La politica come vocazione

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Nella nostra società è sempre più facile emettere un giudizio negativo sulla attività politica e sulle persone che si occupano di essa. Non v’è dubbio che la politica sia necessaria e una società che non la apprezza si pone in una situazione di pericolo democratico. Benedetto XVI nella sua prima enciclica ha scritto che “Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica” (Deus caritas est 28, a)

 

Gli abusi che nell’esercizio della attività politica si possono produrre non debbono essere  l’albero che non ci permette di vedere il bosco di tutti coloro che, motivati da una aspirazione di giustizia e di solidarietà, lottano in favore del bene comune e intendono la loro attività come servizio e non come mezzo per soddisfare la propria ambizione personale. Fare politica deve essere considerato come una vera vocazione al servizio del bene comune.

 

Il Concilio Vaticano II sottolinea la grandezza della attività politica. “La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità” (GS 75). Già precedentemente il Papa Pio XI aveva affermato che “niente, al di fuori della religione, può essere superiore al campo della politica che si riferisce agli interessi di tutta la società, che da questa prospettiva, è la forma più alta della carità, la carità politica”. (Discorso alla Fuci, 1927)

 

L’attività politica in se stessa ha una grande dignità morale e quando è esercitata come atto di impegno personale per il bene della società esige generosità e disinteresse. L’impegno politico vissuto in questa maniera – specialmente quando è motivato da uno spirito cristiano – è stato qualificato come una dura scuola di perfezione e come un esigente della virtù e certamente la dedizione alla vita politica deve essere riconosciuta come una delle più alte possibilità etiche e morali e professionali dell’uomo. 

Le attuali società democratiche esigono nuove e più vaste forme di partecipazione dei cittadini, cristiani e non cristiani nella vita pubblica. Poiché la vita in un sistema democratico non può svilupparsi profittevolmente senza una attiva, responsabile e generosa partecipazione di tutti.

 

I laici cristiani sono Chiesa e partecipano dell’unica missione di essa tanto nel senso della comunità ecclesiale quanto nel mondo. Il campo proprio della attività dei laici, come ricorda il Concilio Vaticano II quando afferma che “il carattere secolare è proprio e peculiare dei laici”.  Ai laici "quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le realtà temporali, alle quali essi sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e al Redentore" (LG 31).

Ancora il Concilio dopo aver insistito sulla necessità che "i laici assumano la instaurazione dell'ordine temporale come compito proprio", il Decreto sull'apostolato dei laici aggiunge che nella loro azione diretta e specifica essi devono essere "guidati dalla luce del Vangelo e dal pensiero della Chiesa, e mossi dalla carità cristiana" (AA 7).

Il servo di Dio papa Paolo VI stabilì una priorità nella funzione ecclesiale dei laici affermando che Il loro compito primario e immediato non è l'istituzione e lo sviluppo della comunità ecclesiale — che è il ruolo specifico dei pastori — ma è la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti e operanti nelle realtà del mondo" (Evangelii nuntiandi 70).

 

Mediante il compimento dei suoi doveri civili comuni i laici cristiani – uomini e donne – sono chiamati ad animare cristianamente l’ordine temporale e in nessun modo possono abdicare dalla loro partecipazione alla vita pubblica. E devono evitare la tentazione lasciare da parte le proprie responsabilità per essere come il lievito nella massa del mondo compiendo le proprie responsabilità in ambito professionale. Sociale, economico, culturale e politico.