Omelia nella 29 domenica per annum
«La fede del credente è fede orante»

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 Dal Vangelo secondo Luca 18,1-8
 
     In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai.
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». << + >>


 
  
 
Non si può dire che il tema della liturgia della Parola di questa domenica non sia esplicito. Lo annuncia lo stesso Luca: “Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi”.

La preghiera è essenziale per la vita cristiana.

La preghiera è «preghiera della fede» (Gc 5,15); nasce dalla fede e a essa riconduce.
La preghiera esige una fede forte: fede e preghiera sono inscindibili.
La preghiera esige una fede salda che consenta di non tralasciare di pregare, di non cadere preda della rassegnazione causata dall’amara constatazione che Dio sembra ritardare il compimento delle sue promesse.  

Gesù nel Vangelo ha raccomandato che è necessario "pregare sempre, senza stancarsi mai...". Solo chi prega sempre senza stancarsi otterrà ciò che chiede! Cosa assai difficile per gli uomini e le donne del nostro tempo perché l'attenzione dell'uomo è volta verso tante realtà effimere; per questo l'uomo contemporaneo non riesce a concentrarsi a lungo in un'azione così sublime ed eccelsa come la preghiera. 
 
La liturgia della Parola della XXIX domenica per annum si apre con il passo dell'Esodo e la figura del grande orante. La prima lettura, infatti, presenta l’icona di Mosè che si ritirò sul monte a pregare con le mani alzate verso il cielo, mentre Giosuè stava nella valle a combattere. “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva...". E quando Mosè si stancava perché la battaglia durava a lungo trovò un rimedio: si sedette su una pietra “mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani”. Fino al tramonto del sole. Israele non poté non combattere, ma a determinare la vittoria contro Amalek non furono né i carri, né i cavalli e neanche le mani forti e abili di Giosuè e dei suoi prodi: furono le mani povere e nude di Mosè levate al cielo in preghiera.
 
Il Vangelo riporta un elemento molto caro all'evangelista Luca: la preghiera. È la seconda volta che Luca riferisce le parole di Gesù per insegnarci a pregare. La prima volta (Lc 11,1-13), ci insegnò il Padre Nostro e, per mezzo di paragoni e parabole, insegnò che dobbiamo pregare con insistenza, senza stancarci. Ora il Giovane Rabbi di Nazaret ricorre di nuovo a una parabola tratta dalla vita per insegnare la costanza nella preghiera.

Questa parabola, riportata solo da Luca, si trova nella sezione in cui egli narra il viaggio di Gesù verso Gerusalemme
(Lc 9,51 - 19,27) e più specificamente nella sua seconda parte (13,22 - 18,30). Essa si colloca all’interno di una raccolta di detti (17,11 - 18,14) a carattere escatologico e presenta l’icona orante di una anonima vedova di cui Gesù parla nella parabola per spiegare ai discepoli in che cosa consista quella preghiera incessante di cui non ci si deve stancare mai. È la parabola della vedova che scomoda il giudice senza morale. Il modo di presentare la parabola è molto didattico.

In primo luogo, Luca presenta una breve introduzione che serve da chiave di lettura.
Poi racconta la parabola.
Alla fine, Gesù stesso la spiega.
 
Nella Bibbia le vedove, insieme agli orfani e agli stranieri, erano le categorie più deboli della società poiché sole e con pochi diritti. Per di più la vedovanza era considerata povera di una povertà che si può intendere a più livelli. Nell’antico Israele una vedova era povera anzitutto perché nella società di quell’epoca la donna viveva senza libertà né autonomia. Inoltre, mancandole il sostegno del suo uomo che non c’era più, era povera a livello della sopravvivenza di ogni giorno, ed era povera anche a livello affettivo. E ancora, era povera a livello psico-sociologico: non avendo più marito non poteva più avere figli e così era una “donna svalutata”. Insomma davvero una misera creatura: non aveva alcun peso, neppure quando si trattava di far valere i propri diritti…
 
Il punto culminante della parabola è la certezza dell'esaudimento. Di fronte all’indifferenza del giudice, la vedova ricorse alla sua unica arma: continuare insistentemente a importunarlo, presentandogli la sua richiesta di giustizia. E proprio con questa perseveranza raggiunse lo scopo. Il giudice, infatti, la esaudì, non perché si fosse mosso a misericordia, né perché la coscienza glielo avesse imposto; semplicemente ammise: «Dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi».
 
E se un uomo come quel giudice «che non temeva Dio e non teneva in alcun conto gli altri» si lasciò indurre a fare giustizia dalla preghiera di una povera vedova, quanto più Dio, Padre buono esaudirà le implorazioni dei suoi fedeli.
 
Il contesto del brano evangelico fa supporre che nella vita del cristiano vi possano essere momenti di scoraggiamento e di sfiducia anche nei riguardi di Dio. Sono molti i cristiani che hanno l’impressione di non essere ascoltati. Ciascuno potrebbe elencare una serie forse interminabili di occasioni di bisogno in cui con le lacrime agli occhi è stato invocato il Signore senza essere esauditi.

La parabola intende rispondere al disagio dei buoni che, a volte, hanno l'impressione che Dio ritardi a fare giustizia. Ma il Signore avverte che il fondamento e il sostegno della preghiera è la fede: la fede forte, perseverante, che non si scoraggia; come la fede di quella donna che non si fermò di fronte ai dinieghi del giudice ingiusto. Nell'insistenza della povera vedova è racchiuso tutto il disagio dei buoni e degli onesti che sono perfino persuasi che Dio lasci andare le cose come vanno anziché intervenire. “
Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste bensì le sue promesse” (Bonhoeffer).
 
Forse è proprio nella debolezza e nella fragilità della fede la radice del venir meno della preghiera di tanti cristiani.
La preghiera è il linguaggio della nostra fede.
Costantemente tentati di cedere allo scoraggiamento è solo la fede che ci sostiene.
La preghiera autentica nasce dalla fede e porta alla fede.
Nasce dalla fede in Qualcuno e corrobora la fede dell'orante.
La preghiera esige una fede forte e salda: fede e preghiera sono inscindibili.
La preghiera non può essere separata dalla fede!

Prega davvero chi ha fede. E ha fede chi ha un habitus della preghiera.
Infatti, senza una relazione viva con il Signore che porta alla confidenza come con una persona viva e che ci ama, non è possibile la preghiera perseverante, il pregare sempre senza stancarsi.

La perseveranza nella preghiera permette di scoprire i segni dell'amore divino nella vita dell'uomo e inoltre è il mezzo migliore per familiarizzare con la volontà divina.

La preghiera insistente è la via migliore per entrare nel cuore di Dio e permette di gustare la dolcezza del suo amore misericordioso.
 
Cari Amici
Le parole con cui è introdotta la parabola attestano che essa veniva usata per inculcare la necessità di pregare in modo costante e fiducioso. Questo taglio di lettura fa leva sull’atteggiamento della vedova che non si scoraggiò per i rifiuti ricevuti e alla fine, con la sua insistenza, ottenne ciò che le stava a cuore.

Ma è possibile pregare sempre?
Come intendere il “pregare sempre senza stancarsi mai”?
Non significa, di certo, stare continuamente in ginocchio o a braccia levate.
Ci viene in soccorso sant’Agostino che commenta: “Chi desidera Dio anche se tace con la lingua, canta e prega con il cuore. Chi non desidera, gridi pure quanto vuole, ma per Dio è muto. Se continuo è il tuo desiderio, continua è pure la tua preghiera”.
San Giovanni Damasceno ricordava che la preghiera è elevazione dell'anima a Dio.

Pregare infatti non è «dire preghiere».
Pregare si­gnifica sentire che la nostra vita è immersa in Dio, avere consapevolezza che ciascuno è amato di amore intenso. Pregare è come voler bene. Se si ama qualcuno, lo si a­ma sempre.
E qualunque azione si compia, intellettuale o manuale, il senti­mento non viene sospeso; muta solo il modo di esprimerlo. Pregare sempre si può: la pre­ghiera è il nostro desiderio di amore.
Amare è la vera preghiera e amare si ama sempre.
La preghiera infatti è il respiro del cuore pieno d'amore: questo è pregare sempre.
 
La continuità è l’avere Dio come punto di riferimento fisso e fondamentale della vita benché occupato in attività che tengono impegnate le facoltà mentali.
 La continuità è la fiduciosa certezza che lo sguardo di Dio è su di me come quello di una madre;
 La continuità è la fiduciosa certezza che l'amore di Dio mi avvolge come le braccia di una madre che conducono e ci guidano anche quando sembra di essere soli.

Ma questo rapporto non è facile; è una conquista. È frutto di una vita di fede viva, costruita gradatamente, in una ricerca paziente del rapporto con Dio fatto di ricerca di lui, di ascolto della sua Parola e di preghiera.
 
Domandava con la sollecitudine del Pastore san Paolo VI: "Si prega oggi? Si avverte quale significato abbia l'orazione nella nostra vita? Se ne sente il dovere? Il bisogno? La consolazione? La funzione nel quadro del pensiero e dell'azione? Quali sono i sentimenti spontanei che accompagnano i nostri momenti di preghiera? La fretta? La noia? La fiducia? L'interiorità? L'energia morale? Ovvero anche il senso del mistero? Luci e tenebre? L'amore finalmente? Dovremmo innanzitutto tentare, ciascuno per conto nostro, di fare questa esplorazione, e di coniare per uso personale una definizione della preghiera. E potremmo proporcene una molto elementare: è un dialogo, una conversazione con Dio". (14.02.1973)
 
Diciamocelo: non solo facciamo fatica a pregare, ma non “sappiamo” pregare.
A Dio ci rivolgiamo quasi solo per chiedere.
Al contrario, la nostra preghiera deve contemplare la lode, la benedizione, l’azione di grazie oltre la domanda.

Dunque:
Non una preghiera che si attende tutto da Dio, ma una disponibilità a fare la sua volontà, anche quando costa.
Non una preghiera fatta solo per bisogno o per necessità, ma una manifestazione di amore, di lode, di ringraziamento.
  Non una preghiera rassegnata di fronte alle sfide quotidiane e alla fatica del credere, ma una sorgente continua di audacia filiale nei confronti di Dio Padre.
  Non una preghiera per tirare Dio nel proprio campo, ma per scoprire che egli è mio Padre e Padre di tutti.
 
La preghiera senza la fede è solamente un gesto scaramantico o di contrattazione o una specie di scambio. Per questo la fede del credente deve essere anche fede orante! Sì: la preghiera esige a di essere coltivata e non tanto con le formule, quanto con una fede viva e crescente: orante, appunto.

L’interrogativo drastico di Gesù con cui Luca chiude la pagina evangelica odierna si riferisce proprio a questo e lascia senza respiro: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Attenzione: il Maestro non dice: "Ci sarà ancora un'organizzazione ecclesiale? la gente andrà ancora a Messa? si farà l'elemosina?". No, Gesù è angosciato perché troppe volte, la nostra religione è senza fede, la nostra preghiera è senza fede. Anzi non si prega proprio: e così non si alimenta la fede! Infatti la diminuzione o l'aumento della preghiera è correlato all'aumento o alla diminuzione della vita di fede.

È la preghiera che conserva la fede, senza di essa la fede vacilla!
Chiediamo al Signore una fede che si fa preghiera incessante, perseverante, come quella della vedova della parabola, una fede che si nutre del desiderio della sua venuta.

La fede è il tesoro più prezioso che abbiamo perché ci apre gli orizzonti sconfinati della vita dello spirito; e il mondo la perde con estrema facilità per correre dietro a chimere ingannatrici e miraggi traditori!

La fede ci fa entrare nel mondo di Dio, ci dà la forza stessa di Dio, illumina la nostra vita, dà senso a tutto quello che facciamo e al perché viviamo.

Senza la fede, la vita diventa una notte tenebrosa senza senso e senza sbocco, se non nel buco nero e vertiginoso dell'eterno nulla.
 
O Dio, che per le mani alzate del tuo servo Mosè
hai dato la vittoria al tuo popolo,
guarda la Chiesa raccolta in preghiera;
fa’ che il nuovo Israele cresca nel servizio del bene
e vinca il male che minaccia il mondo,
nell’attesa dell’ora
in cui farai giustizia ai tuoi eletti,
che gridano giorno e notte verso di te
 

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