Le unità pastorali

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Da una ventina d’anni - circa – nella Chiesa italiana, soprattutto al nord del Paese, è sempre più ricorrente il termine Unità Pastorale (UP). Si sono celebrati Convegni e Sinodi diocesani; si sono fatti progetti, si sono elaborati documenti. Di queste realtà si è detto di tutto e il contrario di tutto. Si è messo in luce il bene, ma si sono anche evidenziati i limiti, le attese e le delusioni, sottolineando lo scarto enorme fra le promesse che il termine faceva supporre e i risultati raggiunti. Insieme con  molti colleghi pastoralisti e sociologi del fatto religioso e della religione sono persuaso che sia indispensabile tornare al dato storico-pastorale e al momento fondativo delle UP nella speranza di ottenere un po’ di chiarezza.

 

Innanzi tutto è da dire che il Codice di Diritto Canonico non fa alcun riferimento alle UP, mentre lo stesso Codice tratta estesamente e compiutamente delle parrocchie e del ministero del parroco. Giuridicamente la parrocchia continua (a tutt’oggi) a esistere e solo con un atto formale del Vescovo essa può essere soppressa.

Le Unità pastorali nascono oggi in maniera spesso artificiale e si moltiplicano esponenzialmente per motivi totalmente differenti dalle finalità per le quali sono state pensate e originate dalla ecclesiologia del Concilio Vaticano II. Oggi il termine Unità Pastorale é usato per cogliere il nuovo che emerge, per sviluppare una organizzazione voluta più dall’alto e per dare un nome al nuovo.

 

1.    Origine e identità delle Unità Pastorali

 

Per UP è da intendersi l’unione di un congruo numero di parrocchie, presiedute da un parroco e di tutte le differenti presenze ecclesiali sul territorio quali sacerdoti, diaconi, religiose/i, laici, movimenti associazioni gruppi che collaborano, continuando ciascuna a rimanere tale. Si trattava di sostenere la logica integrativa secondo la quale le parrocchie, omogenee per vicinanza di territorio e per affinità di tradizioni religiose, culturali e sociali,

avrebbero lavorato insieme con progetti pastorali e iniziative comuni, pur restando autonome nella loro identità giuridica.

Infatti, fatto salvo il Diritto, l’UP era nata al fine di favorire

       La creazione di comunità presbiterali perché il ministero sacerdotale non solo sia sostenuto e incoraggiato, ma potesse ricevere franchezza e forza testimoniale. Del resto anche il Concilio Vaticano II lo aveva auspicato nel Decreto Presbiterorum ordinis: «Sia incoraggiata tra di essi una certa vita comune ossia una qualche comunità di vita che può naturalmente assumere forme diverse in rapporto ai differenti bisogni personali e pastorali» (8).

       la collaborazione pastorale di più parrocchie vicine, con il coordinamento di uno dei parroci;

       la cura pastorale di più parrocchie affidate in solido a più sacerdoti, dei quali uno sia il moderatore (cfr. can. 517 §1).

 

A voler tentare una definizione si può dire che l’UP intendeva essere l’insieme di diverse parrocchie che, pur mantenendo la loro identità, davano vita a una pastorale unitaria di comunione e di corresponsabilità orientata alla missione attraverso una maggiore comunione tra parroci e parrocchie vicine e una migliore valorizzazione delle molteplici risorse presenti nelle comunità parrocchiali e nel territorio.

In sintesi: l’UP è una forma stabile di collaborazione tra più parrocchie, chiamate a vivere un cammino condiviso e coordinato di comunione, attraverso la realizzazione di un preciso progetto pastorale.

 

L’UP non ha mai inteso privare della necessaria e specifica cura pastorale nessuna comunità parrocchiale. Inoltre ciascuna parrocchia continuava a mantenere la propria identità e a curare la propria pastorale ordinaria. L’UP, infatti, non eliminava né la figura giuridica della parrocchia, né la responsabilità pastorale attribuita ai parroci dal Diritto Canonico, né, tantomeno, intendeva intaccare l'autonomia liturgica, sacramentale e amministrativa di ogni singola parrocchia. Che manteneva la propria iscrizione nel registro delle persone giuridiche presso la Prefettura e i parroci, in qualità di legali rappresentanti, rimanevano responsabili delle rispettive parrocchie. 

L'amministrazione, compresi i registri parrocchiali, continuavano a essere condotti separatamente nelle singole parrocchie. L’intento era quello missionario, al fine di favorire una effettiva pastorale d’insieme in sinergia con le parrocchie vicine per promuovere un’azione pastorale più efficace e omogenea per lo stesso territorio.

 

L’UP non è mai stata intesa come una nuova entità che veniva a sovrapporsi o aggiungersi a quelle già esistenti. Né una nuova organizzazione della Chiesa: ma un modo differente di affrontare le tematiche e i problemi della situazione ecclesiale sociale e culturale.

 

L’UP intendeva contribuire a dare nuovo impulso alla missione ecclesiale, attraverso una maggiore comunione e collaborazione tra presbiteri di un territorio omogeneo, fra le parrocchie, le persone consacrate e i laici, come pure tra i diversi gruppi e aggregazioni ecclesiali. In tal modo l’UP rappresentava un’efficace testimonianza in un mondo minacciato dalle divisioni e dall’individualismo. Giovanni Paolo II nella Esortazione apostolica Christifideles laici (CfL) scriveva: “La comunione genera comunione, e si configura essenzialmente come comunione missionaria […].  La comunione e la missione sono profondamente congiunte tra loro, si compenetrano e si implicano mutuamente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione: la comunione è missionaria e la missione è per la comunione” (CfL 32)

 

L’UP veniva affidata alla guida di un sacerdote moderatore, ossia un coordinatore delle varie attività indicato dai sacerdoti confratelli e nominato dal Vescovo. Nell’UP prendeva corpo un piccolo presbiterio,  guidato da un moderatore,  che assumeva uno sguardo diverso sul tessuto parrocchiale precedente, con la partecipazione attiva dei laici.

L’idea fontale – come abbiamo visto - derivava essenzialmente dall’orientamento di una pastorale d’insieme e favorire forme di vita comune fra presbiteri e diaconi che lo avessero desiderato al fine di sostenersi nell’azione pastorale e rendere più fecondo il loro servizio. La mission era la costruzione di un’efficace comunità missionaria dando vita a un gioco di squadra pastorale che rendesse visibile il dono della comunione e missione trinitaria nell’evangelizzazione del territorio che avesse tratti di storia simili o assimilabili.

 

La Chiesa quale realtà di comunione è il principio comunionale della pastorale d'insieme. In tale orizzonte l’UP avrebbe dovuto consentire di approdare a una visione di comunità più "articolata" sul territorio, superando la riproduzione di figure di comunità strutturate sul medesimo modello ed erogatrici di identici servizi. Il criterio della sussidiarietà era l’anima relativa al perseguimento del bene comune delle comunità interessate.

 

A ben vedere – anche se da un excursus storico doverosamente contenuto - le unità pastorali sono nate dalla condivisione dei problemi e dei progetti, passando attraverso l’esperienza dello scambio tra presbiteri, religiose, laici impegnati, per giungere all’obiettivo del valorizzare le risorse presenti sul territorio, nelle singole comunità, a servizio di una realtà più ampia. L’obiettivo primario della UP era la pastorale d’insieme, cioè un lavoro comune che riproponesse in modo rinnovato il Vangelo agli uomini del nostro tempo.

Niente a che fare con una operazione di ingegneria pastorale né di tecnica e strategica mirante a costruire nel tempo una “grande parrocchia” che assorba le piccole comunità. Le Unità Pastorali sarebbero state un vero successo in proporzione di quanto avessero maturato in tutti gli operatori una mentalità come sorgente di comunione e missionarietà della vita delle diverse parrocchie e delle varie realtà ecclesiali per discernere i segni e le opportunità di attuare una nuova evangelizzazione.

 

Tali scelte pastorali fondavano e fondano su alcune linee teologiche e pastorali di una Chiesa comunione e missione trinitaria. Infatti “l’anima” delle Unità Pastorali fonda su:

1.  la riflessione ecclesiologica promossa dal Concilio, che ha fatto maturare la riscoperta di una responsabilità collettiva per la cura pastorale, e che spinge a una pastorale d'insieme o pastorale organica, da attuarsi mediante un'ordinata collaborazione di presbiteri e laici per un determinato territorio;

2. il passaggio da una concezione di parrocchia intesa come realtà giuridica in sé compiuta, a una visione di parrocchia intesa come spazio aperto a una comunione che valorizza altre risorse e mette a disposizione proprie potenzialità in una collaborazione ancora più organica

3.   la varietà e la corresponsabilità dei doni e dei ministeri messi a servizio delle situazioni e della realizzazione del piano pastorale unitario;

4.  la comunione dei sacerdoti, dei diaconi, dei religiosi, delle religiose, e dei laici che sono impegnati in un servizio alla comunità ecclesiale.

5.   la valorizzazione dei laici in servizi pastorali che li rendano responsabili nell’animazione di settori e ambiti delle Unità Pastorali sia quando il sacerdote è “presente” sia quando non ci sia più la possibilità di tale presenza;

6.   la ripresa della missionarietà;

7.   un’azione pastorale più unitaria e organica.

 

2. Cosa sono oggi le Unità Pastorali?

 

Le Unità pastorali oggi nascono quasi esclusivamente in ragione della carenza di sacerdoti! Non è stata la virtù, è stata la necessità a farle nascere, ha dichiarato sinceramente e candidamente un sostenitore delle Unità Pastorali.

Facile comprendere quanto questa reale necessità e urgenza sia distante dall’ideale originario e crei non poca confusione. E mutando gli elementi fontali e originari il risultato è fatalmente destinato a non essere lo stesso. Infatti tutti i tentativi di motivazione a sostegno e conforto della istituzione delle UP spesso sorprendono e lasciano basiti. Si percepiscono come artificiosi, artati, costruiti più per motivare la realizzazione della nuova istituzione che derivanti dall’ecclesiologia e dalla missionarietà.

 

Non vi è dubbio che è indispensabile tener conto delle situazioni attuali e soprattutto dell’inarrestabile calo del numero dei sacerdoti. Le cifre rilevabili in alcune Diocesi italiane fanno tremare i polsi.

Tuttavia la domanda sorge spontanea: è proprio vero che la soluzione sia l’istituzione di una UP snaturata dallo spirito delle origini per affidare un certo numero di parrocchie alla cura pastorale di un solo sacerdote?

E’ proprio vero che l’UP sia la soluzioni a molti problemi della pastorale odierna? E’ proprio vero che per affidare più parrocchie alla cura pastorale di un solo presbitero sia necessario istituire l’UP stante il fatto che il Diritto prevede che quel presbitero debba canonicamente essere pastore di ogni singola parrocchia?

 

Le esperienze maturate in questi dieci anni circa rivelano lo scarto enorme fra le promesse che il termine porta con sé e i risultati raggiunti. Le Unità pastorali si stanno rivelando un contenitore in cui si sommano le varie attività pastorali delle singole parrocchie più per una “comodità” del parroco che dei parrocchiani. Proporre alla comunità di un determinato territorio, geograficamente e storicamente omogeneo, la prospettiva di diventare UP molto spesso è una operazione artificiosa e lontanissima dalle motivazioni dell’origine! Non è la omogeneità geografica né quella storica che fanno di 3,4,5, o più parrocchie una UP. Sociologicamente i nostri paesi, piccoli o grandi sono cresciuti tutti all’ombra del proprio campanile. Hanno identità assai tipiche anche se distanti pochi kilomentri gli uni dagli altri. E’ vero che nei piccoli centri gli operatori pastorali non sono molti, ma è una utopia pensare che – a esempio – i catechisti dell’UP si trasferiscono da una parrocchia all’altra. Occorre avere la pazienza di individuare e preparare operatori pastorali in ogni singola parrocchia! Si tratta di parrocchie piccole? Sarà sufficiente un piccolo numero di operatori!

Spesso si dimentica (e il Codice di Diritto Canonico la caldeggia) la realtà importante dei Vicariati Foranei o Decanati che sono i luoghi naturali della formazione degli operatori pastorali a base decanale.

Ho in mente la prassi dei Paesi di missione dove il Centro prepara i catechisti che tornano poi nei singoli villaggi.

 

3.   Quale orientamento sembra pastoralmente praticabile?

 

Continuerò ad avere prae oculis l’UP formata da più parrocchie affidate canonicamente e giuridicamente ciascuna a un solo parroco. I teologi pastoralisti e gli psicologi del fatto religioso sostengono che la situazione del calo drastico di presbiteri non comporta la necessità di assemblare le parrocchie in una UP sostitutiva delle stesse … Anche perché l’aspetto canonico-giuridico non muta di una sola virgola! Ogni parrocchia resta una realtà giuridica a se stante e il presbitero è parroco legittimo di ogni singola parrocchia. Si chiamino pure – queste nuove realtà – Unità Pastorali; ma si abbia il buon  senso, o meglio la “regula pastoralis” del bonum animarum suprema lex!

Per cui fermo restando il diritto e la giurisprudenza canonica, sono persuaso che sia necessaria una rivisitazione o u a riformulazione della prassi pastorale che molti – pur con buona volontà – hanno instaurato.

Per cui, alla luce delle considerazioni fin qui fromulate, con uno sguardo all’origine e uno alla prospettiva del futuro, mi pare che si possa affermare con serena obiettività che possano essere ricondotti alla UP solo alcuni servizi di coordinamento senza snaturare la realtà di ogni singola parrocchia:

   Sarà utile promuovere il Consiglio dell’UP. Spetta al Consiglio dell’UP il compito di una comune progettazione pastorale per la vita liturgica, la catechesi e la carità delle parrocchie che costituiscono l’UP: in particolare si dovrà ripensare in modo organico gli orari delle celebrazioni eucaristiche cercando di garantire in ogni parrocchia una celebrazione eucaristica domenicale.

    Uno di primi doveri dell’UP è la formazione permanente dei laici che si mettono al servizio ecclesiale e per gli ambiti specifici .

    Indispensabile sarà la creazione di un servizio centrale di segreteria a favore di tutte le parrocchie dell’UP per la esplicitazione delle realtà burocratiche: dai certificati, alla presa di contatti con il parroco.

  Altrettanto urgente sarà l’attivazione di un gruppo di volontari competenti che gestiscano la parte amministrativa delle singole parrocchie che formano l’UP, così da sollevare il presbitero cosicché egli non debba lasciare “da parte la parola di Dio per servire alle mense” (cf At 6,2).

  Al riguardo sembra sempre più urgente che il parroco deleghi la parte amministrativa ai collaboratori laici anche oltre l’appartenenza di qualche fedele battezzato al Consiglio parrocchiale per gli Affari Economici. I Laici prendano in mano l’amministrazione della parrocchia con grande competenza e senso di responsabilità. Inoltre in alcune diocesi è stata attuata una innovazione molto provvida. L’Ufficio Amministrativo diocesano ha chiesto ai parroci di dare una procura all’economo diocesano per interviti di un certo spessore (ristrutturazioni o simili) e una équipe tecnica diocesana potrà seguire i lavori. L’indimenticabile papa Benedetto XVI disse: “Dai sacerdoti i fedeli attendono soltanto una cosa: che siano degli specialisti nel promuovere l’incontro dell’uomo con Dio. Al sacerdote non si chiede di essere esperto in economia, in edilizia o in politica. Da lui ci si attende che sia esperto nella vita  spirituale”. (25 maggio 206)

 

Molti pastoralisti ritengono che all’UP non si possa chiedere di più. Altre attese segnerebbero una disillusione che rischierebbe di far infrangere contro la severa realtà anche gli obiettivi possibili.

 

Ma si può e si deve chiede qualcosa alla Diocesi, ai singoli Parroci e ai Fedeli laici.

 

Alla Diocesi:

     Il Vescovo non dovrebbe affidare a un solo parroco la cura pastorale di un numero elevato di parrocchie perché sia sempre rispettata la suprema lex della  salus animarum. Affermava un Vescovo illuminato che - almeno a oggi – è indispensabile che sia assicurata a ogni parrocchia dell’UP la celebrazione della Messa di precetto (sabato o domenica).  

     Il Vescovo dovrebbe altresì accettare di buon grado l’eventuale offerta di quei sacerdoti, che, pur avendo compiuto i 75 anni e godendo ancora di buona salute, si dichiarino disponibili a servire una parrocchia adatta a loro. E’ un modo per valorizzarli e farle sentire ancora vivi e disponibili per la loro Chiesa. La formula della collaborazione pastorale non sembra così efficace, almeno per coloro che sono ancora in buona slaute.

 

Ai Parroci:

   E’ fondamentale che il Parroco sia fisicamente presenti almeno un giorno alla settimana o buona parte della giornata in ogni parrocchia affidata alle loro cure pastorali. Non dimentichino mai che, a norma del Diritto, egli è parroco di ogni singola parrocchia e non “parroco dell’UP” o solo della parrocchia centrale, o più comoda, o più grande!

Ai parroci è chiesto di vivere davvero una pastorale d’insieme con i fedeli laici, intendendo per pastorale il complesso delle iniziative che la Chiesa mette in atto per realizzare la sua missione in riferimento al mondo e agli uomini d’oggi. Papa Francesco ha stigmatizzato il desiderio dei preti di laicizzarsi e dei laici di clericalizzarsi. Ma è un dato di fatto che il parroco delle parrocchie dell’UP deve aprirsi e fidarsi dei fedeli laici. Forse i preti sono ancora troppo accentratori, troppo gestori, troppo assolutisti. Vi sono spazi e tempi che sono propri dei laici battezzati. Sia sufficiente una riesame e una riflessione di Apostolicam Actuositatem e di Chrsitifideles Laici.

  Al riguardo proprio a causa della carenza di presbiteri, compito del parroco sarà quello di dedicarsi alla formazione degli agenti della pastorale rifuggendo dalla tentazione di nominare sul campo gente dotata di sola buona volontà. La formazione dei laici, infatti, va posta tra le priorità della UP e va collocata nei programmi comuni di azione pastorale, in modo che tutti gli sforzi della UP convergano su questo fine. In ogni parrocchia dell’UP dovrà essere individuato un congruo numero di agenti pastorali in ragione delle esigenze del luogo ai quali dovrà essere assicurata una formazione seria e rigorosa.  Tale formazione potrà essere promossa nell’ambito dell’UP o – se esistente – a livello decanale o foraniale. A parere di molti pastoralisti e sociologi della religione il venir sempre meno del numero dei presbiteri dovrebbe sospingere i parroci a dedicarsi prioritariamente o a provvedere alla formazione di un numero sufficiente di agenti della pastorale: catechisti, lettori, cantori, salmisti, ministri straordinari dell’eucarestia, animatori della pastorale giovanile e della pastorale familiare, volontari e animatori della Caritas parrocchiale, ministri della sofferenza per la visita agli ammalati. Lo ha ricordato il Santo Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Novo millennio ineunte: Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo (43).

   Una attenzione speciale dovrà essere riservata alle scelte e decisioni pastorali. Il Popolo di Dio non potrà mai capire scelte incongrue o fatte per salvare artatamente la struttura della UP. Il sabato è per l’uomo! Non viceversa. Recentemente ho vissuto in prima persona la scelta della celebrazione del Triduo Pasquale concelebrato da tre sacerdoti solamente nella parrocchia centrale mentre le altre chiese rimanevano chiuse! Questo la nostra gente non lo potrà capire mai! Anche perché in chiesa ci vanno le persone anziane che sono impossibilitate a recarsi nel centro dell’UP a meno che qualcuno non le trasporti in macchina. Fin che ci sono sacerdoti è saggia norma non “minimizzare”! Verrà il tempo in cui purtroppo sarà necessario ricorre a codeste scelte per mancanza di clero. Ma in quel caso – e solo in quel caso – la nostra gente lo comprenderà.

 

Ai Laici battezzati:

       Probabilmente spetta ai fratelli laici il sacrificio più gravoso dovuto al calo dei sacerdoti e all’affidamento di più parrocchie a un solo parroco. Ad essi è richiesta la nuova mentalità di Chiesa-comunione superando il concetto di Chiesa comunità di servizi, e non “affare” solo di preti, ma di popolo di Dio.

     Ma la nostra gente va compresa e aiutata:  è stata abituata fino …. a ieri … ad avere il parroco in parrocchia, ad avere la messa tutti i giorni feriali, a poter andare in Canonica quando l’avesse desiderato ... Ma la nostra buona gente sa valutare … sa ben capire l’impossibilia a cui nemo tenetur! Ma sa valutare le opportunità praticabili, come quella di una giornata intera trascorsa dal parroco nella “sua parrocchia” che fa parte dell’UP .

     Ai fedeli laici è chiesto un sur plus di generosità. Direi che questa è “quell’ora dei Laici” che si era auspicata alla fine del Concilio. Questa è l’ora in cui i laici battezzati hanno l’opportunità di passare dalle belle intenzioni ai fatti; hanno la possibilità di valorizzare adeguatamente i diversi carismi presenti nella Chiesa con una maggiore loro responsabilizzazione a livello pastorale.

    Oltre ai compiti sopra descritti spettanti all’UP, servono catechisti, lettori, cantori, salmisti, ministri straordinari dell’eucarestia, animatori della pastorale giovanile e della pastorale familiare, volontari e animatori della Caritas parrocchiale, ministri della sofferenza per la visita agli ammalati … E queste figure servono per ogni parrocchia piccola o grande che sia!

   Sarà l’occasione della valorizzazione dei laici che verranno così stimolati ad assumere responsabilità nelle loro parrocchie, in quegli aspetti della vita di comunità che non pos­sono essere più affidati unicamente ai preti. I laici vivranno così la loro caratteristica di popolo sacerdotale, fortemente richiamata da due testi biblici, uno dell'Antico e uno del Nuovo Testamento: "Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti" (Is 61,6); e l'evangelista Giovanni esalta Colui che "ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre" (Ap 1,6).

     Ciò suppone una formazione integrale che sappia favorire una fede adulta e matura e che abbia alla base un solido approfondimento dottrinale e spirituale. Se nelle nuove realtà della affidata a un solo parroco l’agente pastorale deve essere pronto a vivere la propria fede in ogni ambito ecclesiale ed essere animatore, è anche vero che vanno coltivate competenze specifiche e non soltanto generiche e approssimative.

  E’ evidente che non può venire spontaneo intraprendere cammini seri di formazione. Da qui la necessità di suscitare un’attesa di formazione, una volontà che muova le persone a decidersi che vale la pena “formarsi”. E il primo passo per innescare processi formativi è quello di far sorgere il desiderio di una fede più matura.

 

Per concludere

 

Condivido il concetto base espresso da molti pastoralisti e sociologi della religione. E’ ora di tornare agli inizi! E anche nel caso di parrocchie affidate a un solo parroco occorrerà percorre ogni via praticabile per realizzare quelle forme di collaborazione pastorale possibili, armoniche e non artificiali tra le parrocchie della stessa UP, rispettando, altresì, la peculiarità di ogni singola parrocchia.

L'attuazione delle UP sarà l’occasione provvida di dichiarare anche l'importanza delle vocazioni nella Chiesa e dei diversi carismi che in essa possono fiorire. In maniera speciale porterà a collocare con chiarezza e in una situazione di responsabilità le forme della vita consacrata femminile, che si dedicano alla pastorale. Metterà inoltre in luce la vocazione dei diaconi permanenti.

Infine il ritorno alle origini delle UP Nell’U.P.  consentirà di “incarnare” nel territorio l’annuncio evangelico in modo da renderlo più vicino alle esigenze delle persone che vi abitano e proporzionato alle risorse di cui dispone ogni comunità.