La preghiera «nel nome di Gesù»

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E’ stato giustamente fatto rilevare che il cristiano non tanto prega Dio, ma piuttosto prega in Dio. Il credente, per la grazia battesimale, si trova già immerso in colui a cui con la preghiera tende.
Alcune espressioni bibliche ci aiutano nella comprensione di questa stupenda realtà della nostra preghiera.
La prima è “la preghiera nel nome di Gesù”.
     «In verità vi dico... qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò» (Gv 14,13).
     «Vi ho destinati perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga, perché quanto domanderete al Padre in mio nome ve lo darà» (Gv 15,16).
     «In verità, in verità vi dico: se qualche cosa chiederete al Padre ve la darà in nome mio: chiedete ed otterrete, affinché la vostra gioia sia piena» (Gv 16,23).
 
Intanto non si ometta di notare: il frutto della preghiera è la gioia, la gioia vera, la gioia piena, la gioia profonda... Se siamo tristi e sconsolati, non è forse perché preghiamo poco e preghiamo male?
 
Domandiamoci ora che cosa significhi pregare nel nome di Gesù.
 
C’è da rilevare innanzitutto che, nella mentalità semitica e quindi nel linguaggio biblico il «nome» si identifica praticamente con la «persona» stessa, la sua realtà, la sua dignità, la sua autorità.
Quando la Bibbia dice: «Sia santificato il tuo nome» è come se dicesse «Sii santificato (= dichiarato santo), tu, o Signore; «Santo è il suo nome...» sta per «Dio è santo». Perciò l'espressione .nel nome di...» significa: «con l'autorità di...», con la sua realtà, la quale, in un certo senso ci viene attribuita graziosamente.
 
Ora possiamo capire il significato dell'espressione: «Pregare nel nome di Gesù.
Innanzitutto la disposizione fondamentale del nostro «stare dinanzi a Dio» ‑ ciò è la preghiera ‑, è l'accettazione piena del suo disegno, entrandovi con tutta l'anima e tutta la disponibilità.
 
Il disegno di Dio è «ridurre tutte le cose all'unità nell'unico capo Cristo» ‑ traduco così un intraducibile verbo greco dell'apostolo Paolo (cfr. Ef 1,10) ‑ di modo che veramente Cristo “sia tutto in tutto”. (Col 3,11).
Potremmo dire così: il Padre altri non vede che il suo Figlio Gesù; altri non ama che lui, altri non esaudisce che lui; da altri non riceve gloria che da lui. Solo ciò che è “in lui” dunque può avere accesso al Padre. Sintetizzando potremmo dire: il nostro rapporto, con Dio è Cristo; la nostra preghiera è Cristo. Mettersi dunque a pregare che altro vorrà dire se non  “entrare in Cristo”, entrare cioè nel disegno di Dio?
Ne consegue che l'unico nostro compito, volendo pregare, è quello di lasciarsi afferrare da Cristo (cfr. Fil 3,12) perché sia lui la nostra preghiera; sia il nostro amore al Padre, la nostra voce, la nostra capacità, la nostra possibilità totale. Non è detto infatti di lui che è «il sempre vivente ad intercedere per. noi» (cfr. Ebr 7,25)?
Allora capiamo un volta di più la profondità della piccola semplicissima preghiera ‑ che però dice tutto ‑: «Signore, tu sei tutto, io sono nulla». Ecco, questo vuol dire pregare nel nome di Gesù.
 
La preghiera di Gesù in noi
 
È una conseguenza del lasciarsi afferrare da Cristo. Se Gesù è la nostra preghiera, per pregare basterà unirsi alla sua voce, alla sua volontà e possibilità di glorificazione del Padre, ai suoi meriti, al suo sacrificio pasquale che è, ormai per sempre e definitivamente, la possibilità dell'uomo di accedere a Dio.
Se Gesù è l'unica voce che possa arrivare al Padre, a noi rimane di unirci semplicemente a lui perché, «per lui, con lui e in lui sia a Dio ogni onore e gloria».
 
Tocchiamo qui le profondità del valore della liturgia e della nostra preghiera liturgica. Essa è infatti il momento culminante, riassuntivo di questa lode incessante che Gesù, unendo a sé tutto il suo Corpo mistico, fa salire al Padre per glorificarlo e ottenerne la salvezza (cfr. SC 7,10).
Gesù, per completare la sua opera di mediazione, perché la nostra lode al Padre, per mezzo suo, sia degna ed incessante, ci arricchisce del suo Spirito perché sia proprio lui, lo Spirito, la nostra preghiera.
 
C'è a questo riguardo un misterioso, ma affascinante passo di S. Paolo: “allo stesso modo, lo spirito viene in aiuto alla nostra debolezza: poiché noi non sappiamo che cosa dobbiamo domandare convenientemente; ma lo spirito stesso che prega per noi (= intercede) con gemiti inespressi (= senza parole); e colui che scruta i cuori sa qual è l'aspirazione dello spirito, cioè che egli secondo dio ( secondo la volontà di Dio) intercede in favore dei santi.” (Rm 8,26 s.).
 
Lo Spirito santo è la nostra ricchezza soprannaturale; è la mediazione di Gesù fatta grazia personale che risiede in noi e quasi tiene il nostro posto, parla a Dio in nome nostro; è la voce, dunque, della nostra creaturalità che si apre a Dio, da cui dobbiamo ricevere tutto; è la nostra possibilità di essere graditi a Dio, da lui esauditi, da lui salvati.
 
Lasciamo pregare in noi lo Spirito. Egli sa che cosa è accetto a Dio e che cosa serve a noi. Apriamoci a lui e lasciamolo agire in noi. Ne risulterebbe che l'unica nostra richiesta giusta, l'unica degna di Dio, l'unica preghiera veramente tale dovrebbe essere questa: ‑ Signore, ricolmaci del tuo Spirito! ‑; oppure quest'altra: ‑ Vieni, Spirito Santo! ‑. Perché non provare a ripetere mille volte al giorno queste invocazioni?

 

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