le fonti del Catechismo della Chiesa Cattolica
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Nella prefazione al Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) si legge: «Questo catechismo ha lo scopo di presentare una esposizione organica e sintetica dei contenuti essenziali e fondamentali della dottrina cattolica sia sulla fede che sulla morale, alla luce del Concilio Vaticano II e dell'insieme della Tradizione della Chiesa. Le sue fonti principali sono
Di questa «autopresentazione» fa parte, anzitutto, la dichiarazione che il Catechismo della Chiesa Cattolica costituisce una «esposizione organica e sintetica dei contenuti essenziali e fondamentali della dottrina cattolica». La definizione esprime il carattere specifico del testo, come strumento di conoscenza della fede in vista della sua comunicazione. Essa rappresenta anche un'indicazione non secondaria per individuare la collocazione propria di questo libro nell'ambito, peraltro assai variegato, del genere letterario «catechismo». Lo stesso testo, più tardi, precisa che «l'accento di questo catechismo è posto sull'esposizione dottrinale» (CCC, 23) e che, pertanto, «questo catechismo non si propone di attuare gli adattamenti dell'esposizione e dei metodi catechistici che sono richiesti dalle differenze di cultura, di età, di vita spirituale e di situazione sociale ed ecclesiale di coloro cui la catechesi è rivolta» (CCC 24).
Se queste considerazioni appaiono importanti per cogliere la natura propria del Catechismo della Chiesa Cattolica, non meno importante è la seconda affermazione contenuta in quel paragrafo 11, che abbiamo indicato come «autopresentazione» del testo; quell'affermazione, cioè, che ne indica le fonti principali: Scrittura, Padri, Liturgia e magistero. La determinazione delle fonti del libro, l'estensione e le modalità del loro uso, gli orizzonti di utilizzazione del testo da esse aperti rappresentano, infatti, un elemento non secondario dell'identità stessa del catechismo.
1. FONTI PER
Il problema delle fonti della catechesi ha ricevuto debita attenzione nei documenti recenti del magistero della Chiesa. Merita richiamare qui alcune di queste indicazioni per inquadrare le modalità con cui il Catechismo della Chiesa Cattolica si pone nei loro confronti.
Il nostro catechismo attribuisce al Concilio Vaticano II, pur nel contesto della totalità della Tradizione della Chiesa, un ruolo di riferimento primario per l'esposizione della fede. Questo appare ulteriormente avvalorato da quanto si può leggere nella Costituzione Apostolica che lo introduce: è fortemente ribadito il legame tra questo testo e l'evento conciliare, soprattutto nella prospettiva che esso si poneva «di meglio custodire e presentare il prezioso deposito della dottrina cristiana per renderlo più accessibile ai fedeli di Cristo e a tutti gli uomini di buona volontà»[3]. Ciò spinge a cercare anzitutto nello stesso Concilio indicazioni anche a riguardo del problema delle fonti nella catechesi.
La prima di queste indicazioni, va individuata nella Costituzione Dogmatica Dei verbum[4]. Qui il Concilio dichiara che l'intero ministero della Parola, e in esso quindi la catechesi, «si nutre con profitto e santamente vigoreggia con la parola della Scrittura» (DV 24). Prima ancora lo stesso documento chiede che «tutta la predicazione ecclesiastica... sia nutrita e regolata dalla Sacra Scrittura» (DV 21). Le due affermazioni vanno colte nella globalità del documento conciliare, il quale, mediante una più profonda intuizione dell'unità e dell'interdipendenza di Scrittura e Tradizione, segna l'orizzonte di una ricomprensione unitaria della realtà stessa della parola di Dio.
Questa Parola, prima di ogni sua articolazione nella storia, è l'oggetto della Rivelazione divina e quindi il contenuto stesso delle varie forme con cui questa viene comunicata agli uomini. È ciò che il nostro Catechismo chiama il tesoro della Buona Novella, che, ricevuta dagli Apostoli, viene trasmessa nell'annuncio, nella vita e nella celebrazione dai fedeli di Cristo (CCC 3). Sta qui, nella Parola, la fonte di ogni catechesi, quella Parola che trova poi la sua espressione primaria nella Scrittura, da leggersi poi con e nella Tradizione.
Questa impostazione unitaria attorno alla realtà e al concetto di parola di Dio - e il corrispettivo posto prioritario attribuito alla Scrittura, sempre in legame con
L'asciutto enunciato conciliare viene sviluppato nel Direttorio Catechistico Generale. Qui viene riaffermato che il contenuto della catechesi va ricercato unicamente nella parola di Dio, ma si ricorda anche che questa si comunica mediante forme diverse. L'enumerazione va oltre il dettato conciliare e ne esplicita le modalità: accanto a Scrittura e Tradizione, che trasmettono la parola di Dio, si collocano il suo approfondimento e la sua spiegazione da parte dell'intera comunità credente sotto la guida del magistero, il celebrarla nella Liturgia e il viverla nella vita della Chiesa, specialmente nella testimonianza dei santi; ma compaiono anche i «valori morali, che per grazia di Dio esistono nella comunità umana» (DCG 45). Vengono pure distinte fonti principali e sussidiarie: le prime sembrano doversi riconoscere nella Scrittura, nella Tradizione e nel magistero. Inoltre, al problema delle fonti il documento connette direttamente il principio del cristocentrismo, quasi a ricordare che la varietà dei modi con cui il mistero giunge all'uomo non deve far perdere di vista la sua unità e quindi la necessità di presentarlo in modo unitario, nonché in rapporto alla sua attualizzazione (ibid.).
L'ampia enumerazione del Direttorio Catechistico Generale lascia intravvedere come il problema delle fonti oscilli, per sua stessa natura, tra due poli opposti e insieme tra loro connessi. Da una parte si sente l'esigenza di cogliere, in tutta la sua varietà, la molteplicità delle manifestazioni con cui Dio ha manifestato e manifesta all'umanità il proprio progetto di salvezza. Dall'altra appare altrettanto cogente l'imperativo di ricondurre tale molteplicità di forme alla sua sorgente ultima - e cioè il Verbo -, per non cadere nella frammentarietà o, peggio ancora, in una falsa contrapposizione di diversi dettati:
Il desiderio, ma anche l'esigenza pratica, di enumerare i loci catechetici, porta anche alla conseguenza che non sempre le distinzioni si corrispondano. Già abbiamo visto che, rispetto all'elencazione del decreto conciliare, il Direttorio aggiunge anche i valori che sussistono nella comunità umana. Si tratta di quelli che altrove lo stesso Concilio chiama i «semina Verbi» (AG 11) presenti nelle tradizioni culturali e religiose dei popoli. Ma se in questo caso siamo di fronte ad una integrazione - peraltro sempre legata alle proposizioni conciliari -, altri documenti ecclesiali allargano e restringono il numero delle fonti non per esclusione o aggiunta, ma per inglobamento o esplicitazione. Così, solo per fare qualche esempio, l'episcopato francese nel suo Direttorio parla di tre fonti della catechesi: Scrittura, Liturgia e vita della Chiesa, con quest'ultima che ovviamente ingloba in sé anche Tradizione e magistero[5]. A sua volta l'ampio e ricco capitolo che nel Documento di base per la catechesi l'episcopato italiano dedica alle fonti, ne indica quattro: Scrittura, Tradizione, Liturgia e opere del creato, con esplicita inclusione di magistero, teologia e storia del
2. CRITERI E PROBLEMATICHE
Potremmo continuare la nostra analisi e scoprire enumerazioni diverse, ma questi veloci richiami permettono già di formulare alcune considerazioni previe relativamente al nostro compito.
La ricerca delle varie fonti del testo non deve contraddire la convinzione di fondo per cui la molteplicità delle fonti materiali va considerata secondaria rispetto all'unicità della fonte che è la parola di Dio. Compito di ogni catechesi è porre l'uomo di fronte alla Parola, perché conoscendola ne resti giudicato e accogliendola ne sia redento. Al di là dello schermo delle parole umane e al di là del confronto dell'uomo con se stesso, un catechismo deve saper condurre all'incontro con la parola di Dio nella sua integralità, e quindi all'incontro con la persona del Cristo e con il mistero divino di cui è portatore.
Un catechismo che si propone di esporre tutta la dottrina cattolica, seppure nei suoi contenuti essenziali e fondamentali, rischia di frantumarsi in una molteplicità di asserti di cui si rischia di perdere le radici, scivolando facilmente in un amalgama più o meno ben riuscito di dottrine. La risposta a questo pericolo è una considerazione unitaria del contenuto proprio della catechesi salvaguardata tramite il ricorso al principio della gerarchia delle verità.
È quanto fa il Catechismo della Chiesa Cattolica tramite la sua impostazione anzitutto trinitaria e in secondo luogo cristocentrica. L'unicità della Parola si traduce in organicità attorno al mistero trinitario e cristologico, come verità generanti l'intero patrimonio della fede e della morale.
In secondo luogo, il fatto che il primo paragrafo del Catechismo parli di quattro fonti principali del testo, va colto all'interno di questa situazione non definita della enumerazione delle fonti immediate. È possibile e doverosa l'espansione delle voci anche a forme della manifestazione della Parola non esplicitate.
Il catechismo parla inoltre di fonti «principali», e ciò lascia spazio per introdurre altre fonti che, con il linguaggio del Direttorio Catechistico Generale, possono definirsi «sussidiarie». È quanto appunto avviene ed è immediatamente constatabile anche solo attraverso gli indici, i quali lasciano scoprire la presenza non soltanto di passi scritturistici e patristici, di testi liturgici e magisteriali, ma anche di scritti teologici e di testimonianze tratte dalle parole e dalla vita dei santi.
Una terza considerazione pone in luce il ruolo prioritario che, tra queste diverse e convergenti manifestazioni della parola di Dio, ha
Fare della Scrittura il riferimento primo della catechesi non vuoi dire isolarla dalle altre fonti: si tratta, ovviamente, di una Scrittura accolta nella Chiesa e mai indipendentemente da essa, e, in particolare, letta nella Tradizione e alla luce del magistero. Così si traduce per l'ambito della catechesi quanto la dottrina conciliare dice in genere del rapporto tra Scrittura e Chiesa nella lettura e interpretazione del testo sacro (DV 12). Sarà pertanto da verificare come il Catechismo della Chiesa Cattolica traduce questa visione di rapporti e come si pone di fronte al testo biblico.
Infine, merita che non sia dimenticata anche in questo ambito la distinzione tra catechesi e catechismo. Le considerazioni proposte dai documenti sopra ricordati concernono tutta la catechesi nella sua globalità. In quanto ha per scopo di comunicare e approfondire la conoscenza del messaggio salvifico, la catechesi deve preoccuparsi di attingere all'insieme dei «luoghi» in cui esso si manifesta.
Ciò non vuoi dire, però, che un catechismo abbia l'obbligo e perfino la possibilità di includere un esplicito rimando a tutte queste fonti: Scrittura, Tradizione, Liturgia, Padri, storia della Chiesa, teologia (allargandosi pure magari alla testimonianza di altri fratelli nella fede non ancora nella piena comunione ecclesiale), segni di Dio nella natura e germi del Verbo nella storia, e, in senso lato, l'intera vicenda umana e la vicenda del destinatario concreto della catechesi in quanto in essa viene alla luce l'opera di Dio e a questa essa fa appello per essere interpretata dalla parola di Dio. Soprattutto queste ultime «fonti» sono strettamente legate alla particolarità del singolo atto catechistico e sfuggono quindi alla globalità di un testo, tanto più se esso si presenta come un compendio della fede, che volutamente lascia gli «indispensabili adattamenti... a catechismi appropriati e, ancor più, a coloro che istruiscono i fedeli» (CCC 24).
Qui occorrerà vedere come il Catechismo non aspiri ad una impossibile esaustività delle fonti, ma adempia ad una delle funzioni fondamentali della catechesi, quella cioè di introdurre alle fonti e iniziare alla loro utilizzazione.
3. IL RUOLO FONDAMENTALE DELLA SCRITTURA
Il Catechismo della Chiesa Cattolica non è certamente un catechismo biblico, non si inscrive certo all'interno di quella catechesi kerygmatica che fa della Scrittura, a livello di contenuti e di linguaggio, il riferimento totalizzante della comunicazione della fede. Eppure le oltre tremila citazioni di testi biblici testimoniate dagli indici non possono non far riflettere. Il Catechismo è strumento coerente-mente costruito all'interno di una visione globalmente dottrinale della catechesi, ma è esso stesso frutto di un evento conciliare che nell'ambito della dottrina ha saputo restituire alla Bibbia un ruolo non più ancillare ma fondante. Il Catechismo sembra aver ben assimilato quanto il Concilio Vaticano II ha detto a riguardo della struttura degli studi teologici, in specie dogmatici, circa il fondamento scritturistico e il metodo, cosiddetto, genetico (OT 16). Senza essere quindi un catechismo biblico, il Catechismo della Chiesa Cattolica denuncia una forte dipendenza dalla componente biblica, almeno nella maggior parte delle sue pagine. Ciò è più evidente nella prima e nella quarta parte, ma non resta meno vero per le altre parti del libro.
Tale presenza biblica prende anzitutto la forma di una presentazione in prospettiva storico-salvifica del contenuto biblico delle diverse articolazioni del messaggio proposto. Questo è senza dubbio ancorato prima allo scandire delle verità del Credo, poi alla successione dei sacramenti, quindi dei Comandamenti e infine del Padre Nostro. Tuttavia, all'interno di queste scansioni, come pure nelle introduzioni più o meno ampie che le aprono, il ritmo della riflessione è anzitutto dettato dalla proposta biblica. Normalmente una breve formulazione del tema, in termini catechistico-teologici contemporanei, basta ad aprire la porta ad una rivisitazione, sia pure essenziale, del tracciato veterotestamentario e poi neotestamentario della verità che viene presentata. Caratteristico è anche il concedere un certo spazio alle svolte più significative della storia salvifica che
Tra i possibili esempi di questo modello di accostamento alla fonte biblica possiamo indicare i paragrafi dedicati a «Io credo in Dio», (CCC199-227) la prima affermazione della fede cristiana, dove il mistero dell'unicità di Dio, i nomi che lo rivelano, il suo essere verità e Amore, vengono approfonditi nell'intreccio della Rivelazione del mistero divino dall'Antico al Nuovo Testamento. In modo simile una traccia neotestamentaria, non priva di rimandi all'esperienza di Israele, aiuta ad entrare nel mistero della persona di Gesù (CCC 430-451). Una vera catechesi biblica - per portare un ulteriore esempio -introduce alla preghiera, ripercorrendo figure e momenti salienti di questa esperienza nel popolo di Israele, poi in Gesù e nella sua Madre, quindi nel tempo della Chiesa (CCC 2568-2649).
Non sempre tuttavia - occorre riconoscerlo - il fondamento biblico appare così coerente e soprattutto sviluppato in questa dimensione storico-salvifica. Si ha così un ricorso a testi biblici isolati, ovvero a più testi biblici solo tra loro accostati. È però da dire che, anche in questi casi, non si ha di norma un uso improprio del testo, con scopi si potrebbe dire puramente «ornamentali» o, peggio ancora, di prova a posteriori. Anche quando il pensiero è condotto non in prospettiva biblica, il rispetto del testo scritturistico nella sua propria natura non manca.
C'è ovviamente da chiarire che la lettura che del testo biblico viene proposta non è una lettura esegetica. È una lettura nella fede e nella Tradizione della Chiesa. Ciò non significa affatto che essa sia esegeticamente scorretta, o anche solo non attenta alle dimensioni storiche e letterarie del testo: basta leggere al riguardo il paragrafo 289 sulla natura letteraria di Gn 1-
Si giunge anche a proporre testi che la critica testuale odierna non accoglie più nelle edizioni critiche correnti, quelle stesse che sono a fondamento della Neo-Vulgata. Si può così anche incontrare un riferimento ad At 8,37; un testo assai importante nella Tradizione e nella storia della teologia cristiana per il suo contenuto cristologico, ma oggi da tutti ritenuto una glossa rispetto al testo lucano (CCC 454).
Così pure, più di una volta, il passo veterotestamentario citato rimanda alla traduzione greca dei LXX e non al testo ebraico oggi accreditato[7]. È chiaro che in questi casi non è tanto il testo biblico a parlare, quanto
Tali osservazioni non devono però distrarci da quella che è l'impressione di fondo che il Catechismo della Chiesa Cattolica offre: un catechismo ben nutrito biblicamente, sia pure in modi diversi. Tra questi modi un ruolo non secondario è assunto dal linguaggio biblico con cui spesso il Catechismo si esprime. Se prima si era manifestata una qualche riserva sul pericolo insito in citazioni bibliche isolate dal contesto, occorre però dire che è grazie ad esse che il Catechismo riesce a far esprimere in un linguaggio fortemente biblico molte delle verità cristiane. Si giunge al punto che interi paragrafi si presentano quasi come un puro susseguirsi di citazioni[8]. Se il Catechismo della Chiesa Cattolica segna la ricerca di esprimere la verità di sempre in un linguaggio più vicino all'uomo del nostro tempo, va anche detto che fa questo anche con un ritorno alle fonti, grazie al quale all'uomo di oggi viene riproposta la freschezza del linguaggio biblico come modalità esemplare di dire ancora oggi in pienezza la fede cristiana. È significativo, in questa prospettiva, constatare che non di rado una o più delle formulazioni, che chiudono le articolazioni del libro («in sintesi»), comprendono ampie citazioni bibliche o, addirittura, sono semplicemente citazioni di testi biblici.
Ma il rapporto di un catechismo alla Bibbia non si misura soltanto nel modo con cui questa è presente in esso, bensì anche nel modo con cui esso costituisce un ingresso nel testo della Bibbia. Non è infatti da dimenticare che una delle finalità fondamentali della catechesi è di rendere il credente capace di accedere al testo sacro per la sua crescita personale, secondo quello che è un dettame preciso del Concilio, con speciale accentuazione per i catechisti, che sono anche tra i primi destinatari del Catechismo (DV 25).
Qui occorre auspicare che chi utilizzerà il testo, sia per produrre altri testi che per un'attività catechistica diretta, non manchi di valorizzare non solo la ricchezza delle citazioni esplicite - che pur sempre scontano la frammentarietà - e neppure soltanto l'ancor più ricco ma anche più variegato patrimonio di testi a cui si rimanda, ma sappia ricostruire un tessuto di teologia biblica che li sorregga tutti, secondo quella unità della Scrittura che costituisce uno dei principi che lo stesso Catechismo ritiene necessari per una retta interpretazione del testo sacro (CCC 112).
4. TRADIZIONE, LITURGIA E MAGISTERO
L'impostazione genetica nella presentazione della verità cristiana non tocca soltanto il primato e il costante rimando alla Scrittura, ma anche il passaggio attraverso gli altri momenti in cui la vita ecclesiale ha espresso la verità rivelata, in particolare nella riflessione e nella celebrazione.
Indizio primario sono anche questa volta gli indici finali del libro. La ricchezza della Tradizione ecclesiale appare anzitutto nella presenza numerosa e diversificata dei Padri della Chiesa. Soprattutto la diversificazione va sottolineata.
Gli spazi maggiori sono ovviamente occupati da Agostino, anzitutto, e poi da Giovanni Crisostomo, nonché da Ireneo ed Ambrogio. Ma la scelta non si ferma ai grandi Padri, né privilegia eccessivamente la tradizione occidentale. Appaiono anche figure cosiddette minori, come potrebbero essere considerati Fulgenzio di Ruspe e Teofilo di Antiochia. Una maggiore attenzione andava invece probabilmente riservata alla tradizione siriaca. Una presenza significativa e ampia è invece quella di Origene.
Si poteva forse fare di più; ma qui, ancor più che per
Ai Padri si ricorre certamente per trovare formulazioni felici e sintetiche della fede, e se ne troverà talvolta traccia anche nelle sintesi finali dei diversi articoli e paragrafi [9]. Soprattutto, però, i Padri costituiscono uno squarcio di approfondimento, che permette di intravvedere traiettorie nuove di ricerca della verità appena ascoltata: i pur brevi testi stampati in caratteri piccoli e rientranti sono esemplari florilegi di letture da iniziare, per riscoprire il cammino della Chiesa nella fede.
Dopo che la teologia cattolica, a partire dagli anni '
In realtà, la dimensione propriamente mistagogica della catechesi appare un poco sacrificata nel Catechismo. Ma, ancora una volta, occorre tener conto che proprio la mistagogia rappresenta uno di quegli adattamenti cui il catechismo si nega, volendo rimanere sul piano del compendio della fede. Se, dunque, già il testo si presenta come un valido strumento per una catechesi che aiuti ad entrare nella dimensione celebrativa della fede cristiana, non sarà tuttavia inopportuno che la catechesi vissuta, proprio in forza delle sollecitazioni presenti nel Catechismo, sappia riscoprire anche le strade che partendo dalla vita liturgica della Chiesa aprono ad una riconsiderazione della fede che vi è celebrata.
Un ruolo basilare all'interno del Catechismo della Chiesa Cattolica è, infine, sostenuto dai testi del magistero del
L'utilizzazione delle formule magisteriali, soprattutto di quelle del Concilio Vaticano II, ha lo scopo anzitutto di introdurre spesso la riflessione catechistica. In secondo luogo, quelle stesse formule servono a puntualizzare le acquisizioni irrinunciabili di un cammino di approfondimento nella verità. Ancora più significativo appare il loro ruolo quando - e ciò accade non poche volte - vengono assunte per esprimere, nelle «sintesi», l'espressione breve della fede proclamata. Qui si distinguono in modo particolare, accanto ai testi del Concilio Vaticano II, alcuni documenti di Paolo VI - con particolare valorizzazione del suo «Credo del popolo di Dio» - ma soprattutto la ricchezza dei numerosi pronunciamenti del Santo Padre Giovanni Paolo II: encicliche, esortazioni, lettere, discorsi ecc.[12]
Tra gli altri documenti ecclesiali, in questa funzione di espressione sintetica della fede, un posto di riguardo è ricoperto dal diretto predecessore del Catechismo della Chiesa Cattolica, e cioè il Catechismo Romano,[13] che svolge però anche un'importante opera nell'approfondimento degli enunciati. Anche in questo caso sarà una felice scoperta per molti poter apprezzare la freschezza di certe formulazioni della catechesi post-tridentina, che il successivo adeguamento della catechesi alle esigenze dell'imperante razionalismo aveva fatto dimenticare. La stessa funzione appare esemplarmente assolta in diversi casi dal Codice di diritto canonico, che svela qui le sue potenzialità di espressione sintetica del pensiero conciliare.[14]
Per l'insieme di questi documenti magisteriali vale ancora il richiamo che altro è il catechismo e altra è la catechesi. Il primo non può esaurire le fonti; esso però può essere autorevole indicatore di un cammino da compiere in esse. Anche in questo caso i numerosi rimandi in nota a testi non citati per esteso valgono come altrettante indicazioni di percorsi da fare.
5.
Su questo terzo momento del nostro viaggio nelle fonti della catechesi, così come emergono dal Catechismo della Chiesa Cattolica, le considerazioni appaiono forse meno soddisfacenti. La storia della Chiesa nella sua globalità può, infatti, dirsi in qualche modo assente, almeno visibilmente, dal Catechismo.
Essa sta certo alle spalle dell'intera trattazione, supportando l'intervento di tutte le altre fonti, dalla Scrittura fino ai più recenti scrittori ecclesiastici. La storia, in effetti, costituisce lo scenario che giustifica e orienta l'interpre-tazione delle varie fonti.
In questo senso si può ridimensionare l’«accusa» di assenza sopra formulata. Sarà però necessario che catechismi e catechisti sappiano far emergere il cammino storico della comunità cristiana al momento opportuno. In questo senso qualche semplice aggancio poteva essere di aiuto. Ma qui il Catechismo della Chiesa Cattolica condivide una difficoltà nei confronti della storia della Chiesa tipica di tutta la catechesi contemporanea e non disgiunta dalle esitazioni della stessa storia della Chiesa a definire la propria natura in rapporto alla teologia e alla fede.
Se la storia della Chiesa nella sua globalità pone questo problema, ben rappresentati appaiono invece due filoni essenziali di essa: quello testimoniale e quello riflessivo. È da salutare con grande gioia il salire alla ribalta di numerose figure di santi, di tutti i secoli e di molti luoghi, per portare la loro testimonianza di vita a riguardo della fede professata. È bello constatare che quanto emerge dalla loro esperienza di vita cristiana può diventare perfino «sintesi» della fede.[15]
Ci sarà chi contesterà l'assenza di questo o quel santo, di questo o quel filone di spiritualità, ma ciò andava messo in conto in ogni caso. Occorre, tuttavia, riconoscere che l'aver dovuto aprire una strada per certi versi nuova non risparmia l'impressione, almeno a volte, di una certa casualità di intervento e di una certa prevalenza di questa o quell'area geografica. Ma forse ciò è connesso alla natura stessa dell'oggetto: l'esperienza spirituale non è per sé facilmente classificabile!
Anche lo spazio riservato alla riflessione teologica rappresenta un pregio del Catechismo della Chiesa Cattolica. Una volta che si consideri come la riflessione teologica non si sovrappone dall'esterno alla fede della Chiesa, ma ne costituisce un momento essenziale di quel cammino di ingresso sempre più profondo nella verità, cui spetta poi ai pastori indicare congruità e conseguenze vitali per l'intero popolo di Dio, apparirà allora significativo che il Catechismo lasci congruo spazio alla voce della riflessione sul dato di fede che la teologia offre all'intera comunità, senza per questo ridurre la catechesi a semplice ripetizione di dati teologici.
Qui il pericolo è duplice. Da una parte considerare la catechesi come una riproposizione in chiave minore della teologia, e offrire pertanto nella catechesi null'altro che una presentazione più abbordabile di quella. D'altra parte è consistente anche il pericolo di far entrare una o più teologie nel complesso dell'enunciato catechistico in modo indistinto rispetto ai dati di fede, confondendo quindi il contenuto della fede così come è professato dalla Chiesa con questa o quella forma teologica in cui esso viene approfondito e analizzato.
L'equilibrio sembra ben mantenuto dal Catechismo, che non rifugge certo dal ricorrere ai teologi per chiarire il dato di fede e neppure per prenderne in prestito espressioni che possano aiutarne la formulazione, ma non sembra scadere in un piccolo manuale di teologia e di una teologia in particolare. Certamente la prospettiva di fondo resta quella riflessivo-conoscitiva, ma questo è specifico della catechesi rispetto alle altre dimensioni della vita cristiana cui pure è collegata, come quella celebrativa e quella testimoniale; se la catechesi è per la vita cristiana, è sempre vero che essa contribuisce a costruire tale vita a partire da una consapevolezza di fede che conduce all'assenso della mente, per poi tradursi in gesto di celebrazione e in scelta testimoniale.
Quanto poi alla scelta di una teologia, sono nuovamente gli indici del volume a rivelare con chiarezza il grande debito del Catechismo all'opera di san Tommaso d'Aquino; ma il debito grande non è, ancora una volta, del Catechismo, bensì dell'intera storia della fede cristiana. E tuttavia occorre pure dire che gli spazi accanto al grande teologo medioevale non sono affatto chiusi. Non lo sono verso il passato, e la grande presenza della teologia patristica è stata già sottolineata. Ma non lo sono neppure verso altri tempi e nomi, contemporanei e successivi, seppure con minore insistenza: da Anselmo d'Aosta e Ugo di San Vittore fino - e piace sottolinearlo - a John Henry Newmann.[16] È quest'ultima una presenza non sporadica e che, per il personaggio e il contenuto del pensiero, apre le porte verso i mondi più recenti della riflessione teologica cattolica. Non ci si rimproveri se, anche questa volta, richiamiamo i Catechismi locali e la catechesi viva a saper percorrere fino in fondo strade volutamente appena abbozzate.
6. IL CREATO E
Appena un accenno, per concludere, all'ultimo ambito delle fonti catechistiche. La natura stessa del Catechismo della Chiesa Cattolica, come si è più volte ricordato, comporta una certa sobrietà per quanto concerne questi ultimi due ambiti della possibile manifestazione della Parola: i segni di Dio nella creazione e i germi del Verbo, le primizie dello Spirito nella storia umana.
È chiaro che, riguardo a quest'ultima, il suo legame a precisi avvenimenti e situazioni socio-culturali ne rende l'utilizzazione catechistica possibile solo nel quadro di un più diretto riferimento a tempi, luoghi e destinatari precisi, che da quegli eventi sono coinvolti. Il Catechismo della Chiesa Cattolica lascia soltanto intuire queste possibilità, soprattutto im alcuni passaggi in cui il confronto culturale con la storia presente emerge come corrispettivo non sempre esplicitato dell'annuncio.[17]
Non diversamente si pone il problema per ciò che concerne i segni naturali. Il cosmo non sta di fronte all'uomo in modo univoco; esso è percepito dai singoli gruppi umani in funzione di prospettive culturali diversificate: altro è il mondo per l'uomo tecnicizzato dall'Occidente, altro è lo stesso mondo per l'uomo dell'Oriente o dell'Africa che in esso continua a percepire senza apprezzabili mediazioni il senso del divino. Anche in questo caso, quindi, non potremo attendere che degli spunti di riflessione, che solo i vari Catechismi locali e la viva catechesi potranno completare.[18]
Resta in tal modo ancora confermato che ogni catechismo, anche questo Catechismo della Chiesa Cattolica non è che uno strumento, per quanto qualificato e autorevole. L'incontro dell'uomo con
Viene però anche ribadita l'esigenza che la fede, attraverso l'incontro con le sue fonti - a cominciare da quella primaria della Scrittura - possa giungere ad appropriarsi di una capacità di riflessione sul dato rivelato e di comunicazione di esso. Il linguaggio delle fonti è sì, infatti, parola del passato, ma anche parola propria della fede di una comunità credente, che attraverso la formazione di un linguaggio con cui esprimere il mistero incarna la fede nella cultura.
Il ricorso alle fonti, che ogni catechismo media, lungi dal suonare «archeologico» e dall'allontanare dai problemi dell'oggi, rappresenta invece la consapevolezza che solo il recupero delle «parole della comunità» offre all'oggi la possibilità di parlare dell'eterno. Ogni buona catechesi non potrà fare a meno di portare il credente all'acquisizione di questo essenziale linguaggio della fede, che le fonti offrono, sempre nella coscienza che poi resta un ulteriore cammino da fare: quello che collega le parole della Tradizione con quelle del vissuto dei destinatari della catechesi. Ma qui il compito di questo Catechismo finisce, e comincia quello delle necessarie mediazioni dei Catechismi locali e dei singoli catechisti.
[1] Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, Relazione finale: Exeunte coetu secundo, II, B, a, 4.
[2] Cfr. Giovanni Paolo II, Fidei depositarti, 1.
[3] Fidei depositum, 1. Si vedano al riguardo anche le ripetute affermazioni di Giovanni Paolo II nei vari discorsi che hanno accompagnato l'approvazione e poi la pubblicazione del testo. Così si esprime nel discorso per l'approvazione del testo il 26-6-1992: «II contenuto... rispecchia fedelmente l'insegnamento del Concilio Vaticano II, e si rivolge all'uomo di oggi presentandogli il messaggio cristiano nella sua integrità e completezza» (n. 2); e, ancora, nel discorso per la promulgazione del 7-12-1992 si legge: «II Catechismo espone questa verità (rivelata), alla luce del Concilio Vaticano, così com'essa è creduta, celebrata, vissuta e pregata dalla Chiesa».
[4] Si veda la consapevolezza di ciò già in Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Catechesi tradendae, 27.
[5] Cfr. Conférence Episcopale Française, Directoire de pastorale catéchétique a l'usage des diocèses de France, 25.
[6] Cfr. Conferenza Episcopale Italiana, Il rinnovamento della catechesi, 102-122.
[7] Cfr. CCC 59 per Gn 12,3; 57 e 441 per Dt 32,8; 462 per Sai 40,7-9.
[8] Cfr. ad es. CCC 692-693 e 2465-2466.
[9] Cfr. ad es. CCC, 228, 1015 e 1871.
[10] Cfr. ad es. CCC 1229-1245 sulla celebrazione del Battesimo.
[11] Potrà far meraviglia qualche assenza, come quella di Pio X; non tanto per il catechismo che da lui prende il nome, la cui natura e la cui funzione sono estranee al presente testo, quanto per i diversi documenti relativi alla crisi modernista; ma forse questo è un segno del mutamento dei tempi e soprattutto di come quelle problematiche abbiano trovato proprio nel Concilio Vaticano II una più matura - in virtù del distacco storico - soluzione, altrettanto fedele alla Tradizione della Chiesa.
[12] Solo per fare qualche esempio si vedano i nn. 311, 1194, 1418, 1710, 1986, 2392 del CCC.
[13] Cfr. ad es. CCC 987.
[14] Si veda ad es. il n. 934 del CCC.
[15] Cfr. CCC 2165.
[16] Si tratta di ben quattro testi e non secondari (si veda in specie il n. 1778), seppure si potrebbe lamentare l'assenza di un rimando alla più importante fra le opere del pastore e teologo,
[17] Si vedano ad es. i nn. 27-29. 1146, 1603, 1740 del CCC.
[18] Cfr. ad es. CCC, 285 e 1149.
[19] Cfr. At 8,26-40.