L’irresponsabilità collettiva

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Sono sempre più persuaso che il peccato del secolo sia il peccato della irresponsabilità collettiva. Viviamo in un mondo di irresponsabili a ogni livello. Le notizie che si rincorrono in questi giorni relativi alle inondazioni dovuti alle piogge e allo straripamento dei fiumi sono pugnalate al cuore e all’intelligenza degli italiani. Danaro (e molto) stanziato da anni per interventi finalizzati alla sicurezza e che a causa della “burocrazia” (quante brutte cose nasconde questo termine!!!), di rimpalli, di ricorsi e sentenze amministrative non è mai stato impiegato e i lavori di messa in sicurezza di torrenti, canali e quant’altro non sono mai stati eseguiti ... con il sottofondo beffardo di un 'io l’avevo detto'.

 

Ma non si deve solo guardare l’aspetto pubblico dell’irresponsabilità; sono convinto che nel cuore dell’uomo contemporaneo alberga questo pessimo sentimento in maniera colossale! Penso spesso alla irresponsabilità di chi guida ubriaco o drogato e trascina via ignari e indifesi passanti. L’irresponsabilità del riduzionismo antropologico, che scarta bambini, anziani e giovani generazioni. L’irresponsabilità dell'uomo che perde la propria reale essenza trasformandosi in altro, in un mero strumento. Ma c’è l’irresponsabilità dell’evasore fiscale, l’irresponsabilità del calunniatore e del maldicente; l’irresponsabilità di chi fa affari senza moralità e di chi froda  

Papa Francesco in Evangelii gaudium ricorre al concetto di globalizzazione dell’indifferenza. Quindi indifferenza/irresponsabilità! Mutando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia.

 

Ma che cos'è la responsabilità? Responsabilità è sapere che si devono raggiungere certi obiettivi, che è compito personale farlo e se ne hanno i mezzi. Un obiettivo personale che solo personalmente può essere realizzato e al qual occorre dedicare passione, attenzione, impegno, dedizione operando assolutamente nel migliore dei modi e, il caso di fallimento, non dovrà essere attribuito a nessun altro l'insuccesso ad altri.

Ciascuno di noi è potenzialmente investito di una responsabilità. Fin dal primo istante del nostro uso di ragione raggiunto dobbiamo misurarci con le piccole o grandi responsabilità che la vita riserva. E ciò in proporzione alla età, alla mansione che ciascuno svolge, alla relazione con l’esterno e con gli altri. Non esistono responsabilità più o meno prestigiose. Anche la responsabilità di una persona di comando non è più importante della responsabilità della nonna che si prende premura dei nipoti poiché anche la mamma deve lavorare. Vi sono responsabilità che possono avere più o meno incidenza sulla vita pubblica, sociale ed economica del Paese, ma tutti siamo responsabili per la nostra parte! E in questo contesto ciascuno potrà scegliere se fare il minimo indispensabile o, invece, cercare di migliorare tutto ciò su cui ha il potere di decidere senza cadere nella indifferenza.

 

Responsabile è colui che, dotato di personalità equilibrata, è capace di assumersi la responsabilità del bene o del non bene compiuto: ritardi, fallimenti, errori, tradimenti, illeciti … L’irresponsabile non si cura del bene comune, e di fronte al mal fatto è prontissimo a scaricare sugli altri o sugli avvenimenti gli errori e gli insuccessi. Chiunque abbia un qualsiasi “potere” verso gli altri debba avere anche un “dovere” verso gli altri; quindi è irresponsabile chi usufruisca dell’esercizio del potere senza adempiere il dovere. Kant diceva: “puoi, dunque devi”!

Che così il bene comune? Il bene comune è l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente” (Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, 164). “E’ un bene arduo raggiungere, perché richiede la capacità e la ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio” (ibid. 167)

 

Ne derivano alcune conseguenze:

1.  Il bene comune è un concetto, ma anche un agire, positivo, attivo, che coinvolge la responsabilità di tutti, da cui nessuno si può sentire escluso o chiamare fuori.

2.  Il bene comune riguarda l'intera vita della persona e tutte le dimensioni della comunità, non solo locale e circoscritta, ma sempre più universale e internazionale: coinvolge tutta l'esperienza dell'uomo, di ogni uomo, dal suo concepimento al termine della sua dimensione terrena.

3.  Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l’agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l’agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale.

4.  Ogni scelta in direzione del bene comune è importante non solo per la sua efficacia concreta, ma soprattutto per la sua valenza e il suo ruolo educativo.

 
 Affermare che il bene comune è responsabilità di ciascuno, significa considerarlo non solo un dovere ma anche un diritto. Sarebbe illusorio, e anche pericoloso, pensare che ogni persona che è chiamata a dare il proprio contributo per il bene della società, non porti con sé, e non metta a disposizione di tutti, il frutto della propria riflessione, dei valori, degli ideali.

 

L'irresponsabilità è, allora, il connotato essenziale dell’esito di processi culturali ed etici sempre più permeati e veicolati dall'egemonia di valori individualistici, da una superficialità e incapacità di valutare le conseguenze dell'azione sociale individuale e collettiva. (la globalizzazione dell’indifferenza!)  Papa Francesco vi contrappone il valore della solidarietà - questa parola che oggi rischia di essere cacciata via dal dizionario - la solidarietà come atteggiamento morale, espressione dell’attenzione all’altro in ogni sua legittima esigenza”. E auspica la “globalizzazione della solidarietà”.

 

Una tale situazione trova le sue radici più profonde in un preoccupante vuoto etico in grado di incidere sui meccanismi della fiducia, della solidarietà e della cooperazione sociale. Ciò che oggi è temibile è la nascita di un nichilismo nel quale il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere intorno agli scopi.  Senza etica non ci può essere bene comune!

 

Dal punto di vista etico noi possiamo considerarci persone responsabili solo quando sapremo considerare obiettivamente le conseguenze delle nostre azioni; quando sapremo assumercene sia il merito che il demerito; ma sopratutto quando faremo tutto quanto è in nostro potere per procurare, promuovere e aumentare il bene comune.

 

Nella enciclica Caritas in veritate si legge: “Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di polis, di città” (Cv 7).

 

Occorrerà con decisione e coraggio favorire e promuovere una vera educazione ai valori morali per ogni cittadino percepisca la gravità del peccato di irresponsabilità anche perché non diventi irresponsabilità collettiva o peggio globalizzazione dell’indifferenza e nessuno possa eludere la propria responsabilità sociale. L'attenzione alla persona e la ricerca del bene comune, al di là di egoismi e particolarismi, devono essere i due cardini che costantemente interpellano la responsabilità di ciascuno.

L’urgenza è quella di operare per la riproposizione di un “nuovo umanesimo cristiano”, l’unico che possa condurre a una reale e permanente promozione del bene comune.