Papa Francesco - Evangelii gaudium
capitolo 3
L'annuncio del Vangelo

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Se “evangelizzare” è il filo conduttore di tutta l’Esortazione apostolica Evangelli gaudium, questo terzo capitolo sembra rappresentare il cuore del tema. Dopo aver preso in considerazione nel secondo capitolo alcune sfide della realtà attuale, papa Francesco con il terzo capitolo di Evangelii gaudium prende in esame le costanti dell’evangelizzazione, gli elementi irrinunciabili al di là dei contesti storici e geografici (nn. 110-175). E ricorda che «non vi può essere vera evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore», e senza che vi sia un «primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione».
Per il Papa “l’evangelizzazione è compito della Chiesa”. E l’evangelizzazione è per la salvezza che Dio offre a tutti come opera della sua misericordia.
Al centro di questo evangelizzare ci sono «il primato della proclamazione di Gesù» e «il primato della grazia», una salvezza che è il risultato non delle nostre azioni, ma della misericordia di Dio. Una salvezza che è per tutti, visti non come esseri distanti o estranei uno all’altro, ma come un insieme di persone in situazione concreta, legate da rapporti stretti e costruttivi. Una comunità umana che si chiama Chiesa e che deve dare speranza, nutrendosi della speranza che viene direttamente dalla fede.
 
Di questa evangelizzazione “in virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario. Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione” (120). Per quest’ora ogni missionario deve essere imbevuto dell’amore di Dio. Papa Francesco enumera poi le vie dell’annuncio a partire dalla”. La ragione antropologica di questa via sta nel fatto che ogni popolo è il creatore della propria cultura ed il protagonista della propria storia” (122). La pietà popolare che è frutto di Vangelo inculturato non può essere sottovalutata, anzi è “un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui pensiamo alla nuova evangelizzazione”. (126)
Altra via per portare il vangelo a tutte le creature è quella di “portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti” (127). Senza dimenticare “l’annuncio alla cultura [che] implica anche un annuncio alle culture professionali, scientifiche e accademiche. Si tratta dell’incontro tra la fede, la ragione e le scienze” (132).
 
Ma è sull’omelia che il Papa attira l’attenzione dei presbiteri e dei diaconi chiedendo subito “una seria valutazione da parte dei Pastori” (135). Da pastore quale è sempre stato il Santo Padre scrive che sul tema intende fermarsi “persino con una certa meticolosità … perché molti sono i reclami in relazione a questo importante ministero e non possiamo chiudere le orecchie” (135). In effetti è quasi un trattato quello che papa Francesco dedica all’omelia (135–159). Va da se che il Vescovo di Roma annette all’omelia una importanza capitale ritenendola “il dialogo di Dio col suo popolo”. (137). E con parole chiare e forti scrive che l’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento”, “non risponde alla logica delle risorse mediatiche”, “deve essere breve ed evitare di sembrare una conferenza o una lezione”, “richiede che la parola del predicatore non occupi uno spazio eccessivo, in modo che il Signore brilli più del ministro”. (138).
Va da se che, così concepita, l’omelia necessita di una indispensabile preparazione. Essa è per il Papa “un compito così importante che conviene dedicarle un tempo prolungato di studio, preghiera, riflessione e creatività pastorale”. E asserisce: “Un predicatore che non si prepara non è “spirituale”, è disonesto ed irresponsabile verso i doni che ha ricevuto” (145). E con grande tatto pedagogico papa Francesco offre ai predicatori autentiche e concrete indicazioni per una buona predicazione (146-159).

Un secondo aseptto è quello della catechesi: annuncio che non deve essere fatto “esclusivamente o prioritariamente come formazione dottrinale” (161) . La via regia è quella del primo e principale annuncio:  “Nella catechesi ha un ruolo fondamentale il primo annuncio o “kerygma”, che deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale” (164). Tutta la formazione cristiana dipende dall’approfondimento del kerygma. Per questo il Papa indugia chiarendo che la centralità del kerygma richiede “alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche” (165). All’evangelizzatore della catechesi kerygmatica papa Francesco chiede “alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna”. (ibid.)
Quanto alla valorizzazione della iniziazione mistagogica il Santo Padre auspica la partecipazione della comunità e una rinnovata valorizzazione dei segni liturgici dell’iniziazione cristiana”(166).
 
Infine un auspicio: “che ogni catechesi presti una speciale attenzione alla “via della bellezza” (via pulchritudinis)” (167). Annunciare e seguire Cristo è bello; lui sa colmare la vita di una gioia profonda. “Dunque si rende necessario che la formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella trasmissione della fede” (ibid) perché il mondo contemporaneo non ci veda come giudici oscuri, ma come “gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo” (168).
 
Papa Francesco conclude questo 3° capitolo dell’Esortazione Evangelli gaudium ricordando che “la Sacra Scrittura è fonte dell’evangelizzazione. Pertanto, bisogna formarsi continuamente all’ascolto della Parola” (174). Per questo “è indispensabile che la Parola di Dio «diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale»” (ibid).

Narrare di Dio diventerà allora uno sguardo diverso sul mondo; uno sguardo rispettoso, compassionevole e incoraggiante.


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