Omelia nella 12 domenica per annum
Perché avete paura? Non avete ancora fede?»

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     Dal Vangelo secondo Marco 4,35-41
 
In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». +++++
 
Il Vangelo di Marco, pur nella sua concisione, è una risposta alla domanda sull'identità di Gesù. Dall'inizio alla fine una domanda insistente percorre i 16 capitoli del secondo Vangelo: "Chi è Gesù?"
Il Libro di Marco, infatti, è diviso in due parti:
  I primi otto capitoli si estendono fino alla professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo.
  Gli altri otto capitoli narrano la missione di Gesù fino alla morte in Croce e alla sua Risurrezione.
Infatti, a metà del Vangelo di Marco troviamo l’affermazione solenne di Pietro: “Tu sei il Cristo” (8,29). Alla fine del Vangelo il centurione pagano, ai piedi della croce, dichiara: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio” (15,39)
 
Nella prima parte Gesù si rivela gradualmente restando ancora in parte segreto. Trattasi, infatti, del così detto segreto messianico su cui è impostato il Vangelo di Marco. Il motivo di questa pedagogia della gradualità è preciso: riconoscere Gesù nella sua vera identità non è facile. Da una parte occorre comprendere che Egli è il Figlio di Dio, il Messia. Dall’altra parte occorre rendersi conto che Gesù è un Messia che non corrisponde esattamente alle attese umane, poiché Egli rivela un Dio che ama fino a condividere anche la nostra miseria e la nostra povertà.
Il Vangelo che Marco ha scritto vuole aiutare a vivere una esperienza di fede progressiva con Gesù.
 
A questo cammino pedagogico è orientato anche il brano evangelico di questa XII domenica del tempo ordinario. Con questo brano Marco dà inizio a una piccola raccolta di miracoli che comprende anche la guarigione di un indemoniato e la risurrezione della figlia di Giàiro (che leggeremo domenica prossima). I discepoli, narra Marco, ammirano con stupore Gesù e ne traggono giustamente una conclusione che si fa interrogativo prepotente: «Chi è costui che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Il miracolo è sempre un segno e un invito a vedere oltre il fatto stesso.
 
Per tutto il giorno, sulle rive del lago di Tiberiade, il  Giovane Rabbi di Nazaret aveva parlato alla folla accorsa attorno a lui: tanta, da suggerirgli di rivolgersi loro da una barca ormeggiata presso la sponda. Al tramonto congedò i suoi ascoltatori e disse ai discepoli di traghettare sulla riva opposta. Ma quella volta ci fu una tempesta grande: acqua da tutte le parti; vento e onde riempirono d'acqua e tolsero il fiato ai malcapitati discepoli; la tempesta rese loro fragile ogni appiglio: ed essi si spaventarono. Temettero di morire, mentre Gesù stava a poppa, cioè dietro, beato e tranquillo; si era persino addormentato forse a cagione della stanchezza dopo una giornata di incontri e annuncio del Regno di Dio.
E’ il silenzio di Dio che atterrisce e spaventa!
Allora gli apostoli lo svegliarono e gli dissero: "Maestro, non t’importa che siamo perduti?”  
 
Un antico proverbio dice: «Ogni bisogno estremo dell’uomo è un’opportunità per Dio». A quel punto, ecco il prodigio: poche parole, un gesto imperioso e “il vento cessò e ci fu grande bonaccia". Poi disse loro: "Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Gesù chiese ai suoi il primato assoluto della fede. Tuttavia la fede entrò in attività quando i discepoli furono all’estremo: è quasi sempre così semplicemente perché in quel caso c’è un’opportunità per Dio. I discepoli avrebbero potuto addormentarsi vicino al loro Maestro anche in mezzo alla tempesta. Fu solo l’incredulità a tenerli in affanno; non riuscirono a trovare riposo, e finirono per disturbare il sonno del Signore.

La necessità della fede è l’insegnamento essenziale di questo episodio. Anche se si trovasse nella bufera, colui che guarda alla vita come Gesù ha insegnato, qualunque cosa capiti ne salverà sempre l’essenziale e non farà mai naufragio.
La fede in Gesù non è un fatto né automatico né «geometrico». Ha fede chi è capace di stabilire una profonda e personale relazione con Gesù Cristo attraverso la accettazione della relazione che egli intende avere con noi. Aver fede è lasciarsi afferrare da Cristo e seguirlo nella quotidianità della vita.
 
Cari Amici
Molti cristiani si sentono spesso come barche perse nel mare della vita senza molta speranza di poter raggiungere il porto. Gesù sembra essersi addormentato nella nostra barca. Ci sono momenti in cui davvero abbiamo l'impressione di affondare, travolti dal dolore o dai nostri errori.  Anzi: anche la fede viene travolta dalle acque.
E sale al cielo il grido: dov’è Dio? «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Nella domanda ci nasconde la risposta. E’ assolutamente chiaro che a Gesù importava moltissimo dei suoi discepoli. Li aveva scelti lui personalmente. Li aveva eletti personalmente. E aveva sempre prestato attenzione ai loro problemi e alle loro difficoltà. Al Signore sta sempre molto a cuore la sorte dei suoi seguaci. Ma quella degli apostoli  è stata la domanda della sfiducia degli apostoli nei confronti di Gesù. E vero che Gesù sembra dormire; ma – al contrario – oggi sta sulla barca della nostra vita per condividere fino in fondo il nostro destino. Dorme e non interviene perché vuole lasciare alla nostra dignità, alle nostre capacità, il compito di arrangiarsi nelle difficoltà della vita.

E la fede?
"Non avete ancora fede?" domanda Gesù.
A essere sinceri bisogna rispondere di no: no Signore, non quanta ne servirebbe per attraversare il mare in tempesta.
Spesso la nostra minuscola fede è legata a un patto assicurativo: se va tutto bene Dio esiste, ma se le cose vanno male ... Dio non è più un padre buono. Se la mia vita funziona Dio è buono, se la mia vita è tribolata Dio non è un padre buono.

Dobbiamo fidarci! (= avere fede). Dobbiamo avere fiducia (=  avere fede) anche se la barca fa acqua. Fede, fiducia, confidenza hanno tutte le stesso etimo. All’uomo è richiesto non tanto di fare qualcosa, ma di accogliere l’azione e la persona del Cristo: per essere discepoli di Cristo ci è chiesta la fede!
Preoccupiamoci solo di una cosa: di aver preso sulla barca Gesù.
Nessuna burrasca può travolgere quando il Signore è con noi.
Il fatto è che noi diamo più peso alla nostra paura che alla presenza di Gesù.
 
Soffia il vento? e venga ...
Le onde riempiono la barca? e sia ... quale è il problema?!
Gesù è sulla barca con me, non altrove!
Non sta a guardare, indifferente, ciò che accade, ma è tra le onde e il vento. Ci crediamo o no che tutto è nelle mani di un Dio di amore?!
 
Facciamo entrare Gesù veramente nella storia della nostra vita.
Permettiamogli di raggiungerci; lasciamoci afferrare da Lui.
Cediamo a Lui il timone della nostra barca.
Lui c'è. Perennemente. L'Onnipotente che rasserena.
Il suo invito è sempre lo stesso: "Perché non avete fede? Io sono il Signore".
 
  Rendi salda, o Signore, la fede del popolo cristiano,
   perché non ci esaltiamo nel successo,
   non ci abbattiamo nelle tempeste,

  ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente
  e
ci accompagni nel cammino della storia.

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