Veicoli e traffico: ma è l'uomo ciò che conta

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In questi giorni siamo tutti assai turbati dagli ultimi, tragici, troppo numerosi incidenti della strada. E tutti troppo giovan, fanciulli compresi! E tutti hanno perso la vita a causa di incidenti provocati da guidatori con troppo alcool o  in corpo o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.
 
È sempre una grave responsabilità quella di colui che prende in mano il volante della propria autovettura. E certamente non estranea alla riflessione etica. Lo studioso di teologia morale, il padre Bernhard Häring ha dedicato poche righe all’obbligo morale di evitare possibili incidenti auspicando "l'applicazione di cure, la moderazione della velocità e l'osservazione delle regole del traffico".

Chiaramente il traffico e la mobilità sono fenomeni che caratterizzano in modo molto speciale questa società. L'uso di combustibili derivati dal petrolio e la tecnologia avanzata hanno reso possibile per le persone a spostarsi da un luogo ad un altro via terra, mare e aria con una velocità che nessuno avrebbe potuto immaginare in passato.

Tuttavia, le possibilità tecniche portano sempre con sé un paio di questioni di ordine etico. Non tutto ciò che è possibile fare deve essere effettuato. O, almeno, la realizzazione di tali possibilità dovrà sempre sollevare alcune questioni etiche.
 
Un viaggiatore che si trovi improvvisamente intrappolato in una fila interminabile di veicoli si lamenta e si spazientisce. Si interroga sulle cause di questi disastri, ma quasi sempre attribuisce la colpa ad altri. Molto raramente attribuisce qualcosa alla propria responsabilità.
 
Con un'ironia che sembra riflettere la realtà di ogni giorno, lo scrittore francese Pierre Daninos una volta ha detto che "la causa più importante degli incidenti stradali è che gli automobilisti mettono nel serbatoio della loro auto la propria autostima al posto della benzina".
 
Un tale amore di sé risponde alla nuova concezione dell'essere umano. La tecnologia moderna ci ha portato a crederci superuomini. In realtà, ha iniettato in noi la convinzione che siamo in grado di esercitare un controllo quasi assoluto sul tempo e sullo spazio, coordinate nelle quali si situa necessariamente la nostra vicenda quotidiana.

Il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) ha deplorato il comportamento "di quelli che, pur professando opinioni larghe e generose, tuttavia continuano a vivere in pratica come se non avessero alcuna cura delle necessità della società". Tra coloro che disprezzano le leggi e le norme sociali, il Concilio menziona coloro che "trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio ciò che concerne la salvaguardia della salute, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, non rendendosi conto di metter in pericolo, con la loro incuria, la propria vita e quella degli altri" (Gaudium et Spes 30).
Ha detto il Papa emerito Benedetto XVI: "Vorrei oggi proporre un’altra intenzione per cui pregare, date le notizie che giungono, specialmente in questo periodo, di numerosi e gravi incidenti stradali. Non dobbiamo abituarci a questa triste realtà! Troppo prezioso infatti è il bene della vita umana e troppo indegno dell’uomo è morire o ritrovarsi invalido per cause che, nella maggior parte dei casi, si potrebbero evitare. Occorre certo maggiore senso di responsabilità. Anzitutto da parte degli automobilisti, perché gli incidenti sono dovuti spesso all’eccessiva velocità e a comportamenti imprudenti. Condurre un veicolo sulle pubbliche strade richiede senso morale e senso civico. A promozione di quest’ultimo è indispensabile la costante opera di prevenzione, vigilanza e repressione da parte delle autorità preposte. Come Chiesa, invece, ci sentiamo direttamente interpellati sul piano etico: i cristiani devono prima di tutto fare un esame di coscienza personale sulla propria condotta di automobilisti; le comunità inoltre educhino tutti a considerare anche la guida un campo in cui difendere la vita ed esercitare concretamente l’amore del prossimo.
L’etica per quanto riguarda le persone coinvolte nel traffico deve chiedersi perché si preferisce l'equivoco alla comprensione, l'impegno al disimpegno, l'ignorare l’altro all'attenzione empatica all'altro" (Angelsu, 17 agosto 2008).
 
Il mondo non può essere descritto come sviluppato unicamente in virtù del progresso tecnico, ma soprattutto per il suo progresso etico. In questo compito siamo impegnati tutti: credenti e non credenti.
Dopo tutto è l'uomo è ciò che conta.

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