Omelia nella 5 domenica di Pasqua
«Rimanete in me e io in voi»

<< Torna indietro

 

 

Dal Vangelo secondo Giovanni 15, 1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». ++++
 
 
Il brano del Vangelo della quinta domenica di Pasqua, come quelli delle domeniche sesta e settima, fanno parte dei tre discorsi d’addio che Gesù avrebbe pronunciato in occasione di quell'ultima sera trascorsa con i suoi discepoli per celebrare la cena della Pasqua prima di essere messo a morte (cc. 13-14; 15-16; 17). In essi Gesù, ricorrendo al genere letterario degli addii o del testamento, sviluppò il tema del suo ritorno al Padre e delle conseguenze che esso avrebbe avuto nella vita dei suoi discepoli. Nel secondo di questi discorsi egli sottolineò la necessità dell’unione vitale con lui, che avrebbe dovuto essere intensificata dai discepoli mediante la pratica del comandamento dell’amore vicendevole. La sezione inizia con l’allegoria della vite e dei tralci. L’immagine è semplice ma di grande forza espressiva
 
Gesù ha sempre amato scegliere i suoi riferimenti tra le cose più semplici: le icone  della comune esperienza.
«Io sono il bel pastore», ha proclamato Gesù domenica scorsa. E nel capitolo 6 dello stesso Vangelo di Giovanni si legge: «Io sono il pane della vita». Al capitolo 8 il Maestro dice: «Io sono la luce del mondo». Solo Gesù, e non altri, ha potuto pronunciare queste verità; solo Gesù, e non altri, è stato in grado di offrirci quella vita che andiamo cercando.
 
La pericope evangelica odierna, tratta dal secondo discorso d’addio, si apre con una dichiarazione solenne di Gesù: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo». Il Giovane Rabbi di Nazaret continua così a comporre il mosaico della Sua missione messianica. Secondo Giovanni Gesù è la vite «vera». L’espressione «Io sono» è una formula di auto-rivelazione presente anche altrove nel quarto vangelo. "Io sono il pane della vita" (Gv 6, 35); "Io sono il buon Pastore" (Gv 10,11); "Io sono la porta" (Gv 10,7); "Io sono la via, la verità, la vita" (Gv 14,6); "Io sono la luce del mondo" (Gv 8, 12); "Io sono la risurrezione e la vita" (G 11, 25).
 
Il Padre a cui appartiene la vite, viene designato come il «vignaiolo». Come ogni vite anche la-vite-Gesù è dotata di tralci che sono oggetto delle cure del vignaiolo: «Ogni tralcio che in me non porta frutto lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto». I tralci rappresentano tutti coloro che entrano in comunione con Gesù e diventano così membri del nuovo popolo di Dio. In quanto vignaiolo il Padre taglia i rami infruttuosi e pota quelli che danno frutto: i primi sono i credenti che non operano in sintonia con Cristo e quindi si distaccano da lui, mentre gli altri sono coloro gli rimangono fedeli.
 
Deriva da qui l’invito, anzi l’imperativo di Cristo: Rimanete in me e io in voi. Il verbo “rimanere” è ripetuto 7 volte in 4 versetti. Sorprende e stupisce l’insistenza di Gesù con la quale ci invita a rimanere in lui. E motiva il tutto con parole ancora più decise e forti: “Senza di me non potete fare nulla”. Non dice: “Senza il mio aiuto”, ma dice: “Senza di me”! E non ipotizza che faremo le cose male o a metà: afferma proprio che non faremo nulla. In tal modo siamo invitati a riconoscere la verità profonda della nostra esistenza. Siamo sì in grado di superare la nostra infertilità, ma non secondo il nostro modo di immaginare. La nostra forza non può nascere da noi stessi.
      Gesù è la vite vera. Noi siamo i tralci. Se non saremo uniti a Lui non potremo ricevere la linfa della vita.
      Gesù è la vite vera. Se non rimarremo uniti a Lui periremo nella nostra sterilità.
     Gesù è la vite vera. Se non rimarremo uniti a Lui la nostra attività non avrà senso. Ci sposteremo nel vuoto e nel vago.
 
Nel contesto della pericope evangelica odierna "rimanere" non indica uno stato di passività, ma un atteggiamento dinamico che implica la fede e l’amore del discepolo nel suo Signore. Indica la fatica della ricerca e di impegno personale per conformare la propria vita a quella del Maestro. Nella pedagogia di Gesù il concetto è chiarissimo: la creatura umana non basta a se stessa, non è la fonte della gioia, non si può auto-donare la pienezza della vita. E’ Cristo che conferisce fecondità alla nostra attività.
A essere onesti lo constatiamo ogni giorno: senza di Lui siamo come tralci secchi, sterili, inutili. Il tralcio o è unito alla vigna, o non è! Anzi; staccato dalla vigna, non può portare frutto. La vigna è per il tralcio la sua forza, il suo nutrimento, la sua vita, il suo tutto.  Infatti i tralci non hanno vita in sé: se non succhiano la linfa della vite sono morti, la vita dei tralci è nella vite. La sorte del tralcio che si stacca dalla vite è fatalmente segnata: muore e non porta frutto. Fuori di metafora la pericope evangelica fa comprendere quanto sia essenziale Gesù nella vita di coloro che si professano suoi discepoli.
 
 Il tema di fondo di questa domenica è il nostro rapporto con Cristo il. I discepoli sono i tralci innestati nella vite unica a motivo della loro fede. I tralci non sono nulla senza la vite. Il discepolo è colui che sa che senza Gesù non può fare nulla poiché mancherebbe la sua stessa identità. Non ci si può proclamare cristiani se siamo tralci distaccati dalla vite, senza possibilità di sopravvivenza spirituale e senza quella linfa necessaria per vivere legati alla sorgente della grazia e della felicità che è il Signore. In modo semplice e piano il Maestro sottolinea e indica la condizione indispensabile, l'importanza vitale dell'unione del discepolo con il suo Signore per un'esistenza autentica e ricca di frutti. Il discepolo di Gesù non è colui che si limita a conoscere il suo insegnamento. Gesù non è una dottrina da conoscere; Egli non è solo un Maestro spirituale. Gesù è una persona da incontrare e da amare. Il discepolo è colui che rimane saldamente legato al Maestro in un rapporto di amore e in un radicale coinvolgimento di vita.
E Gesù ricorda che la preghiera stessa del discepolo sarà efficace solo nella misura in cui resterà in comunione con Cristo, perché solo così i suoi desideri saranno in piena sintonia con quelli del Padre. «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato». 
 
Cari Amici
Nel giorno del nostro Battesimo la Chiesa ci ha innestato come tralci nel mistero pasquale di Gesù, nella sua Persona stessa. Da questa radice riceviamo la preziosa linfa per partecipare alla vita divina.

"Rimanete in me, e io in voi..."; sono le parole con le quali il Signore Gesù ci chiama alla comunione con lui, una comunione di vita, la cui profondità ci sfugge. Come i primi discepoli anche noi siamo chiamati a rimanere in Cristo, a dimorare in Lui, vivendo, con lui in una sempre più intima e profonda comunione. E’ certo che tutto questo richiede il coraggio e l’audacia di abbandonare le nostre difese, di fidarci, di consegnarci nelle mani di Dio.

Ma soprattutto questo atto di fiducia e di audacia confidente ci chiede di non sentirci mai arrivati; per questo Gesù ripete di “rimanere” con Lui per “diventare discepoli”.
 
Solo accogliendo Cristo e vivendo in comunione con lui la nostra vita risplenderà delle opere stesse del Maestro, che  assicura: "Chi rimane in me, e io in lui, fa molto frutto...". Ognuno di noi è come un tralcio, che vive solo se fa crescere ogni giorno nella preghiera, nella partecipazione ai Sacramenti, nella carità, la sua unione con il Signore.

E chi ama Gesù, vera vite, produce frutti di fede per un abbondante raccolto spirituale. La condizione per rimanere in Gesù è l’assimilazione interiore della sua Parola. L’azione permanente della Parola di Dio nel cuore del credente fa sì che egli sempre di più viva la vita filiale vissuta con Cristo in Dio. Da qui scaturisce che l’amore del discepolo è frutto della sua fede e della scoperta che ha fatto dell’amore di Cristo che si è manifestato in lui.
 
Vivere da risorti, dunque, è vivere in comunione con Dio nel Figlio; è dimorare in Cristo, accogliendolo sempre più pienamente in noi, con fede, con amore, mediante i sacramenti che egli stesso ci ha dato, e tra questi, primo tra tutti, l'eucaristia, il suo corpo offerto e il suo sangue versato, garanzia di salvezza e di vita eterna. E questo lo si fa giorno dopo giorno: con la preghiera; con l’abbandono quotidiano alla parola travolgente del Vangelo; con la celebrazione gioiosa della Eucarestia che è viatico per il nostro pellegrinaggio terreno e alimenta la nostra comunione con Cristo. Così, «rimanere in» è vivere la certezza di essere amati e di dare frutto, non perdendo la vita.
 
All’inizio del suo ministero di Pastore della Chiesa universale l’amato papa emerito Benedetto ci ha invitati a lasciarci raggiungere da Cristo: si tratta di rimanere alla presenza del Signore, di lasciarsi incontrare da lui, stare con lui, perché senza di lui non possiamo fare nulla. Rimanere uniti a Lui significa rimanere nella verità.

La vita cristiana si compone di diversi aspetti, ma lo snodo centrale è l’innesto nella vite che è Gesù. San Paolo VI, allora arcivescovo di Milano, scrisse: “O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario: per vivere in Comunione con Dio Padre;per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi; per essere rigenerati nello Spirito Santo”.
 
E’ questo il fondamento della vita cristiana; in questo sta il rapporto con Cristo. Tutto questo esige da noi responsabilità, impegno, decisione, coraggio, umiltà. La chiamata dell'Apostolo Paolo ci è di esempio. Come per lui l'incontro con Cristo ha significato una radicale novità di vita, così questo vale anche per noi.
 
O Dio, che ci hai inseriti in Cristo
come tralci nella vera vite, donaci il tuo Spirito,
perché, amandoci gli uni gli altri di sincero amore,
diventiamo primizie di umanità nuova
e portiamo frutti di santità e di pace.


© Riproduzione Riservata