Il senso del peccato

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Torna, per la decima edizione, «24 ore per il Signore», iniziativa quaresimale di preghiera e riconciliazione voluta da Papa Francesco. Anche quest’anno l’evento si celebrerà nelle diocesi di tutto il mondo alla vigilia della quarta domenica di Quaresima, da venerdì 17 a sabato 18 marzo.  In preparazione alla Pasqua di Risurrezione, le chiese rimarranno aperte per un giorno intero, in modo da offrire ai fedeli e ai pellegrini l’occasione di sostare in qualsiasi momento in adorazione e l’opportunità di confessarsi.

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"Costituito da Dio in uno stato di giustizia, l'uomo, tentato dal Maligno, fin dagli inizi della storia, abusò della libertà sua, erigendosi contro Dio e bramando di conseguire II suo fine al di fuori di Dio" (GS 2).

 

Sono molti i cristiani che oggi si riconoscono peccatori, ma spesso non sanno che cosa sia il peccato, o ne hanno un senso vago e impreciso. Altri, non amano soffermarsi per una introspezione sulle azioni compiute, preferendo piuttosto guardare al loro avvenire e a quello del mondo. Per tutti sembra essersi perso il senso del peccato. Lo denunciò con coraggiosa lungimiranza Pio XII. "Il grande peccato dell'uomo d'oggi e che l'uomo ha perso il senso del peccato".

 

Sono, tuttavia convinto che quella affermazione vada oggi “rivista” e completata.  L’uomo contemporaneo ha perso il senso del peccato perché ha perso il senso di Dio.

 

Il senso del peccato, infatti, deriva dal rapporto cosciente che l'uomo ha con Dio. Quando gli uomini e le donne credenti si avvicinano a Dio, conoscono se stessi in modo più oggettivo e scoprono la realtà del peccato nella loro vita.

 

Infatti, la percezione del peccato è possibile solo laddove l’uomo è cosciente del suo «stare davanti a Dio»: dove matura, in altri termini, la convinzione nelle coscienze che l’intera esistenza altro non è se non lo svolgersi di una storia che ha in Dio il suo fondamentale riferimento. 

 

Era facile, in una società permeata di sacralità, di religiosità, di pietà popolare vivere in riferimento a Dio. Il divino si rivelava operante nelle leggi della natura, nei misteri della fecondità e nello sviluppo della vita, nell'organizzazione sociale e comunitaria, nell'arte e nella cultura.

 

Allora chi è Dio?

Dio è trascendente: è anche una presenza interiore. La domanda è come arrivarci. Come possiamo sentire la sua presenza? Paolo nella Lettera ai Galati parla del frutto dello Spirito: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5,22)

 

Dio è questa straordinaria forza di comunicazione, di vita, di amore, di pace, di gioia. Dobbiamo imparare ad accogliere di nuovo tutto questo, a lavorare su noi stessi per renderci più disponibili ai segni di Dio. 

 

Ciò richiede una riflessione per adeguare la nostra immagine di Dio, riconoscendo allo stesso tempo che Egli non può essere ridotto a un'immagine, a un concetto. Dio è un mistero, ci sfuggirà sempre. Rimane mistero di comunione, ci cerca. 

 

Ma tutto questo non può mai essere dato per scontato, non siamo mai al sicuro dal guardarci indietro

 

Tutte le tappe dell'esistenza umana erano sorrette e quasi incorniciate da una sacralità per la quale l'uomo si trovava in modo quasi connaturale in contatto con il divino. In questa atmosfera il peccato veniva sperimentato come un mancare alle leggi statiche e immutabili della natura, della vita, dell'organizzazione sociale; mancanza che era vista prevalentemente come un andare-contro il volere di Dio.

 

Il peccato era visto come limite oggettivo nei confronti di una legge che, in ogni caso, occorreva riparare e di cui ci si doveva purificare compiendo certi riti espiatori. In una società secolarizzata, invece, e pregna di progressivo secolarismo, in un mondo in cui l'umano sembra cedere il posto al tecnicismo e l'antropologismo assunto a sistema assoluto, il riferimento al sacro e al trascendente tende a smorzarsi.

 

La scienza, la tecnica moderna hanno demitizzato la natura e i misteri della vita, dello sviluppo psico-sociale dell'uomo. I fenomeni e le forze che in essi si manifestano non sono più sentiti come espressione della volontà e dell'azione provvidente di Dio, ma come strumenti con i quali l'uomo conoscendo e dominando tali forze e leggi va costruendo responsabilmente il suo futuro senza Dio.

 

Il peccato è tutto ciò che ha a che fare con il rifiuto. Questo rifiuto può essere conscio o inconscio. Può assumere la forma di un rifiuto, ma può anche essere un rifiuto più implicito: credo in Dio con la testa, ma sono così pieno di me che non c'è più spazio in me. Sono autosufficiente. 

 

C'è una differenza radicale tra l'essere peccatori (tutti lo siamo!) e il riconoscersi peccatori, che è la consapevolezza che da solo non basto.

Questa nuova esperienza e concezione dell'uomo e del mondo mette in crisi il senso del peccato e misconosce i valori sottolineati da questo diverso contesto socio-culturale.

 

Ma la reazione è equivoca in sé. Si reagisce, a esempio, contro quella concezione che riduce il peccato a ribellione contro una legge, dimenticando che peccato è anche la inat­tività e la mancanza di critica nei confronti di leggi che non aiutano l'uomo ad essere più uomo (=non fare il bene!).

Come pure peccato è non assumere le proprie responsabilità di fronte a scelte fondamentali.

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica offre una ottima sintesi della definizione di peccato: "Il peccato è una mancanza contro la ragione, la verità, la retta coscienza; e una trasgressione in ordine all'amore vero, verso Dio e verso il prossimo, a causa di un perverso attaccamento a certi beni. Esso ferisce la natura dell'uomo e attenta alla solidarietà umana. E' stato definito una parola, un atto o un desiderio contrari alla legge eterna".

 

Il peccato e un'offesa a Dio: "Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che e male ai tuoi occhi, io l'ho fatto" (Sal 51,6). Il peccato si erge contro l'amore di Dio per noi e allontana da esso i nostri cuori. Come il primo peccato, e una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare "come Dio" (Gen 3,5), conoscendo e determinando il bene e il male.

 

Il peccato pertanto e "amore di sé fino al disprezzo di Dio". Per tale orgogliosa esaltazione di sé, il peccato e diametralmente opposto all'obbedienza di Gesù, che realizza la salvezza [cf Fil 2,6-9]". (CCC 1849-1850)

 

IL cristiano, tuttavia, non può parlare di peccato senza riferimento al perdono.

 

Nel Credo confessiamo la nostra fede nel perdono dei peccati, il che significa che il cristianesimo deve insistere non sul peccato, ma sulla Buona Novella del suo perdono. Vale a dire, noi non crediamo nel peccato, ma l'oggetto della nostra fede è il perdono dei peccati, che non è esattamente la stessa cosa. 

 

Si tratta quindi della riconciliazione del cristiano peccatore con Dio e con la Chiesa. Il sacramento della Penitenza ha la sua origine da un lato nell'esperienza della realtà del peccato all'interno della comunità cristiana, e dall'altro nella convinzione che il peccato del cristiano può essere vinto, se c'è una vera conversione, dalla potenza del perdono di Dio trasmessa alla Chiesa attraverso Gesù.

 

Il senso del peccato si può comprendere solo attraverso il perdono, che è di iniziativa divina, venendo dalla sua grazia il primo inizio della nostra conversione, poiché Dio chiama i peccatori mentre vivono la salvezza.

 

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