Le lacrime del fratello

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Con la lettera enciclica Fratelli Tutti il Santo Padre Francesco ha lanciato un appello pressante a vivere una fraternità concreta e veramente universale; messaggio tanto più urgente, quanto grave e impellente è la crisi di solidarietà soprattutto verso ogni categoria di “povero” e “ bisognoso”. La memoria liturgica di San Martino facilita la nostra riflessione. La tradizione narra che nel  rigido inverno del 335 d.C. Martino abbia incontrato un mendicante seminudo. Vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il povero. La notte seguente Martino vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello.

La chiamata alla fratellanza, ovviamente, non è nuova. E’ risonata nel nostro mondo da duemila anni con l'inizio del cristianesimo. In altre parti del mondo, più o meno chiaramente,  la fratellanza è annunciata anche da altre confessioni religiose. Ha acquisito la sua carta di identità nella sfera culturale e politica da circa due secoli e mezzo con l'arrivo dell'Illuminismo e della modernità in generale.
 
Tuttavia, siamo molto lontani dal vivere la fratellanza universale e superare «le ombre di un mondo chiuso» e conflittuale e rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale che viva l’amicizia sociale
L’enciclica di Papa Francesco nel primo capitolo, Le ombre di un mondo chiuso, elenca le grandi lacune e le negazioni di fatto della fraternità sia nella nostra vita concreta e sia nel campo delle relazioni internazionali. Ognuno potrebbe continuare l’elenco avviato dal Papa e fornire chiari esempi di mancanza di vera fratellanza.
 
Due osservazioni mostrano la gravità della mancanza di fraternità. Il primo aspetto è da ricercarsi nell’aggettivo "universale". La fraternità aperta a tutti è la più difficile. Infatti, è relativamente facile sentirsi fratello di qualcuno che condivide legami di sangue, affinità di gusti e hobby, di idee e di cultura ... È molto più difficile trattare come un fratello chi consideriamo distante o estraneo. In secondo, luogo tutto diventa ancor più complesso e complicato quando "l'altro-che-è-mio-fratello”soffre. Ed è proprio allora che l’esigenza di fraternità si dovrebbe fare più pressante.
 
E molto spesso cerchiamo una giustificazione con la domanda: che cosa c'entro io con l'altro, qualunque egli sia? Più precisamente: che cosa c'entro io con le lacrime di mio fratello? È la grande domanda che è risonata all'inizio della nostra storia: «Il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?»  (Gn 4.9). Caino volle scappare negando ogni dovere di fratellanza.
 
Qualcuno dirà che la domanda «dov'è tuo fratello?» è presente nel racconto biblico poiché Dio intendeva mettere in evidenza la responsabilità criminale di Caino. 
Ma la stessa domanda rivolta da Dio a me, a te fratello e sorella che mi leggete, che senso avrebbe per ciascuno?
Rispondiamo a questa domanda sinceramente e onestamente.
Se analizziamo la correlazione di cause ed effetti che legano la nostra convivenza sociale, chi può dire che non ha assolutamente nulla a che fare con la crisi e la sofferenza degli altri? Chi può considerarsi libero da responsabilità, quando i nostri errori e le nostre mancanze non sono solo dovuti ad azioni, ma anche a omissioni? Quale gravità il peccato di omissione! Ossia non fare il bene che potrei/dovrei fare! 
 
D'altra parte, tutto è più chiaro, se applichiamo criteri evangelici per valutare la nostra vita. Dio, Padre di Gesù Cristo, non ci vede mai come individui isolati, ma sempre legati da vincoli di fraternità, proprio perché Egli è nostro Padre, Padre di tutti, e da Lui ereditiamo la capacità di amare come Lui ci ama.
 
Le lacrime del fratello, che Dio stesso condivide in Gesù Cristo, nello stesso Cristo anche sono nostre! Devono essere nostre, perché siamo vincolati al fratello con legami che nascono dal cuore di Dio e affidati ​​alla nostra volontà di amare responsabilmente.
 

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