Omelia nella 10 domenica per annum
«Misericordia io voglio e non sacrificio»

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Dal vangelo secondo Matteo 9,9-13

In quel tempo, Gesù, passando, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte e gli disse «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli.
Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati.
Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».
 
Nello splendido quadro del Caravaggio che si trova nella Chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma, lo sguardo di Gesù, raffigurato da un fascio di luce, fece sobbalzare di stupore Matteo, sollevandolo dal tavolo dove stava contando i soldi.
Matteo ri­scuoteva le tasse, che nessuno paga mai volentieri!, e lo faceva a favore dell'occupante romano. Per questo era persona doppiamente detestabile! In quel periodo tutto il territorio della Palestina era sotto il dominio di Roma che cercava di organizzare il suo immenso impero, ricco e senza rivali. Correva l’anno XV dell’impero di Tiberio Cesare corrispondente al  27/28 della nostra era. Le autorità politiche che avevano potere sulla Palestina erano, oltre all’imperatore, Ponzio Pilato, procuratore della Palestina, Erode Antipa che ereditò dal padre Erode il Grande la Palestina e costruì la capitale sulle sponde occidentali del lago di Galilea dandole il nome di Tiberiade in onore dell’imperatore.
 
Matteo più che un funzionario era un estorsore, e per questo nei Vangeli viene definito “peccatore”. Gli esattori, alleati degli oppressori, erano appartenenti alla categoria di uomini considerati sfruttatori e strozzini, odiati dal popolo ed esclusi dalla comunità religiosa di Israele, perché peccatori della razza più detestabile. Infine, per completare il quadro, in quanto appartenente alla classe dei pubblicani, Matteo era anche un nemico del movimento nazareno di Gesù
Gesù, invece, lo scelse e lo invitò a far parte del gruppo dei suoi discepoli.
 
Il racconto evangelico è scarno, conciso, anche perché è l’evangelista Matteo che parla di se stesso e narra quel che era capitato. Passò Gesù: il suo sguardo deve essere stato assolutamente amorevole. Non si erano mai conosciuti prima; si rivolse a Levi e gli disse: «Seguimi».
Il Vangelo sorprende e stupisce; Levi non obiettò, non ebbe nemmeno un attimo di dubbio: «si alzò e lo seguì».
Seguire Gesù è il senso della vita nuova. . Matteo “si affidò” totalmente e fu disposto a condividere il progetto di vita che Gesù aveva su di lui rinunciando al proprio. All'istante non solo lasciò tutto, ma lo «seguì» e lo invitò a casa sua.
Rispondere alla chiamata del Giovane Rabbi di Nazaret è passare dalla morte alla vita. Levarsi è una delle parole che indicano la risurrezione: levarsi o alzarsi, risvegliarsi o sorgere.
 
Giunti a casa Matteo offrì un pranzo d'addio alla professione e di congedo dalle compagnie di un tempo; “festeggiò”, per così dire, il suo cambiamento di vita al seguito del Maestro e il dono della libertà recuperata e volle che molti condividessero la sua gioia. Ovviamente alla festa presero parte i suoi amici e colleghi che erano “pubblicani e peccatori”" di rilevanza pubblica, ossia persone che - secondo la mentalità rabbinica - avevano, in forza della loro professione, una condotta morale riprovevole. E «mentre sedeva a tavola nella casa … i farisei dicevano ai suoi discepoli: “Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?”». Scribi e farisei erano coloro che, attraverso l'interpretazione della legge, la pretesa coerenza morale, l'autorità politica e le pratiche rituali miravano a presentarsi al cospetto del popolo come i veri osservanti della legge. In questo contesto non v’è dubbi alcuno che il gesto più scandaloso di Gesù è stata la sua amicizia con i peccatori e le persone indesiderabili. Qualcosa di simile non era mai successo in Israele. Non si era mai stato visto un profeta vivere con i peccatori in un atteggiamento di fiducia e amicizia. Come poteva un uomo di Dio accettare i peccatori come amici? Come osava mangiare con loro senza mantenere le giuste distanze?
 
Per costoro il comportamento di Gesù era semplicemente scandaloso: infatti, secondo la Legge,  la compagnia dei peccatori rendeva impuro anche il Maestro. Ma Gesù chiarì il suo atteggiamento prima col proverbio: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” (v.12). Poi i farisei sono rimandati alla Scrittura che contiene non solo la legge, ma anche l'annuncio del perdono: “Misericordia io voglio, e non sacrificio” (Os 6,6).
Il Giovane Rabbi di Nazaret era guidato dalla sua esperienza di Dio. Nessuno avrebbe mai potuto convincerlo altrimenti. Fu chiamato "amico dei peccatori" e non lo negò mai, perché era vero: Dio non discrimina nessuno. Dio chiede solamente il ri­torno a colui che grazia e fascia le ferite e ridà vita al terzo giorno! Bisogna cono­scere questo Signore. Non i sacrifici e le espiazioni, ma la scoperta del suo amore ci guarisce.
 
Cari Amici
Il miracolo della misericordia di Dio non avviene solo in Matteo; il miracolo della misericordia avviene anche in noi che oggi riceviamo, da questo annuncio del Vangelo, uno sguardo purificato dall’amore misericordioso di Dio. La misericordia di Dio non è certo da confondere con il buonismo. E' un amore che si fa comprendere come l'amore per un figlio nel proprio grembo. Gesù ha sempre detestato il peccato, ma sempre amato teneramente il peccatore. La salvezza è dono dell'amore di Dio e non merito dell'uomo. L'amore è sempre dono. Ciò che salva il giusto non è il «suo» amore per Dio, ma l'amore gratuito di Dio per lui.

Chiamando Matteo, Gesù mostra che egli non guarda al loro passato, alla condizione sociale, alle convenzioni esteriori, ma piuttosto apre loro un futuro nuovo. Si dice che non vi sia santo senza passato né peccatore senza futuro. Basta rispondere all’invito con il cuore umile e sincero. Il medico è Dio, che cura le ferite del suo popolo (Sal 147,3; Is 61,1). Il suo amore gratuito è per noi l'unica cura e per lui l'unica rivela­zione adeguata. Il male non è la sconfitta del bene ma, paradossalmente, luogo di un bene maggiore. «Perfetto come il Padre» non è chi sbaglia di meno, ma chi ama di più. E certamente ama di più colui al quale è stato perdonato di più (Lc 7,41-43).
Alla religione della legge e del sacrificio subentra quella della libertà e dell'amore. Finisce la religiosità come sacrificio dell'uomo a Dio, e inizia la risposta d'amore al suo amore. Qui le radici della nostra vita trovano la loro linfa.
 
Contro le facili tentazioni di lassismo è evidente che il peccato­re è chiamato «a conversione», non a continuare a peccare. Questa conversione è possibile perché il Signore per primo si è convertito al peccatore: gli ha mostrato il suo volto e gli ha donato se stesso. Infatti la legge punisce il peccatore, ma il Signore rimette il peccato accogliendo il peccatore. Dio non è legge ma è amore; non è sanzione e punizione ma perdono e medicina. La nostra miseria è il nostro titolo ad accogliere lui misericordia senza limiti.
 
Una cosa è chiesta a ciascuno: rispondere alla sua chiamata! Seguire Gesù non è solo un atto della nostra volontà e neppure un’operazione di convenienza o un progetto che siamo chiamati a realizzare. Seguire Gesù è compiere atti di fiducia totale e di affidamento concreto alla misericordia di Dio. Confidare nella misericordia e nell’amore del Padre, nonostante tutto.
Sì, chiamaci Signore, guardaci, purificaci, prendici con Te, alla Tua sequela!
 
 
O Padre, che preferisci la misericordia al sacrificio
e accogli i peccatori alla tua mensa,
fa' che la nostra vita, trasformata dal tuo amore,
si apra con totale dedizione a te e ai fratelli.
 

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