si rimproveri se, anche questa volta, richiamiamo i Cate­chismi locali e la catechesi viva a saper percorrere fino in fondo strade volutamente appena abbozzate.

 

6. IL CREATO E LA STORIA

 

Appena un accenno, per concludere, all'ultimo ambito delle fonti catechistiche. La natura stessa del Catechismo della Chiesa Cattolica, come si è più volte ricordato, com­porta una certa sobrietà per quanto concerne questi ultimi due ambiti della possibile manifestazione della Parola: i se­gni di Dio nella creazione e i germi del Verbo, le primizie dello Spirito nella storia umana.

È chiaro che, riguardo a quest'ultima, il suo legame a precisi avvenimenti e situazioni socio-culturali ne rende l'utilizzazione catechistica possibile solo nel quadro di un più diretto riferimento a tempi, luoghi e destinatari preci­si, che da quegli eventi sono coinvolti. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lascia soltanto intuire queste possibilità, soprattutto im alcuni passaggi in cui il confronto culturale con la storia presente emerge come corrispettivo non sem­pre esplicitato dell'annuncio.[17]

Non diversamente si pone il problema per ciò che concer­ne i segni naturali. Il cosmo non sta di fronte all'uomo in mo­do univoco; esso è percepito dai singoli gruppi umani in fun­zione di prospettive culturali diversificate: altro è il mondo per l'uomo tecnicizzato dall'Occidente, altro è lo stesso mon­do per l'uomo dell'Oriente o dell'Africa che in esso continua a percepire senza apprezzabili mediazioni il senso del divino. Anche in questo caso, quindi, non potremo attendere che de­gli spunti di riflessione, che solo i vari Catechismi locali e la viva catechesi potranno completare.[18]

Resta in tal modo ancora confermato che ogni catechi­smo, anche questo Catechismo della Chiesa Cattolica non è che uno strumento, per quanto qualificato e autorevole. L'incontro dell'uomo con la Parola che salva si realizza non in un libro, ma sulle strade della vita, come quella strada che da Gerusalemme porta a Gaza, dove un uomo ricco e po­vero al tempo stesso, si va interrogando sul senso di una Scrittura che solo l'incontro con l'evento della persona di Gesù, mediato da un testimone, sarà capace di illuminare, e la sua esistenza cambierà in ricchezza e povertà nuove.[19]

 

Viene però anche ribadita l'esigenza che la fede, attra­verso l'incontro con le sue fonti - a cominciare da quella primaria della Scrittura - possa giungere ad appropriarsi di una capacità di riflessione sul dato rivelato e di comuni­cazione di esso. Il linguaggio delle fonti è sì, infatti, parola del passato, ma anche parola propria della fede di una co­munità credente, che attraverso la formazione di un lin­guaggio con cui esprimere il mistero incarna la fede nella cultura.

Il ricorso alle fonti, che ogni catechismo media, lungi dal suonare «archeologico» e dall'allontanare dai problemi dell'oggi, rappresenta invece la consapevolezza che solo il recupero delle «parole della comunità» offre all'oggi la possibilità di parlare dell'eterno. Ogni buona catechesi non potrà fare a meno di portare il credente all'acquisizione di questo essenziale linguaggio della fede, che le fonti offro­no, sempre nella coscienza che poi resta un ulteriore cam­mino da fare: quello che collega le parole della Tradizione con quelle del vissuto dei destinatari della catechesi. Ma qui il compito di questo Catechismo finisce, e comincia quello delle necessarie mediazioni dei Catechismi locali e dei singoli catechisti.

 

 



[1] Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, Relazione finale: Exeunte coetu secundo, II, B, a, 4.

[2] Cfr. Giovanni Paolo II, Fidei depositarti, 1.

[3] Fidei depositum, 1. Si vedano al riguardo anche le ripetute affermazioni di Giovanni Paolo II nei vari discorsi che hanno accompagnato l'approvazione e poi la pubblicazione del testo. Così si esprime nel discorso per l'approvazione del testo il 26-6-1992: «II contenuto... rispecchia fedelmente l'insegnamento del Concilio Vatica­no II, e si rivolge all'uomo di oggi presentandogli il messaggio cristiano nella sua in­tegrità e completezza» (n. 2); e, ancora, nel discorso per la promulgazione del 7-12-1992 si legge: «II Catechismo espone questa verità (rivelata), alla luce del Conci­lio Vaticano, così com'essa è creduta, celebrata, vissuta e pregata dalla Chiesa».

[4] Si veda la consapevolezza di ciò già in Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Ca­techesi tradendae, 27.

[5] Cfr. Conférence Episcopale Française, Directoire de pastorale catéchétique a l'usage des diocèses de France, 25.

[6] Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Il rinnovamento della catechesi, 102-122.

[7] Cfr. CCC 59 per Gn 12,3; 57 e 441 per Dt 32,8; 462 per Sai 40,7-9.

[8] Cfr. ad es. CCC  692-693 e 2465-2466.

[9] Cfr. ad es. CCC, 228, 1015 e 1871.

[10] Cfr. ad es. CCC 1229-1245 sulla celebrazione del Battesimo.

[11] Potrà far meraviglia qualche assenza, come quella di Pio X; non tanto per il catechismo che da lui prende il nome, la cui natura e la cui funzione sono estra­nee al presente testo, quanto per i diversi documenti relativi alla crisi moderni­sta; ma forse questo è un segno del mutamento dei tempi e soprattutto di come quelle problematiche abbiano trovato proprio nel Concilio Vaticano II una più matura - in virtù del distacco storico - soluzione, altrettanto fedele alla Tradizio­ne della Chiesa.

[12] Solo per fare qualche esempio si vedano i nn. 311, 1194, 1418, 1710, 1986, 2392 del CCC.

[13] Cfr. ad es. CCC 987.

[14] Si veda ad es. il n. 934 del CCC.

[15] Cfr. CCC 2165.

[16] Si tratta di ben quattro testi e non secondari (si veda in specie il n. 1778), seppure si potrebbe lamentare l'assenza di un rimando alla più importante fra le opere del pastore e teologo, la Grammatica dell'assenso.

[17] Si vedano ad es. i nn. 27-29. 1146, 1603, 1740 del CCC.

[18] Cfr. ad es. CCC, 285 e 1149.

[19] Cfr. At 8,26-40.