Chiamati per incontrarli, guardarli e abbracciarli

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Si celebra oggi la IV Giornata Mondiale dei Poveri con il motto Tendete la mano ai poveri (cfr Sir 7,32). 
L'amore non ammette scuse! Se siamo discepoli di Cristo e vogliamo amare come Gesù ci ha insegnato e ci ha amati, dobbiamo fare nostro il suo esempio con tutte le conseguenze. «
Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1 Gv 3, 18). 
Per noi queste parole diventano un imperativo.
 
Nell'introdurre la Giornata mondiale dei Poveri, Papa Francesco ha voluto ricordarci chiaramente che ci sono due pilastri che non possiamo dimenticare: che Dio per primo ci ha amati (cfr 1 Gv 4, 10-19) e che ci ha amati donando tutto, compresa la propria vita (cfr 1 Gv 3, 16). 
Abbiamo bisogno di una conversione seria e decisa nella nostra vita che passa anche attraverso l’incontro con i poveri che vivono al nostro fianco e che incrociamo lungo le nostre strade. Molto spesso essi “ci infastidiscono” e, abbassando lo sguardo a terra, continuiamo il nostro cammino. Dovremmo, al contrario, essere capaci di incontrare il loro sguardo e abbracciarli con qualche buona opera. 

Sarà più facile comportarsi così solo se sperimenteremo l'amore che Dio ha per noi.
Dovremo ricordare più spesso e convintamente che: Dio ti ama, lasciati amare da Lui! Ciascuno dovrebbe scoprire nella propria vita dati concreti in cui poter vedere l'evidenza dell'amore di Dio . Quando si sperimenta l'amore di Dio, si è infiammati da quell'amore e nasce l'impegno a donare e comunicare quello stesso amore a tutti coloro che si incontrano sulle strade della vita e soprattutto agli abbandonati, i soli, i disagiati. La percezione dell'amore gratuito di Dio ci conduce e ci spinge a donarlo. Nonostante i nostri limiti e i nostri peccati, quando abbracciamo la grazia e la misericordia di Dio, siamo spinti ad amare Dio e il nostro prossimo. L'amore di Dio ci fa uscire da noi stessi. Ricordiamo sempre: «chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4,20)
 
Mi hanno messo in crisi le parole dell’apostolo Giacomo e che sono assai pertinente  in questa Giornata Mondiale dei Poveri: «Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa» (Giacomo 2, 14-17). Forse in molte occasioni non abbiamo ascoltato questa chiamata con tutte le conseguenze che ne conseguono e abbiamo vissuto una relazione con un Dio apparente. Se permettiamo che queste parole penetrino nel nostro cuore, esse creeranno un tale dinamismo interiore che ci porteranno ad abbracciare chi è nel bisogno e a condividere con loro ciò che siamo e abbiamo.
 
Lo confesso: sono un grande estimatore e un appassionato del pensiero di Antonio Rosmini. Me ne ha fatto innamorare quel gran uomo che è stato Pietro Prini, filosofo italiano tra i maggiori esponenti dell'esistenzialismo cristiano e mio professore di filosofia in tempi ormai assai remoti. Tra le innumerevoli massime che conservo nella mente vi è quella davvero “profetica” della triplice dimensione della carità.
Infatti,
Rosmini divide la charitas in una triplice articolazione:
·        carità temporale, tesa a giovare immediatamente al prossimo in ciò che riguarda la vita temporale;
·        carità intellettuale, riguardante ciò che concerne la formazione dell'intelletto e lo sviluppo delle facoltà intellettive;
·      carità spirituale, tende a dare al prossimo ciò che è bene di per sé e solo bene. Quest'ultima viene suddistinta in carità morale, quando dispone l'uomo a compiere i doveri morali; e spirituale, se elevata all'ordine soprannaturale della grazia tendente a Dio.
 
Quanta triplice carità è sottesa vitalmente e trova senso e concretezza nella preghiera del Padre Nostro: quella preghiera che è uscita dalle labbra di Gesù! Dicendo “Padre nostro” mentre professiamo di essere figli di Dio, implicitamente, ma ontologicamente ci riconosciamo fratelli di tutti gli uomini e le donne che hanno Dio per Padre. A questo punto noi non possiamo far mancare la carità a nessuno dei nostri fratelli. Dobbiamo essere mani, testa e cuore che portano speranza perché versano l'olio del conforto su tutte le loro ferite sofferenti. Seguendo le orme di Gesù, con il suo amore e la sua grazia, dobbiamo essere buoni samaritani.
 
Se, dunque, vogliamo essere coerenti e non arrossire mentre pronunciamo “Padre nostro” e implicitamente ammettiamo di essere fratelli di tutti coloro che pregano così, dobbiamo essere disposti a offrire forme di aiuto, di appoggio e si soccorso ai poveri della nostra società
 
1.   Testimoniando con la nostra vita la disponibilità sincera a “tenedere la mano ai poveri . Ricordiamo la parabola del ricco epulone (senza nome!)  e del povero Lazzaro (Lc 16, 19-31). Nei ricchi vediamo l'uso ingiusto della ricchezza dal momento che provvedono solo a soddisfare se stessi senza tenere conto in alcun modo del mendicante. Il povero rappresenta la persona di cui solo Dio si prende cura. A differenza del ricco, ha un nome: Lazzaro, che significa che Dio lo aiuta . Che meraviglia: chi non vale niente agli occhi degli uomini, è prezioso agli occhi di Dio. Il testo evangelico mostra come l'iniquità terrena sia vinta dalla giustizia divina. Allora per noi c’è un invito preciso: se siamo immagine di Dio, agiamo come tali!
 
2.  Persuadendoci che l'opzione per i poveri non è un'ideologia. Papa Benedetto XVI ha sottolineato che l'opzione preferenziale per i poveri è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto uomo per noi, per arricchirci con la sua povertà (cfr. Cor 8,9). Chi vuole essere discepolo di Gesù deve condividere il suo amore per i poveri. La nostra opzione per i poveri non è ideologica, ma deriva dal Vangelo stesso.
 
3.   Rendendo i poveri protagonisti del loro sviluppo. In tal modo incoraggeremo la loro speranza. Per costruire fraternità e amicizia è necessario ridare speranza ai poveri. Quante persone e quante famiglie sono attualmente colpite dalla crisi economica e sociale? Le parole che abbiamo sentito tante volte da Gesù, «io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 35-36), devono avere per noi una validità permanente. Ma ci sono momenti in cui queste realtà dell'esistenza umana aumentano ed è più necessario andare alla ricerca di chi le soffre. San Giovanni Paolo II ha avvertito della necessità di «abbandonare la mentalità che considera i poveri — persone e popoli — come un fardello e come fastidiosi» importuni» (Centesimus annus , 28).
 

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