Il vero progresso? La tradizione

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Viviamo nell’epoca delle «parole e delle immagini».
E non manca occasione per coniare parole e detti icastici, slogans, e quant’altro. (Che dire poi del ridicolo ricorso a fonemi di matrice anglosassone? O di ragazzi e/o giovanotti italiani che compongono e cantano canzoni in lingua anglofona?)
Ciò che stupisce sta nel fatto che molto spesso trattasi di verbalizzazione vuota e molti si lasciano travolgere da tale vacuità.
Oggi si parla di valori, senza specificare quali; di obiettivi, senza indicarli; di laicità, supponendo qualcosa che nella prassi si contraddice.
Così si parla di progressismo e non di progresso; di tradizione prendendola per tradizionalismo.
 
Questa riflessione mi ha condotto a esaminare il rapporto tra progressismo e tradizione.
Non ne faccio mistero e affermo subito che per il vero progresso è la tradizione. Anzi potrei affermare che la rivoluzione di cui la cultura necessita si chiama tradizione.
 
Ho parlato di vero progresso e non di progressismo.
A parte il fatto che gli … ismi ... non mi piacciono, è certo che il progresso è altra cosa dal progressismo che è un falso progresso.
E’ il progressismo che pretende di mettere da parte la tradizione, definendola conservatrice.
 
Senza tradizione non c’è identità! Senza tradizione non possiamo essere quello che siamo!
Solo sulla tradizione è possibile edificare e solo sulla memoria, nella speranza e nella prospettiva del futuro si giungere al vero rinnovamento dell’umanità.
Sì: il vero progresso è nella sana tradizione.
Non c’è futuro senza memoria
 
Le effimere ideologie alla moda, invocando un falso progressismo, minano la nostra sana tradizione, definendo conservatori quanti la difendono.
E’ così per la dittatura del relativismo “che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”. (Benedetto XVI 18.4.2005)
Con relativismo intendiamo la situazione di pluralismo in cui le diverse concezioni della vita, dell'uomo, della storia, della religione, e così via, dialogano razionalmente, cioè scelgono di argomentare e di non imporre violentemente la propria visione delle cose, alla ricerca di una possibile convivenza pacifica delle differenze.
Ancora: il relativismo è la teoria secondo la quale non esiste alcunché che si possa considerare come verità obiettiva che soggiace al vento di qualsiasi dottrina, di qualsiasi ideologia, di qualsiasi moda di pensiero.
 
Il relativismo è un vero cancro, un carcinoma che sta mordendo la cultura e il mondo attuale.
Karl Raimund Popper definì il relativismo come "la più grande malattia filosofica del nostro tempo"
L’utopia relativista della libertà senza verità rappresenta una minaccia pressante di perversione culturale e antropologica.
La dittatura del relativismo vuole imporre leggi che neghino il vangelo della vita dal concepimento fino al suo naturale tramonto; leggi che pretendano minare la famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, con forme radicalmente diverse di unione.
 
Tutto questo non è progresso!
E la parola «progresso» va difesa dalla contaminazione con la parola «progressismo». Questo è una accolta di errori e di viltà; quello è un segno di vita degli spiriti migliori.
 
Ecco perché sono persuaso che il vero progresso fondi sulla vera tradizione.
 
Dal latino tradere, tradizione sta per tramandare, trasmettere un patrimonio di ricordi e di memorie di qualcosa che si riteneva importante da una generazione all’altra, da un’epoca all’altra: e traditio venne a indicare tale trasmissione nel tempo.
 
Così, si sono tramandati i racconti delle origini del mondo, della propria città, delle norme e delle consuetudini che regolavano il comportamento degli uomini fra di loro. In tal modo si sono tramandati di generazione in generazione i riti tradizionali verso la divinità.
All’inizio tutto avvenne per tradizione orale perché, appunto, trasmessa a voce.
Poi per tradizioni letterarie, artistiche oppure di pensiero.
 
Dal punto di vista religioso e morale la tradizione è una totalità di verità dottrinali e didattiche che sono state adottate dalla Chiesa mediante la testimonianza apostolica e sono preservate e sviluppate dalla Chiesa in relazione alle circostanze storiche della sua esistenza e delle sfide che deve affrontare nelle varie epoche.
In breve, la tradizione è una corrente vitale di fede continua in seno alla Chiesa, e non è altro che la norma della fede.
Ogni deviazione dalla tradizione è anzitutto una violazione della norma. Non è ovviamente una semplice questione di scelta intellettuale. L’impegno verso la tradizione si manifesta anzitutto nei valori della propria vita.
Affinché la norma della fede diventi una norma di vita personale occorre non solo la conoscenza, ma anche una reale esperienza di vita nella Chiesa, un’esperienza di partecipazione al suo mistero.
 
Dobbiamo tornare alla sana e vera tradizione! Saremo sempre più disorientati se perdiamo i valori di etica e giustizia.
Se non siamo guidati da un senso di etica e moralità, le nostre azioni tenderanno a perseguire il nostro solo tornaconto personale, a discapito di quello altrui.
 
Di questi tempi, molte persone deplorano la generale perdita di etica e moralità nel nostro mondo.
Se intendiamo perseguire con successo un cambiamento effettivo della nostra società non nel nome di un presunto progressismo, dobbiamo tornare ai valori etici.
 
Sì! Non c’è progresso se non c’è tradizione.
La tradizione è un fuoco che va passato di mano in mano contro i falsi profeti del progressismo.
 
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