L’oratorio, il luogo dove ho (quasi) perso la fede

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Mi sono imbattuto casualmente in questo scritto. L’ho letto più volte.
Amaramente sono giunto a una conclusione: avrei voluto scriverlo io!
E’ esattamente quello penso da troppi anni!
E’ esattamente quello che denuncio da troppo tempo.
Quello che estendo all’ambito della catechesi e forse anche all’insegnamento della religione nelle scuole.

Che qualcuno la pensi come me, NON mi consola.
Che qualcuno la pensi come me mi rende assai triste, e come pastore mi preoccupa non poco. L’eclissi del sacro, di cui ho scritto non troppo tempo fa, ha anche queste origini.

 
Ah, l’oratorio! Il luogo della mia infanzia… Quanti ricordi…
Cooomunque…
Prima che qualcuno si allarmi vorrei fare una precisazione: questa pagina non parla degli oratorî in generale… …quello che vorrei fare, in punta di piedi, è spendere due parole sulla mia personalissima esperienza in oratorio.
1 • La fede è un pessimo “prodotto” da vendere (?)
Partiamo dall’inizio.
Nell’oratorio in cui ho passato tutta l’infanzia e l’adolescenza, l’idea alla base della pastorale rivolta ai ragazzi era più o meno questa:
1.     La fede cristiana è un pessimo prodotto da vendere nel terzo millennio.
2.     Però in qualche modo la parrocchia dobbiamo riempirla, sennò che figura ci facciamo?
3.     Cerchiamo quindi un modo per accalappiare i gggiovani, facendo però attenzione a tenere «certe parole di Gesù» o «certi insegnamenti della Chiesa» in un angolo, nella penombra, che sennò poi le persone si turbano e si allontanano…
 
Insomma, ho sempre avuto l’impressione che la proposta di fede che mi veniva rivolta da ragazzo fosse:
  • Tiepida, sbiadita, all’acqua di rose: man mano che crescevo, mi rendevo conto che avevo sete di radicalità e di cose grandi… e il mio oratorio era l’ultimo luogo al mondo dove le avrei trovate!
  • Puerile, bambinesca, cringe: mi ha colpito molto ciò che ha detto don Andrea Lonardo quando era responsabile dell’ufficio catechistico qui a Roma: una bambina di quarta elementare a cui faceva catechismo aveva già letto tutta la saga di Harry Potter (cioè più di 3600 pagine)… mentre noi continuiamo a proporre ai bambini attività infantili«prepariamo un cartellone»«coloriamo Gesù»«facciamo le coreografie», etc.
  • Vuota, insipida, petalosa: gli animatori si riempivano la bocca di parole come «amicizia», «condivisione», «fratellanza»… ma non dicevano nulla di diverso da quello che oggi un adolescente potrebbe sentire su YoutubeNetflix o TikTok (*).
 
·        Qualche anno fa, Marko Ivan Rupnik constatava amaramente che:
·        Una volta la fede in Europa ha ispirato tutta la cultura, come un lievito.
E, ancora più indietro, all’inizio del cristianesimo, una comunità cristiana piccola, perseguitata ed estremamente varia, assortita, senza nessuna identità storica e senza appartenere a nessuna cultura, ha scardinato il potente sistema educativo classico, che aveva vinto e assoggettato tutte le altre tradizioni culturali…
·       
Oggi, invece, stiamo scimmiottando il mondo quasi in tutto […].
2 • Gesù: un soprammobile tutto sommato superfluo (?)
Nella mia parrocchia, la linea educativa che veniva seguita in oratorio era più o meno questa:
1.     «Innanzitutto parliamo ai ragazzi dei valori: l’amicizia, la fratellanza, la giustizia, la solidarietà, l’inclusività, il pericolo della droga, il problema del bullismo, il dramma della raccolta differenziata, la catastrofe della mattanza dei delfini alle isole Fær Øer, etc.»
2.     «Poi (ma solo se avanza tempo) possiamo parlare (se non diamo fastidio a qualcuno) della vita in Cristo, della grazia, dello Spirito Santo, dei sacramenti… ma così, en passant, a mo’ di soprammobile…»
3.     «Se però non riusciamo a passare dal punto 1 al punto 2, poco importa: l’essenziale è che ci sia il primo. Quello basta e avanza per essere brave persone»
4.     Mi sembra proprio di sentire l’eco delle parole del sacerdote responsabile dell’oratorio:
 
Ora la sparo grossa.
Pistola alla tempia, se mi dovessero chiedere qual è il nocciolo della crisi della fede, il problema che la pastorale sta vivendo da mezzo secolo a questa parte, il motivo per cui i seminarî sono sempre più vuoti, il mondo sempre più secolarizzato, i preti sempre più insipidi, etc…
 
…direi (timidamente e in punta di piedi) che il cuore della crisi è questo:
«Basare la pastorale sui “valori” (l’amicizia, la fratellanza, la solidarietà, la bontà, etc.), usando “il divino” (la vita in Cristo, i sacramenti, la grazia, la preghiera, etc.) come un soprammobile»
Per la cronaca – questo pensiero non è farina del mio sacco, ma una amara constatazione di padre Marko Ivan Rupnik:
Negli ultimi secoli anche noi abbiamo fatto nostro una specie di umanesimo radicale […]. Con questo bagaglio e operando nello stesso modo in cui opera il mondo, vogliamo tuttavia mettere sempre un timbro religioso sopra alle nostre cose.
Il risultato non può essere che il provocare una sorta di allergia al religioso, perché attraverso questo modo di fare l’umano non coglie il divino come liberante, come redentore dell’umano, ma come un formalismo soffocante, come un moralismo culturale, e alla fin fine come un soprammobile, dunque qualcosa di non indispensabile, di cui ci si può sbarazzare senza problemi.

Perseguire un’idea di evangelizzazione come una macchina potente che si muove attraverso una serie di opere istituzionali della stessa natura delle strutture del mondo, ma con una leggera verniciatura religiosa, non favorisce la pretesa di coscienza di questa situazione dell’umanità bisognosa di salvezza, che invoca un incontro libero d’amore con il divino.[…]

Insistendo testardamente su questa via, invece di aiutare l’uomo a leggere sé stesso e la propria situazione, lo disturbiamo provocando continuamente delle reazioni di difesa per dimostrare che quelle stesse opere che noi proponiamo le riesce a fare anche lui, ma senza il giogo cristiano addosso.
3 • Il «menù» della parrocchia… senza l’Ingrediente Principale (= Dio!)
Vladimir Solov’ëv (1853-1900), filosofo e teologo russo, un paio di secoli fa scriveva queste righe: La religione attuale è una cosa molto misera, anzi non esiste affatto come principio dominante, come centro di gravità spirituale, e al suo posto abbiamo la religiosità come umore personale e gusto personale che alcuni hanno e altri non hanno, come ad alcuni piace la musica e ad altri no.

Perché ci manca un centro assoluto,
si moltiplicano i centri relativi e temporanei della nostra vita e coscienza,
i bisogni e gli interessi vari,
i gusti e le mode,
le opinioni e le concezioni
.
Spesso le parrocchie sono diventate luoghi di aggregazione sociale, dove si organizzano le attività più disparate:
  • il cineforum
  • il corso di teatro
  • la grigliatona in cortile
  • il seminario per imparare a fare la pizza
  • la visita etologica al campo ROM
  • la gara di rutti
 
Tutto questo viene fatto per «stare insieme», per «fare gruppo», per «non occupare spazî ma avviare processi» e per mille altri motivi (uno più legittimo dell’altro, eh!)… peccato che nell’“offerta formativa parrocchiale” spesso manchi proprio l’Ingrediente principale: ossia una relazione radicale con Dio, una vita di preghiera intensa, un incontro reale con Cristo, l’esperienza concreta del suo amore che passa attraverso i Sacramenti, etc.
 
Diceva Rupnik:
Siamo molto, molto testardi.
Facciamo tutto come il mondo e secondo il mondo, e sopra mettiamo un cappello religioso.
Così rendiamo ridicola la fede
 e, invece di manifestare il suo ruolo centrale, un ruolo simile a quello del cuore, la riduciamo ad una realtà di gesti e di umori individuali, di stati psichici, o a un insieme di valori declamati, cioè all’esercizio di un influsso culturale.
Infatti, 
ci siamo ormai abituati a pensare alla religione come ad un fattore sociale, coesivo, utile per promuovere i valori.
Allo stesso modo, talvolta la identifichiamo con una sorta di igiene interiore, che va di pari passo con la psicologia, con la psicoterapia, con la dieta, con il benessere generale, facendo così coincidere la religione con un trattamento degli stati d’animo dell’individuo.

 
  Conclusione
  • No, non ce l’ho con gli oratorî
  • No, non c’è nulla di male se i bambini in oratorio colorano cartelloni
  • No, non c’è nulla di male se i ragazzi in oratorio giocano a «ruba bandiera» o a «schiaccia sette»
  • No, non c’è nulla di male se si organizza il «cineforum» in oratorio
     
  • , il problema è se Cristo c’è o non c’è nelle cose che si fanno all’oratorio
  • , il problema è se gli animatori dell’oratorio portano Cristo o no
  • , il problema è se gli educatori dell’oratorio non vivono una vita in Cristo radicale
  • , il problema è se chi accompagna i più piccoli alla fede non ha mai incontrato Cristo
 
Giovanni Bosco faceva giocare i bambini… ma aveva una relazione viscerale col Carpentiere Galileo.
 
Filippo Neri era un uomo che aveva preso sul serio il combattimento spirituale… e infatti profumava di Cristo.
 
Se gli animatori/educatori/responsabili degli oratorî non vivono una vita in Cristo, si vede.
Se non pregano, non ricevono la grazia dai sacramenti, non si ritagliano del tempo per stare con Lui, si vede.
Se non hanno il Suo odore, si sente.
Se hanno l’odore del mondo, si sente.
 
Diceva Ildefonso Schuster (1880-1954), monaco e cardinale italiano:
Il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi, ha paura invece della nostra santità.