60 anni del Concilio Vaticano II
Ad Gentes Divinitus

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Papa Francesco ha chiesto che in preparazione dell'Anno Santo del 2025
il corrente anno sia dedicato alla riscoperta dell’insegnamento conciliare

Prepararsi al Giubileo del 2025 riprendendo tra le mani i testi del Concilio Ecumenico Vaticano II
è l’impegno” che il Papa chiede a tutti i credenti come momento di crescita nella fede.


 

DECRETO SULL'ATTIVITÀ MISSIONARIA DELLA CHIESA

 
 
La vigilia dell'Immacolata 1965, penultimo giorno del Concilio Ecumenico Vaticano II, si è votato il decreto De Activitate Missionali Ecclesiae.
La data è degna di particolare rilievo: per la prima volta, nel­la storia dei Concili, appariva il tema delle Missioni. Certamente lo Schema delle Missioni è stato tra i più elabo­rati, dibattuti ed appassionanti del Concilio. Le 177 proposte da cui prese l'avvio lo schema sulle missioni, mostrano non solo quanto il problema fosse vivamente sentito nei suoi differenti aspetti, ma anche come esso fosse considerato con una notevole apertura di mente. Vi si auspicava, anzitutto, l'approfondimento dello sviluppo più ampio e più maturo da imprimere alla collaborazione di tutta la Chiesa; si chiedeva che il missionario venisse scelto e formato con miglior cura e che la sua figura venisse ridimensionata in considerazione dello sviluppo dei paesi ai quali è destinato. Si avanzavano proposte sul rinnovamento della catechesi, sull'incre­mento da dare alle scuole, sulla valorizzazione sincera e cordiale delle diverse culture con speciale riferimento alla liturgia; si auspicava una più stretta collaborazione tra le diocesi e i territori di missione, fino all'invio di sacerdoti diocesani in aiuto dell'ope­ra di evangelizzazione.
 
Come detto, l'iter del Decreto fu assai laborioso. Ma si parlò — e per la prima volta ufficialmente - - dell'attività missionaria della Chiesa in un Concilio.
Nel Concilio Vaticano I era stato previsto e preparato uno studio sul tema delle Missioni, ma non si andò al di là delle buone intenzioni, certamente per ragioni storiche e di opportuni­tà da esse derivanti. Successivamente, ma in modo prevalente col secolo nuovo, le Missioni ebbero uno sviluppo grandioso. Specialmente Benedet­to XV e poi, in maniera vigorosa il Papa delle Missioni, Pio XI, e Pio XII e Giovanni XXIII, che fu uno dei pionieri della Coo­perazione Missionaria, si occuparono dei problemi missionari, che si imposero all'attenzione universale e accesero tra i fedeli un ar­dente spirito apostolico. Dal 1926, con la consacrazione dei primi Vescovi scelti tra il Clero nativo delle terre missionarie, si iniziò l'inarrestabile movi­mento per l'istituzione della Gerarchia che dalla Cina, al Giappo­ne, all'India, al Viet-Nam, all'Indonesia, all'Africa, fece assumere alla Chiesa un aspetto nuovo. Le Missioni, pur nulla perdendo del loro aspetto eroico, assumevano una organicità, una metodo­logia, nuovi aspetti giuridici, stabilità e concretezza mai preceden­temente riscontrati.
 
La missiologia si inseriva negli studi ecclesiastici con sempre più scientifica forza, e passava dalla teoria alla pratica pastorale. La Chiesa missionaria si era fatta adulta; ai Missionari si ag­giungevano, in schiere sempre più folte, i Sacerdoti nativi e tra di essi, in numero crescente, si sceglievano i Vescovi. La grata sorpresa del Concilio Ecumenico Vaticano II fu il vedere, tra i Padri, l'imponente numero di Vescovi Cinesi, Indiani, Africani, Giapponesi, Indonesiani, Vietnamiti. Tra i Cardinali c'erano figli dell'India, del Giappone, della Cina, dell'Africa.
 
Era evidente che il tema delle Missioni doveva essere trattato in modo rispondente alle esigenze di tanti popoli e di tanti Pastori. Doveva avere solide basi dottrinali, essere in armonia con i documenti conciliari già emanati, specialmente con la Costituzio­ne Dogmatica Lumen Gentium. Doveva avere la grandiosità solenne che rese memorande le Encicliche missionarie, alle quali va riconosciuto il merito di aver dato una coscienza missionaria a tutta la cristianità. Doveva chiarire, con formula inequivocabile, il genuino signi­ficato del termine « Missione » che, negli anni più recenti, per l'accettazione di slogans, indubbiamente seducenti, ma alquanto imprecisi ed equivoci, come Comunità missionaria, tutto il mondo è missione, Cooperazione missionaria, in senso generico, avevano fatto perdere il fondamentale valore della parola missione. Missione è il portare il Vangelo nei Paesi dove il Vangelo non è conosciuto, non per inerzia o per negligenza, ma per assoluta carenza di an­nunciatori in paesi immensi, come l'Africa, la Cina, l'India, il Giappone.
 
In questi continenti, i cristiani e i cattolici sono tuttora una minoranza. Nei Paesi di vecchia tradizione cristiana, certo ci so­no miscredenti o addirittura infedeli, ma vi è una notevole diffe­renza specifica tra la colpa di questi e lo stato di quelli. Certa­mente la scristianizzazione esige rimedi adeguati ma non impove­rendo di forza ideale il lavoro specificatamente missionario. Purtroppo, il numero dei cristiani che hanno compreso il va­lore di quell'appello è ancora inadeguato. Non tutti i battezzati hanno una coscienza missionaria, e il contributo di preghiere e di mezzi che tra di essi è raccolto è paurosamente, non solo in­feriore al bisogno, ma rivelatore di assenze e diserzioni che han­no tutto l'aspetto di colpa. Scorrendo le statistiche redatte da chi ha la responsabilità della Cooperazione missionaria si fanno amarissime constatazioni. Quanto siamo lontani dai risultati ai quali pure giungono molte Comunità protestanti!
 
E spesso, invece di cercare di ottenere la universalità dei con­sensi e delle contribuzioni, organicamente realizzate, quasi come una volontaria imposta di tutti i cattolici versata alla Chiesa che sa quali siano i bisogni e le loro urgenze, dove è possibile attua­re una strategia missionaria intelligente e realizzatrice, non pochi si lasciano guidare da sentimentalismi e particolarità, da cui con­segue che una missione, o una persona, o un ente ha abbondan­za di aiuti, altri, magari contigui, versano in una deplorevole in­digenza. Sono le conseguenze di una frammentazione della organizza­zione missionaria che segue non il concetto cattolico della univer­salità, ma interessi particolari, dove più riesce chi più è abile e fortunato o ha maggiori possibilità di propaganda. Naturalmente è saggia cosa apportare modifiche e completa­menti, aggiornamenti suggeriti dalle moderne esperienze sociali, scientifiche, e il Decreto sull'Attività Missionaria ne ha tenuto ben conto, ma non allontanandosi dalle idee maestre.
 
Queste idee, che la quasi assoluta unanimità dei Padri ha chiaramente dimostrato di volere mantenere, sono contenute nei sei capitoli del Decreto Conciliare Ad Gentes.
1.      Il primo espone i principi fondamentali tratti dalla dottrina della Chiesa;
2.      il secondo chiarisce il valore e il significato genuino dell'opera missionaria della Chiesa;
3.      il terzo tratta delle Chiese particolari sorte nelle terre di Missione;
4.      il quarto si rivolge ai missionari e alla loro migliore formazione;
5.      il quinto tratta dell'or­dinamento dell'attività missionaria della Chiesa;
6.      il sesto della coo­perazione missionaria di tutto il popolo di Dio, dai Vescovi, re­sponsabili collegialmente della evangelizzazione del mondo, alle Diocesi; alle parrocchie, al Clero, agli Istituti Religiosi, alle Asso­ciazioni varie di azione cattolica, ai laici.
 
È un documento completo, ricco, che racchiude nei suoi 42 paragrafi tutta l'ansia evangelica, il sospiro di Cristo, la volon­tà della Chiesa affinché il Regno di Dio si estenda su tutta la terra e raggiunga ogni uomo, dovunque.
È luce, è forza, è grazia, è carità che lo Spirito Santo vuoi infondere nei nostri cuori perché tutti siamo degni della nostra grandezza cristiana, dell'attesa delle genti, della nostra vita comu­nitaria, senza diserzioni, senza deviamenti, senza stanchezze, per la pace, per il progresso, per la salvezza dell'umanità.
 
Il Decreto Ad Gentes fu votato da 2399 Padri il 7 dicembre 1965 e approvato con 2394 voti a favore e 5 voti contrari.
 

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