Tutti i battezzati partecipano al sacerdozio comune

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All’inizio di un anno pastorale mi è naturale tornare su un tema a me molto caro quale la formazione e la partecipazione dei fedeli battezzati alla corresponsabilità della vita della Chiesa

 

È una sfida sempre più urgente data soprattutto la   carenza di sacerdoti. In molti luoghi del nostro Bel Paese sono state create unità pastorali che, lungi dal rivitalizzare la vita cristiana, hanno finito per essere strutture fragili che, mentre esauriscono i sacerdoti, disperdono i fedeli.

 

Il rischio è quello di ridurre la missione a mera gestione amministrativa.

Per affrontare questo problema, è indispensabile e improcrastinabile recuperare con vigore la visione conciliare, secondo la quale tutti i battezzati partecipano al sacerdozio comune.

 

E ciò nel rispetto massimo della differenza ontologica di carisma e ministero ordinato. Ma non possiamo mai dimenticare che la missione evangelizzatrice riguarda la Chiesa che, per natura sia è missionaria.

 

Pertanto a risposta sta nel formare laici con una seria preparazione teologica, spirituale e pastorale, affinché possano animare le comunità, accompagnare e sostenere la fede anche senza la presenza costante di un sacerdote.

 

Non si tratta di sostituti improvvisati, ma di ministeri stabili e riconosciuti, già esistenti nella Chiesa e che potrebbero essere ampliati con creatività.

Allo stesso modo, il futuro esige comunità vive più che grandi strutture: gruppi piccoli ma impegnati, capaci di preghiera, servizio e annuncio. Che ogni comunità, anche senza la Messa domenicale, sia un centro del Vangelo.

 

Ciò implica l'assunzione di una vera corresponsabilità. I ​​laici non sono lì per "aiutare il sacerdote", ma per condividere la sua missione. Ciò significa prendere decisioni, pianificare la cura pastorale, gestire le risorse e portare il Vangelo nella vita quotidiana.

 

La Chiesa non può continuare a pensarsi come una rete di parrocchie gestite da sacerdoti, ma iniziare a vivere se stessa come un popolo in missione, dove ogni battezzato sa di essere responsabile dell'annuncio della fede e del sostegno della comunità.

 

Allo stesso tempo, è necessario accompagnare la riflessione teologica con misure istituzionali. Non basta aprire dibattiti; occorre creare risorse e spazi affinché teologi, pastori e laici possano lavorare insieme. La comunicazione deve essere franca e pedagogica: spiegare perché si mantengono certi limiti dottrinali, ma anche cosa la Chiesa offre a coloro che si sentono ai margini.

 

Una prudente continuità può dare stabilità, ma se viene percepita come tiepidezza.  L'unico modo è recuperare il criterio della coerenza tra parola e vita: coraggio pastorale, fedeltà teologica e ascolto efficace.  

 

Occorrerà coniugare azioni che mobilitano, dialogo che non si chiude e trasparenza che ripristina la fiducia, per dimostrare, alla fine, che la profezia cristiana non dipende dalla velocità del cambiamento, ma dalla profondità della testimonianza.

 

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