La fatica e la gioia di credere

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Credere è sempre stato difficile. La fede è difficile; perché si crede ciò che non si conosce: si crede ciò che non si vede, ciò che non si constata.

Se, invece, tutto questo fosse possibile non avremmo bisogno di dire “io credo”, ma “io so, io conosco”.

La fede è ciò che è assolutamente altro dalla ragione.

Tuttavia non si può trascurare l’espressione di San Paolo, per cui la fede è "rationabile obsequium". E' un "sì" detto a Dio, ma secondo ragioni che non riguardano la ragione. La ragione vuole essere qualche cosa di inconfutabile.

La fede ha bisogno di una rivelazione soprannaturale, perché la fede enuncia qualcosa che l'uomo con i propri mezzi non potrebbe mai raggiungere.

Ecco perché dai Padri della Chiesa e poi e soprattutto in  Tommaso d’Aquino la tesi è che la fede non può essere in contrasto con la ragione.

E questo è difficile per l’uomo contemporaneo.

Complesso proprio a causa della nostra presunzione razionalistica e il nostro orgoglio, che non ammette realtà che trascendono le capacità della nostra mente ed esperienza umana. Un po’ come l’apostolo Tommaso dinanzi alla prospettiva della risurrezione di Gesù.

 

L’amato papa Benedetto XVI ha dichiarato: «Nel mondo occidentale oggi viviamo un'ondata di nuovo drastico illuminismo o laicismo, comunque lo si voglia chiamare. Credere è diventato più difficile, perché il mondo in cui ci troviamo è fatto completamente da noi stessi e in esso Dio, per così dire, non compare più direttamente. Non si beve alla fonte, ma da ciò che, già imbottigliato, ci viene offerto. Gli uomini si sono ricostruiti il mondo loro stessi, e trovare Lui dietro a questo mondo è diventato difficile».

Inoltre - ha proseguito - «l'Occidente oggi viene toccato fortemente da altre culture, in cui l'elemento religioso originario è molto forte, e che sono inorridite per la freddezza che riscontrano in Occidente nei confronti di Dio. E questa presenza del sacro in altre culture, anche se velata in molte maniere, tocca nuovamente il mondo occidentale, tocca noi, che ci troviamo al crocevia di tante culture».

 

Benedetto XVI ha affermato che noi «dobbiamo riscoprire Dio, e non un Dio qualsiasi, ma il Dio con un volto umano, perché quando vediamo Gesù Cristo vediamo Dio».

 

Come potremmo definire la fede?

Due gli snodi essenziali:

-         l’intelligenza della fede

-         l’atto di fede.

 

Compiremo un itinerario più lungo e anziché offrire una definizione nominale, preferiamo ricorrere a una definizione descrittiva.

 

In ordine all’intelligenza della fede possiamo dire che essa è un atto dell’intelletto, perché si tratta di conoscere delle verità, ma non essendo queste verità intrinsecamente evidenti, la nostra adesione di fede non può farsi senza l’influsso della volontà. 

Ovviamente credere – l’abbiamo detto – non è conoscere; tuttavia credere non esclude il conoscere e si addirittura il conoscere può favorire il credere.

A voler volare alto, basti pensare alla Summa Theologica di Tommaso d’Aquino che altro non è che una splendida ... intelligenza della fede finalizzata a un profondo atto di fede.

 

Per usare una bella espressione di Benedetto XVI la fede è amica dell’intelligenza. L’espressione può sembrare molto riduttiva, ma è significativamente pregnante. La fede che nasce dall’incontro con Cristo non sostituisce l’intelligenza, né le sottrae alcuna competenza; non pretende di assumere nei confronti della intelligenza umana una posizione di primato.

In quanto amica dell’intelligenza, la fede ha il compito di richiamarla sempre alla propria dignità costitutiva e all’orizzonte di senso che le è proprio, quello di essere intelligenza umana.

 

E’ chiaro che il solo conoscere non basta.

Trattandosi di verità soprannaturali deve intervenire anche l’aiuto di Dio per illuminare l’intelletto e aiutare la volontà nel suo assenso.

L’atto di fede è un atto libero; acconsentire a Dio che si rivela in Cristo è credere in Dio. La ragione precede la fede con la cognizione della Rivelazione e dei motivi per accettarla, ma segue la fede per afferrare il senso dei misteri, per quanto è possibile.

 

La fede è, dunque, dono di Dio che richiede l’impegno dell’intelletto e della volontà umana.

La fede nasce dall’agire di Dio inseparabile dal volere umano. Nessuno crede suo malgrado e neppure nessuno crede senza che Dio gli doni di credere.

 

Intelletto e volontà che inducono anche all’abbandono fiducioso e confidente in Dio.

Per questo il Concilio di Trento afferma che la fede “è il principio, il fondamento, la radice della nostra giustificazione”. Insomma, senza fede non è possibile stabilire un rapporto di salvezza con Dio.

 

Alla luce di queste premesse è possibile superare errate e parziali immagini della fede e affermare che:

-         La fede non è puro sentimento, emotività superficiale e transitoria.

-         La fede non è l’assenso ad una verità in senso puramente intellettuale.

-         La fede vera non è l’adempimento formalistico o abitudinario di riti o di leggi morali.

-         La fede non è la semplice anche se importante religiosità o pietà popolare.

-         La fede non è magia o superstizione (vedi ad esempio la “catena di S. Antonio”)

 

Potremmo continuare a dire che cosa non sia la fede, ma a noi interessa definire, invece, ciò che è la vera fede, tenendo conto – come si diceva all’inizio – della fede debole e della fatica di credere, se non proprio dell’eclissi della fede.

 

Nel Vangelo di Marco leggiamo “Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”. (16,16)

San Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica afferma: “La fede è principio del credere… per sé è la prima virtù perché è il principio della vita spirituale e non si può amare Dio, ultimo fine, né sperare in Lui, se non lo si conosce per fede”, e precisa: “L’oggetto della nostra fede è la Verità prima, cioè Dio … Dio è l’oggetto formale della fede, cioè il motivo per cui crediamo”.

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ricorda: “La fede è la virtù teologale per la quale noi crediamo in Dio e a tutto ciò che egli ci ha detto e rivelato, e che la Santa Chiesa ci propone da credere, perché egli è la stessa verità. Con la fede “l'uomo si abbandona tutto a Dio liberamente” (DV 5). Per questo il credente cerca di conoscere e di fare la volontà di Dio. “Il giusto vivrà mediante la fede” (Rm 1,17). La fede viva “opera per mezzo della carità” (Gal 5,6). [1814]

 

La virtù teologale della fede – insegna ancora il Catechismo della Chiesa Cattolica – è la risposta adeguata dell’uomo all’invito che Dio invisibile nel suo immenso amore rivolge agli uomini per ammetterli alla comunione con Sé. La Sacra Scrittura chiama questa risposta dell’uomo “obbedienza della Fede”.

 

Recita l’atto di fede: “Mio Dio, perché sei verità infallibile, credo tutto quello che tu hai rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Credo in Te, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo. Credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato, morto e risorto per noi, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la vita eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore, accresci la mia fede”.

La fede si manifesta nel credente nel praticare con pieno assenso tutto quanto avvicina alla volontà di Dio e nel realizzare alla luce dello spirito di fede ogni cosa. Il cristiano cioè punta a promuovere in tutto e per tutto la gloria del Creatore e il suo atteggiamento è informato dalla vita di pietà e teso alla perfezione.

Il salutare esercizio della professione di fede mantiene nel santo timore di Dio, in quanto riconosce umilmente il bisogno di lasciarsi guidare dall’Altissimo per fare ogni cosa nell’ottica del suo pensiero.

 

Catechisticamente potremmo paragonare la fede a un seme divino, seminato in noi, insieme a quello della speranza e della carità, al momento del Battesimo. La fede è come un niente, quasi impercettibile, piccola come un granellino di senapa, dice Gesù (Lc 17,6), ma allo stesso tempo è «più preziosa dell’oro» (1 Pt 1,7), «santissima» (Giuda 20).

E’ ovvio che ogni seme per germogliare e svilupparsi ha bisogno di trovare un terreno adatto (penso al clima di fede di una famiglia cristiana!), di essere protetto, coltivato, nutrito.

 

Ma come in pratica?

 

-         Con la preghiera assidua. La preghiera è porta di comunicazione dell’uomo con Dio, è il primo anello di una catena che lega a Lui. Nella preghiera e nella meditazione si trova lo stimolo e la fonte soprannaturale per la crescita spirituale e la stima necessaria per mantenere salda la fedeltà al Creatore.

-          Con la grazia dei sacramenti. Chi trascura la pratica liturgica e sacramentale con il pretesto di mantenere la fede nel cuore anche senza di essa, si potrebbe paragonare a uno che pretendesse di vivere senza alimentarsi.

-         Per lo sviluppo della fede è altresì importante ricordare quanto Gesù ha proclamato nelle beatitudini: “Beati i puri di cuore …”. Certe crisi di fede hanno nella dissipazione e nella non purezza del cuore e  dei pensieri la loro causa.

-         La fede si nutre, si conserva e si accresce anche attraverso l’esempio e il sostegno di una vera comunità cristiana. L’ambiente – soprattutto quello familiare – influisce moltissimo… Chi può scordare la fede semplice ma profonda dei propri genitori?

-         La fede si alimenta attraverso l’istruzione religiosa, soprattutto la catechesi parrocchiale. La non conoscenza delle verità della fede produce una nebulosità mentale dannosissima e paralizzante del nostro rapporto di fede e di amore con Dio.

 

Diffondere la fede

 

La fatica del credere è anche dovuta alla mancata diffusione e comunicazione della fede. La fede di natura sua tende ad espandersi a comunicarsi, altrimenti si esaurisce e si estingue.

Uno degli impegni del cristiano – forse il primo e l’essenziale – è quello di far passare la propria fede da un fenomeno unicamente personale ad vera passione di comunicare agli altri i propri tesori.

E’ tutta questione di testimonianza cristiana!

 

Ed è in nome della testimonianza cristiana (murtiria)

-         che non ci si può dichiarare incapaci di trasmettere la fede, di parlare di Dio agli altri, di assumere atteggiamenti camaleontici sfuggendo dalle proprie responsabilità

-         che non si può avere timore dei rischi connessi nel prendere posizioni apertamente cristiane dinanzi a persone o in ambienti agnostici per paura di essere beffati e presi in giro come bigotti…

 

In sostanza  la fede esige una vita di fede!

S. Tommaso d’Aquino, direbbe: “L’atto di fede del credente non si ferma all’enunciato, ma raggiunge la realtà enunciata”, trasfondendola nella propria vita.

 

Credere: un atto ecclesiale

 

Il deposito della fede contenuto nella Parola di Dio scritta nel Vecchio e nel Nuovo Testamento e nella Tradizione (parimenti apostolica) è stato consegnato da Gesù e dagli Apostoli alla Chiesa per essere trasmesso di generazione in generazione con scrupolosa fedeltà.. La Chiesa, infatti è “colonna e sostegno della verità” (1 Tm 3,15).

S. Ireneo di Lione, testimone di questa fede, dichiara: “In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino all’estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede…, conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un’unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una stessa anima e un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca” (Adversus Haereses).

Lo stesso prosegue: “Questa fede che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, la conserviamo con cura, perché, sotto l’azione dello Spirito di Dio, essa, come un deposito di grande valore, chiuso in un vaso prezioso, continuamente ringiovanisce e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene” (Ibid.).

 

Credere, dunque, è anche un atto ecclesiale.

La fede della Chiesa precede, genera, sostiene e nutre la nostra fede.

La Chiesa è la madre di tutti i credenti e per questo S. Cipriano afferma: “Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre”.

 

Il prezioso deposito della fede è, dunque, affidato alla Chiesa, che lo trasmette e lo difende con l’assistenza dello Spirito Santo. E’ un deposito definitivo, non passerà mai, né potrà essere aumentato o modificato da altre “rivelazioni”.

 

Il Concilio Vaticano II afferma: “E’ chiaro dunque che la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere e che tutti insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime”. (DV, 10)

 

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In sintesi, come ricorda papa Benedetto, possiamo dire che la fede non è in prima battuta un insieme di regole da rispettare, ma è la fonte di un'esistenza gioiosa perché toccata dalla presenza di Cristo.

 

Per questo è necessario che anche i membri della Chiesa sappiano mostrare questo nucleo essenziale della fede prima ancora che i suoi esiti morali, perché senza l'«opzione positiva» gli stessi esiti morali rimarrebbero in ultima analisi incomprensibili e apparirebbero come una gabbia che vuole rendere l'uomo meno libero e meno felice.

 

Deve così ritornare evidente – ricorda papa Benedetto – che, nonostante la fatica e l’ardimento «credere è bello, che la gioia di una grande comunità universale significa un sostegno, che dietro di essa c'è qualcosa di importante e che quindi insieme ai nuovi movimenti di ricerca vi sono anche nuovi sbocchi alla fede, che ci conducono gli uni verso gli altri e che sono anche positivi per la società nel suo insieme».