La Santa Messa
Riti di conclusione

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Mentre la Messa finisce, si apre all'impegno della testimoniana cristiana.
Dalla celebrazione alla vita, dunque, consapevoli che la Messa trova compimento nelle scelte concrete di chi si fa coinvolgere in prima persona nei misteri di Cristo. I frutti della Messa, pertanto, sono destinati a maturare nella vita di ogni giorno.
 
 
I riti di conclusione, con la benedizione del celebrante e il congedo concludono la celebrazione eucaristica. Come all’inizio c’è il saluto del sacerdote, così egli rivolge saluto finale che è uguale a quello dei riti di ingresso: “Il Signore sia con voi”…
A questo saluto conclusivo segue la benedizione. Nel nome e con la benedizione della SS. Trinità siamo inviati a donare a tutti l'amore di Dio. In alcuni giorni e in certe circostanze si può arricchire e sviluppare con una formula solenne di benedizione sul popolo. Si tratta di una triplice benedizione a cui si risponde “Amen”. «La Chiesa quando benedice, agisce su mandato del Signore risorto e in virtù del suo Spirito, da lui concesso come aiuto permanente. Essa loda Dio per i suoi doni. Invoca la sua benedizione sugli uomini e su ciò che essi creano e che serve loro» (Benedizionale).
 
La benedizione finale implora la protezione del Padre, del Figlio e dello Spirito su di noi che stiamo per ritornare alle nostre case e ai nostri compiti.
Quando si benedice nel nome del Signore viene assicurato il suo aiuto, annunziata la sua grazia, proclamata la sua fedeltà all’alleanza.
La benedizione conclusiva sottolinea che la Chiesa attinge la grazia e la forza dal sacramento dell’Eucarestia e per la partecipazione all’Eucarestia diventa sacramento universale di salvezza.
 
Nella Bibbia la benedizione di Dio è per compiere opere feconde di vita. Il Signore non ci consegna i doni già bell’e fatti ed impachettati; il Signore ci benedice affinché l’opera delle nostre mani sia capace di generare cose nuove. Egli ci assicura la sua grazia, la sua creatività dentro la nostra vita. Quindi, noi saremo ‘benedizione’ del Signore quando porteremo la speranza ai delusi, quando offriremo la tenerezza e la benevolenza di Dio agli smarriti di cuore. Il Signore ci avvolge e ci protegge con il suo amore Trinitario affinché anche noi diventiamo capaci di abbracciare e di proteggere.     
Alla benedizione si fa il segno di croce e all’annuncio della fine della Messa si risponde con gioia e spirito di gratitudine nei confronti di Dio. Il sacerdote allora bacia l’altare come all’inizio della Messa e fa la genuflessione all’Eucaristia custodita nel tabernacolo se è presente nel presbiterio.
 
Il congedo da parte del sacerdote costituisce un ultimo ammonimento a vivere ciò che si è celebrato. Si tratta di custodire la grazia ricevuta nel sacramento, affinché porti frutti nella vita cristiana di ogni giorno. Perciò con il tema del congedo è collegato il grande tema del rapporto tra liturgia ed etica, intendendo quest'ultima nel senso più ampio possibile (vita morale nella carità, testimonianza, annuncio, missione, martirio). Il fatto che il congedo non sia a sé stante, ma che sia collegato e derivi dalla benedizione, dice che in questo impegno non siamo soli: il Signore ci accompagna ed «opera con noi» (cf. Mc 16,20) e perciò la nostra vita può essere il «culto logico» gradito a Dio (cf. Rm 12,1-2; 1Pt 2,5).
 
“Andate in pace!” La formula lapidaria Ite, missa est è intraducibile, perché depauperata del suo significato di imperativo (ite), che vincola i partecipanti all’Eucarestia all’impegno di annunciare. Missa est ritiene il senso di compimento del mandato. Questo non vuol dire che abbiamo esaurito il nostro dovere di cristiani partecipando alla Messa, bensì che la nostra missione comincia adesso, col diffondere tra i nostri fratelli la Parola di Dio.
La Messa è finita e si torna nella vita di ogni giorno, lieti dei doni ricevuti. Le parole di commiato del sacerdote riecheggiano quelle di Gesù: “Andate e annunciate il Vangelo ad ogni creatura”. Sono un esplicito invito a impegnarci nel mondo, a essere missionari all’interno delle nostre famiglie, sul lavoro, a scuola, nel tempo libero, con i vicini di casa… Pace è il dono del Risorto agli undici nel cenacolo. E anche qui, al termine della Celebrazione, siamo davanti ad un dono più che ad un augurio e ad un invito. Pace è benessere, felicità, salvezza, giustizia; pace è esperimentare nella vita quotidiana il cuore di Dio a nostro favore. Noi siamo gli ‘operatori di pace’, i ‘beati’.

 
‘Andate, è la vostra missione’; andate, questo è il vostro compito; andate, adesso celebrate la vita secondo l’Eucaristia che avete vissuto. Paradossalmente, la Messa inizia proprio quando il sacerdote che presiede congeda l’assemblea. È probabile che la parola ‘Missa’ trovi la sua origine nel latino ‘mittere’ (mandare, inviare). Quindi Messa significa anche ‘invio’, ‘missione’.
Si scioglie l’assemblea, perché ognuno ritorni alle sue occupazioni lodando e benedicendo il Signore.
Ite missa est!
Tutti sono missi (mandati), cioè, inviati nel mondo ad annunciare, con la forza di quel cibo, che il Regno dei cieli è vicino, si compie la promessa antica, il Messia risorto vi associa alla sua risurrezione, fino al giorno della sua venuta.
 
Non, quindi, annuncio di compimento, di fine: ma inizio di una missione, che trae dall’Eucarestia la forza per intraprendere nuove strade, con nuova energia.
La Messa non finisce, non si compie, ha un’apertura ed una chiusura, ma al contrario delle cose umane l’inizio è introduzione nel contesto della lode, la conclusione è passaggio dal celebrare al vivere, dal contemplare all’annunziare, dal culto al Dio dell’amore all’amore-carità verso tutti.
 
Ora occorre vivere ciò che si è celebrato nella fede.
La Messa deve diventare vita, amore, missione. La vita di Cristo viene "spezzata" per noi e anche noi dobbiamo offrirla, donarla, "spezzarla" per gli altri. Senza questa risposta personale non possiamo dirci pienamente e consapevolmente cristiani.
 
Ora occorre vivere ciò che si è celebrato nella fede. La Messa deve diventare vita, amore, missione. La vita di Cristo viene "spezzata" per noi e anche noi dobbiamo offrirla, donarla, "spezzarla" per gli altri. Senza questa risposta personale non possiamo direi pienamente e consapevolmente cristiani. Giovanni Paolo II ripeteva spesso che la Messa è il cuore della sua giornata. É così anche per noi? Se non amo la Messa vuol dire che non amo veramente il Signore. I santi lo insegnano. Ripeteva san Pio da Pietrelcina: "È più facile che la terra si regga senza sole che senza Messa.
 
Lasciando l’altare sul quale Cristo si è reso sacerdos et hostia al Padre in remissione dei peccati e tornando sulle strade degli uomini per annunciare e rendere testimonianza all’amore della Sante e beata Trinità facciamo nostra una straordinaria preghiera tipica della liturgia che il rito siriaco e maronita fa recitare al sacerdote, prima di lasciare l’altare.
 
Rimani nella pace, altare santo del Signore.
Io non so se mi sarà dato di ritornare a te,
ma il Signore mi conceda di rivederti
nell’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli;
poiché in quest’alleanza io ripongo la mia fiducia.
 
Rimani nella pace, altare santo e santificatore.
Il corpo ed il sangue che ho ricevuto da te
mi ottengano la remissione dei peccati e la sicurezza
davanti al tremendo tribunale del nostro Signore e Dio,
per sempre.
 
Rimani nella pace altare santo di Dio, mensa della vita.
Intercedi per me, perché io non lasci di pensare a te,
ora e nei secoli dei secoli.
Amen.
 

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