A 50 anni dalla Populorum Progressio

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Il 26 marzo 2017 è ricorso il 50.mo anniversario della pubblicazione dell'Enciclica sociale Populorum progressio del papa Paolo VI.
Trattasi di uno dei documenti più importanti del Magistero sociale del XX secolo. Fu pubblicato il 26 marzo 1967 e tale fu l’importanza di questa enciclica, che Giovanni Paolo II ne celebrò il 20.mo anniversario con la "Sollicitudo rei socialis" e Benedetto XVI, nel 40°, pubblicò "Caritas in veritate".
Fino alla Populorum progressio una simile commemorazione era stata riservata solo alla Rerum novarum.
 
Tradizionalmente si fa iniziare la Dottrina Sociale della Chiesa con l’enciclica di Leone XIII Rerum novarum pubblicata nel 1891, ma in realtà si dovrebbe fare riferimento alla Immortale Dei del 1885, che enuncia fin dal suo incipit la questione di fondo della Dottrina Sociale della Chiesa: “Quell’immortale opera di Dio misericordioso che è la Chiesa, sebbene in sé e per sua natura si proponga come scopo la salvezza delle anime e il raggiungimento della felicità celeste, pure anche nel campo delle cose terrene reca tali e tanti benefìci, quali più numerosi e maggiori non potrebbe se fosse stata istituita al precipuo e prioritario scopo di tutelare e assicurare la prosperità di questa vita terrena”.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II recupererà questo concetto fontale in Gaudium et Spes e scrisse: “La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo” (43).
 
Anche Papa Benedetto XVI volle celebrare il 40.mo di Populorum progressio con l’enciclica Caritas in Veritate (2009) e scrisse: «A oltre quarant'anni dalla pubblicazione dell’Enciclica, intendo rendere omaggio e tributare onore alla memoria del grande Pontefice Paolo VI, riprendendo i suoi insegnamenti sullo sviluppo umano integrale e collocandomi nel percorso da essi tracciato, per attualizzarli nell’ora presente» (CV 8). E l’amato Papa Benedetto XVI non esitò ad affermare nella citata sua Enciclica: «La Populorum progressio merita di essere considerata come la Rerum novarum dell’epoca contemporanea, che illumina il cammino dell’umanità in via di unificazione» (CV 8).
 
Il contesto nel quale l’enciclica si inserì fu la storia degli anni Sessanta, caratterizzati dal mito della crescita illimitata, dalla conquista dello spazio, dalla guerra fredda e da rivoluzionari che calamitavano l’attenzione mondiale. Non si può non ricordare: l’intervento militare degli Stati Uniti nel Vietnam, la rivoluzione culturale in Cina, il crescente malessere sociale - di cui furono inizialmente interpreti i giovani - che stava preparando l’esplosione del ’68.  Come non ricordare taluni protagonisti dell’epoca: Che Guevara, Ho Chi Minh, Camilo Torres.
I contenuti di Populorum Progressio
 
Populorum Progressio attirò la stessa attenzione – mutatis mutandi - simile a quella di Rerum Novarum. Se l’enciclica di Leone XIII sosteneva che il lavoro non era una merce, Populorum progressio stigmatizzava che il sottosviluppo non è un dato di natura scontato, oltre alla spiegazione di cosa debba intendersi con «sviluppo integrale dell’uomo». “La questione sociale ha acquistato dimensione mondiale”: in questa frase l’Enciclica sintetizzava la prospettiva che veniva definitivamente assunta dal magistero in ordine ai grandi problemi che travagliavano ormai il globo.
E proprio l’aspra denuncia dei guasti arrecati dal colonialismo, dalle responsabilità dei popoli opulenti e dalle offese arrecate al Terzo mondo, l’Enciclica fu etichettata come rivoluzionaria e sollevò entusiasmi e plauso ma anche reazioni molto critiche.
 
Con forza l’enciclica ricordò al mondo che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace» (PP 87), soprattutto guardando alle ingiustizie che ancora segnano il divario tra Nord e Sud del mondo e, oggi, anche all’interno dello stesso Nord del mondo. Al riguardo Paolo VI rilevò un deficit culturale nella comprensione delle questioni sociali osservando che «il mondo soffre per mancanza di pensiero», per questo richiamava con il suo «grido di angoscia» (PP 87) «gli uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità» affinché aprissero «le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale» (PP 85). Un richiamo che purtroppo non ha perso la sua attualità.
La redazione dell’Enciclica
La redazione fu particolarmente lunga curata. Fin dal 1963, l’anno della sua elezione a Papa, Paolo VI aveva avviato la raccolta di materiale di studio per un’enciclica sui principi morali dello sviluppo umano. Il testo finale passò attraverso sette redazioni fino all’approvazione finale di Paolo VI. Contribuirono alla genesi documenti e contributi di vescovi, di teologi, di economisti e studiosi di tutto il mondo, allo scopo di approdare a «una lettera» che «come tale deve essere ispirata all’amore cristiano per i fini che essa si propone». Tra i principali ispiratori del testo vi furono il domenicano francese p. Louis Lebret (1897-1966), Maritain, Clark, Chenu, Nell-Breuning, De Lubac, Pascal.
 
Sommario dell’Enciclica Populorum Progressio
 
Rimandando ovviamente alla lettura pacata e serena del testo, mi limito a richiamare i grandi temi trattati dal Papa Paolo II nelle due parti dell’Enciclica
 
Introduzione
la questione sociale oggi è questione mondiale (nn.1-5).
 
I Parte
Per uno sviluppo integrale dell'uomo
 
1.      Dati del problema (6-11).
Gli uomini con le loro aspirazioni oggi sognano di “essere affrancati dalla miseria,… trovare con più sicurezza la propria sussistenza, la salute, una occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità, al di fuori da ogni oppressione, al riparo da situazioni che offendono la loro dignità di uomini; godere di una maggiore istruzione… in una parola, fare conoscere e avere di più, per essere di più”.
 
2.      La chiesa e lo sviluppo dei popoli.
“Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica… un autentico sviluppo deve essere integrale, volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”.. “Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera".  “Ogni uomo è chiamato a uno sviluppo… e, artefice della sua riuscita o del suo fallimento, col solo sforzo della sua intelligenza e della sua volontà, può crescere in umanità, valere di più, essere di più”
 
3.      L'opera da compiere (22-41).
L’opera da compiere è enorme e inizia con un patrimonio comune che è la terra. “Se la terra è fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario”. E richiama in tal modo la destinazione universale dei beni, per cui “i beni della creazione devono equamente affluire nelle mani di tutti, secondo la regola della giustizia, che è inseparabile dalla carità.
 
II Parte 
Verso lo sviluppo solidale dell'umanità.
 
1.      L'assistenza ai deboli (45-55).
La lotta contro la miseria, pur urgente e necessaria, è insufficiente. Si tratta di costruire un mondo, in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di religione, di nazionalità, possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente padroneggiata; un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il povero Lazzaro possa assidersi alla stessa mensa del ricco.
 
2.      Equità nelle relazioni commerciali (56-65).
Significa che non può essere posto sullo stesso piano una esportazione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo poiché gli scambi di prodotti e di servizi sono, in genere, regolati dalla “legge del libero scambio". “Non si devono misconoscere, gli aspetti positivi di tale legge: "i suoi vantaggi sono certo evidenti… in condizioni di potenza economica non troppo disparate (stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi compiuti)... La valutazione, però, non può essere la stessa quando i due contraenti si trovino in condizioni troppo diseguali… Lo stesso può avvenire nei contratti internazionali, dove gli acquirenti situati nei paesi più ricchi possono talora imporre i loro prezzi ai paesi più poveri”
 
3.      La carità universale (66-75).
"Il mondo - afferma Paolo VI - è malato" (66). Il suo male consiste soprattutto nel fatto che, al di là delle stesse esigenze della solidarietà e della giustizia, si trascurano i doveri di carità. Paolo VI richiama anzitutto i paesi più sviluppati ai doveri di accoglienza nei confronti dei lavoratori, degli studenti e degli emigranti che provengono dai paesi più poveri, che vanno preservati non soltanto dai disagi materiali ma anche "dal contagio delle dottrine eversive e dalle tentazioni aggressive" per causa del quale spesso, se acquisiscono migliori cognizioni tecniche, "perdono il senso dei valori spirituali".
 
4.      Lo sviluppo è il nuovo nome della pace (76-80).
Il bene comune dell’umanità consiste nel “combattere la miseria e lottare conto l’ingiustizia, è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanità. “Artefici del loro proprio sviluppo, i popoli ne sono i primi responsabili. Ma non potranno realizzarlo nell’isolamento”.
 
Appello finale (81-87).
L’appello viene rivolto ai cristiani credenti, agli uomini di buona volontà “consapevoli che il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo... Agli uomini di Stato ricorda l’obbligo di “una solidarietà mondiale facendo lo sforzo.  Agli uomini di pensiero, il Papa dice: “Aprite le vie che conducono, all’approfondimento del sapere, all’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale e tutti sono chiamati per una “economia al servizio dell’uomo e il pane quotidiano distribuito a tutti, quale sorgente di fraternità e segno della Provvidenza”.

 
A ben vedere l’Enciclica di Paolo VI insiste molto sulla lotta alla povertà. Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre affiancato da quello della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito di iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socio-economico, negli stessi Paesi poveri. Ai poveri si deve guardare non come ad un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo.

Nel pensiero sociale di Paolo VI riveste un ruolo cruciale la salvaguardia del creato, perché se l’uomo distrugge l’ambiente finisce per distruggere se stesso. Pensiero che viene ripreso con grande vigore da Papa Francesco nell’Enciclica sociale Laudato sì sulla cura della casa comune, rivolta a tutti gli uomini della terra.

Anche nel pensiero economico si distingue tra crescita quantitativa e sviluppo, con un’analisi che riguarda non solamente il reddito pro capite ma anche altri indicatori come la vita media, la mortalità infantile, il saggio di fecondità, l’analfabetismo. Tali indicatori appaiono correlati alla crescita del reddito pro capite, ma in modo che si va attenuando per livelli sempre più elevati. Da un certo punto in poi, gli spostamenti della curva possono essere assicurati solo dal progresso scientifico e tecnico.

Un ultimo aspetto, ma non per importanza, che è interessante evidenziare della Populorum progressio di Paolo VI riguarda il ruolo dei laici nella Chiesa e nella società. “Spetta ai laici, afferma Paolo VI, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, di penetrare di spirito cristiano la mentalità e i costumi, le leggi e le strutture delle loro comunità di vita”. I laici devono pertanto costituire la linea più avanzata e non più arretrata della Chiesa per operare nella società secondo i grandi principi della Dottrina Sociale della Chiesa. In segno di grande continuità, affronta lo stesso tema Papa Francesco affermando che “La sensibilità ecclesiale e pastorale si concretizza anche nel rinforzare l’indispensabile ruolo dei laici disposti ad assumersi le responsabilità che a loro competono.
 
Risuonano oggi ancora vive nel cuore di ogni uomo e donna quelle parole scandite con forza nell’enciclica che ricordano a tutti che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace» (PP 87), soprattutto guardando alle ingiustizie che ancora segnano il divario tra Nord e Sud del mondo.
Paolo VI ha rivelato un deficit culturale nella comprensione delle questioni sociali quando osservò che «il mondo soffre per mancanza di pensiero», e per questo richiamò con il suo «grido di angoscia» (PP 87) «gli uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità» affinché aprissero «le vie che conducono, attraverso l’aiuto vicendevole, l’approfondimento del sapere, l’allargamento del cuore, a una vita più fraterna in una comunità umana veramente universale» (PP 85).
 
Un richiamo che purtroppo continua rimanere inascoltato.