Un villaggio educativo

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Come ogni anno, di solito nella prima decade di gennaio i Sommi Pontefici ricevono in Vaticano il Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede. Papa Francesco non è mancato all’appuntamento proprio in un ora grave di tensione nell’intera regione del Medio Oriente, in seguito all’innalzarsi della tensione fra l’Iran e gli Stati Uniti.
 
In un articolato discorso papa Francesco ha richiamato  quanto la Santa Sede ha fatto nel corso del 2019 in favore della pace e della promozione umana, ma la mia attenzione è stata attirata dall’annuncio di un evento mondiale da promuovere il 14 maggio prossimo e che avrà per tema: Ricostruire il patto educativo globale.
 
Devo ammettere che lo scorso 12 settembre 2019, quando Papa Francesco con un messaggio diede l’annuncio di tale evento mondiale, non avevo prestato soverchia attenzione. Di qui la piacevole sorpresa. Nel suo messaggio il Santo Padre ha specificato che un incontro sarà volto a «ravvivare l’impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione. Mai come ora, c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna».
 
Il Papa si spinge oltre e parla con acume della costituzione di un villaggio dell’educazione, che generi una rete di relazioni umane e aperte. Tale villaggio deve mettere al centro la persona, favorire la creatività e la responsabilità per una progettualità di lunga durata e formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità.
 
Nel messaggio del 12 settembre 2019 Papa Francesco ha citato un proverbio africano, secondo cui “per educare un bambino serve un intero villaggio”.
 
Ha davvero ragione Papa Francesco quando afferma che “occorre un concetto di educazione che abbracci l’ampia gamma di esperienze di vita e di processi di apprendimento e che consenta ai giovani, individualmente e collettivamente, di sviluppare le loro personalità”.
 
Per il Pontefice “l’educazione non si esaurisce nelle aule delle scuole o delle Università, ma è assicurata principalmente rispettando e rafforzando il diritto primario della famiglia a educare, e il diritto delle Chiese e delle aggregazioni sociali a sostenere le famiglie e collaborare con esse nell’educazione dei figli”.
 
Il tema dell’educazione è vitale, fondamentale, esiziale!
 
Ma che cosa vuol dire educare oggi?
Non si tratta di ricercare facili teorie o pronte ri­sposte ai fini di attuare un'a­zione educativa che sappia risolvere le grandi attese sottese a ogni progetto e compito educativo. Non vi è nessuno che abbia a portata di mano, pronti per l'uso, indirizzi pedagogici e suggestioni psicologiche adatte a ogni circostanza. Educare è un'arte, che si acquisisce con l'esperienza, la pazienza e l'umiltà. E l'esperienza la si fa sperimentando, augurandosi di sbagliare il me­no possibile, anche se l'errore lo si deve sempre mette­re in conto!
Quanti genitori sussurrano e sospirano che al com­pito dell'educazione, al ruolo di educatori non sono mai stati preparati e formati.
Si vive spesso di buon senso, di memoria storica, di esperienze pregresse, di imitazione ed emulazione delle esperienze migliori attuate dai propri genitori.
 
Ma - si dice e giustamente - i tempi sono cambiati; la cultura non è più quella di una volta. È cambiata la società in modo repentino, impreve­dibile e con essa l'istituzione familiare, che della so­cietà è la cellula prima e vitale.
E poi - si dice, sempre giustamente - la famiglia, ormai, si trova pressoché quotidianamente a dover op­porre resistenza alle suggestioni che provengono da altri ambiti istituzionali e sociali; la scuola, il tempo li­bero, le amicizie, i messaggi radiotelevisivi e dei mass-media in genere... Vi sono poi i momenti difficili, dati dalla psicologia dell'età evolutiva degli adolescenti e dei giovanissimi, con i loro lunghi silenzi, la loro apa­tia, la loro apparente indifferenza di fronte alle realtà anche forti della vita.
 
Non manca il disorientamento degli stessi educato­ri, che denunciano i propri limiti, la propria perples­sità, i propri imbarazzi, la propria impreparazione in ordine alla educazione e si chiedono:
- che cosa sia giusto chiedere ai figli,
- che cosa sia giusto dare ai figli,
- che cosa sia giusto proporre ai figli,
anche a fronte di un sempre più invalso clima ge­nerale di disaffezione, di superficialità, di indifferenza.
 
Quanti genitori si domandano se è opportuno, se è giusto esigere dai propri figli, ciò che altre famiglie, al­tre istituzioni non esigono più.
Tale interrogativo non è senza fondamento e non senza qualche preoccupazione, nel sospetto che, creando diversificazione di azione educativa, i figli si sentano un poco diversi dagli altri.
Evidentemente c'è tutta una mentalità nuova da creare per combattere una cultura che vorrebbe rele­gare in un angolo i valori tradizionali. Perciò, senza avvilimenti, ripiegamenti o chiusure, senza proclamar­si incapaci occorre unire le forze e impegnarsi a sco­prire un nuovo progetto educativo.
I destinatari di questo sussidio non pensino di ri­trovare qui - come già detto - delle pronte soluzioni. Se così fosse, questo volume contravverrebbe al principio fondante dell'educazione, che non è dare ricette o predisporre indirizzi, ma « tirar fuori dall'al­tro» quella potenzialità che ogni persona possiede, quelle ricchezze di cui è dotato ogni individuo, quel tesoro nascosto che è nel cuore di ogni personalità.
Queste pagine sono solo una provocazione a riflet­tere, un modesto esame in ordine agli atti educativi che quotidianamente si compiono per coglierne l'ori­ginalità e la conseguente revisione di vita.
 
CHE COS'È L'EDUCAZIONE?
 
La questione dell'educazione e dell'educare è anti­ca quanto l'uomo. L'uomo, infatti ha bisogno di edu­cazione, perché al momento della nascita egli possiede un ampio bagaglio di informazioni genetiche, sociali, culturali, psicologiche che - nel corso degli anni - è chiamato a sviluppare per un armonioso adattamento all'ambiente e alla storia.
Da questa sommaria presentazione potremmo for­mulare tre considerazioni in ordine al concetto di edu­cazione.
1. L'educazione è una azione che tende a sviluppa­re ciò che nell'uomo è già costituito.
2. L'educazione è un intervento inteso ad attualiz­zare le potenzialità native dell'individuo, adattandole concretamente ai modelli socio-culturali dell'ambiente sociale in cui l'individuo vive.
3.  L'educazione è un processo volto a promuovere concretamente la realizzazione dell'individuo in modo completo e armonico.
Una sintesi straordinaria dell'azione educativa l'ha formulata Antonio Rosmini, quando scrisse che educa­re vuoi dire «rendere l'uomo autore del proprio bene».
 
Come si può notare, la realtà dell'educazione si descrive assai meglio esplicitandone i fini, piuttosto che ricercare una definizione nominale.
Essa «deve promuovere la formazione della persona umana, sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene delle varie società, di cui l'uomo è membro e in cui - di­venuto adulto — avrà mansioni da svolgere» (GE 1). L'educazione è, quindi, la formazione della perso­nalità globalmente considerata, tentando di armoniz­zare - in un tutto unificato - i diversi aspetti costitutivi della persona che cresce in un determinato contesto culturale. Educare, dunque, significa impegnare e orientare in esperienze che promuovono l'autosviluppo comple­to ed armonico della dinamica interna della persona­lità, definendola e differenziandola in relazione alla di­versa situazione sociale e all'influenza esterna dell'am­biente. L'educazione - in sostanza - è un processo ra­zionale di formazione che si compie mediante certe esperienze sociali e che mira a un risultato.
 
Tutto ciò suppone il succedersi delle trasformazio­ni o modificazioni, o innovazioni che avvengono nelle funzioni del comportamento dell'educando, in ordine allo sviluppo della sua personalità.
Mediante un tale processo l'educando sviluppa le sue qualità, acquisisce capacità, abitudini e modi di agire, che gli consentono di vivere da uomo nel suo ambiente. L'azione educativa tende alla valorizzazione pro­gressiva dell'identità di ciascun individuo mediante la legge della gradualità. Il piano educativo, quindi, ha come punto di par­tenza l'identità infantile e come obiettivo la sua pro­gressiva ristrutturazione verso una sempre maggior af­fermazione di sé, per una sempre maggior apertura all'alterità.
 
Una positiva azione educativa non può che com­prendere tutti gli aspetti della personalità in formazio­ne e li considera non isolati fra loro, ma tra loro com­plementari e in connessione con i rapporti sociali.
Si è accennato alla legge della gradualità.
Nell'opera educativa infatti, occorre avere la gran­de pazienza di saper individuare i bisogni e le esigenze dell'educando, conoscendoli profondamente. Nessun buon educatore si prefigge un programma educativo e lo impone. Questo non sarebbe educare! L'educare suppone un conoscere l'educando; cono­scere le sue attitudini, i suoi interessi, le sue inclinazio­ni naturali. Quante volte i genitori affermano: « Ai miei figli ho riservato lo stesso trattamento, lo stesso modo di fare, le medesime attenzioni e le reazioni e i risultati sono stati differenti ». Non poteva che essere così! I figli sono sì figli, ma sono estremamente diffe­renti tra loro; e per ciascuno deve essere individuato un diverso progetto educativo.
È in questo, precisamente, che l'arte dell'educazio­ne si fa complessa e a volte difficile.
 
EDUCARE ALL’UMANESIMO
 
Dice Papa Francesco: “Ogni cambiamento, come quello epocale che stiamo attraversando, richiede un cammino educativo, la costituzione di un villaggio dell’educazione  che generi una rete di relazioni umane e aperte. Tale villaggio deve mettere al centro la persona, favorire la creatività e la responsabilità per una progettualità di lunga durata e formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità”.
L'educazione - lo si è visto ampiamente - non è so­lo e/o prima di tutto una cultura o una tecnica, anche se da questa viene influenzata. Certamente la proposta di una educazione oggi appare assai più complessa di ieri nelle nostre fa­miglie. Non soltanto sono scomparsi usi e consuetudini di profonda matrice antropologica anche di ispirazione cristiana; l'agire, il comportarsi è diventato sempre meno ispirato da sen­timenti e princìpi di fraternità, di solidarietà e di giustizia. Questo cambiamento di mentalità - assai spesso le­gato a una forma di inculturazione dovuta ai fattori più diversificati – produce una graduale emarginazione di ciò che per mol­to tempo ha influenzato la vita e la struttura dell'esisten­za stessa: valori, significati, senso della vita, senso della solidarietà e  della prossimità.
 
Fino a non molto tempo fa la vita della nostra gente era scandita da ritmi antropologici carichi di valori: la presenza della chiesa, la scuola, agenzie educative il ritmo religioso. Tutto ciò supportava, in un certo sen­so, una mentalità e uno stile di vita; era un richiamo! Oggi, non senza l'affermarsi di un evidente proces­so di secolarismo e della dittatura del relativismo, dovuto a fattori tra i più diver­si, lo statuto fondamentale e il parametro della società e della stessa famiglia è mutato. Questa situazione di fatto, rende più arduo e complesso il mantenimento di un certo senso etico e lo stesso coniugare il processo educativo con la pro­posta di una educazione ispirata a un autentico umanesimo si fa difficile. L'educazione ispirata all’umanesimo e a valori etici ha contenuti e fina­lità specificatamente.
 
L'educazione è anzitutto scuola di uma­nità. Se educare - come s'è detto - significa tirar fuori da una persona quello che già contiene in germe e po­tenzialità, la vera educazione ha lo scopo di promuo­vere la formazione della persona umana intesa in senso globale. In questo senso l'educazione ispirata all’umanesimo cristiano è vera edu­cazione, perché non solo si riferisce alla parte etica e morale dell'individuo, ma altresì ai valori umani fondamentali che costituiscono la dignità e il fine del­l'uomo: la dignità e i diritti dell'uomo, quali la vera libertà, la giustizia, la solidarietà, la carità, la pace, l'ordine so­ciale, ecc. Purtroppo nel suo itinerario feriale, l'uomo perde di vista i valori: li smarrisce, li confonde o li manipola, forse per como­dità o opportunismo.
 
La storia umana è stata un susseguirsi di insuccessi dal punto di vista della realizzazione del fine dell'uo­mo. Non è che nella storia e nella cultura umana manchino i valori, ma è la loro pienezza e continuità che viene meno e fa risaltare il bisogno di uno che mostri, con autorità e chiarezza, una strada che non sia solo umana, soggetta, cioè, a limiti e/o errori. Un'educazione profondamente umanistica e globale, in ultima analisi, si basa sulla formazione della coscienza. La for­mazione di personalità adulte non è possibi­le, se non parte dalla coscienza della verità, cioè dalla consapevolezza di essere portatori di ve­rità. Scrisse Giovanni Paolo II: «L’educazione della co­scienza morale che rende ogni uomo capace di giudicare e di discernere i modi adeguati per realizzarsi secondo la sua verità originaria, diviene così una esigenza priorita­ria e irrinunciabile » (FC 8). Mediazione e critica sono variabili essenziali per l'au­tentica formazione dell'uomo. A ben vedere esse possono essere ancora definite inte­grazione e discernimento, che sono i due aspetti essen­ziali dell'educazione.
 
Integrazione significa l'accoglienza di tutti i germi del bene e della verità, dovunque si trovino. Si tratta di essere capaci di discernere ciò che serve all'uo­mo e ciò che lo distrugge. Questo discernimento è assai significativo. È ad esso che, con umiltà e fiducia ogni uomo si rivolge ogni giorno per agire con prudenza. Il discernimento appare, pertanto, come punto determinante dell'educazione all’interno di un villaggio educatico; esso con­sente di incarnare ciò che di meglio vi è in ogni civiltà e in ogni epoca, a promuovere e a incarnarsi di questo fondo comune dell'umanità vissuta nelle diversità del­le culture.
 
IL RUOLO DELL'EDUCATORE
 
Colui che, a titoli differenti, si assume la responsa­bilità dell'azione educativa non può sottovalutare mai che ogni educando va sempre considerato come perso­na: cioè come soggetto originale e irripetibile. Ecco perché, si diceva, che ogni individuo necessi­ta di un proprio itinerario educativo. Tra i diversi modelli pedagogici che propongono le scienze dell'educazione, quello che maggiormente può sembrare più adatto appare essere il modello non di­rettivo.  Che cosa significa?
Per modello non direttivo si intende la rinuncia ad assumere una qualsiasi direzione del processo educati­vo, per puntare unicamente sul valore che la relazione stabilita con l'educando assume in termini di sostegno e di rilancio delle capacità individuali di sviluppo au­tonomo.
Con una descrizione plastica si potrebbe dire che l'azione educativa non direttiva è paragonabile a un educatore che con pazienza e disponibilità cammina al­le spalle dell'educando, con le braccia tese, senza imbri­gliarlo e quasi senza farsene accorgere, pronto a soste­nerlo in caso di inciampo o di caduta.
Si tratta, come si deduce dall'esempio, di lasciar camminare il soggetto lungo le strade della vita, sperimen­tando la quotidianità delle esperienze, non sostituen­dosi a esso, consentendogli di vivere, pronti, tuttavia a intervenire energicamente e anche con determina­zione in caso di pericolo.
 
L'intervento, anche quello dei genitori è educativo, quando non si pone come imperativo di cose da ese­guire o di comportamenti da acquisire, ma quando di­venta servizio per il processo di autodeterminazione e autoformazione dell'educando per aiutarlo a liberarsi dai propri condizionamenti e sviluppare la capacità di deter­minazione. L'azione educativa si esprime nella fermezza e nella vigilanza e si esercita mediante l'esempio. La funzione dell'educatore è essenzialmente una funzione di esem­plarità o meglio di testimonianza. Attraverso tale esempio l'educatore suscita nell'edu­cando comportamenti motivati dando concreta mani­festazione della propria realizzazione in ordine alla pro­pria personalità e nei confronti della realtà sociale in cui vive e opera.
 
È assai facile comprendere che sarebbe anti-educativo chiedere al proprio figlio assunzioni di responsa­bilità e/o attuazioni di comportamenti, nei confronti dei quali il genitore per primo è inadempiente. Come si può pensare di educare un figlio al rispet­to per gli altri, alla stima verso il prossimo, alla solida­rietà e alla giustizia, all'onorare gli impegni assunti, se proprio il genitore non da testimonianza concreta di ciò che chiede e propone? Viene qui in mente il proverbio, che tante volte si cita: le parole volano, gli esempi trascinano ! O ciò che ricordava, molto sovente, quel grande educatore che fu S. Giovanni Bosco ai suoi collaboratori: «Quello che più conta è la predica del buon esempio!».
 
Vi sono, poi, alcuni atteggiamenti, che certamente non favoriscono una azione educativa costruttrice di personalità. E sono atteggiamenti che mettono in di­scussione il ruolo stesso degli educatori.
1.  L’educatore iperesigente è portato a esigere una certa perfezione sulla base di un suo schema perfetti­vo, che quasi mai egli vive a fondo e in pienezza. Tale atteggiamento suscita nell'educando sintomi di ansia, insicurezza, dubbio e, non di rado, complessi di infe­riorità, in quanto non si sente mai all'altezza di quanto gli si chiede, perché da lui si esigono spesso compiti più alti delle sue capacità.
2.  L’educatore iperindulgente soddisfa ogni minimo desiderio, gratifica e accontenta in ogni modo. Pronun­cia delle affermazioni, detta degli orientamenti da os­servare, ma poi non sa resistere alle richieste del sog­getto e cede. Il risultato sarà quello di aver contribuito a formare personalità incapaci di qualunque scelta che costi il benché minimo sacrificio. Tali soggetti preten­deranno tutto e subito e lo chiederanno anche con ar­roganza e prepotenza.
3. L’educatore identificatore dimentica che ogni in­dividuo è persona unica e irripetibile, dotata di perso­nalità propria e costringe l'educando a conformarsi pas­sivamente e in modo remissivo ai desideri e ai voleri
dell'educatore. Un tale progetto educativo, se così lo si può chia­mare, non sortirà alcun buon risultato, anzi: l'indivi­duo sarà quasi sicuramente un soggetto privo di pro­pria capacità di discernimento e di valutazione.
4. L’educatore svalutatore svaluta l'educando nelle sue capacità creative, nelle sue qualità intellettive, fisi­che, etiche, sociali, minimizzando o ridicolizzando i ri­sultati conseguiti, con la triste conseguenza di aver trasmesso un forte senso di inferiorità e di insicurezza, e a tratti anche di disistima personale.
5. L'educatore antagonista è colui che in qualche modo respinge l'educando, anche con sottili e perico­losi giochi psicologici di derisioni, di rifiuto, di emar­ginazione. Con il risultato di ingenerare sentimenti di abbandono, con conseguente aggressività per essere ac­cettato.
Ma qui concludiamo questa prima panoramica, forse un poco tecnica, relativa all'educazione e al ruo­lo degli educatori, per considerare un altro aspetto della dinamica educativa: quello del metodo.
 
IL METODO EDUCATIVO
 
Ha scritto L. Evely nel suo Educare educandosi: «L'e­ducazione è un'arte: ciò che essa richiede di più è previ­denza e tatto. Dimenticando le proprie ambizioni, i pre­giudizi personali, l'educatore si mette appassionatamen­te al servizio di colui che vuole educare». Non è certo impresa facile proporre un metodo edu­cativo. Sia perché, lo si è detto, nell'educazione non ci sono facili ricette; sia anche perché i modelli pedagogi­ci, oltre che, rispondere a certe sensibilità, si configu­rano molto e in un certo senso sono mediati da cor­renti ideologiche di differente orientamento. Pur tuttavia, nell'economia di questo servizio, una propo­sta sembra doveroso formularla. Mi riferisco al sistema preventivo di S. Giovanni Bo­sco, pur non disattendendo il fatto che egli aveva pre­valentemente, quali destinatari, giovani in situazione istituzionalizzata: i celebri oratori. Il nostro itinerario, invece, si riferisce a una realtà educativa in genere.
 
Il sistema preventivo fonda la sua peculiarità sul­l'attenta preoccupazione per gli individui, le singole personalità degli educandi, ciascuno dei quali è al cen­tro di un processo educativo fatto di inviti, proposte, possibilità, scelte, decisioni. Don Bosco era solito ripetere: «Lasciate ai giovani piena libertà di parlare di cose che maggiormente loro aggradano: il punto sta di scoprire in essi i germi delle loro buone disposizioni e procurare di svilupparli. E poi­ché ciascuno fa con piacere soltanto quello che sa di po­ter fare, io mi regolo con questo principio e i miei giova­ni lavorano tutti non solo con attività, ma con amore». Secondo gli insegnamenti del santo di Valdocco la confidenza, la fiducia, l'amore, la collaborazione, sono le condizioni per ogni autentico rapporto educativo.
 
La radice del sistema educativo di don Bosco è l'a­more, che nell'educatore diventa ragione e amorevolez­za e nell'educando confidenza spontanea e spontanea collaborazione.
L'amorevolezza trasforma il rapporto educativo in rapporto filiale e l'ambiente educativo in una famiglia. Perciò l'amorevolezza - nel sistema preventivo di don Bosco - è considerata come il principio informa­tore. Tutte le più diverse problematiche della pedago­gia sono affrontate e risolte dal santo dei giovani dalla sua pedagogia del cuore. Infatti ogni atto educativo de­ve essere soffuso di carità e di amorevolezza. La pratica del sistema preventivo trova fondamen­to, secondo l'espressione stessa di don Bosco, nelle parole dell'apostolo Paolo: «la carità è paziente... tutto copre, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13, 4-7).
Tutti gli studiosi del santo fondatore dei Salesiani riconoscono l'importanza e la centralità di questa ispi­razione pedagogica. Di lui si afferma di aver tentato - quasi sempre con successo - di ricostruire attorno al fanciullo lo spirito di famiglia e che ogni suo sforzo fu continuamente di­retto a ottenere nelle sue case di educazione la fusione dei cuori, ad affiatare - in una intimità di buona lega - superiori ed alunni.
 
Sulla base di tali considerazioni - e visto soprattut­to che siamo alla ricerca di un modello educativo da proporre alla famiglia, chiamata ad essere comunità educante - accostiamo più da vicino il sistema preven­tivo di don Bosco. L'amorevolezza è precisamente l'amore dell'educatore verso l'educando e mentre ten­de al progetto educativo, al tempo stesso si preoccupa che il giovane si senta amato. L'amorevolezza implica dunque la carità soprannaturale, cioè il vero e spiri­tuale amore di Dio e del prossimo.
 
Ma un secondo elemento che corrobora il sistema preventivo boschiano è la ragionevolezza, che è fatta di adattamento e di intelligente comprensione. Essa include pure l'affetto, cioè il palpito umano del­la benevolenza e dell'affezione. A ben vedere don Bo­sco ha calibrato con giuste dosi l'azione educativa, la quale è essenzialmente azione della ragione. Infatti, chi si propone come guida, deve possedere la chiarezza delle idee e della verità e non cedere alla suggestione emotiva o alla pressione del sentimento. Es­sere ragionevoli - nell'orizzonte educativo - significa, in sostanza, evitare stranezze, avere buon senso, usare semplicità e naturalezza, evitare artifizi. Don Bosco, infatti, chiede all'educatore un amore equilibrato, aperto, razionale. Questa prima e fonda­mentale esigenza educativa non permette di confonde­re la paternità e il cuore di cui parla don Bosco con una troppo facile e sentimentale paternità di amore, priva di contenuto.
 
Del resto, l'equilibrio tra la ragione e il cuore è il punto più difficile da stabilirsi e da mantenere in ogni prassi educativa impegnata e consapevole. La ragione sta all'inizio di tutto il processo educati­vo nella forma del preavviso leale e senza ambiguità. Il ragazzo deve sapere prima chiaramente ciò che deve fare e deve esser aiutato a ricordarlo. Per questo, nel sistema preventivo di don Bosco, una costante è quella del continuo e insistente - anche se garbato - preavviso. Ma non è sufficiente preavvisare. Occorre che la ra­gionevolezza sia anche condivisa dall'educando, sino a diventare coscienza di una effettiva e personale respon­sabilità. Il metodo della ragione è insieme il metodo della persuasione e del convincimento.
 
Nel suo sistema educativo, don Bosco raccomanda di farsi amare e non di farsi temere. Non omette mai di raccomandare la carità, i modi affabili e - in certi casi - anche la tolleranza nell'esigere l'obbedienza. La disciplina è per il grande educatore obbedienza a un ordine razionale, al quale tutti sono tenuti.  
Anche la correzione deve essere permeata d'amore. «La carità e la pazienza - ammonisce don Bosco - ti accompagnino costantemente nel comandare, nel cor­reggere e fa' in modo che ognuno dei tuoi fatti e delle tue parole conosca che tu cerchi il bene delle anime». Don Bosco vuole che le correzioni, a eccezione di rarissimi casi, non siano mai date in pubblico, ma privata­mente e lungi dalla vista dei compagni. Egli esorta a usare la massima prudenza per fare sì che il giova­ne comprenda il proprio torto con la ragione e la reli­gione.
Il trinomio ragione, religione, amorevolezza trova così un'applicazione concreta anche nei momenti più deli­cati dell'opera educativa. Di grande valore psicologico e pedagogico è l'at­teggiamento che Giovanni Bosco consiglia riguardo al­la paziente attesa da adottarsi prima della correzione. Il santo nelle sue Lettere ai giovani ammoniva: «I mezzi coercitivi non sono mai da adoperarsi, ma sempre e solo quelli della persuasione e della carità. Il castigo non è dato se non dopo aver esauriti tutti gli altri mezzi e se c'è speranza di qualche profitto per l'interessato. In ogni caso, deve essere ragionevole e amabile nel tempo e nel modo ».
 
Anche se sono trascorsi oltre cento anni dalla mor­te di questo grande educatore, i suoi princìpi fontali non hanno perso nulla della loro efficacia e tuttora ri­mangono validi itinerari per una adeguata e costrutti­va azione educativa.
Tradotti e trasferiti nell'ambito familiare, essi pos­sono contribuire alla ricerca di un metodo - educati­vo, non sempre facile da trovare, per una armoniosa e serena prassi educativa.
 
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