Il cammino e la meta

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Solo coloro che hanno chiara la meta sanno scegliere accuratamente l’itinerario. Potremmo sintetizzare così il messaggio del Vangelo di questa domenica. L’evangelista Marco presenta Gesù che «andava per la strada». La strada è un simbolo della vita di Gesù e della vita degli uomini. Mettersi in cammino è l'atteggiamento sapienziale di chi cerca la felicità in una vita pienamente realizzata.  Gesù camminava verso Gerusalemme dove si sarebbe compiuta la pienezza della sua esistenza morendo e risorgendo per la salvezza di tutti gli uomini. 
 
Un uomo «gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui» gli pose la domanda più trascendentale della vita: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Conosciamo tutti il racconto. Gesù gli presentò il cammino morale dei comandamenti di Dio. L'uomo confessò di averli rispettate sin dalla sua giovinezza. Il Maestro fece un passo avanti e lo invitò a vendere i suoi beni, dare tutto ai poveri e seguirlo. Di fronte a questa richiesta, l'uomo «se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni»
 
Non ci viene detto in che cosa consistesse la sua proprietà o quale fosse lo scopo della sua vita attraverso quei beni. Se ne andò solo e triste. Il desiderio di ereditare la vita eterna è stato soffocato dai beni di questo mondo.
Gesù colse l'occasione per illuminare i suoi discepoli sulla difficoltà che la ricchezza comporta nel raggiungere la meta desiderata: beni deperibili o vita eterna? Gioia vera o tristezza dell'effimero? 
 
Codesto buon uomo del Vangelo scomparve senza lasciare traccia, come fantasma che è servito per porre ai lettori la questione cruciale dell'esistenza. 
Certo, occorre riconoscere che la preoccupazione e l’inquietudine per la vita eterna è rara nella società odierna. Viviamo immersi nei nostri desideri più immediati, contingenti e terreni. La questione dell'eternità non si pone con la passione dei grandi filosofi e dei saggi. Vivere è una questione del momento, è il «carpe diem» dell'appagamento immediato dei desideri più primari e piacevoli. 
 
Tuttavia, l'uomo non può - o non deve? - dimenticare che è in cammino. Ogni giorno che passa è un giorno in meno, e a mano a mano che la meta si avvicina la domanda si fa più pressante: dove sto andando? Qual è la mia meta? È impossibile mettere a tacere il grido dell'anima circa il suo destino.
Gesù non solo incoraggiò le persone a porsi questa domanda - a che serve guadagnare il mondo intero se si perde se stessi? - ma offrì anche la "via" che conduce alla meta. Non sorprende, quindi, che il libro degli Atti degli Apostoli definisca i primi cristiani come coloro che "appartenevano alla Via". Questa espressione compare proprio mentre Saulo di Tarso camminava alla volta di Damasco per perseguitare i seguaci di Gesù. Su quel sentiero gli apparve il Signore risorto, lo fece cadere da cavallo e lo fece suo. 
 
Questa scena sembra dirci che la Via è Cristo, come si egli stesso si definisce nel Vangelo di Giovanni. Gesù incontrò Saulo "mentre camminava" e Saulo divenne discepolo e apostolo. Ha scambiato le sue "ricchezze" — storia, formazione, titoli di gloria nel giudaismo — per seguire il Risorto. Era sulla strada sbagliata e ha trovato la vera strada: la persona di Gesù.
 
È vero che anche nella sequela di Gesù vi possono essere interessi mondani. Ne troviamo traccia proprio nel Vangelo di questa domenica che mostra l’apostolo Pietro in speranzosa ricerca di una, se pur piccola, ricompensa ricordando a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
 
E Gesù gli confermò: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
Solo questo è il cammino per giungere alla meta.
 
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