Il decimo comandamento del Decalogo
«Non desiderare la roba d'altri»

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S i amo giunti al termine del nostro percorso meditando le "dieci Parole". Esse sono per noi pietre miliari che orientano verso il nostro grande «sì» al Dio della vita e dell'amore per una  visione grande della vita.
E anche se nella forma letterale veterotestamentaria le dieci parole o decalogo sono formulate spesso con un "NON", esse   sono di fatto un:
«sì» a un Dio che dà senso al vivere  =  i tre primi comandamenti;
«sì» alla famiglia  =  quarto comandamento;
«sì» alla vita  =  quinto comandamento;
«sì» all'amore responsabile  =  sesto comandamento;
«sì» alla solidarietà, alla responsabilità sociale, alla giustizia  =  settimo comandamento;
«sì» alla verità    =  ottavo comandamento; 
«sì» al rispetto dell’altro e di ciò che gli è proprio    =  nono e decimo comandamento.

 
Dice il decimo comandamento: "Non desiderare la casa del tuo prossimo... né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo" (Libro dell'Esodo 20,17).
«Il decimo comandamento proibisce l’avidità e il desiderio di appropriarsi senza misura dei beni terreni; vieta la cupidigia sregolata, generata dalla smodata brama delle ricchezze e del potere in esse insito. Proibisce anche il desiderio di commettere un’ingiustizia, con la quale si danneggerebbe il prossimo nei suoi beni temporali» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2536).
 
Il decimo Comandamento non proibisce di anelare al miglioramento del nostro stato, di acquisire prosperità e di godere del benessere. Tutto ciò, infatti, è considerato nella Bibbia una benedizione di Dio. Il tema del decimo comandamento è la condanna del desiderio disordinato. Il male non comincia con l’azione, ma nel cuore.
Il desiderio è un fenomeno umano fondamentale, che fa parte dell’istinto di conservazione. È normale che l’uomo desideri …
Il decimo comandamento condanna l’avidità, la volontà disordinata di avere, nonché l’invidia per quello che gli altri hanno. Proibisce la cupidigia dei beni altrui, che è la radice del furto, della rapina e della frode, vietati dal settimo comandamento.
L’eccessiva importanza che oggi si dà al benessere materiale al di sopra di molti altri valori, non è indice di progresso; rappresenta piuttosto un ridimensionamento e una degradazione dell’uomo.  
 
Ciò che occorre opporre all’azione devastante del desiderio disordinato non è la rimozione, ma una sollecita cultura, una vera educazione del desiderio. La semplice repressione delle pulsioni ha, in ogni caso, effetti negativi che si possono manifestarsi anche in individui scontenti e inibiti. Pertanto, non si tratta di reprimere, ma di purificare i desideri; non di rimuoverli, ma di educarli.
 
Il desiderio, infatti, quando è buono e onesto, è una fonte di energia e di progresso per la vita, poiché ogni cosa compiuta nasce dalla volontà di compierla.
Dio raccomanda di non desiderare a tal punto le cose degli altri da volercene appropriare ingiustamente.
Ci raccomanda di non desiderare ciò che non è bene, vietandoci il desiderio che porta al peccato e che rovina la nostra anima, nel rispetto dei diritti altrui.
Dobbiamo essere contenti di ciò che abbiamo e volere solo ciò che rende contenti.
 
Non bisogna voler appropriarsi dei beni degli altri, perché le cose materiali sono il mezzo della vita, non il fine.
Guai a chi è avido e ingiusto, a chi mette discordia nelle famiglie per questione di soldi e di eredità!
Guai a chi, per ingordigia e malignità, toglie il pane di bocca a un proprio fratello, specie se anziano e indifeso, portandogli via il necessario alla vita!
Dio non sopporta l'avido corrotto e cattivo.
Il desiderio di possedere può, infatti, diventare così violento da trasformarsi in idolo, da occupare il primo posto nel cuore e da contendere tale posizione a Dio.
 
Invidia
«Il decimo comandamento esige che si bandisca dal cuore umano l’invidia» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2538). L’invidia è un peccato capitale. «Consiste nella tristezza che si prova davanti ai beni altrui» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2539). Dall’invidia possono nascere molti altri peccati: l’odio, la maldicenza, la calunnia, la disobbedienza, ecc.
 
L'invidia è la tristezza che si prova davanti ai beni altrui e l'irresistibile desiderio di appropriarsene. L'invidia toglie la pace, fa perdere la stima degli altri e non permette di godere la comunione e l'armonia, rende avari, chiude gli occhi alle necessità dei fratelli, fa litigare e odiare. Può portare alla mancanza di carità, all'ingiustizia, all'offesa, all'odio.
«Quando [l’invidia] arriva a volere un grave male per il prossimo, l'invidia diventa un peccato mortale» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 2539).
L’invidia comporta un rifiuto della carità. Per lottare contro di essa dobbiamo vivere la benevolenza, che ci porta a desiderare il bene agli altri come manifestazione dell’amore che abbiamo per loro. In questa lotta ci aiuta anche la virtù dell’umiltà, perché non bisogna dimenticare che l’invidia spesso è causata dall’orgoglio (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2540).
 
L'unica cosa che dobbiamo desiderare con tutto il cuore è di amare il Signore, di nutrirci della sua parola, di vedere il suo volto e di saziarci del suo amore.
Non dobbiamo essere preoccupati per i capitali della terra che prima o poi dovremo lasciare, ma dei capitali del cielo che godremo in eterno presso Dio.

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