Giovanni Paolo II
un pensiero per ogni giorno di novembre

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1 novembre
 
Celebriamo oggi la solennità di Tutti i Santi. In questa festosa ricorrenza, la Chiesa, pellegrina sulla terra, rivolge lo sguardo al Cielo, all'immensa schiera di uomini e donne che Dio ha reso partecipi della sua santità. Essi, come insegna il Libro dell'Apocalisse, provengono "da ogni nazione, razza, popolo e lingua" (Ap 7,9). Nella loro vita terrena si sono impegnati a fare sempre la sua volontà, amando Lui con tutto il cuore e il prossimo come se stessi. Per questo hanno anche sofferto prove e persecuzioni, ed ora è grande ed eterna la loro ricompensa nei cieli (cfr Mt 5,11).
Carissimi, questo è il nostro futuro! Questa è la più autentica e universale vocazione dell'umanità: formare la grande famiglia dei figli di Dio, sforzandosi di anticiparne già sulla terra i tratti essenziali. Verso questa meta ci attira l'esempio luminoso di tanti fratelli e sorelle che, nel corso dei secoli, la Chiesa ha riconosciuto Beati e Santi, proponendoli a tutti come modelli e guide. Oggi invochiamo la loro comune intercessione, perché ogni uomo si apra all'amore di Dio, fonte di vita e di santità.
[Angelus, 1 novembre 1999]
 
2 novembre
 
La festa odierna ci invita a volgere lo sguardo al Cielo, meta del nostro pellegrinaggio terreno. Là ci attende la festosa comunità dei Santi. Là ci ritroveremo con i nostri cari defunti, per i quali s’eleverà la preghiera nella grande commemorazione liturgica di domani.
I fedeli cristiani e le famiglie si recano in questi giorni nei cimiteri, dove riposano i resti mortali dei loro congiunti, in attesa della risurrezione finale. Anch'io ritorno spiritualmente alle tombe dei miei cari, dove ho avuto occasione di sostare recentemente, durante il viaggio apostolico a Cracovia.
Il 2 novembre, però, ci chiede di non dimenticare, anzi, in un certo senso di privilegiare nella preghiera le anime di tanti defunti che nessuno ricorda, per affidarli all'abbraccio della divina Misericordia. Penso in particolare a tutti coloro che, nell'anno trascorso, hanno lasciato questo mondo. Prego soprattutto per le vittime dei fatti di sangue, che nei mesi scorsi ed anche in questi giorni hanno continuato ad affliggere l'umanità. La commemorazione di tutti i defunti non può non essere anche una corale invocazione di pace: pace per chi ha vissuto, pace per chi vive, pace per chi vivrà.
[Angelus, 1 novembre 2002]
 
3 novembre
 
“Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: / nelle tue mani è la mia vita. /... Io pongo sempre innanzi a me il Signore, / sta alla mia destra, non posso vacillare. / Di questo gioisce il mio cuore, / esulta la mia anima; / anche il mio corpo riposa al sicuro, / perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro / né lascerai che il tuo santo veda la corruzione” (Sal 15,5-10)!
Il Salmo messianico preannuncia la risurrezione di Cristo. E nello stesso tempo suscita la fede nella risurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà.
Desidero nello spirito della comunione universale della Chiesa, abbracciare con la preghiera tutti i Defunti – tutti coloro che riposano nei cimiteri del mondo intero –. Infatti Cristo è morto per tutti. Egli ha redento tutti. A tutti ha aperto l’accesso al Padre nello Spirito Santo. Non solo il primo e il secondo giorno di questo mese, ma durante tutto il mese di novembre bisogna ricordare in modo particolare i Defunti.
La commemorazione dei Defunti, la preghiera per i Defunti, devono rafforzare in noi stessi la fede nella risurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà, di cui parla in seguito il Salmista rivolgendosi a Dio con queste parole:
“Mi indicherai il sentiero della vita, / gioia piena nella tua presenza, / dolcezza senza fine alla tua destra” (Sal 15).
Il tempo di una particolare commemorazione dei Defunti deve rafforzare le nostre anime nella perseverante aspirazione al Regno di Dio, la cui venuta sempre imploriamo. “Venga il tuo Regno”!
[Angelus, 14 novembre 1982]
 
4 novembre
 
Tra i molti aspetti che i Papi, i santi e gli studiosi hanno rivelato nel Rosario, uno va doverosamente ricordato. Il Santo Rosario è una memoria continua della Redenzione, nelle sue tappe salienti: l'Incarnazione del Verbo, la sua Passione e Morte per noi, la Pasqua che egli ha inaugurato e che si compirà eterna nei cieli. Considerando infatti gli elementi contemplativi del Rosario, cioè i misteri attorno ai quali si snoda la preghiera vocale, possiamo meglio capire perché questa corona di Ave sia stata chiamata "Salterio della Vergine". Come i Salmi ricordavano a Israele le meraviglie dell'Esodo e della salvezza operata da Dio, e richiamavano costantemente il popolo alla fedeltà verso il patto del Sinai, cosi il Rosario ricorda continuamente al popolo della nuova alleanza i prodigi di misericordia e di potenza che Dio ha dispiegato in Cristo a favore dell'uomo, e lo richiama alla fedeltà nei confronti degli impegni battesimali. Noi siamo il suo popolo, egli è il nostro Dio.
Ma questo ricordo dei prodigi di Dio e questo richiamo costante alla fedeltà passa, in certo modo, attraverso Maria, la Vergine fedele. Il susseguirsi delle Ave ci aiuta a penetrare, di volta in volta, sempre più profondamente, nell'altissimo mistero del Verbo incarnato e salvatore "con il cuore di colei che al Signore fu più vicina" . Perché anche Maria, come Figlia di Sion ed erede della spiritualità sapienziale di Israele, ha cantato i prodigi dell'Esodo; ma, come la prima e più perfetta discepola di Cristo, ha precorso e vissuto la Pasqua della nuova alleanza, custodendo in cuore e meditando ogni parola e ogni gesto del Figlio, associandosi a lui con fedeltà incondizionata, indicando a tutti la strada del nuovo patto: "Fate quello che vi dirà" (Gv 2,5). Glorificata oggi nel cielo, mostra realizzato in sé l'itinerario del nuovo popolo verso la Terra promessa. Il Rosario dunque ci immerga nei misteri di Cristo, e nel volto della Madre proponga ad ogni fedele e a tutta la Chiesa il modello perfetto di come si accoglie, si custodisce e si vive ogni parola e ogni evento di Dio, nel cammino ancora in atto della salvezza del mondo.
[Angelus,  9 ottobre 1983]
 
5 novembre
 
Il santo Rosario è preghiera cristiana, evangelica ed ecclesiale, ma anche preghiera che eleva i sentimenti e gli affetti dell'uomo. Nei misteri gaudiosi vediamo un po' tutto questo: la gioia della famiglia, della maternità, della parentela, dell'amicizia, del reciproco aiuto. Queste gioie, che il peccato non ha totalmente cancellato, Cristo nascendo le ha assunte in sé e le ha santificate. Egli ha compiuto cio attraverso Maria. Cosi è attraverso di lei che noi, anche oggi, possiamo cogliere e far nostre le gioie dell'uomo: in se stesse umili e semplici, ma che in Maria e in Gesù diventano grandi e sante. In Maria, verginalmente sposata a Giuseppe e divinamente feconda, vi è la gioia del casto amore degli sposi e della maternità accolta e custodita come dono di Dio; in Maria che sollecita si reca da Elisabetta, la gioia di servire i fratelli portando loro la presenza di Dio; in Maria che presenta ai pastori e ai Magi l'atteso d'Israele, la condivisione spontanea e confidente, propria dell'amicizia; in Maria che, nel tempio, offre il proprio Figlio al Padre celeste, la gioia intrisa di ansie, propria dei genitori e degli educatori verso i figli o gli alunni; in Maria che, dopo tre giorni di affannosa ricerca, ritrova Gesù, la gioia sofferta della madre la quale sa che il proprio figlio appartiene a Dio prima che appartenere a se stessa.
[Angelus, 23 ottobre 1983]
 
6 novembre
 
Nei misteri dolorosi contempliamo in Cristo tutti i dolori dell'uomo: in lui angosciato, tradito, abbandonato, catturato, imprigionato; in lui, ingiustamente processato e sottoposto ai flagelli; in lui, frainteso e deriso nella sua missione; in lui, condannato con la complicità del potere politico; in lui, condotto pubblicamente al supplizio ed esposto alla morte più infamante; in lui, uomo del dolore predetto da Isaia, è assommato e santificato ogni dolore umano.
Servo del Padre, Primogenito tra molti fratelli, Capo dell'umanità, egli trasforma il patire dell'uomo in oblazione a Dio gradita, in sacrificio che redime. E' lui l'Agnello che toglie il peccato del mondo, il Testimone fedele, che ricapitola in sé e rende meritorio ogni martirio.
Sulla sua Via dolorosa e sul Golgota c'è la Madre, la prima Martire. E col cuore della Madre, alla quale dalla Croce consegno in testamento ogni discepolo e ogni uomo, noi contempliamo commossi i patimenti del Cristo, imparando da lui l'obbedienza fino alla morte, e alla morte di Croce; imparando da lei ad accogliere ogni uomo come fratello, per stare con lei presso le innumerevoli croci sulle quali ancora ingiustamente è inchiodato, non nel suo Corpo glorioso, ma nelle membra doloranti del suo Corpo mistico, il Signore della gloria. Nei misteri dolorosi del Rosario ci uniamo alla Vergine, nostra Madre, contemplando i dolori di suo Figlio e imparando da lei ad accogliere ogni uomo come fratello. Ci aiuti a comprendere il dolore alla luce della Redenzione, accettando ognuno la propria croce.
[Angelus, 30 ottobre 1983]
 
7 novembre
 
Nei misteri gloriosi del santo Rosario rivivono le speranze del cristiano: le speranze della vita eterna, che impegnano l'onnipotenza di Dio, e le attese del tempo presente, che impegnano gli uomini a collaborare con Dio.
In Cristo che risorge, tutto il mondo risorge, e si inaugurano i cieli nuovi e la terra nuova, che avrà compimento al suo glorioso ritorno, quando "non ci sarà più morte, né lutto, né gemito, né affanno, perché le cose di prima sono passate" (Ap 21,4).
In lui che ascende ai cieli, è esaltata la natura umana, posta alla destra di Dio, e viene data ai discepoli la consegna di evangelizzare il mondo; inoltre, salendo al cielo, Cristo non si è eclissato dalla terra: si è celato nel volto di ogni uomo, specialmente dei più infelici: i poveri, i malati, gli emarginati, i perseguitati...
Effondendo lo Spirito Santo a Pentecoste, ha dato ai discepoli la forza di amare e di diffondere la sua verità, ha chiesto la comunione nel costruire un mondo degno dell'uomo redento e ha concesso la capacità di santificare tutte le cose nell'obbedienza alla volontà del Padre celeste. Ha riacceso in tal modo nell'animo di chi dona la gioia di donare e nel cuore di chi è infelice la certezza di essere amato.
Nella gloria della Vergine assunta e prima redenta noi contempliamo, tra l'altro, la vera sublimazione dei vincoli del sangue, e degli affetti familiari: Cristo infatti ha glorificato Maria non solo perché immacolata e arca della divina Presenza, ma anche per onorare, come Figlio, la Madre: non si spezzano in cielo i vincoli santi della terra. Anzi, nella sollecitudine della Vergine Madre, assunta per diventare la nostra avvocata e protettrice, tipo della Chiesa vittoriosa, noi scorgiamo lo stesso modello ispiratore dell'amore premuroso dei nostri cari defunti verso di noi, non spezzato dalla morte, ma potenziato nella luce di Dio. Infine, nella visione di Maria glorificata da tutte le creature noi celebriamo il mistero escatologico di un'umanità ricomposta in Cristo in unità perfetta, senza più divisioni, senza rivalità, che non sia il prevenirsi l'un l'altro nell'amore. Perché Dio è Amore. Nei misteri del santo Rosario contempliamo dunque e riviviamo le gioie, i dolori e le glorie di Cristo e della sua Madre santa, che diventano le gioie, i dolori e le speranze dell'uomo.
[Angelus,  6 novembre 1983]
 
8 novembre
 
L’annuale “Giornata del Ringraziamento” per i frutti della terra e del lavoro umano vede quali protagonisti nella lode a Dio proprio i lavoratori dell’agricoltura e delle comunità rurali. Io mi associo di cuore alla loro esultanza, che so frutto di impegno e di fatica, ma che è anche profonda e genuina. La Chiesa desidera oggi manifestare, ancora una volta, la sua particolare sollecitudine per la benemerita, laboriosa gente rurale il cui animo religioso viene accresciuto dal continuo contatto con la natura e con Dio; auspica che siano riconosciuti, nell’ambito della società, il prestigio e la considerazione che le sono dovuti; e invita tutti i lavoratori della terra a superare ogni forma di individualismo o di isolamento e a sentire la mutua solidarietà come una esigenza vitale. La Chiesa considera questo impegno di giustizia sociale come “sua missione, suo servizio, come verifica della sua fedeltà a Cristo.
[Angelus, 8 novembre 1981]
 
9 novembre
 
La solennità della dedicazione della Basilica lateranense, la cattedrale del Vescovo di Roma, orienta i nostri pensieri ed i nostri cuori nella domenica odierna, verso questo venerato tempio. Si è soliti chiamare da tempo la Basilica lateranense “madre” delle chiese nella Chiesa romana, perché essa come cattedrale vescovile dei successori di san Pietro, ha materna sollecitudine di tutti gli altri centri di culto della nuova alleanza, di tutte le dimore di Dio con il suo popolo in questa Chiesa apostolica. Come “madre” la venerano anche le chiese delle comunità cattoliche sparse nel mondo, vedendo in essa la Chiesa che “presiede alla carità” (S. Ignazio di Antiochia, Ep. ad Romanos, inscr.) ed il centro “a cui, per l’autorevole sua primazia, è necessario che faccia capo ogni chiesa, cioè i fedeli dovunque essi siano” (S. Ireneo, Adv. Haer., 3,3,2). Quando diciamo “madre” abbiamo in mente non tanto l’edificio sacro della Basilica lateranense, quanto l’opera dello Spirito Santo, che in questo edificio si manifesta, fruttificando mediante il ministero del Vescovo di Roma, in tutte le comunità che permangono nell’unità con la Chiesa, cui egli presiede. Quell’unità presenta un carattere quasi familiare, e come nella famiglia c’è la “madre” così anche la venerata cattedrale del Laterano “fa da madre” alle chiese di tutte le comunità del mondo cattolico.
[Angelus, 9 novembre 1980]
 
10 novembre
 
La Chiesa è innanzitutto una comunità orante. Il popolo di Dio è stato liberato per celebrare il culto del Signore. Tutta la vita dei redenti dev'essere un atto di culto, una liturgia di lode, un sacrificio gradito a Dio. La trasformazione della nostra vita e del mondo in sacrificio di lode non è opera nostra, ma del Signore. Unendoci a Cristo-Sacerdote, al suo sacrificio e alla sua preghiera, noi con tutto l'universo diveniamo un'offerta al Signore. I credenti sono essenzialmente una comunità liturgica: nel tempio, nelle case, nella vita essi esercitano l'ufficio sacerdotale. Gli Atti degli Apostoli, presentando i tratti fondamentali della Chiesa primitiva, sottolineano l'importanza che aveva in essa la "preghiera": "Essi erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere... Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa... lodando Dio" (At 2,42 At 2,46-47). E ancora: "Tutti erano assidui e concordi nella preghiera... con Maria, la Madre di Gesù" (At 1,14). Nella comunità dei credenti in preghiera, Maria è presente, non solo alle origini della fede, ma in ogni tempo. "Cosi ella appare nella visita alla madre del Precursore, in cui effonde il suo spirito in espressioni di glorificazione a Dio, di umiltà, di fede, di speranza: tale è il Magnificat, la preghiera per eccellenza di Maria, il canto dei tempi messianici nel quale confluiscono l'esultanza dell'antico e del nuovo Israele" ("Marialis Cultus", 18). Maria appare vergine in preghiera a Cana, vergine in preghiera nel Cenacolo. "Presenza orante di Maria nella Chiesa nascente e nella Chiesa in ogni tempo, poiché ella, assunta in cielo, non ha deposto la sua missione di intercessione e di salvezza. Vergine in preghiera è anche la Chiesa, che ogni giorno presenta al Padre le necessità dei suoi figli, "loda il Signore e intercede per la salvezza del mondo"" ("Marialis Cultus", 18).
[Angelus, 13 novembre 1983]
 
11 novembre
 
Invito tutti a riflettere sul significato ed il valore della sofferenza, alla luce della Buona Novella di Cristo, della rivelazione cioè che Dio non è indifferente ai drammi e alle prove degli uomini ma, al contrario, li ha presi su di sé per aprirci la via della salvezza. Nella sua esistenza terrena, Cristo si è avvicinato con particolare amore alle persone sofferenti. Egli guariva gli ammalati, consolava gli afflitti, nutriva gli affamati, liberava dalla sordità, dalla cecità, dalla lebbra, dal demonio e ridava la vita ai morti… Spinto dall'amore, Cristo soffrì volontariamente e soffrì da innocente, provando così la verità dell'amore mediante la verità della sofferenza, una sofferenza che Lui, Uomo-Dio, provò con un'intensità incommensurabile. Ma proprio attraverso questo sacrificio, Egli legò una volta per sempre la sofferenza all'amore, e così la redense. Associata a Gesù in questo mistero di sofferenza e di amore è, in primo luogo, la sua Madre Maria. Il suo dolore si unisce a quello del Figlio. Sul Calvario Ella diventa modello perfetto di partecipazione alla Croce di Cristo. Ogni uomo è chiamato a soffrire; ogni uomo, imitando Maria, può diventare cooperatore della sofferenza di Cristo e quindi della sua redenzione. Affido tutte le persone ammalate e sofferenti alla Beata Vergine Maria, Salus infirmorum. Possa la sua materna intercessione ottenere a ciascuno la consolante esperienza dell'amore di Dio, che anche nella notte del dolore infonde la luce della speranza.
[Angelus, 8 febbraio 1998]
12 novembre
 
“Appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo” (Lc 1,44).
Come non raccogliere questo invito alla riflessione? Il trasalimento di gioia di Elisabetta sottolinea il dono che può essere racchiuso in un semplice saluto, quando esso parte da un cuore colmo di Dio. Quante volte il buio della solitudine, che opprime un’anima, può essere squarciato dal raggio luminoso di un sorriso e di una parola gentile! Una buona parola è presto detta; eppure a volte ci torna difficile pronunciarla. Ce ne trattiene la stanchezza, ce ne distolgono le preoccupazioni, ci frena un sentimento di freddezza o di egoistica indifferenza. Succede così che passiamo accanto a persone che pur conosciamo, senza guardarle in volto e senza accorgerci di quanto spesso esse stiano soffrendo di quella sottile, logorante pena, che viene dal sentirsi ignorate. Basterebbe una parola cordiale, un gesto affettuoso e subito qualcosa si risveglierebbe in loro: un cenno di attenzione e di cortesia può essere una ventata di aria fresca nel chiuso di un’esistenza, oppressa dalla tristezza e dallo scoramento. Il saluto di Maria riempi di gioia il cuore dell’anziana cugina Elisabetta.
[Omelia, 11 febbraio 1981]
 
13 novembre
 
« Completo nella mia carne — dice l'apostolo Paolo spiegando il valore salvifico della sofferenza — quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa ». Queste parole sembrano trovarsi al termine del lungo cammino che si snoda attraverso la sofferenza inserita nella storia dell'uomo ed illuminata dalla Parola di Dio. Esse hanno quasi il valore di una definitiva scoperta, che viene accompagnata dalla gioia; per questo l'Apostolo scrive: « Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi ». La gioia proviene dalla scoperta del senso della sofferenza, ed una tale scoperta, anche se vi partecipa in modo personalissimo Paolo di Tarso che scrive queste parole, è al tempo stesso valida per gli altri. L'Apostolo comunica la propria scoperta e ne gioisce a motivo di tutti coloro che essa può aiutare — così come aiutò lui — a penetrare il senso salvifico della sofferenza.
[Salvifici doloris, 1]

14 novembre
 
La sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso ed insieme ancor più profondamente radicato nell'umanità stessa. Una certa idea di questo problema ci viene dalla distinzione tra sofferenza fisica e sofferenza morale. Questa distinzione prende come fondamento la duplice dimensione dell'essere umano, ed indica l'elemento corporale e spirituale come l'immediato o diretto soggetto della sofferenza. Per quanto si possano, fino ad un certo grado, usare come sinonimi le parole « sofferenza » e « dolore », la sofferenza fisica si verifica quando in qualsiasi modo « duole il corpo », mentre la sofferenza morale è « dolore dell'anima ». Si tratta, infatti, del dolore di natura spirituale, e non solo della dimensione « psichica » del dolore che accompagna sia la sofferenza morale, sia quella fisica. La vastità e la multiformità della sofferenza morale non sono certamente minori di quella fisica; al tempo stesso, però, essa sembra quasi meno identificata e meno raggiungibile dalla terapia.
[Salvifici doloris 5]
 
15 novembre
 
La sofferenza umana costituisce in se stessa quasi uno specifico « mondo » che esiste insieme all'uomo, che appare in lui e passa, e a volte non passa, ma in lui si consolida ed approfondisce. Questo mondo della sofferenza, diviso in molti, in numerosissimi soggetti, esiste quasi nella dispersione. Ogni uomo, mediante la sua personale sofferenza, costituisce non solo una piccola parte di quel « mondo », ma al tempo stesso quel « mondo » è in lui come un'entità finita e irripetibile. Di pari passo con ciò va, tuttavia, la dimensione interumana e sociale. Il mondo della sofferenza possiede quasi una sua propria compattezza. Gli uomini sofferenti si rendono simili tra loro mediante l'analogia della situazione, la prova del destino, oppure mediante il bisogno di comprensione e di premura, e forse soprattutto mediante il persistente interrogativo circa il senso di essa. Benché dunque il mondo della sofferenza esista nella dispersione, al tempo stesso contiene in se' una singolare sfida alla comunione e alla solidarietà.
[Salvifici doloris 8]
 
16 novembre
 
Per poter percepire la vera risposta al « perché » della sofferenza, dobbiamo volgere il nostro sguardo verso la rivelazione dell'amore divino, fonte ultima del senso di tutto ciò che esiste. L'amore è anche la fonte più ricca del senso della sofferenza, che rimane sempre un mistero: siamo consapevoli dell'insufficienza ed inadeguatezza delle nostre spiegazioni. Cristo ci fa entrare nel mistero e ci fa scoprire il « perché » della sofferenza, in quanto siamo capaci di comprendere la sublimità dell'amore divino. Per ritrovare il senso profondo della sofferenza, seguendo la Parola rivelata di Dio, bisogna aprirsi largamente verso il soggetto umano nella sua molteplice potenzialità. Bisogna, soprattutto, accogliere la luce della Rivelazione non soltanto in quanto essa esprime l'ordine trascendente della giustizia, ma in quanto illumina questo ordine con l'amore, quale sorgente definitiva di tutto ciò che esiste. L'Amore è anche la sorgente più piena della risposta all'interrogativo sul senso della sofferenza. Questa risposta è stata data da Dio all'uomo nella Croce di Gesù Cristo.
[Salvifici doloris, 13]
 
17 novembre
 
Se un uomo diventa partecipe delle sofferenze di Cristo, ciò avviene perché Cristo ha aperto la sua sofferenza all'uomo, perché egli stesso nella sua sofferenza redentiva è divenuto, in un certo senso, partecipe di tutte le sofferenze umane. L'uomo, scoprendo mediante la fede la sofferenza redentrice di Cristo, insieme scopre in essa le proprie sofferenze, le ritrova, mediante la fede, arricchite di un nuovo contenuto e di un nuovo significato. Questa scoperta dettò a San Paolo parole particolarmente forti nella Lettera ai Galati: « Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita, che vivo nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me». La fede permette all'autore di queste parole di conoscere quell'amore, che condusse Cristo sulla Croce. E se amò così, soffrendo e morendo, allora con questa sua sofferenza e morte egli vive in colui che amò così, egli vive nell'uomo: in Paolo. E vivendo in lui — man mano che Paolo, consapevole di ciò mediante la fede, risponde con l'amore al suo amore — Cristo diventa anche in modo particolare unito all'uomo, a Paolo, mediante la Croce.
[Salvifici doloris, 20]
 
18 novembre
 
Il motivo della sofferenza e della gloria ha la sua caratteristica strettamente evangelica, che si chiarisce mediante il riferimento alla Croce ed alla risurrezione. La risurrezione è diventata prima di tutto la manifestazione della gloria, che corrisponde all'elevazione di Cristo per mezzo della Croce. Se, infatti, la Croce è stata agli occhi degli uomini lo spogliamento di Cristo, nello stesso tempo essa è stata agli occhi di Dio la sua elevazione. Sulla Croce Cristo ha raggiunto e realizzato in tutta pienezza la sua missione: compiendo la volontà del Padre, realizzò insieme se stesso. Nella debolezza manifestò la sua potenza, e nell'umiliazione tutta la sua grandezza messianica. Non sono forse una prova di questa grandezza tutte le parole pronunciate durante l'agonia sul Golgota e, specialmente, quelle riguardanti gli autori della crocifissione: « Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno »? A coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo queste parole si impongono con la forza di un supremo esempio. La sofferenza è anche una chiamata a manifestare la grandezza morale dell'uomo, la sua maturità spirituale. Di ciò hanno dato la prova, nelle diverse generazioni, i martiri ed i confessori di Cristo, fedeli alle parole: « E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l'anima ».
[Salvifici doloris, 22]
 
19 novembre
 
Coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo hanno davanti agli occhi il mistero pasquale della Croce e della risurrezione, nel quale Cristo discende, in una prima fase, sino agli ultimi confini della debolezza e dell'impotenza umana: egli, infatti, muore inchiodato sulla Croce. Ma se al tempo stesso in questa debolezza si compie la sua elevazione, confermata con la forza della risurrezione, ciò significa che le debolezze di tutte le sofferenze umane possono essere permeate dalla stessa potenza di Dio, quale si è manifestata nella Croce di Cristo. In questa concezione soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente aperti all'opera delle forze salvifiche di Dio, offerte all'umanità in Cristo. In lui Dio ha confermato di voler agire specialmente per mezzo della sofferenza, che è la debolezza e lo spogliamento dell'uomo, e di voler proprio in questa debolezza e in questo spogliamento manifestare la sua potenza. Con ciò si può anche spiegare la raccomandazione della prima Lettera di Pietro: «Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; glorifichi anzi Dio per questo nome».
[Salvifici doloris, 23]

20 novembre
 
Nella sofferenza è come contenuta una particolare chiamata alla virtù, che l'uomo deve esercitare da parte sua. E questa è la virtù della perseveranza nel sopportare ciò che disturba e fa male. L'uomo, così facendo, sprigiona la speranza, che mantiene in lui la convinzione che la sofferenza non prevarrà sopra di lui, non lo priverà della dignità propria dell'uomo unita alla consapevolezza del senso della vita. Ed ecco, questo senso si manifesta insieme con l'opera dell'amore di Dio, che è il dono supremo dello Spirito Santo. Man mano che partecipa a questo amore, l'uomo si ritrova fino in fondo nella sofferenza: ritrova « l'anima », che gli sembrava di aver « perduto » a causa della sofferenza.. Nella Lettera ai Colossesi leggiamo le parole, che costituiscono quasi l'ultima tappa dell'itinerario spirituale in relazione alla sofferenza. San Paolo scrive: « Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa ». Ed egli in un'altra Lettera interroga i suoi destinatari: « Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? ».
[Salvifici doloris, 23-24]
 
21 novembre
 
La chiesa fa memoria liturgica della presentazione di Maria santissima.
Il Regno escatologico di Cristo e di Dio (cfr. Col 1,13) si compirà quando il Signore sarà tutto in tutti, dopo aver annientato il dominio di Satana, del peccato e della morte. Il Regno di Dio è tuttavia già presente "in mistero" nella storia, e opera in coloro che lo accolgono. E' presente nella realtà della Chiesa, che è sacramento di salvezza e nel contempo mistero i cui confini sono noti solo alla misericordia del Padre, che tutti vuole salvare. La santità della Chiesa di quaggiù è prefigurazione della futura pienezza del Regno. Le splendide espressioni della Lettera ai Colossesi a proposito di tale Regno si riferiscono a tutti i cristiani, ma in particolare a Maria, preservata totalmente dalla oppressione del male: "E' lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre / e ci ha trasferiti / nel Regno del suo Figlio diletto". Maria, madre di Cristo e discepola fedele della Parola, è entrata in pienezza nel Regno. Tutta la sua esistenza di creatura amata dal Signore e animata dallo Spirito, è testimonianza concreta e preludio delle realtà escatologiche. La Vergine Maria, già segno e anticipazione dei beni futuri nella sua vita terrena, glorificata ora accanto a Cristo Signore, è immagine e compimento del Regno di Dio. Ella è la prima ad aver seguito Cristo "primogenito di molti fratelli", "principio della creazione nuova" e "capo della Chiesa". La prima che ne ha ereditato la gloria. La glorificazione di Maria, nostra sorella, è la più splendida conferma della parola della Scrittura: "Con Cristo (egli) ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nell'alto dei cieli" (Ep 2,6). Il suo ingresso nel Regno escatologico di Dio è pegno e garanzia della partecipazione di tutta la Chiesa, corpo di Cristo, alla gloria del suo Signore.
[Angelus, 20 novembre 1983]
 
22 novembre
 
I testimoni della Croce e della risurrezione di Cristo hanno trasmesso alla Chiesa e all'umanità uno specifico Vangelo della sofferenza. Il Redentore stesso ha scritto questo Vangelo dapprima con la propria sofferenza assunta per amore, affinché l'uomo « non muoia, ma abbia la vita eterna »(80). Questa sofferenza, insieme con la viva parola del suo insegnamento, è diventata una fonte abbondante per tutti coloro che hanno preso parte alle sofferenze di Gesù nella prima generazione dei suoi discepoli e confessori, e poi in quelle che si sono succedute nel corso dei secoli.
E', innanzitutto, consolante — come è evangelicamente e storicamente esatto — notare che a fianco di Cristo, in primissima e ben rilevata posizione accanto a lui, c'è sempre la sua Madre santissima per la testimonianza esemplare, che con l'intera sua vita rende a questo particolare Vangelo della sofferenza. In lei le numerose ed intense sofferenze si assommarono in una tale connessione e concatenazione, che se furono prova della sua fede incrollabile, furono altresì un contributo alla redenzione di tutti. In realtà, fin dall'arcano colloquio avuto con l'angelo, Ella intravide nella sua missione di madre la « destinazione » a condividere in maniera unica ed irripetibile la missione stessa del Figlio. E la conferma in proposito le venne assai presto sia dagli eventi che accompagnarono la nascita di Gesù a Betlemme, sia dall'annuncio formale del vecchio Simeone che parlò di una spada tanto acuta da trapassarle l'anima, sia dalle ansie e ristrettezze della fuga precipitosa in Egitto, provocata dalla crudele decisione di Erode.
[Salvifici doloris, 25]
 
23 novembre
 
Dopo le vicende della vita nascosta e pubblica del suo Figlio, da lei indubbiamente condivise con acuta sensibilità, fu sul Calvario che la sofferenza di Maria Santissima, accanto a quella di Gesù, raggiunse un vertice già difficilmente immaginabile nella sua altezza dal punto di vista umano, ma certo misterioso e soprannaturalmente fecondo ai fini dell'universale salvezza. Quel suo ascendere al Calvario, quel suo « stare » ai piedi della Croce insieme col discepolo prediletto furono una partecipazione del tutto speciale alla morte redentrice del Figlio, come del resto le parole, che poté raccogliere dal suo labbro, furono quasi la solenne consegna di questo tipico Vangelo da annunciare all'intera comunità dei credenti.
Testimone della passione del Figlio con la sua presenza, e di essa partecipe con la sua compassione, Maria Santissima offrì un singolare apporto al Vangelo della sofferenza, awerando in anticipo l'espressione paolina, riportata all'inizio. In effetti, Ella ha titoli specialissimi per poter asserire di « completare nella sua carne — come già nel suo cuore — quello che manca ai patimenti di Cristo ».
[Salvifici doloris, 25]
 
24 novembre
 
Il Vangelo della sofferenza significa non solo la presenza della sofferenza nel Vangelo, come uno dei temi della Buona Novella, ma la rivelazione, altresì, della forza salvifica e del significato salvifico della sofferenza nella missione messianica di Cristo e, in seguito, nella missione e nella vocazione della Chiesa.
Cristo non nascondeva ai propri ascoltatori la necessità della sofferenza. Molto chiaramente diceva: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, ... prenda la sua croce ogni giorno », ed ai suoi discepoli poneva esigenze di natura morale, la cui realizzazione è possibile solo a condizione di « rinnegare se stessi ». La via che porta al Regno dei cieli è « stretta ed angusta », e Cristo la contrappone alla via « larga e spaziosa », che peraltro « conduce alla perdizione ». Diverse volte Cristo diceva anche che i suoi discepoli e confessori avrebbero incontrato molteplici persecuzioni, ciò che — come si sa — è avvenuto non solo nei primi secoli della vita della Chiesa sotto l'impero romano, ma si è avverato e si avvera in diversi periodi della storia e in differenti luoghi della terra, anche ai nostri tempi.
[Salvifici doloris, 26]
 
25 novembre
 
Se il primo grande capitolo del Vangelo della sofferenza viene scritto, lungo le generazioni, da coloro che soffrono persecuzioni per Cristo, di pari passo si svolge lungo la storia un altro grande capitolo di questo Vangelo. Lo scrivono tutti coloro che soffrono insieme con Cristo, unendo le proprie sofferenze umane alla sua sofferenza salvifica. In essi si compie ciò che i primi testimoni della passione e della risurrezione hanno detto ed hanno scritto circa la partecipazione alle sofferenze di Cristo. In essi quindi si compie il Vangelo della sofferenza e, al tempo stesso, ognuno di essi continua in un certo modo a scriverlo: lo scrive e lo proclama al mondo, lo annuncia al proprio ambiente ed agli uomini contemporanei. Attraverso i secoli e le generazioni è stato costatato che nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l'uomo a Cristo, una particolare grazia. …. Frutto di una tale conversione non è solo il fatto che l'uomo scopre il senso salvifico della sofferenza, ma soprattutto che nella sofferenza diventa un uomo completamente nuovo. Egli trova quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione. Questa scoperta è una particolare conferma della grandezza spirituale che nell'uomo supera il corpo in modo del tutto incomparabile. Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile e l'uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza l'interiore maturità e grandezza spirituale, costituendo una commovente lezione per gli uomini sani e normali.
[Salvifici doloris, 26]
 
26 novembre
 
L’interiore maturità e grandezza spirituale nella sofferenza certamente sono frutto di una particolare conversione e cooperazione con la Grazia del Redentore crocifisso. E' lui stesso ad agire nel vivo delle umane sofferenze per mezzo del suo Spirito di verità, per mezzo dello Spirito Consolatore. E' lui a trasformare, in un certo senso, la sostanza stessa della vita spirituale, indicando all'uomo sofferente un posto vicino a sé. E' lui — come Maestro e Guida interiore — ad insegnare al fratello e alla sorella sofferenti questo mirabile scambio, posto nel cuore stesso del mistero della redenzione. La sofferenza è, in se stessa, un provare il male. Ma Cristo ne ha fatto la più solida base del bene definitivo, cioè del bene della salvezza eterna. Con la sua sofferenza sulla Croce Cristo ha raggiunto le radici stesse del male: del peccato e della morte. Egli ha vinto l'artefice del male, che è Satana, e la sua permanente ribellione contro il Creatore. Davanti al fratello o alla sorella sofferenti Cristo dischiude e dispiega gradualmente gli orizzonti del Regno di Dio: di un mondo convertito al Creatore, di un mondo liberato dal peccato, che si sta edificando sulla potenza salvifica dell'amore. E, lentamente ma efficacemente, Cristo introduce in questo mondo, in questo Regno del Padre l'uomo sofferente, in un certo senso attraverso il cuore stesso della sua sofferenza. La sofferenza, infatti, non può essere trasformata e mutata con una grazia dall'esterno, ma dall'interno. E Cristo mediante la sua propria sofferenza salvifica si trova quanto mai dentro ad ogni sofferenza umana, e può agire dall'interno di essa con la potenza del suo Spirito di verità, del suo Spirito Consolatore.
[Salvifici doloris, 26]
 
 
27 novembre
 
…. Ciascuno entra nella sofferenza con una protesta tipicamente umana e con la domanda del suo « perché ». Ciascuno si chiede il senso della sofferenza e cerca una risposta a questa domanda al suo livello umano. Certamente pone più volte questa domanda anche a Dio, come la pone a Cristo. Inoltre, egli non può non notare che colui, al quale pone la sua domanda, soffre lui stesso e vuole rispondergli dalla Croce, dal centro della sua propria sofferenza. Tuttavia, a volte c'è bisogno di tempo, persino di un lungo tempo, perché questa risposta cominci ad essere internamente percepibile. Cristo, infatti, non risponde direttamente e non risponde in astratto a questo interrogativo umano circa il senso della sofferenza. L'uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo. La risposta che giunge mediante tale partecipazione, lungo la strada dell'incontro interiore col Maestro, è a sua volta qualcosa di più della sola risposta astratta all'interrogativo sul senso della sofferenza. Questa è, infatti, soprattutto una chiamata. E' una vocazione. Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma prima di tutto dice: « Seguimi! ». Vieni! prendi parte con la tua sofferenza a quest'opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza!  Per mezzo della mia Croce.
 
 
28 novembre
 
A mano a mano che l'uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla Croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della sofferenza. L'uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso, però, da questo livello di Cristo, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell'uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale. E allora l'uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e perfino la gioia spirituale.
Di tale gioia parla l'Apostolo nella Lettera ai Colossesi: « Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi ». Fonte di gioia diventa il superamento del senso d'inutilità della sofferenza, sensazione che a volte è radicata molto fortemente nell'umana sofferenza. Questa non solo consuma l'uomo dentro se stesso, ma sembra renderlo un peso per gli altri. L'uomo si sente condannato a ricevere aiuto ed assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile. La scoperta del senso salvifico della sofferenza in unione con Cristo trasforma questa sensazione deprimente. La fede nella partecipazione alle sofferenze di Cristo porta in sé la certezza interiore che l'uomo sofferente « completa quello che manca ai patimenti di Cristo »; che nella dimensione spirituale dell'opera della redenzione serve, come Cristo, alla salvezza dei suoi fratelli e sorelle. Non solo quindi è utile agli altri, ma per di più adempie un servizio insostituibile.
[Salvifici doloris, 27]
 
29 novembre
 
La parabola del buon Samaritano appartiene al Vangelo della sofferenza. Essa indica, infatti, quale debba essere il rapporto di ciascuno di noi verso il prossimo sofferente. Non ci è lecito « passare oltre » con indifferenza, ma dobbiamo « fermarci » accanto a lui. Buon Samaritano è ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, qualunque essa sia. Quel fermarsi non significa curiosità, ma disponibilità. Questa è come l'aprirsi di una certa interiore disposizione del cuore, che ha anche la sua espressione emotiva. Buon Samaritano è ogni uomo sensibile alla sofferenza altrui, l'uomo che « si commuove » per la disgrazia del prossimo. Se Cristo, conoscitore dell'interno dell'uomo, sottolinea questa commozione, vuol dire che essa è importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna, dunque, coltivare in sé questa sensibilità del cuore, che testimonia la compassione verso un sofferente. A volte questa compassione rimane l'unica o principale espressione del nostro amore e della nostra solidarietà con l'uomo sofferente. Tuttavia, il buon Samaritano della parabola di Cristo non si ferma alla sola commozione e compassione. Queste diventano per lui uno stimolo alle azioni che mirano a portare aiuto all'uomo ferito. Buon Samaritano è, dunque, in definitiva colui che porta aiuto nella sofferenza, di qualunque natura essa sia. Aiuto, in quanto possibile, efficace. In esso egli mette il suo cuore, ma non risparmia neanche i mezzi materiali. Si può dire che dà se stesso, il suo proprio « io », aprendo quest'« io » all'altro. Tocchiamo qui uno dei punti-chiave di tutta l'antropologia cristiana. L'uomo non può « ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé »(92). Buon Samaritano è l'uomo capace appunto di tale dono di sé.
 
30 novembre [ o CRISTO RE]
 
L’ultima domenica dell'anno liturgico è significativamente dedicata a Cristo Re dell'universo, quasi a prefigurare la conclusione della storia terrena con l'avvento finale e glorioso del Signore risorto. Egli, con la sua vittoria su tutte le forze del male, porterà a termine l'edificazione di quel "Regno di Dio" che ha già avuto inizio quaggiù nella realtà della Chiesa pellegrina e militante. Questa bella solennità, che ci porta ad allargare il nostro sguardo di fede alle prospettive future della finale rigenerazione del mondo e della definitiva liberazione degli eletti, fu istituita, come è noto, da Papa Pio XI nel 1925 con l'enciclica "Quas Primas".
Guardando a Cristo, Re dell'universo, il cristiano è invitato a non lasciarsi intimorire dalla conturbante esperienza del male. A volte infatti sembra che le forze dell'errore debbano trionfare su quelle della verità, l'ingiustizia sulla giustizia, la divisione e la guerra sulla pace e la concordia tra gli uomini.
Questa festa ci fa attendere, nel riverenziale timor di Dio, l'avvento di Cristo "Giudice dei vivi e dei morti", come recitiamo nel Credo; ci fa attendere, nel rispettoso ossequio per i misteriosi decreti della Provvidenza, quell'"ora del Signore", nella quale ciascuno riceverà il frutto delle sue opere, sia nel bene come nel male. Cio che la giustizia umana non ha saputo o voluto risolvere adesso e quaggiù, sarà risolto allora, ed in una forma irrefragabile e perfetta.
[Angelus, 20 novembre 1988]