La mia casa è casa di orazione
Per celebrare degnamente i santi misteri

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Sono andato a fare una passeggiata fuori Roma. Ho trovato un posto tranquillo: una panca sotto un secolare olivo in un prato ben tenuto che faceva da tappeto a una piccola chiesa: piccola ma architettonicamente molto pregevole. Quasi una cappella votiva. E su quella panchina sotto l’olivo mi sono seduto. Era una giornata tersa con un sole tiepido, come tiepido è il sole di febbraio a Roma.
La visione della chiesetta mi ha subito mosso la riflessione su che cosa spesso sono le nostre chiese e le nostre celebrazioni.
 
Che siano cattedrali, basiliche, chiese parrocchiali, cappelle ... sono tutte case di preghiera che non debbono essere trasformate in luoghi qualunque.
Mi sono persuaso che i catechisti, i genitori, le stesse persone che frequentano abitualmente la chiesa debbono evangelizzare il senso e il significato del tempio come abitazione e luogo dell’incontro di Dio; luogo dell’incontro con lui nell’adorazione, nell’ascolto della sua Parola, nella celebrazione dei sacramenti, specialmente dell'Eucaristia; luogo in cui si riunisce l'assemblea cristiana, come sottolinea in modo accurato e preciso il Rito della Dedicazione della.
 
Guardando quella chiesetta molto ben conservata, curata nei particolari, mi sono detto che avrei dedicato la mia riflessione a promuovere la chiesa come tempio di Dio, casa di preghiera, casa della comunità, luogo consacrato e benedetto in cui “vive stabilmente” Gesù eucarestia. Entrando in una chiesa si dovrebbe poter contemplare e godere la sua presenza: solo Lui deve importarci! Solo a Lui dobbiamo la gloria e la lode che merita.
 
Per questo, oltre alla cura materiale dei templi: la pulizia, la bellezza, l’ordine, l’illuminazione adeguata, la buona sonorità, dovremo fare molta attenzione al silenzio. Il silenzio è necessario alla preghiera, all'ascolto della Parola, all'adorazione e alla contemplazione, all'incontro con Dio e con se stessi. Questo silenzio viene meno troppo frequentemente e indebitamente soprattutto quando si entra nel tempio, al momento del rito della pace e anche alla fine della celebrazione.
 
Quando ero un bambino, i miei genitori e gli insegnanti mi hanno insegnato a rimanere sempre in silenzio in chiesa. Ricordo che perfino nell’esame di coscienza in preparazione della confessione ricorreva la domanda: “Ho chiacchierato, riso, disturbato gli altri in chiesa?”.
Quando stavamo per arrivare alla chiesa parrocchiale i miei genitori mi facevano abbassare la voce e quando varcavamo la soglia della porta ci era imposto il silenzio. I miei genitori hanno, forse, esagerato? Al contrario. Mi hanno insegnato a stare davanti al Mistero con stupore e ammirazione. Non li ringrazierò mai per avermi educato in codesto modo.
 
Ora, però, tutto questo sembra smarrito, perduto, nel nome di una falsa socializzazione. Sono molti a entrare nel tempio come si entra in qualsiasi locale pubblico; senza nemmeno salutare il "padrone di casa", anzi: sedendosi disinvoltamente e continuando magari a parlottare con il vicino.
Credo che dovremmo iniziare da queste cose esteriori per promuovere una vera e propria catechesi liturgica conferendo ai segni e ai simboli liturgici il reale segno significante del significato. Il tempio è il luogo dove si celebra il mistero della eucarestia, dove si rivive il sacrificio incruento della crocifissione.
 
Un altro aspetto riguarda il vestito con cui si entra nel tempio che deve essere adeguato al rispetto dovuto alla casa di Dio. Quando si va all'opera, per fare un esempio, non si vestiti in qualunque modo o in modo inadeguato: orbene, perché nelle nostre chiese è permesso di entrare inadeguatamente?
  
Ma quello che particolarmente mi sconcerta è il fatto che sempre più coloro che frequentano le nostre chiese sembrano non avere acuto e profondo il senso che nel tabernacolo c’è vivo, vero, reale e sostanziale il corpo, il sangue l’anima e la divinità di Gesù Cristo.
Sempre i miei genitori mi hanno insegnato che entrando in chiesa si deve fare una accurata genuflessione mentre si saluta con venerazione e amore il Signore presente nel tabernacolo con la preghiera: “Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e divinissimo gran sacramento”.
In realtà quei pochi ragazzi che entrano in chiesa entrano esattamente come entrare nella sala giochi di un bar senza riverenza o genuflessione al tabernacolo e non si rendono neppur conto che Gesù è presente nel sacramento.
 
Non ho potuto non pensare al momento della pace e della comunione.
L’Ordinamento generale del Messale Romano approvato dalla Santa sede ha stabilito che il gesto di pace sia scambiato “soltanto a chi gli sta più vicino, in modo sobrio(n. 82). E il Papa Giovanni Paolo II nell’Istruzione Redemptionis Sacramentum, pubblicata il 25.3.2004 ha il fine di porre rimedio ad alcuni abusi liturgici, a proposito dello scambio di pace scrive: «Ciascuno dia la pace soltanto a coloro che gli stanno più vicino, in modo sobrio». «Il sacerdote può dare la pace ai ministri, rimanendo tuttavia sempre nel presbiterio, per non disturbare la celebrazione» (n. 72).
Benedetto XVI ricorda come «non tolga nulla all’alto valore del gesto la sobrietà necessaria a mantenere un clima adatto alla celebrazione, per esempio facendo in modo di limitare lo scambio della pace a chi sta più vicino» (Sacramentum Caritatis, n. 49).
Infine, la Congregazione per il Culto Divino ha disposto:
1.   Si ricorda che non è necessario invitare meccanicamente ogni volta i fedeli a scambiarsi il segno della pace, e quindi se lo si ritenga conveniente lo si tralasci.
2.  Si rileva l’opportunità che nella pubblicazione della nuova edizione del messale in corso le conferenze episcopali cambino in meglio le modalità suggerite precedentemente: passando ad esempio da gesti familiari e profani di saluto a gesti più appropriati.
3.  Si indica la necessità che nello scambio della pace si evitino: l’introduzione di un canto della pace inesistente nel rito romano; lo spostamento dei fedeli dal proprio posto; l'abbandono dell'altare da parte del sacerdote per dare la pace ad alcuni fedeli. Inoltre, si raccomanda di evitare che in alcune circostanze – come le solennità di Pasqua o Natale, i battesimi, le prime comunioni, le cresime, i matrimoni, le ordinazioni sacerdotali, le professioni religiose, le esequie – il darsi la pace sia occasione per felicitarsi o per esprimere condoglianze tra i presenti. (8 luglio 2014)
 
Quanto alla distribuzione della Comunione è molto brutto vedere come alcuni si avvicinino, senza alcuna consapevolezza e devozione, senza alcun gesto di adorazione, come qualcuno che prende un biscotto o qualcosa di simile.
Nelle prime comunità cristiane era normale ricevere il corpo di Cristo direttamente sulle mani; al riguardo vi sono numerose testimonianze, sia nell'area orientale, sia in quella occidentale: molti Padri della Chiesa: Tertulliano, Cipriano, Cirillo di Gerusalemme, Basilio, s. Beda il Venerabile e s. Giovanni Damasceno. Tutti attestano la medesima diffusa tradizione. E in questi documenti è sempre richiesto che il comunicarsi sulla mano avvenga con grande rispetto e devozione.
 
Dopo la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, attraverso l'Istruzione Memoriale Domini promulgata dalla Congregazione per il culto Divino il 29 maggio 1969, la Chiesa ha lasciato alle singole Conferenze Episcopali la possibilità di richiedere la facoltà di introdurre l'uso di ricevere la Comunione sulla mano. In Italia tale prassi è stata richiesta dalla Conferenza Episcopale nel maggio 1989 ed è entrata in vigore il 3 dicembre dello stesso anno, prima domenica di Avvento. Il testo dell'Istruzione sulla Comunione eucaristica, datato 19 luglio 1989, circa la modalità di questo ulteriore modo di ricevere l'ostia consacrata spiega: «Accanto all'uso della comunione sulla lingua, la Chiesa permette di dare l'eucaristia deponendola sulla mano dei fedeli protese entrambe verso il ministro, (la sinistra sopra la destra), ad accogliere con riverenza e rispetto il corpo di Cristo» (n° 14-15).
È importante sottolineare come occorra ricevere il corpo di Cristo sempre con fede, rispetto e adorazione. Ricordava san Cirillo di Gerusalemme nelle Catechesi mistagogiche, 5,21: «fai della tua mano sinistra un trono per la tua mano destra, poiché questa deve ricevere il Re…».
 
Il sole tiepido del gennaio romano stava tramontando. E stavano finendo anche le mie riflessioni su alcune questione che l’ammirazione della chiesetta posta in mezzo a un prato verde onorata da alcuni secolari olivi. Mi rendo conto di aver toccato solo alcuni aspetti dello stare in chiesa con riferimento al momento della Eucarestia.
 
Facciamo in odo che le nostre chiese siano rispettate per ciò che sono e essere usati per quello che significano. Non contribuiamo alla secolarizzazione della Chiesa, che è la più seria di tutte. Non dimentichiamo mai le parole di Gesù stesso: "La mia casa è una casa di preghiera". Contribuiremo se lo facciamo secondo queste minime indicazioni offerte per superare la secolarizzazione che dobbiamo assolutamente superare. In questo modo contribuiremo alla adorazione in "spirito e verità", che Gesù ci suggerisce, e adempiere a ciò che il Primo Comandamento comanda: amare Dio sopra ogni cosa.
 

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