Omelia nella 19 domenica per annum
«La forza della fede, l'attesa e la speranza»

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 Dal Vangelo secondo Luca 12, 35-40
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».


Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme è stato utilizzato dall’evangelista Luca per costruire un itinerario spirituale parallelo destinato ai discepoli del Maestro in cui proporre alcuni orientamenti di buon cammino e delineare le esigenze radicali della sequela Christi.

Nella prima parte della sezione (9,51-13,21) l’Evangelista ha riportato diversi detti riguardanti i discepoli. Ha poi raccolto altri pronunciamenti in cui predomina la critica nei confronti degli scribi e dei farisei (11,14-12,12). Infine ha introdotto una raccolta di insegnamenti sul distacco dai beni materiali e sulla fiducia nella provvidenza (12,13-59). Il testo liturgico riguardante la vigilanza fa parte di questa raccolta e si situa dopo la parabola del ricco insensato (12,13-21). Domenica scorsa, infatti, il Giovane Rabbi di Nazaret aveva istruito i suoi discepoli sul pericolo dell’avidità e della cupidigia.
 
Nel Vangelo odierno Gesù si rivolge ai discepoli chiamandoli «piccolo gregge» e invitandoli ad abbandonare i propri beni (vv. 32-34) e prosegue con due brani riguardanti l’attesa del ritorno di Gesù alla fine dei tempi: i servi vigilanti (12,35-40) e il contrasto tra due servi, uno fedele e l’altro infedele (12,41-48).

Gesù illustrò come nell’attesa della «beata speranza», la sua venuta debba spingere ancora di più a una vita ricca di opere buone. Con una premessa rasserenante: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”. È un invito alla fiducia poiché sul gregge veglia il Padre che ha progetti di bene per i suoi figli.

Il nostro cuore viene aperto ad una speranza che illumina e anima l’esistenza concreta: abbiamo la certezza che «il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (
Spe Salvi, 2).

Ciascuno è caro al cuore di Dio per cui Egli ci segue con amore e si fa garante della nostra vita.
 
I protagonisti della vicenda sono un padrone ed i suoi servi. Il padrone si era recato a una festa di nozze. Durante la sua assenza, l'unico compito che affidò ai servi fu quello di attendere il suo ritorno senza lasciarsi vincere dalla stanchezza e dal sonno. Il padrone avrebbe desiderato trovare le luci accese e i servi pronti ad accoglierlo. In tal caso egli si sarebbe fatto servo dei suoi servi per il solo fatto che questi avevano obbedito alle sue direttive.
 
Ma veniamo agli insegnamenti di Gesù che vengono proposti nell’odierno Vangelo di Luca. 
 
Prima esortazione

Se attendiamo il Signore dobbiamo superare i nostri timori e spogliarci di tutto ciò che consideriamo come nostro tesoro. Le cose non garantiscono la salvezza. Noi non attendiamo qualcosa: attendiamo Qualcuno! Gesù ha detto: «Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli» …. È un invito a usare le cose senza egoismo, sete di possesso o di dominio, ma secondo la logica di Dio, la logica dell’attenzione all’altro, la logica dell’amore.
“Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”. Il tesoro è ciò per cui l'uomo lavora, si sacrifica, lotta; è ciò che gli sta più a cuore e a cui si attacca con passione. Per Gesù si identifica con la realtà del Regno che il discepolo è invitato a scegliere senza riserve.

Ognuno ha il proprio tesoro, quelle cose che sente preziose, importanti, fondamentali. Lì è il cuore, lì si concentrano le energie, ruotano i pensieri e le emozioni, si impiegano le risorse, si spende il tempo, la vita. Occorre, allora, chiedersi: che cosa attendiamo? Quale tesoro cerchiamo? Il tesoro del cristiano è il Signore; e la sua vita è nella sua attesa. Il futuro che ci attende deve illuminare e dare senso al presente. Tutto il nostro operare deve mirare all’incontro con il Signore.
 
Seconda esortazione

Se attendiamo il Signore non possiamo vivere addormentati, dobbiamo essere svegli come la sentinella che attende l’aurora, come i servi che attendo il ritorno del loro padrone.

Gesù ha ammonito: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese». Siccome gli uomini indossavano ampie vesti, quando lavoravano o si mettevano in viaggio ne sollevavano la parte inferiore e la legavano ai fianchi per essere più spediti nei loro movimenti e nel lavoro. Inoltre l’assenza di illuminazione richiedeva l’uso di lampade portatili.

Con queste due immagini i discepoli erano invitati a tenersi pronti, in un atteggiamento di servizio, in vista del ritorno di Gesù. L'immagine delle lucerne ricorda la parabola delle vergini sagge e stolte.

 
Quante sono le cose superflue che ci impediscono di camminare spediti e ci sovraccaricano! Ci lasciamo appesantire dagli affanni e dalle angustie. Chi possiede molto, vive sempre nell'angoscia e nella paura che tutto ciò gli venga sottratto e portato via. Di conseguenza viene “distratto” da queste priorità.

Ecco perché Gesù invita alla vigilanza che costituisce un atteggiamento irrinunciabile del cristiano nel suo vivere quotidiano. Occorre dunque essere vigilanti per cogliere il passaggio del Signore, che magari avviene come un lampo. E dobbiamo coglierlo al volo e quindi essere pronti!
 
Terza esortazione: Se attendiamo il Signore non possiamo soccombere alla disperazione o cedere alla presunzione. Questi sono atteggiamenti che inchiodano al presente e fanno rifiutare il dono della speranza. Il Maestro ha invitato a guardare alla parusia: «Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

La vigilanza, l’attesa, l’attenzione, l’essere disponibili sono attitudini di chi attende con fede la venuta del Signore. Solo chi vive nell'attesa, sarà pronto ad accogliere e a riconoscere l'Atteso.

 
A ogni celebrazione eucaristica cantiamo: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. Che attesa è la nostra? Se vissuta nella fede e nella speranza, dovrebbe essere come l’attesa di un amico. Chi non crede o smarrisce questa prospettiva finisce logorato.

Chi non è vigilante non sa farsi un vero tesoro, non sa investire nelle direzioni giuste, accumula beni insignificanti. Questa mancanza di vigilanza si concretizza nella volontà di farsi tesori sulla terra, di garantirsi la vita mediante l'accumulo di beni materiali.
 
Cari Amici
La fede, se è vera fede, deve dare una svolta decisiva alla nostra vita. La fede, se è vera fede, deve farci vivere la vita in vista della parusia; in vista del Paradiso; in vista dell'eternità beata con Dio.

La vita di ogni giorno non è la festa, ma è l'attesa della festa. Il credente vede al di là e la fede gli fa vedere la vita che verrà.
Noi cristiani siamo chiamati a credere alla pienezza di vita che Dio darà ai suoi figli nell'eternità; inoltre siamo chiamati a ricordare al mondo la vita del mondo che verrà”, che è la vita più vera che dura per sempre.
 
Qualcuno potrebbe dire che tutto ciò è eccessivo. Tuttavia ciò che appare come una esigenza e come chiamata a uno sforzo sovrumano è solo anticipo di ciò che si convertirà in fonte inesauribile di gioia piena. Promette, infatti, Gesù: “Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli”. Ora il ritorno del Signore non è un episodio qualsiasi della nostra esistenza: è lì che confluisce la nostra speranza; è in quel momento che si gioca la nostra salvezza, la vita eterna. Per questo il cristiano vive il presente come una pellegrino: pronto per il viaggio, con le lampade accese, sempre pronto a incontrare il Signore che viene.
 
Per i discepoli il premio dell'essere stati vigili, desti e solerti nell'amore è eccezionale, è una ricompensa incredibile e sconvolge le consuetudini normali: il Signore stesso “si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. Già ora-e-qui questo servizio di Cristo, spinto fino al dono della propria vita, i fedeli lo ricevono personalmente in ogni Eucaristia, dove Gesù si dà come cibo.

In prospettiva escatologica è il senso di una vita piena che riescono a vivere coloro che sono vigilanti non per sé ma nell'accogliere il Signore. Molti santi, pensando alla vigilanza, hanno detto: "devo vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo". Se tutti vivessimo ogni giorno come se fosse l'ultimo, credo che la nostra vita sarebbe diversa, molto più umana e più bella.
 
Il "piccolo gregge" è quello dei servi vigilanti che attendono il Signore e che hanno in Lui il loro tesoro; Gesù ci conceda di esserne parte.
Mentre camminiamo qui su questa terra confortati dalla speranza dei beni eterni impegniamoci a far parte del "piccolo gregge" sorretti e confortati dalla parola del Salmista: “L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo”.
 
Arda nei nostri cuori, o Padre,
la stessa fede che spinse Abramo
a vivere sulla terra come pellegrino,
e non si spenga la nostra lampada,
perché vigilanti nell’attesa della tua ora
siamo introdotti da te nella patria eterna.

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