Dottrina Sociale della Chiesa
Il principio della sussidiarietà

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Continuiamo con l'analisi dei fondamenti, delle verità fondamentali, della Dottrina Sociale della Chiesa. Dopo aver trattato alcune delle verità fondamentali della Dottrina Sociale della Chiesa come la dignità umana e il bene comune, affrontiamo ora un altro concetto fondamentale di detta Dottrina: il principio di sussidiarietà.

 

Ben ragione la Chiesa cattolica rivendica la primogenitura della sussidiarietà come proprio insegnamento in campo sociale, secondo cui esso è un elemento caratterizzante la visione cristiana dei rapporti sociali. Infatti, le società devono consentire ai singoli di muoversi liberamente per il conseguimento dei fini che sono in grado di raggiungere con le loro proprie forze, mentre le società a più ampio raggio non devono intralciare le società inferiori nel proseguimento dei fini propri: occorre invece che siano loro di aiuto.

 

Nel magistero della Chiesa il principio di sussidiarietà viene per la prima volta proposto dall’enciclica di Pio XI Quadragesimo anno del 15 maggio 1931 con una formulazione ancor oggi considerata classica, e che, quindi, nonostante il lungo tempo trascorso, merita ancora particolare attenzione.

 

Parlare di sussidiarietà è particolarmente necessario oggi, poiché di fatto si ammette, senza ulteriori giustificazioni, una sorta di statalismo della vita sociale. 

 

In modo semplice potremmo dire che secondo la mentalità statalista, in linea di principio spetta allo Stato prendersi cura di tutti, o almeno dei più importanti ambiti della vita sociale, lasciando agli individui, alle società o alle entità intermedie il compito di risolvere questioni di tiraggio inferiore. 

 

Tutte le forme di statalismo hanno come denominatore comune la preminenza e la prevalenza dello Stato nell'attività sociale, economica o culturale. Allo Stato viene dato un peso sproporzionato nella vita dei cittadini. Nei suoi gradi estremi, il suo intervento è tale che finisce per soffocare o condizionare eccessivamente la libertà delle persone. 

 

Ciò è dovuto, in gran parte, al fatto che l’esercizio della libertà è sempre “doloroso”, nel senso “che costa!”, poiché richiede una buona informazione, il dialogo nella ricerca della verità e l’accettazione di rischi talvolta importanti; assumere un certo grado di preoccupante incertezza. 

 

Il fatto è che non pochi chiedono un maggiore intervento dello Stato, senza rendersi conto che questo significa rinunciare o perdere spazi di libertà e che la convinzione che lo Stato ci dia sicurezza è, in molti casi, un invito alla pigrizia.

 

Il principio di sussidiarietà si afferma di fronte al crescente statalismo che espande in modo sproporzionato la portata del pubblico e la sfera di dominio dello Stato e minaccia di dissolvere la persona nel sistema. 

 

L’importanza del principio è successivamente posta in piena luce dalla istruzione del Dicastero per la Dottrina della Fede Libertatis conscientia del 22 marzo 1986, dove esso viene dove esso viene definito, insieme al principio di solidarietà, come “intima­mente legato” alla stessa «dignità dell’uomo» e «fondamento ai criteri per valutare le situazioni, le strutture e i sistemi sociali» (LC, 74).


Ne consegue che «né lo Stato, né alcuna società devono mai sostituirsi all’iniziativa ed alla responsabilità delle per­sone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né di­struggere lo spazio necessario alla loro libertà» (ibid., 73).

 

Nello stesso senso si pro­nuncia il documento del Dicastero per l’educazione cattolica La dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale del 30 dicembre 1988 dove la sussidia­rietà — che «protegge la persona umana, le comunità locali e i “corpi intermedi” dal pericolo di perdere la loro legittima autonomia» — è considerata quale necessario complemento della solidarietà e importante principio regolatore della vita sociale. La Chiesa è quindi particolarmente attenta alla sua applicazione «a motivo della dignità stessa della persona, del rispetto di ciò che vi è di più umano nell’organizzazione della vita sociale e della salvaguardia dei diritti dei popoli nelle relazioni tra società particolari e società universale» (La dottrina sociale della Chiesa nella for­mazione sacerdotale, 38).

 

Giovanni Paolo II interviene poi personalmente, il 10 maggio 1991, con l’encicli­ca Centesimus annus ricordando innanzitutto, a proposito di «una visione giusta della società», come «secondo la Rerum novarum e tutta la dottrina sociale della Chiesa, la socialità dell’uomo non si esaurisce nello Stato, ma si realizza in diversi gruppi intermedi, cominciando dalla famiglia fino ai gruppi economici, sociali, politici e culturali che, provenienti dalla stessa natura umana, hanno  sempre dentro il bene comune  la loro propria autonomia» (CA, 13). Di conseguenza in tutti gli ambiti si impone il rispetto del «principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune» (ibid., 48).

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ne tratta nel capitolo dedicato alla comunità umana, dove, dopo aver avvertito che «un intervento troppo spinto dello Stato può minacciare la libertà e l’iniziativa perso­nali», si enuncia il principio di sussidiarietà nella stessa formulazione adottata dalla Centesimus annus, sottolineando che esso, opponendosi «a tutte le forme di colletti­vismo», «precisa i limiti dell’intervento dello Stato.

Mira ad armonizzare i rapporti tra gli individui e le società. Tende ad instaurare un autentico ordine internaziona­le» (CCC, 1885). Vi si afferma, in sintesi, che, secondo tale principio, «né lo Stato né alcuna società più grande devono sostituirsi all’iniziativa e alla responsabilità del­le persone e dei corpi intermedi»

 

Pensiamo alle applicazioni di questo principio nei diversi ambiti della vita umana, nell'educazione, per esempio. Contro l'idea diffusa che l'istruzione sia una questione statale e l'opinione generalizzata che identifica erroneamente istruzione pubblica e statale, la Dottrina Sociale della Chiesa insegna che la competenza dello Stato in materia educativa è sussidiaria, mentre quella dei genitori è primaria

 

Lo Stato deve sostenerli nel loro compito educativo, del quale sono i primi responsabili, e intervenire quando, per qualsiasi circostanza, i genitori non possono da soli compiere il loro dovere - che è allo stesso tempo un diritto -, senza l'aiuto esterno sia della Chiesa o lo Stato.

 

Teniamo presente che, con il principio di sussidiarietà, la Chiesa non difende un modello politico liberale. La Chiesa si muove nell'ordine etico e cerca di preservare la dignità della persona e la sua libertà; chiede, come è stato giustamente detto, che “sia lasciato spazio alla sua capacità di iniziativa e di impegno sociale”.

 

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