San Giovanni Paolo II
e il Concilio Vaticano II

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Karol Wojtyla era Vicario capitolare e amministratore diocesano di Cracovia quando fu convocato il Concilio, per cui partecipò fin dalla fase preparatoria apportando un apprezzato contributo su temi quali l’apertura della Chiesa alla dimensione storica dell’incarnazione; la persona umana e la traccia personalista (Max Scheler); l’ecumenismo; la missione dei laici; la relazione Chiesa-mondo che sarebbe diventata centrale dopo il Concilio. Nel corso dei lavori di quell’Assise memorabile i suoi interventi furono spesso notati e apprezzati. 

 

Divenuto successore del Beato Pietro il 16 ottobre 1978 e assunse il nome di Giovanni Paolo II.

 

Che dire di questo pontificato, di questo Papa e il Concilio? Certamente occorrerebbe un'opera apposita, uno specifico volume per dar conto, in maniera adeguata, dell'azione di Giovanni Paolo II a favore dell'attuazione del Concilio. Tutto il suo ministero di supremo pastore della Chiesa universale è una sinfonia al Concilio e del Concilio.

 

Nell'economia di questo lavoro, il riferimento non può che essere assai parziale e riduttivo; e ce ne dispiace.

Desideriamo qui richiamare solo alcuni atti solenni di magistero per dire tutta la sollecitudine di Papa Wojtyla per il Concilio.

 

Il giorno successivo, all'inizio del suo ministero di pastore universale della Chiesa, nel primo radiomessaggio all'Orbe, il pontefice disse: “Vogliamo, pertanto, enucleare, alcune direttrici che riteniamo di preminente rilievo e, perché tali, avranno da parte nostra - come proponiamo e speriamo con l'aiuto del Signore - non soltanto attenzione e consenso, ma anche un coerente impulso, perché trovino riscontro nella realtà ecclesiale. Anzitutto, desideriamo insistere sulla permanente importanza del Concilio Ecumenico Vaticano II, e ciò è per noi un formale impegno di dare a esso la dovuta esecuzione. Non è forse il Concilio una pietra miliare nella storia bimillenaria della Chiesa e, di riflesso, nella storia religiosa e anche culturale del mondo? Ma esso, come non è solo racchiuso nei documenti, così non è concluso nelle applicazioni, che si sono avute in questi anni cosiddetti del post-Concilio. Consideriamo, perciò un compito primario quello di promuovere con azione prudente e insieme stimolante, la più esatta esecuzione delle norme e degli orientamenti del medesimo Concilio per attuare praticamente quel che esso ha enunciato, per rendere esplicito, anche alla luce delle successive sperimentazioni e in rapporto alle istanze emergenti e alle nuove circostanze, ciò che in esso è implicito. Occorre, insomma, far maturare nel senso del movimento e della vita i semi fecondi che i Padri dell'assise ecumenica, nutriti della parola di Dio, gettarono sul buon terreno, cioè i loro autorevoli insegnamenti e le loro scelte pastorali”.

 

 

Il Sinodo Straordinario dei Vescovi nel XX dalla conclusione del Concilio

 

Giovanni Paolo II fu fedele a questo impegno solennemente assunto all'inizio del suo ministero petrino. Oltre ai numerosi pronunciamenti e interventi magisteriali in questo campo pastorale, il 25 gennaio 1985 nella stessa Basilica di San Paolo fuori le Mira, dove i cardinali, attoniti avevano udito il proposito di Giovanni XXIII di convocar un Concilio, Papa Wojtyla - a vent'anni dalla conclusione del Vaticano II - indisse un Sinodo straordinario. L'annunzio giunse, ancora una volta, improvviso, ma non cadde in un ambiente impreparato. 

 

L'intento - disse il Papa- non è solo quello di “commemorare il Concilio Vaticano II a vent'anni di distanza dalla sua chiusura, ma anche e soprattutto:

  •   rivivere in qualche modo quell'atmosfera straordinaria di comunione ecclesiale...
  •   scambiarsi e approfondire esperienze e notizie circa l'applicazione del Concilio a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari
  •   favorire l'ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce anche delle nuove esigenze.”

 

Per il Papa Giovanni Paolo il Vaticano II fu e resta l'avvenimento fondamentale nella vita della Chiesa contemporanea: fondamentale per le ricchezze affidatele da Cristo; fondamentale per il contatto fecondo con il mondo contemporaneo al fine della evangelizzazione e del dialogo con tutti gli uomini di retta coscienza; costante punto di riferimento per il ministero di supremo pastore della Chiesa universale.

 

Nell'omelia della Messa di inaugurazione del Sinodo straordinario, ai Vescovi e al popolo presenti ripeté: “Cammineremo insieme con il Concilio per rivivere il clima spirituale di quel grande avvenimento ecclesiale e per promuovere alla luce dei fondamentali documenti allora emanati e dall'esperienza maturata nei successivi vent'anni, la piena fioritura dei germi di vita nuova suscitati dallo Spirito Santo nell'Assise ecumenica, per la maggior gloria di Dio e per l'avvento del suo Regno”.

 

E nella vibrante omelia conclusiva dell'Assemblea sinodale, domenica 8 dicembre 1985, a vent'anni esatti dalla fine del Concilio Giovanni Paolo II disse, tra l'altro: “Uscendo dal Sinodo desideriamo intensificare gli sforzi pastorali perché il Concilio Ecumenico Vaticano II sia più ampiamente e profondamente conosciuto...; usciamo dal Sinodo con l'intenso desiderio di diffondere sempre più nell'organismo ecclesiale il clima di quella nuova Pentecoste che ci animò durante la celebrazione del Concilio....; uscendo dal Sinodo desideriamo offrire all'intera umanità, con rinnovata forza di persuasione, l'annuncio di fede, speranza e carità che la Chiesa trae dalla sua perenne giovinezza, nella luce di Cristo vivo, che è "via verità e vita" per l'uomo del nostro tempo e di tutti i tempi.... Alla fine del secondo Millennio dopo Cristo, la Chiesa desidera ardentemente una cosa sola: essere la stessa Chiesa che è nata dallo Spirito Santo... essere la Chiesa nel mondo contemporaneo” per “servire, in modo che la vita umana sulla terra sia sempre più degna dell'uomo. Tuttavia essa è consapevole, forse come non mai, che può compiere questo ministero solamente nella misura in cui è Cristo, sacramento dell'intima unione con Dio, e per questo fatto anche sacramento dell'unità di tutto il genere umano”.

 

 

Il Catechismo della Chiesa Cattolica

 

L'opera di Giovanni Paolo II, che più ha coronato l'attuazione del Concilio è stato il Catechismo della Chiesa Cattolica. Papa Benedetto XVI ha scritto nella Lettera apostolica Porta Fidei che il Catechismo della Chiesa Cattolica «costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II». Al Vaticano II il Papa Giovanni Paolo ha fatto esplicito riferimento nella Costituzione Apostolica Fidei Depositum, con la quale egli ha promulgato il Catechismo (cfr. 1).

 

Dopo aver sintetizzato lo spirito che mosse Giovanni XXIII a convocare il Concilio e averne - una volta ancora - esaltato la grazia speciale che il Paraclito aveva riservato alla sua Chiesa, grazia di “rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi e di forza morale, di gaudio e di speranza, che è stato lo scopo stesso del Concilio”, il Papa disse che occorreva rifarsi in maniera sistematica a questa sorgente.

 

Infatti, continua il Papa nella Costituzione Fidei Depositum, “Dopo il rinnovamento della Liturgia e la nuova codificazione del Diritto canonico della Chiesa latina e dei canoni delle Chiese orientali cattoliche, il Catechismo apporterà un contributo molto importante a quell'opera di rinnovamento dell'intera vita ecclesiale, voluta e iniziata dal Concilio Vaticano II”. (FD 1)

 

Il popolo fedele e tutti gli uomini di buona volontà che con amore e intelletto aperto accosteranno le pagine del Catechismo della Chiesa Cattolica potranno immediatamente e facilmente constatare i numerosi riferimenti e le esaurienti citazioni dei documenti del Vaticano II riportati nel Catechismo. E facendo riferimento all'Assemblea sinodale dei Vescovi celebrata a vent'anni dalla chiusura del Concilio, durante la quale i Padri avevano espresso il desiderio che venisse composto un catechismo o compendio di tutta la dottrina cattolica per quanto riguarda sia la fede che la morale, il Papa poté dire: “ho fatto mio questo desiderio ritenendolo pienamente rispondente a un vero bisogno della chiesa universale e delle Chiese particolari” (FD 1).

 

 

Il Codice di Diritto Canonico

 

Di somma importanza è stato il Concilio in ordine alla revisione del Codice di Diritto Canonico. Giovanni Paolo II ne dispose la pubblicazione il 25 gennaio 1983 con la Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges. In essa il Papa scrive del carattere di complementarità del Codice in relazione all'insegnamento del Concilio. “Ne risulta - afferma il Papa - che ciò che costituisce la novità fondamentale del Concilio Vaticano II, in linea di continuità con la tradizione legislativa della Chiesa, per quanto riguarda specialmente l'ecclesiologia, costituisce altresì la novità del nuovo Codice”.

 

E Giovanni Paolo II, nella stessa Costituzione, non esita a sottolineare che “Lo strumento, che è il Codice, corrisponde in pieno alla natura della Chiesa, specialmente come viene proposta dal magistero del Chiesa, specialmente come vien proposta dal magistero del Concilio Vaticano II in genere e, in particolar modo dalla sua dottrina ecclesiologica. Anzi, in un certo senso, questo nuovo Codice potrebbe intendersi come un grande sforzo di tradurre in linguaggio canonistico questa stessa dottrina, cioè l'ecclesiologia conciliare ... Si potrebbe anzi affermare che... quel carattere di complementarità che il Codice presenta in relazione all'insegnamento del Concilio Vaticano II, con particolare riguardo alle due Costituzioni, dogmatica Lumen gentium e pastorale Gaudium et spes” proviene dalla stessa immagine della Chiesa, a cui il Codice deve sempre riferirsi come a esempio primario.

 

 

Codice dei canoni delle Chiese orientali

 

Il Codex canonum Ecclesiarum orientalium fu promulgato dal papa Giovanni Paolo II il 18 ottobre 1990. Esso segna il coronamento di un complesso, lungo e paziente lavoro, che - iniziato nel 1929 - è stato ripreso con rinnovata impostazione nel 1974, alla luce del magistero del Concilio Ecumenico Vaticano II. I criteri che hanno guidato la composizione del Codice dei canoni delle Chiese orientali possono essere sintetizzati nel seguente schema, da cui si può rilevare quanta parte abbia avuto l'ispirazione costante al Vaticano II:

 un unico codice per tutte le Chiese orientali corrispondente alle odierne circostanze della vita;

 un Codice deve essere davvero orientale, cioè conforme alle richieste del Concilio Vaticano II sull'osservanza delle proprie discipline orientali in quanto si raccomandano per venerata antichità, sono maggiormente corrispondenti ai costumi dei loro fedeli e più adatte a provvedere al bene delle loro anime.

 un Codice pienamente adatto alla particolare funzione affidata dal Concilio Vaticano II alle Chiese orientali cattoliche, deve favorire l'unità di tutti i cristiani, specialmente degli orientali, secondo i principi del Decreto del Concilio sull'ecumenismo.

 

 

Il XXX anniversario del Concilio

 

In occasione del XXX anniversario della conclusione del Concilio, il Sommo Pontefice - nel corso dell'Angelus di domenica 15 ottobre 1995 Papa Giovanni Paolo disse: “Trent'anni fa, l'8 dicembre 1965, si concludeva il Concilio Ecumenico Vaticano II. Lo aveva inaugurato tre anni prima, proprio l'11 ottobre, il coraggio mite, lungimirante e perseverante del Pontefice Giovanni XXIII. Lo portarono a compimento la grande mente e il grande cuore di Paolo VI. Mentre ci incamminiamo verso il Giubileo dell'anno 2000, non possiamo non tornare a tale avvenimento che costituisce una pietra miliare, un evento provvidenziale nella storia della Chiesa contemporanea (TMA 18)

Nella storia dei Concili, esso riveste una fisionomia del tutto singolare. Nei Concili precedenti, infatti, il tema e l'occasione della celebrazione erano stati dati da particolari problemi dottrinali o pastorali. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha voluto essere un momento di riflessione globale della Chiesa su se stessa e sui suoi rapporti con il mondo. A tale riflessione la spingeva il bisogno di una sempre maggiore fedeltà al suo Signore. Ma l'impulso veniva anche dai grandi cambiamenti del mondo contemporaneo, che come segni dei tempi, esigevano di essere decifrati alla luce della parola di Dio. Fu merito di Giovanni XIII non solo l'aver indetto il Concilio, l'avergli dato il tono della speranza, prendendo le distanze dai profeti di sventura e confermando la propria indomita fiducia nell'azione di Dio.

Grazie al soffio dello Spirito Santo, il Concilio ha messo le basi di una nuova primavera della Chiesa. Esso non ha segnato una rottura con il passato, ma ha saputo valorizzare il patrimonio dell'intera tradizione ecclesiale per orientare i fedeli nella risposta alle sfide della nostra epoca. A distanza di trent'anni, è più che mai necessario tornare a quel momento di grazia. Come ho chiesto nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente (36), tra i punti di irrinunciabile esame di coscienza, che deve coinvolgere tutte le componenti della Chiesa, non può non esserci la domanda: quanto del messaggio conciliare è passato nella vita, nelle istituzioni, nello stile della Chiesa?

Già nel Sinodo dei Vescovi del 1985 fu posto un analogo quesito. Esso resta valido ancor oggi, e obbliga, innanzitutto a rileggere il Concilio, per raccoglierne integralmente le indicazioni e assimilarne lo spirito... La storia testimonia che i Concili hanno avuto bisogno di tempo per portare i loro frutti. Molto, tuttavia, dipende da noi, con l'aiuto della grazia di Dio.  Maria Santissima, che proprio nel corso dell'Assise conciliare fu proclama dal mio predecessore Paolo VI  “Madre della Chiesa”, ci aiuti in questo cammino. Sentiamola tra noi, come gli Apostoli alla vigilia della Pentecoste. Ella ci renda docili allo Spirito di Dio, perché il Terzo Millennio ormai alle porte trovi i credenti più saldi nella fedeltà a Cristo e pienamente dediti alla causa del suo Vangelo”.

 

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