L'idea del giudizio finale è svanita?

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La solennità di Tutti i Santi e soprattutto la Commemorazione dei fedeli defunti ha suscitato in molti l’interrogativo circa la conclusione del nostro cammino in questo mondo. Infatti non mancano persone, anche tra i cristiani, che pensano che, qualunque sia il comportamento di uno nel corso della vita terrena, si tratti di un peccatore o di qualcuno che si sia sforzato di essere fedele a Dio e vivere secondo la sua volontà, al momento del giudizio finale, il destino di entrambi sarebbe identico.
 
Infatti la realtà di un Dio che giudichi gli uomini, che premi e punisca, non trova facile sistemazione nell'idea che a volte abbiamo di Lui. Il Papa emerito Benedetto XVI nella poco conosciuta enciclica Spe salvi, scive: "Nei tempi moderni, l'idea del giudizio universale è svanita” (42). Possiamo aggiungere, senza timore di sbagliare, che la stessa cosa sia successa, e forse in maggior misura, con l'idea di un giudizio particolare e personale. Ma perdere di vista l'idea del giudizio di Dio comporta il grave pericolo di indurci a pensare erroneamente che ciò che viene fatto sulla terra, qualunque cosa sia, abbia sempre il medesimo valore.
 
In realtà, poco importa il modello di vita che uno ha incarnato durante la sua vita in questo mondo (cfr. Spe Salvi, 44), come se il nostro modo di vivere fosse irrilevante per il nostro destino finale. Nel soppesare le vite degli uomini, la grazia e la bontà di Dio prevarrebbero in modo tale sulla sua giustizia da renderla poco più di una parola senza contenuto reale.
      
Ma la Sacra Scrittura parla spesso di Dio come giudice e come remuneratore delle nostre opere, buone o cattive. Nella lettera agli Ebrei, a esempio, si afferma che senza fede è impossibile piacere a Dio poiché " chi infatti s'accosta a Dio deve credere che egli esiste e che egli ricompensa coloro che lo cercano" (Eb 11, 6). E con la stessa fermezza, sostiene che è destino degli uomini morire una volta sola e sottomettersi al giudizio di Dio dopo la morte (cfr Eb 9,27). San Paolo, d'altra parte, afferma chiaramente che “tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male." (2 Cor 5, 10). Dio è, in effetti, "giudice di tutti" (Eb 12, 23), e premia ognuno nell'aldilà secondo le opere che ha compiuto in questo mondo.
 
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “Ogni uomo fin dal momento della sua morte riceve nella sua anima immortale la retribuzione eterna, in un giudizio particolare che mette la sua vita in rapporto a Cristo, per cui o passerà attraverso una purificazione, o entrerà immediatamente nella beatitudine del cielo, oppure si dannerà immediatamente per sempre.”(CCC 1022). Dopo il giudizio vi sono solamente queste tre possibilità: paradiso, purgatorio o inferno.

È vero che il Nuovo Testamento parla di giudizio principalmente nella prospettiva del giudizio finale; la stessa in cui professiamo la nostra fede nel Credo: "e di nuovo verrà nella gloria, er giudicare i vivi e i morti". Tuttavia è anche frequente che parli della “immediata retribuzione che, dopo la morte, sarà data a ciascuno in rapporto alle sue opere e alla sua fede" (CCC 1021). Esempi particolarmente chiari si trovano nella parabola del ricco e del povero Lazzaro: "... ora lui (Lazzaro) è consolato, e tu sei in mezzo ai tormenti" (Lc 16,25); o nelle parole di Cristo al Buon Ladrone: "In verità ti dico, oggi sarà con me nel paradiso" (Lc 23, 43).
 
L'ultimo destino degli uomini può, quindi, essere differente l'uno dall'altro e ciò è dovuto alle opere, buone o cattive, compiute in questo mondo. La grazia e la giustizia divina si coniugano certamente in un modo da superare la nostra intelligenza; ma siamo sicuri di una cosa: né la grazia di Dio elimina la sua giustizia, né la giustizia rende inutile la grazia.
E’ essenziale, questo; non dimenticarlo mai!

 

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