Dies natalis

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Le riccorrenze dei Santi e la Commemorazione dei fedeli defunti ci permettono alcune considerazioni che non vogliamo disattendere. Noi comuni mortali, celebriamo l’anniversario del giorno della nostra nascita. E quando si chiede ai familiari la data di nascita del familiare defunto, essi fanno riferimento al giorno della nascita. La Chiesa la pensa in maniera differente. Per la Chiesa "il giorno della nascita" dei suoi figli - il dies natalis – è il giorno della morte. Questo spiega perché quando dichiara un figlio della Chiesa santo, stabilisce – per quanto possibile -  che la memoria liturgica sia celebrata nel giorno del dies natalis, cioè il giorno della morte.


Questo approccio non è un vezzo o un desiderio di essere originali, ma risponde alla idea che la Chiesa ha della morte. La Chiesa è consapevole che l'uomo, come tutte le cose viventi sulla terra, cambia nel corso degli anni: invecchia e, infine, muore. Ma la Chiesa, a differenza di coloro che hanno una concezione materialistica del mondo e dell'uomo, professa che la morte non è la fine dell'uomo, ma l'ultima tappa del suo pellegrinaggio sulla terra e in questo mondo. E’ la fine del viaggio terreno, ma non la fine del noi stessi e del nostro essere: la nostra anima è immortale e il corpo è chiamato alla risurrezione, alla fine dei tempi.

La concezione che la Chiesa ha della morte è quindi profondamente speranzosa. Oserei dire che è persino gioiosa. La Chiesa non vede nella morte una tragedia che ci distrugge e ci seppellisce nel regno del nulla, ma la porta che ci introduce in una nuova vita, una vita senza fine. Pertanto, l'enigma più grande della vita umana, che è la morte, è illuminato dalla certezza di una eternità con Dio. Supportata da questa certezza ha sostituito il termine "necropoli" - "città dei morti" – tipico dell’impero greco-romano, con il fonema il "cimitero" o “dormitorio”. In questa prospettiva ha sostituito il termine stesso di "morte" con "sonno eterno". La gente non è morta, ma si addormentata nel Signore.


Per lo stesso motivo la comunità cristiana tratta con grande rispetto i cadaveri. Alcuni gesti liturgici sono molto eloquenti, come aspergerli con l’acqua benedetta e profumarli con l'incenso. La stessa abitudine di inumare corpi nella terra e di non cremarli fonda su questa medesima concezione antropologica. Infatti, anche se è permessa la cremazione, richiede tuttavia che la scelta non sia fatta per ragioni contrarie alla fede cristiana, alla cui base vi è la certezza di fede della risurrezione dei morti.


Questa idea della vita e della morte dell'uomo è una fonte inesauribile di consolazione. Una moglie o una madre, per esempio, non dirà al proprio coniuge o al proprio figlio "addio", ma "arrivederci", sapendo che un giorno lo incontrerà di nuovo. Il lume o il mazzo di fiori che mettiamo sulla tomba dei nostri cari esprime la convinzione della Chiesa che essi sopravvivono anche al di la della decomposizione del corpo e che ci sentiamo ad essi unti con vincoli veri e reali. Lo stesso vale per il dialogo che spesso manteniamo con essi: non si tratta di un sentimentalismo vano, ma risponde a una realtà profonda.


La comunione di vita, gli affetti e le credenze che abbiamo avuto in vita non si distruggono, ma si sublimano; motivo per cui noi preghiamo per i nostri defunti e preghiamo i nostri morti. Questa comunione è particolarmente intensa nella celebrazione dell'Eucaristia; in essa ci uniamo con legami speciali a tutti coloro che sono membra di Cristo.


La morte non è mai una commedia. Ancor meno, una tragicommedia. Per coloro che credono in Gesù Cristo, la porta della fede e della speranza ci introduce all'incontro finale con Lui e con tutti coloro con cui sia stai uniti qui in terra.
Solo per questo vale la pena di essere cristiani.