Omelia nella 30 domenica per annum
«Il grande comandamento dell'amore»

<< Torna indietro


 Dal Vangelo secondo Matteo 22,34-40
In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». +++

Gesù si trovava a Gerusalemme e precisamente nel Tempio dove era in corso un processo tra lui e i suoi avversari. Il confronto con i capi religiosi e politici si stava facendo sempre più serrato. Farisei, Sadducei e Dottori della Legge esprimevano il loro sconcerto di fronte al Giovane Rabbi cercando di prenderlo in fallo.

Il punto di controversia del dibattito era l’identità di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio, l’origine della sua identità e, quindi, la questione circa la natura del Regno di Dio. L’evangelista Matteo presenta questo intreccio di dibattiti con una sequenza di controversie: il tributo a Cesare, la risurrezione dei morti, il Messia davidico. Per cinque volte Gesù accettò il dialogo con i farisei e i sadducei, persone alle quali non interessava la verità ma, soltanto, di trovare un pretesto valido per eliminare il Maestro che smascherava la loro ipocrisia.
 
Il Vangelo di questa XXX domenica del tempus per annum narra di un dottore della legge che interrogò Gesù «per metterlo alla prova». «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». La domanda era volutamente insidiosa; il dottore della legge ben sapeva che gli ebrei, e in particolare i farisei, erano obbligati a osservare tutti i 613 comandi contenuti nelle Scritture e ne avevano fatto un elenco che comprendeva 365 proibizioni e 248 precetti ordinati tra loro secondo una gerarchia di valori che ne determinava l’importanza talvolta con pedanteria esasperante.

L’attesa era curiosa; tra tante proibizioni e precetti che cosa avrebbe privilegiato il Maestro?
Mai risposta fu più cristallina: 
«Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente».
Amerai! Voce del verbo amare, modo imperativo, tempo futuro, seconda persona singolare. Un verbo diretto e preciso. Inoltre per tre volte Gesù ripeté l’aggettivo tutto, indicando che l'unica misura dell'amore è amare senza misura. 

E aggiunse «Amerai il prossimo tuo come te stesso». Mentre la domanda dello scriba verteva su un solo comandamento, Gesù ne introdusse un secondo, sottolineando che esso è «simile» (homoiôs) al primo. Con queste parole Gesù volle far capire che i due comandamenti in realtà costituiscono un unico precetto. “Amerai l'uomo” è simile ad “amerai Dio”. E Gesù spiazzò definitivamente l’interlocutore con l’esplicitazione: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». Ossia: dall’osservanza di questi due comandamenti dipende tutta la religiosità di una persona.

D’ora in poi le 613 prescrizioni della legge verranno messe in rapporto con quest’unico comandamento: l’intera legge trova significato e fondamento in quello dell’amore. Gesù operò un processo di semplificazione di tutti i precetti della Torah: colui che mette in pratica il solo comandamento dell’amore non solo è in sintonia con la legge, ma anche con i profeti
(v. 40).

Già nell’Antica Alleanza Dio aveva posto al centro della religiosità del popolo d’Israele l’amore verso Dio. Si legge nel Deuteronomio: Shemà Israel! Ascolta, Israele: «il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze».

E anche l’amore per il prossimo era stato stigmatizzato dai profeti nel libro del Levitico: 
«Ama il prossimo tuo come te stesso!». Gesù non rinnega nulla della prima Alleanza, ma in modo nuovo e imprevedibile la porta a compimento. Infatti aderisce all’insegnamento dei maestri farisei proponendo due comandamenti noti, ma mentre ag­giunge: «il secondo è simi­le al primo», lo fa precedere dal primo comandamento riguardante l’amore verso Dio.
 
L’amore di Dio e l’amore del prossimo diventano così la sintesi di tutti i comandamenti: essi rappresentano il loro principio ispiratore in quanto la fedeltà verso Dio si attua soltanto mediante l’impegno effettivo nei confronti del prossimo; essi inoltre danno un orientamento efficace per capire che cosa bisogna compiere per essere fedeli a Dio. È questa la pacifica rivoluzione del Vangelo: la carità verso il prossimo è importante quanto l'amore a Dio. Uno non può dire di amare Dio che non vede se non ama il prossimo che vede.
Il libro dell’Esodo che viene proclamato nella prima lettura concretizza e traduce in opere l’amore verso il prossimo: l’attenzione verso lo straniero, l’orfano, la vedova, il forestiero; verso chi sta in difficoltà anche economica; bandire l’usura …

Cari Amici
Siamo coscienti della novità cristiana a cui siamo chiamati?
Siamo coscienti della "differenza cristiana" che qualifica l'identità della Chiesa?
La cifra è l’amore senza misura.

È esigente il pensiero di Gesù! Sono sempre radicali le condizioni per seguirlo.
Difficile e impegnativo l’amore. E noi siamo tutti digiuni dell’arte di amare.
Quando diciamo alla persona amata: “io ti amo”, non abbiamo la nostra soddisfazione fin quando l’altro/a non ci dirà: “anch’io ti amo”. E in questo bisogno, in questa attesa è iscritto tutto il nostro egoismo, tutta la nostra incapacità d’amare e d’amore.

Chi ama lo fa in maniera unidirezionale; l’amore è a senso unico.
Chi ama per ricevere amore, non ama!

A buon diritto il Maestro Gesù ha posto nella legge dell’amore tutta la legge e tutti i profeti.

Difficile per noi comprendere fino in fondo questa parola. Come si fa ad amare Dio per primo e su tutte le altre cose? Significa orientare a lui tutta la nostra vita. San Benedetto scrisse nella Regola che avrebbe consegnato ai suoi monaci: «Nihil amori Christi praeponere».

Amare Dio con tutto il cuore. È questa la grande rivoluzione portata dal Van­gelo. L’amore verso Dio non è esclusivo. Dio non ruba il cuore, lo moltiplica Resta ancora, infatti, del cuore per amare il marito, la moglie, i figli, gli amici … e, per noi cristiani, perfino il nemico!
 
Una delle difficoltà per il cristiano d’oggi sta nella tendenza orientata ad assorbire praticamente l’amore di Dio nell’amore del prossimo; è una insidia pericolosa, perché significa ridurre la fede a etica, la vita cristiana ai rapporti interpersonali o ai problemi sociali e politici, la carità a filantropia. È chiaro che l’amore del prossimo è la verifica dell’amore di Dio, ma i due comandamenti non sono intercambiabili. La tentazione è quella di far coincidere la fede cristiana con il culto dell’umanità.

Difficile per noi comprendere la pedagogia di Dio, secondo la quale “non c’è amore più grande di colui che è disposto a dare la vita per la persona amata”.
Dare la vita
      è più che perdonare
      è più che superare un tradimento
      è più che accogliere un figlio prodigo
      è più che amare un figlio che ti fa vergognare
      è più che accogliere
      è più che essere solidali
      è più che far posto al diverso
      è più che rispettare l’extra comunitario
      è più che condividere un tetto, un cibo, un lavoro

Dare la vita è amare!
Le parole di Gesù nel Vangelo di questa domenica fanno capire che la religione cristiana non consiste in una serie di regole da osservare. Gesù non ci consegna solo un comando ma ci affida un principio di sapienza che ci rivela il segreto della vita e ce ne indica la sorgente. Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l'amore adesso non è più solo un «comandamento», ma è la risposta al dono dell'amore, col quale Dio ci viene incontro. Vivere secondo la fede cristiana significa adottare un atteggiamento basilare che permea l’intera esistenza, ogni istante, ogni pensiero, ogni gesto: ed è guardare a Dio e agli altri uomini con amore.
 
È facile ravvisare qui il richiamo alla “regola d’oro” enunciata da Gesù nel discorso della montagna: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Mt 7,12).
Papa Benedetto nell’enciclica Deus caritas est fa ricorso a una felice espressione; “il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù — è «un cuore che vede». Questo cuore vede dove c'è bisogno di amore e agisce in modo conseguente” (31).
 
Difficile amare! Difficile l’amore.
Amare per il cristiano, più che osservare un comandamento, è imitare una persona: Gesù. È fare come Lui. È – appunto - dare la vita come l’ha data Lui. Tale amore, impossibile alle sole forze umane, il Padre e Gesù ce lo comunicano, donandoci il loro Spirito. Implorare da Dio il dono dello Spirito Santo è chiedere tale capacità d’amare. Prestando sempre la grande attenzione al tutto il comandamento: Amare Dio con tutto se stessi e amare il prossimo come se stessi.

Una fede amputata della sua dimensione verticale sarebbe esposta a tutte le mode e scadrebbe ineluttabilmente a ideologia. Una volta salvata la “primarietà” dell’amore di Dio, occorre ribadire l’indissolubilità dei due comandamenti: sulla strada dell’amore non si cammina con un piede solo! E se senza l’amore di Dio, quello per il prossimo è come un albero senza radici, il primo senza il secondo sarebbe come un albero senza frutti...


O Padre, che fai ogni cosa per amore
e sei la più sicura difesa degli umili e dei poveri,
donaci un cuore libero da tutti gli idoli,
per servire te solo
e amare i fratelli secondo lo Spirito del tuo Figlio,
facendo del suo comandamento nuovo
l’unica legge della vita.


© Riproduzione Riservata