Creatività, discernimento e pastorale

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All’inizio di un anno pastorale ogni sacerdote, unitamente ai sui collaboratori, ai membri dei consigli pastorali (parrocchiale e degli affari economici) si interrogano fatalmente sul da farsi non senza aver preso atto della crisi dell’evangelizzazione causata da un mondo in costante cambiamento, del crescente sfaldamento delle comunità, della disaffezione di molti, dell’allontanamento di alcuni che rendono urgente la necessità di una modifica dell’azione e delle strutture pastorali della Chiesa.
Oltre a queste “categorie” aumenta il numero di coloro che
concepiscono la fede nelle forme labili del pensiero debole e del pensiero liquido  e che non distinguono o preferiscono non distinguere il credere dal "credere di credere", il credere dal "sentire di credere".
Molti cessano di credere perché non sentono o non sentono più la loro fede.

Su tutto, almeno in certe zone, incombe la scarsità del clero e l’inevitabile affidamento di più parrocchie a un solo sacerdote.

E si affaccia, prepotente,  l’interrogativo:
- come ripensare i modelli pastorali e le prassi pastorali?
- come ridefinirli dentro la categoria della creatività? 

Mi auguro che il termine “creatività” non sia respinto aprioristicamente.

 

1.      Creatività e discernimento

 

Che cos’è, allora la creatività?
Più che una capacità che si possa imparare, è un atteggiamento mentale che va coltivato. La creatività non è “fare qualcosa di nuovo”. La creatività è
la capacità profetica di aprire orizzonti nuovi; di saper adattare all’oggi, senza riduttivismi et sine glossa la parola consolatrice del Vangelo. Creatività è promuovere nuovi modelli e forme di pastorale; di rinnovare il linguaggio con cui annunciare agli uomini del nostro tempo la Parola che non passa mai (cf. Mc 13,31). La creatività è pensiero flessibile, aperto, rispettoso; comprende la possibilità di imparare dal fallimento ed esplorare lacune e incongruenze; riesce a individuare le domande sbagliate. La creatività porta il cuore in cielo e i piedi sulle strade degli uomini. La creatività aiuta a vedere al di là dei confini dell’esistenza, scombinando e ricombinando, oltre i modi consueti e standardizzati, schemi pastorali, strutture organizzative, modelli di stare al mondo e nella Chiesa, e soprattutto cercando di usare lo sguardo adatto. La creatività non è un talismano, ma è utile alla pastorale. Infatti Non bisogna dimenticare che la prassi pastorale ha bisogno di creatività a tanti livelli: nella scelta dei codici linguistici più adatti per trasmettere messaggi di evangelizzazione; nel porre i segni più significativi di testimonianza, di missione e di pastorale; nell’esemplificare nel modo più significante; nell’usare senza equivoci il grande registro del silenzio.

 

E allora viene spontaneo chiedersi: perché essere creativi nella pastorale?

Papa Francesco da questa risposta: Essere creativi per essere fedeli.

Qualcuno potrebbe obiettare: essere creativi vuol dire “elaborare qualcosa di nuovo” … “pensare una novità” …  “cambiare”. E come si può cambiare rimanendo “fedeli”? Il termine che collega la creatività alla fedeltà è il discernimento.

 

Che così il discernimento?
È la facoltà di formulare un giudizio o di scegliere un determinato comportamento in conformità con le esigenze della situazione.

Quanto all’etimologia, “discernimento” deriva dal verbo latino discernere, composto di cernere (vedere chiaro, distinguere) preceduto da dis (tra): dunque, discernere significa “vedere chiaro tra”, osservare con molta attenzione, scegliere separando. Il discernimento è un’operazione, un processo di conoscenza, che si attua attraverso un’osservazione vigilante e una sperimentazione attenta, al fine di orientarci nella nostra vita, sempre segnata dai limiti e dalla non conoscenza. Il termine “discernimento” risulta ermetico. È infatti una parola caduta nell’oblio, ma che recentemente appare spesso nell’insegnamento di papa Francesco.

 

Dal punto di vista cristiano il discernimento è dono dello Spirito di Dio. Tuttavia, se il discernimento spirituale è un dono dello Spirito che opera in noi, ogni persona ha però in sé delle facoltà umane che devono collaborare con esso. Lo Spirito santo agisce attraverso le nostre qualità intellettuali, perciò queste vanno riconosciute con docilità e messe in atto, affinché il credente sia abilitato alla ricezione di tale dono.

Per questo il “vedere-tra” del discernimento pastorale deve recepire dalla tradizione cristiana criteri già sperimentati per comprendere il volere di Dio. Il discernimento, infatti, opera sul filo della memoria storica e deve sempre aver presente la continuità della storia della salvezza, l’analogia della fede, il magistero della Chiesa e i giusti dettami della prudenza umana. Nel nostro contesto il discernimento mette al primo posto il bene fondamentale della comunione ecclesiale, che non deve mai per nessuna ragione essere lacerata. Proprio per questo la lettura della situazione deve essere condotta teologicamente fin dal primo istante.

 

A nessuno sfugge che la realtà nella quale siamo chiamati a operare pastoralmente è una realtà di profondo cambiamento e di cambiamento rapido. Ed è proprio per questo che una pastorale attuata in un recente passato non ce la fa più a essere significativa ed efficace oggi. Non perché fosse sbagliata, ma perché non è più corrisponde alla realtà.

Ecco perché il discernimento ci costringe a fare lettura dei segni dei tempi per ripensare le nostre prassi pastorali nell’oggi e qui (hic et nunc). E per dirla con Papa Francesco sono tre i verbi che ci aiutano a fare un buon discernimento: ‘riconoscere’, ‘interpretare’ la realtà, ridefinire il nostro ‘agire’. Il Concilio ha tre verbi fondamentali che completano la comprensione del buon discernimento: “conservare, purificare, rinnovare”.

 

Ecco cosa fa il discernimento: aiuta a purificare il nostro sguardo e vedere la vera realtà sul piano sociologico e, prima di tutto, sul piano teologico. Lo sguardo dell’operatore pastorale deve essere uno sguardo non rigido, ma liberato e liberante sulla realtà. Una persona rigida vede la realtà filtrata dalle proprie paure o dalle proprie certezze, che a volte sono peggiori delle paure. La creatività nasce da un sogno che portiamo nel cuore e non solo da un'analisi; l’analisi dei bisogni non genera creatività. Le persone si attraggono mediante uno sguardo che sappia andare oltre la realtà, che sappia cogliere dimensioni più profonde, che sappia rispondere in modo nuovo ai limiti del tempo.

 

Alla luce di queste brevi premesse è possibile comprendere che il cambiamento è l'unico modo disponibile per mettere in atto in pienezza la nostra missione nella fedeltà al mandato di Gesù che “Andate, insegnate, fate discepoli”. Trova, così, sistematizzazione l’essere creativi per essere fedeli.  Il Documento Base per il Rinnovamento della Catechesi ricorda: «Fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo: non si tratta di due preoccupazioni diverse, bensì di un unico atteggiamento spirituale, che porta la Chiesa a scegliere le vie più adatte, per esercitare la sua mediazione tra Dio e gli uomini. E’ l’atteggiamento della carità di Cristo, Verbo di Dio fatto carne». (RdC 160)

 

2.      Quando una prassi pastorale è creativa?

 

E’ tempo di misurarsi sulla concretezza: quando una prassi pastorale è creativa?Una prassi è creativa quando è nuova e quando è utile.

Il concetto di novità possiamo agevolmente intenderlo con qualcosa che prima non c’era e/o si presenta per la prima volta o come differente da quanto in un certo ambito si è fatto o detto, visto o sentito prima e perciò, spesso, anche con aspetto o con carattere originale. Novità esprime anche l’idea di cambiamento, di innovazione, di mutamento o insieme di mutamenti apportati in determinati settori.

Il concetto di utilità può essere inteso come ciò che serve o che possa essere utilizzato a determinati fini. Ciò che si può usare per un bisogno, per uno scopo. Ciò che reca un beneficio, che si dimostra efficiente ed efficace. Ciò che è vantaggioso. Che genera frutti nel tempo, non come risoluzione di problemi del momento.

Pertanto una prassi pastorale è creativa quando è utile e nuova; quando ha il coraggio e l’ardire di abbandonare il “‘si è sempre fatto così’! Ma anche quando non cede a eventi moda o a adattamenti funzionali. 

A questa prassi creativa serve un previo processo di discernimento comunitario.
Attenzione, pero! 
 NO a una lettura teologica che sia solo speculativa! E NO a una pastorale che sia solo azione! Essa deve essereriflessione e visione profonda che nasce dalla preghiera.

 

3.      Come avviare  una prassi pastorale creativa?

 

Per fare questo dobbiamo chiederci qual è il cambiamento necessario oggi. La pedagogia ci ricorda che non c'è un solo tipo di creatività. Pertanto la questione è racchiusa nella domanda: qual è la creatività necessaria oggi?

Per accostarci al tempo è necessario condividere un affermazione che fa tremare i polsi: non abitiamo un'epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d'epoca.  Per questo motivo alla pastorale è non è più chiesta una creatività sulle iniziative e i programmi, ma una creatività sull'impianto generale. Non si tratterà di fare cose nuove (creatività programmatica), ma di fare nuove le cose (creatività paradigmatica).

Che vuol dire cambiare il paradigma? Vuol dire cambiare oggetto, soggetto, forma e stile! Fin che continueremo a dibattere sulla celebrazione dei sacramenti … sull’età in cui conferire il sacramento della cresima … è da masochisti! La prassi creativa paradigmatica non si riduce a risolvere problemi, o aggiustare cose, ma esprime una nuova visione sulla realtà, sulle persone, sulla fede. Altrimenti si è ancora ancorati a una visione debole pensata a partire da problemi risolvere. Ciò che diviene generativo è partire da una visione! Se oltre lo sguardo liberato non ce lo sguardo liberante non funziona, non genera, non annuncio una terra più bella e spaziosa. Il mandato di fare discepoli lo possiamo fare attraverso un aumento di valore, non una riduzione di costo!

 

Nella creatività vale il principio: si parte dopo per arrivare prima. Il documento segna la fine del processo e non l'inizio! Si tratta di sperimentare alcune prassi ancora imperfette come strumento ermeneutico da mettere in atto in un contesto missionario. Attraverso di esse si comprendo meglio la realtà, si definiscono delle priorità, e si operano delle scelte.

 

Con i collaboratori pastorali è bene domandarsi: nella prassi della nostra comunità pastorale

-         Cosa posso aggiungere che sia importante, che sia utile?

-         Cosa posso ridurre, o invece, è bene aumentare?

-         Cosa è bene eliminare perché non più fecondo?

-         Cosa smettere di fare o chiudere?

-         Cosa trasformare, in quanto buono in sé, ma da realizzare dentro un nuovo paradigma?

 

Occorre avere coraggio per non ripetere scelte che aumentino la nostra insoddisfazione e frustrazione. 

 

Per concludere

 

Il denominatore comune che accompagna la presente riflessione è i convincimento che la pastorale e la nostra appartenenza alla parrocchia non è legata alla nostra operatività, ma alla relazione con Cristo.

E allora la risonanza a quanto riflettuto fin qua può essere riassunta così:

1.  Essere creativi vuol dire dare spazio al tempo. Il tempo supera lo spazio. La creatività è qualcosa che si sviluppa dentro una visione che guarda la realtà in un tempo ampio, e non per risolvere le questioni del momento, i problemi contingenti.

2. Si è creativi quando è permesso sbagliare. La creatività nasce in un luogo dove si può sbagliare. La sperimentazione si fa sperimentando e l’errore è uno strumento ermeneutico di comprensione della realtà.

3.   Un ambiente creativo è un ambiente dove si può criticare ed entrare in conflitto. In un ambiente dove tutti dicono di sì non c'è creatività. Occorre consentire di comunicare anche in modo acceso e appassionato, dando la possibilità di farlo nell'unità e nel momento giusto e opportuno. Non dopo le riunioni. Non c’è comunione  e verità se dopo le riunione iniziano “le riunioni parallele in WhatsApp” … Questo non fa unità, ma il gioco del maligno. 

4.  Tagliare e potare sono verbi/atti creativi, sono generativi. Se non attraversiamo l’esodo non potremo risorgere. 

5.   Creatività è anche attesa. Il buon discernimento è quello che non fa decidere in modo precipitoso. Anche perché la creatività ha bisogno di un suo tempo per essere elaborata. C'è bisogno di discernimento. Non si decide per necessità, ma per qualcosa di più bello, di più grande, di più importante. 

6.   Occorre partire da una visione, non dai problemi; è questo che attrae le persone. È brutto dirlo: ma un’alta percentuale delle nostre parrocchie, dei nostri organismi di partecipazione, dei nostri oratori non hanno un progetto, hanno un programma: hanno un elenco di attività. Ma tutto questo non è una visione. Le persone non sono affascinate da delle attività, ma da un sogno.

7.  Analogamente nelle nostre comunità, nei nostri organismi di partecipazione manca spesso la verifica. Non dobbiamo dimenticare mai che ogni progetto, così la programmazione pastorale ha bisogno della progettazione, della azione, ma anche della verifica! Sono vere e proprie dimensioni costitutive del processo di creatività pastorale.

8.   Infine, non dimentichiamolo mai: non si può non essere creativi perché solo così si è fedeli. Abbiamo un mandato, che è il più bel mandato del  mondo e chiede una fedeltà che ci permetta di essere generativi: la costruzione del Regno di Dio.

 

 

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