Esaltazione della Croce
Pienezza dell'Amore che si dona

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Dal Vangelo secondo Giovanni 3, 13-17

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». <+++>

Gli storici dicono che la festa dell'Esaltazione delle Croce abbia avuto origine a Gerusalemme dove esistevano due basiliche costruite al tempo e per opera di Costantino. La ricorrenza della loro dedicazione era ogni anno celebrata con grande solennità; vi convenivano da ogni parte vescovi, ecclesiastici, monaci e fedeli, molti dei quali pellegrini. In tale occasione si facevano venerare le reliquie della croce del Signore. Nell’anno 335 a Gerusalemme l’imperatore Costantino, assieme alla madre Elena, fece consacrare la grande Basilica della Resurrezione, divenuta, col tempo, la Basilica del Santo Sepolcro, ancor oggi, meta di pellegrinaggi. La Basilica include, al suo interno, la piccola altura del Calvario e il Sepolcro del Redentore. Qui si venera il legno ritenuto della croce di Gesù. Per i cristiani orientali la solennità della Esaltazione della Croce è paragonabile a quella della Pasqua.
 
Nei due termini della Festa di oggi - Esaltazione della Croce - c’è tutto il paradosso cristiano in quanto essi sembrano uno la negazione dell’altro. Infatti, che senso può avere celebrare una festa chiamata "Esaltazione della Croce" in una società che cerca appassionatamente ogni genere di "confort", la comodità e il massimo benessere? Più di una persona si chiederà come sia possibile ancora esaltare la croce. Dobbiamo continuare ad alimentare un cristianesimo centrato sull'agonia del Calvario e nelle piaghe del Crocifisso?  Sono interrogativi molto ragionevoli che hanno bisogno di una risposta chiarificatrice

La croce è simbolo di sofferenza atroce, «il supplizio più terribile e più infamante» (Cicerone, In Verrem II) riservato dai romani agli schiavi. Al contrario nel Prefazio la Chiesa canta: «Nell’albero della Croce tu hai stabilito la salvezza dell'uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dall'albero traeva vittoria, [il Maligno, autore della morte] dall'albero venisse sconfitto». Lo strumento di supplizio, fino allora oggetto di infamia, diventò per i cristiani la gloria e san Paolo non volle che gloriarsi «se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore: egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati» (Antifona d’ingresso della Messa).
 
Esaltare la Santa Croce significa richiamare insieme i due volti della redenzione compiuta da Cristo Gesù il Figlio di Dio: la morte e la risurrezione. E se le celebrazioni pasquali li presentano in due momenti distinti, la morte in croce nel venerdì santo, e la risurrezione nella domenica di Pasqua, essi costituiscono un unico mistero. Due volti dunque dello stesso mistero pasquale che i primi cristiani avevano ben compreso raffigurando non il Crocifisso ma la sola croce d’oro e impreziosita da gemme. La Croce esaltata in quanto strumento e segno di salvezza e dell’amore più grande.

La festa della Esaltazione della Santa Croce, infatti, non intende celebrare il legno dalla croce, ma il mistero d'amore che su di essa si è compiuto. Nell’Innocente Crocifisso la croce da strumento di condanna diventa strumento di salvezza in forza del dono di sé. L’atto d'infinito amore compiuto da Gesù in croce è diventato l'unico atto di amore dell'umanità redenta. «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
 
Il giovane Rabbi di Nazaret cercò di farlo comprendere al vecchio dottore della legge Nicodemo, ammiratore di Gesù e discepolo clandestino, che per non compromettersi preferiva incontrare Gesù nel cuore della notte. Nicodemo era convinto di sapere chi fosse Gesù e invece si sentì provocato a ricominciare tutto da capo, a «rinascere dall'alto», altrimenti non avrebbe potuto comprendere il mistero della salvezza e il dono della speranza in risposta all'orizzonte della disperazione. Gesù additò a Nicodemo un evento accaduto durante il cammino di Israele nel deserto. In seguito a una ribellione del popolo, l’accampamento Israelita fu infestato da serpenti velenosi.

Su comando del Signore, Mosè innalzò un serpente di bronzo e chiunque lo avesse guardato, anche se morso, avrebbe continuato a vivere. Proprio lo strumento di morte diventò così paradossale mezzo di salvezza.
Come quel serpente innalzato sul bastone, così Gesù crocifisso sulla croce portò salvezza e redenzione a coloro che credono in lui. Gesù, inchiodato e innalzato sul colle Calvario resta a braccia aperte fino alla fine del mondo «perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».
 
La figura di Nicodemo tornerà al tramonto della vicenda umana dell'Uomo di Nazareth: ne seppellirà il corpo nella sua tomba nuova dopo la tragedia del Calvario. Alla fine il vecchio Nicodemo riuscirà a rinascere dall'alto: nei giorni decisivi della passione lui sarà lì vicino al Crocifisso. Aveva compreso dal Maestro e Signore che i segni dovevano essere interpretati non più «dal basso», secondo la sapienza e l'esperienza umana, ma «dall'alto», secondo la logica e la sapienza di Dio.
 
Cari Amici
In Cristo obbediente e umiliato fino alla morte di Croce Dio ha espresso il suo amore incondizionato e infinito per l’uomo. Dio ama così; Dio si dona senza riserve per l'uomo. Dio ama l'uomo a tal punto che l'uomo stesso diventa, per la potenza della misericordia di Dio, la mèta dell’amore di Dio. Solo Dio scende realmente dalla sua condizione regale e onnipotente per farsi servo. Esaltare la croce vuol dire allora riconoscere che Dio si dona per amore dell’uomo.

La croce è l’unità di misura dell’amore di Dio. Per questo la croce diventa il simbolo e il compendio della religione cristiana. La nostra salvezza, la pienezza della nostra vita, la gioia e la pace, sgorgano da una sola fonte: la Croce del Signore Gesù Cristo. E' stato solo una questione di amore: del suo amore! Se oggi, contemplando la Croce, non ci sentiamo amati, significa che non abbiamo ancora compreso e sperimentato l'amore di Dio. 
 
L’unica parola che il cristiano ha da consegnare al mondo è la parola della Croce. Sì: l’essenza della vita cristiana sta nella contemplazione del volto di Cristo Crocifisso. La Croce è il simbolo cristiano per eccellenza, la manifestazione visibile della nostra identità. La Croce di Gesù è il centro e il fondamento della nostra fede. Per i cristiani la Croce non è stoltezza; è potenza e sapienza di Dio: "poiché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Cor 1,25). La croce è la manifestazione dell’amore di Dio. Disse Papa Benedetto XVI, alla fine della Via Crucis al Colosseo: “Guardiamo bene questo uomo crocifisso … scopriremo che la Croce è il segno luminoso dell’amore; ancora di più, dell’immensità dell’amore di Dio, di ciò che mai potevamo immaginare …” (Venerdì Santo, 2011).

La croce di Cristo è la “buona notizia” per il mondo, quella che illumina tutte le altre, quella che importa veramente. Gesù Cristo sulla Croce ha versato il suo sangue per liberare l'umanità dalla schiavitù del peccato e della morte. Perciò la Croce da segno di maledizione si è trasformata in segno di benedizione, da simbolo di morte in simbolo d'Amore che vince l'odio e genera la vita immortale.
 
Il Papa Paolo VI disse: “La croce non è del tutto scomparsa nei profili dei nostri paesaggi rurali. Riposa anche sulle tombe dei nostri morti. Non è scomparsa nelle aule della vita civile. Non è scomparsa dalle pareti di casa nostra (o almeno spero che le mode moderne non l’abbiano sfrattata di casa, per fare posto ad altro che è la vanità dell’uomo). Cristo è la pendente, morente, con il suo tacito linguaggio di sofferenza redentrice, di speranza che non muore, di amore che vince e che vive. Questo è davvero bello. Ancora, almeno con questo segno siamo cristiani. Ma poi, nelle nostre coscienze personali grandeggia ancora questo tragico e insieme luminoso albero della croce? … Noi tutti ricordiamo certamente che, se davvero siamo cristiani, dobbiamo partecipare alla passione del Signore e dobbiamo portare dietro i passi di Gesù, ogni giorno, la nostra croce. Cristo crocifisso è esempio e guida” (14 settembre 1971).
 
Negare il crocifisso o svilirlo, relativizzarlo come oggetto qualunque significa negare all'uomo di comprendere la sua reale dignità che sta, appunto, in Dio che è morto per lui. L'unico modo per poter avere la vita, e in sovrabbondanza; Dio ha amato così. Ama ciascuno, ora, così nonostante il peccato e la miseria. Questo sguardo di amore ci rende grandi. E' la dignità del vero cristiano di cui andare a fieri come Francesco d’Assisi che si sentiva gioiosamente figlio del Re.

La salvezza sta nell'Amore crocifisso che cambia la storia e la porta a compimento. Egli si è fatto peccato, come il serpente sull'asta
(Nm 21, 8-9), perché l'uomo guardando a Lui abbia salvezza e amore e non la morte che viene dal peccato. Perché l'uomo abbia finalmente il volto non più confuso ma raggiante di quella gioia intima e gloriosa di cui parla l'apostolo Pietro: “esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime”. (1Pt 1,6-9)
 
Fermiamoci oggi dinanzi al Crocifisso e in silenzio fissiamo quel Legno, e aspettiamo che ci parli. E lasciamoci accompagnare sui sentieri della verità. Meditando la croce abbiamo motivo di alimentare la speranza nella salvezza, sempre, perché l’amore che lì si manifesta è senza misura. Nella croce di Cristo si scopre un amore che ci precede, ci accompagna e ci segue sempre. Un amore che non ha misura. Un amore che chiede solo di essere accolto con fede e umiltà.
 
Permettiamo che l'amore infinito che ha innalzato il Signore percuota il nostro cuore, ci mostri la nostra realtà, la povertà e la debolezza, i peccati e la morte che portiamo dentro. Guardare attentamente il Crocifisso si rivelerà come la strada più semplice della nostra conversione. San Bonaventura afferma: “Colui che guarda attentamente [il Crocifisso] … compie con lui la pasqua, cioè il passaggio” (FF, VII, 2)».
 
Senza la forza della Croce non si può sprigionare la potenza della risurrezione! Soltanto se comprenderemo che la Croce eretta sul Calvario non è l’annuncio di un fallimento, di una vita di sofferenza e di morte, ma messaggio trionfante di vita, allora potremo cantare con la liturgia: O Crux, ave, spes unica”! “O croce, unica speranza, sorgente di vita immortale, accresci ai fedeli la grazia, ottieni alle genti la pace”!.

 
O Padre, che hai voluto salvare gli uomini
con la Croce del Cristo tuo Figlio,
concedi a noi che abbiamo conosciuto in terra
il suo mistero di amore,
di godere in cielo i frutti della sua redenzione.
 
 

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