Incontri con Gesù
Gesù e il buon ladrone

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Dal vangelo secondo Luca

 

26 “Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù.

27 Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui[1]. 28 Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: “Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. 29 Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.

30 Allora cominceranno a dire ai monti:

Cadete su di noi! E ai colli: copriteci![2] 31 Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?[3] 32 Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati.” (Lc 23,26-32)

 

33 Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra.

34 Gesù diceva: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”[4]. Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte.

35 Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: “Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”.

36 Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell’aceto[5], e dicevano:

37 “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”.

38 C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei[6].

 

39 Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo?[7] Salva te stesso e anche noi!”.

40 Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? 41

Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”.

42 E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno[8]”.

43 Gli rispose: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. (Lc 23,33-43)

 

Esegesi

 

Per passare dalla lettura alla meditazione occorre conoscere il contesto nel quale si situa il brano evangelico di Luca.. I contesti da prendere in considerazione, in realtà, sono due: quello più immediato del capitolo 23 e quello più ampio dell’intero Vangelo di Luca.

Il capitolo 23 si può dividere in due grandi parti: la prima (vv. 1-25), il processo di Gesù davanti a Pilato, con in mezzo la comparizione presso Erode (vv. 8-12); la seconda (vv. 26-56), comprendente la “via dolorosa”, la crocifissione, gli scherni e la morte.

U. Terrinoni[9] dice che “la celebrazione della prima ‘via crucis’ deve fare da paradigma alle infinite altre che seguiranno, perciò reclama due presenze: Cristo e l’uomo. Cristo perché entri pienamente nel nostro umano dolore; l’uomo perché partecipi intimamente alla sua Passione. La sua via dolorosa incrocia la nostra e così l’uomo non sarà più solo nella sofferenza”.

 

Il brano argomento dell’esercitazione si situa all’interno della seconda parte, che a sua volta comprende una duplice serie di versetti: da un lato, quelli relativi agli scherni rivolti a Gesù dai capi, dai soldati e dal cattivo ladrone (vv. 35-39); e, dall’altro lato, quelli del racconto dedicato al buon ladrone (vv. 40-43).

 

Non bisogna soffermarsi alla “struttura letteraria” del capitolo 23; occorre allargare lo sguardo ad un contesto più ampio, perché il racconto del buon ladrone acquista tutto il suo significato solo se riferito al “messaggio” che anima l’intero Vangelo di Luca, del “cantore della misericordia divina” come amava chiamarlo Dante. Questo messaggio potrebbe essere così compendiato: Gesù, la misericordia del Padre fatta carne, “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto” (19,10).

Anche sulla croce, nell’ultima ora della sua vita, Gesù continua l’opera che il Padre gli ha affidato: quella di rivelare e di comunicare a tutti, indistintamente, l’amore misericordioso e salvifico di Dio. Potremmo dire che col buon ladrone Gesù porta a compimento quest’opera, la conduce al suo vertice.

L’episodio alla nostra attenzione, anche se tratteggiato in pochissimi versetti, non è affatto marginale o secondario nell’insieme del Vangelo di Luca.

         Al contrario, secondo J. A. Fitzmyer[10], occupa un posto centrale nel racconto della Passione: “In un certo senso, questo episodio diventa il punto culminante e centrale del quadro lucano della crocifissione di Gesù …; esso manifesta per l’ultima volta la misericordia salvifica di Gesù verso la feccia dell’umanità”.

Secondo un altro studioso della Bibbia, W. Trilling, “il racconto è interamente ordinato in funzione del colloquio di Gesù con i malfattori e soprattutto in funzione dell'affermazione fondamentale riportata al v. 43: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso””.

 

L’atteggiamento di Gesù verso il buon ladrone può dirsi la sintesi e la consumazione della sua missione di amore di predilezione verso i peccatori, verso “chi si è perduto” (Non sono venuto per i giusti ma per i peccatori). Si potrebbe dire che il brano in argomento diventa un “piccolo vangelo” all’interno del “grande vangelo” di Luca su Gesù salvatore misericordioso.

 

La Costituzione dogmatica Dei Verbum sulla divina rivelazione inizia (§ 1): “In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio … intende proporre la genuina dottrina sulla divina rivelazione … affinché per l’annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri, sperando ami”[11].

Con quanto sopra il documento conciliare ci invita a non dimenticare mai, bensì a tenere sempre vivo e fresco il significato originale e sorprendente della Sacra Scrittura.

Il testo sacro, infatti, non è un semplice “testo”, anche se “sacro”, ma è qualcosa di più bello e grande, qualcosa di veramente vivo e profondamente personale.

Al n. 21 della Dei Verbum, il Concilio afferma: “Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta naturalezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale”.

Questa è dunque la verità profonda del nostro incontro con il testo sacro: da un lato Dio stesso ci rivolge la sua parola per mezzo di Gesù Cristo; dall’altro lato, noi ci mettiamo e rimaniamo in ascolto di questa parola.

 

Un teologo medioevale, Ugo da san Vittore, ha scritto che “tutta la Scrittura è un libro solo e quest’unico libro è Cristo”[12]. Analogamente il breve brano che Luca dedica al buon ladrone, non solo ci parla di Cristo, ma ci fa incontrare realmente e personalmente Cristo: un incontro di conoscenza, di contemplazione e di amore per un impegno di vita rinnovata.

“Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra” (Lc 23,33).

Il luogo del supplizio porta il nome di “Cranio” (in aramaico Golgota), non perché fosse uno scarico di teschi, cosa peraltro vietata dalle regole della pietà, ma forse perché presentava una forma collinare.

         Si tratta di un luogo fuori la città di Gerusalemme, pare vicino al lato settentrionale, oltre la seconda cerchia delle mura.

Gesù vi era entrato come re di pace, ora viene espulso dalla città che non ha più pace e non riconosce la visita del suo Signore.

Così il benefattore finisce tra i malfattori, fuori le mura, divenuto maledizione e peccato. D’altronde Gesù stesso vi allude nella parabola dei vignaioli omicidi: “E lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero” (Lc 20,15).

 

Gesù è condannato a morte e giustiziato nella modalità specifica della crocifissione. Ecco come viene definita la crocifissione da Cicerone: “la più crudele e spaventosa pena di morte”; da Giuseppe Flavio: “la più miserabile di tutte le morti”; da Tacito: “la punizione degli schiavi”.

Proviamo a salire anche noi il Calvario e tenere fisso lo sguardo su Gesù, il Crocifisso. Gesù è al centro: non tanto perché sta tra i due malfattori, quanto perché è il vero e in un certo senso l’unico protagonista: è il cuore vivo dell’avventura di salvezza che si compie sulla croce.

 

Gesù è crocifisso tra due ladroni, come testimonia anche l’evangelista Matteo:

 

32Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la croce di lui.

33Giunti al luogo detto Gòlgota[13], che significa luogo del Cranio,

34gli diedero da bere vino mescolato con fiele[14]. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere.

35Dopo averlo crocifisso, si spartirono i suoi vestiti, tirandoli a sorte.

36Poi, seduti, gli facevano la guardia.

37Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: “Costui è Gesù, il re dei Giudei”.

38Insieme a lui vennero crocifissi due banditi, uno a destra e uno a sinistra.

39Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo:

40“Tu, che distruggi il Tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso! Se tu sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!”.

41Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano:

42“Ha salvato altri, e non può salvare se stesso! E’ il re d’Israele; scenda ora dalla croce e gli crederemo.

43Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!”

44Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.” (Mt 27,32-44)

 

L’essere crocifisso tra due ladroni rende ancora più pesante l’infamia della crocifissione.

Infatti, se già l’essere “appeso al legno” qualifica davanti a tutti Gesù come un uomo che merita l’esecrazione, come un comune delinquente fuori legge, il fatto di trovarsi insieme a due ladroni – anzi di essere posto in mezzo – lo fa apparire a quanti lo vedono come il primo dei malfattori, come fosse il numero uno.

In questa maniera Gesù porta a compimento la profezia di Isaia: “E’ stato annoverato fra gli empi” (Is 53,12).

 

In realtà, durante tutta la sua vita Gesù non aveva cessato di mettersi in mezzo ai peccatori: ha accettato di mescolarsi alla folla dei peccatori sulle rive del Giordano per ricevere il battesimo di penitenza da Giovanni Battista (Lc 3,21); ha accettato di sedere alla mensa dei peccatori, senz’alcuna paura di suscitare scandalo (Lc 15,2). Ancora alla vigilia della Passione, al momento di essere arrestato nell’Orto degli Ulivi, Gesù dirà ai suoi nemici: “Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante” (Lc 22,52).

Ora, al culmine, due malfattori gli sono assegnati come commensali di agonia!

Gesù sta al centro, i malfattori l’uno a destra e l’altro a sinistra.

Ma chi sono i due malfattori del Calvario? Non sono dei semplici ladri, finiti in tribunale per qualche furto occasionale.

Sono invece quei malviventi che tendono imboscate lungo le strade, spogliano il viaggiatore solitario, lo caricano di colpi e l’abbandonano senza conoscenza (Lc 10,30). Ladri armati, dunque, “malfattori di professione”, secondo il termine usato da Luca (kakourgoi).

Forse erano dei pagani (cioè stranieri) o giudei o forse anche accesi attivisti del movimento zelota, uomini pronti cioè ad osare tutto pur di ribellarsi alla deprecatissima dominazione romana.

 

Ma chi sono? Per la verità non lo sappiamo, perché su questo il Vangelo mantiene assoluto silenzio.

E’ vero che la tradizione cristiana, basandosi su alcuni testi apocrifi (“Atti di Pilato” e “Vangelo di Nicodemo”), chiama il “buon ladrone” col nome di Dismas o Dimas; e che una leggenda, riferita all’apocrifo “Vangelo dell’Infanzia”, sostiene che faceva parte di una banda che catturò la Sacra Famiglia al tempo della fuga in Egitto, ma che poi, incantata dal Bambino, la rilasciò libera.

Probabilmente si tratta di leggende.

Forse non è senza significato che il Vangelo abbia scelto l’anonimato per permettere a ciascuno di noi, di potersi ritrovare nel “buon ladrone”.

 

Il gesuita Michel Ledrus commenta: “Quest’uomo resta senza nome proprio, perché la sua conversione personale è tipica di tutte le conversioni autentiche. Sino alla fine dei tempi i predestinati alla salvezza riconosceranno in questi pochi versetti di Luca il compendio della loro storia, della felice avventura della loro esperienza cristiana”[15].

 

Gesù diceva “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Sulla croce Gesù porta a compimento l’annuncio del profeta Isaia (53,12).

 

La preghiera è la prima parola di Gesù in croce. Ed è questa la prima parola che i due malfattori sentono dalle labbra di Gesù, subito dopo la crocifissione.

Come indica il verbo all’imperfetto, quella di Gesù è una preghiera ripetuta e insistente, che sale in continuità dal cuore alle sue labbra.

E’ una preghiera filiale, rivolta al “Padre” (Abba, papà) nel segno di un’intimità unica di amore e dunque colma di confidenza e fiducia.

E’ una preghiera che implora il perdono dei peccati, con l’aggiunta di una motivazione che i suoi uccisori “non sanno quello che fanno”.

Certo egli non nega né attenua la loro colpa ma li scusa.

 

A chi si rivolge Gesù sulla croce? Certamente ai suoi immediati uccisori, ma anche agli Ebrei di allora e ai loro capi, come ci testimoniano gli apostoli Pietro e Paolo.

 

Pietro, parlando agli “uomini di Israele” dice: “Voi avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l’autore della vita … Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi …” (At 3,14-15.17).

 

Paolo, parlando ai Corinzi della “sapienza divina, misteriosa che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria”, scrive: “Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria” (1 Cor 2,7-8).

 

In realtà, Gesù sulla croce chiede perdono per tutti i peccatori, sparsi in ogni luogo e appartenenti ad ogni tempo: prega anche per i due malfattori che gli stanno ai lati, prega anche per noi, per ciascuno di noi, perché tutti in qualche modo siamo responsabili della sua morte in croce.

 

Padre, perdonali …”. Non si tratta di un perdono donato direttamente da Gesù ai suoi uccisori e a tutti i peccatori, ma di una preghiera rivolta al Padre.

E’ dunque il perdono del Padre agli uomini implorato da Gesù. In questo modo viene rivelata e comunicata al mondo l’infinita misericordia del Padre.

 

In tal senso “la preghiera di Gesù non tanto rivela la grandezza e l’eroicità del perdono di Gesù ai suoi crocifissori, quanto manifesta l’amore di Dio per i peccatori”[16].

         Con questa preghiera, Gesù per primo e in modo superlativo, adempie, ottempera al mandato che ha voluto lasciare ai suoi con l’insegnamento del Padre nostro: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12). Ovviamente Gesù non ha alcun “debito” che il Padre gli deve rimettere.

 

         Gesù vive per primo soprattutto quanto ha insegnato circa il “cuore” dell’insegnamento evangelico, ossia l’amore al nemico. In questo modo si rivela “Figlio dell’Altissimo”: “Ma voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano … Amate i vostri nemici … e sarete figli dell’Altissimo” (Lc 6,27-28.35).

 

         C’è un altro aspetto della preghiera di Gesù che merita di essere rilevato.

Con il suo modo di comportarsi, Gesù “ha inventato un nuovo modo di essere martire[17], comportamento che verrà seguito dai suoi discepoli, primo fra tutti il diacono Stefano. Questi, infatti, muore pregando per i suoi lapidatori e gridando forte: “Signore, non imputar loro questo peccato” (At 7,60). Questa è una novità cristiana.

 

         Prima di Gesù i martiri giudaici, come ad esempio i fratelli maccabei e la loro eroica madre, pregano sì per il popolo, ma maledicono e augurano ogni sorta di male ai persecutori: li insultano, li scherniscono, li disprezzano, ne provocano l’ira, preannunciando loro castighi spaventosi. Essi non si sognano minimamente di pregare per loro, di invitarli alla conversione.

Del tutto diverso Gesù in croce: Egli condannato ingiustamente assolve, giudicato giustifica, disprezzato prega!

 

         Questa preghiera può apparire sconcertante e in realtà lo è. Basti pensare che alcuni antichi codici l’hanno ritenuta scandalosa e conseguentemente l’hanno omessa. Ma si tratta di uno sconcerto che apre allo stupore: anche i suoi crocifissori rientrano nel disegno sapiente e amoroso del Padre. Il perdono di Gesù è sia generosità verso i nemici, ma mostra ancor di più l'accoglienza pronta e cordiale della volontà del Padre.

 

Viene da chiedersi: tutti gli uomini peccatori hanno “diritto” di nutrire piena fiducia e di ricevere il perdono da parte di Dio “ricco di misericordia”?

La risposta affermativa viene dal Vangelo. E’ la terza volta che Gesù prega durante la sua passione:

1) ha pregato per Pietro ed è stato ascoltato: il discepolo non è venuto meno nella fede (ha solo avuto paura di dichiararsi pubblicamente Lc 23,31-32.56-62);

2) ha pregato nell’Orto degli Ulivi per sé e il Padre gli ha mandato un angelo consolatore (Lc 22,42-43);

3) ora Gesù chiede perdono per i suoi persecutori. Verrà ascoltata la sua preghiera?

Sì, e il primo testimone è il “buon ladrone”: la luce che lo colpisce è il “segno”.

Ma non c’è solo questo segno, c’è anche l’attestazione di Gesù stesso con la parola che rivolge al ladrone pentito: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43).

 

Cristo si rivela redentore dell’uomo e salvatore del mondo: lo è non soltanto con la sofferenza e la morte in croce ma anche con la preghiera che implora perdono per i peccatori.

 

L’autore della lettera agli Ebrei dice: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek” (Eb 5,7-10).

 

Secondo Marco

 

Crocifissione di Gesù[18]

21E costrinsero a portare la croce di lui un tale che passava, un certo Simone di Cirene, che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e di Rufo. 22Condussero Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del Cranio, 23 e gli davano vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.

24Poi lo crocifissero e si spartirono i suoi vestiti, tirando a sorte su di essi, ciò che ognuno avrebbe preso[19]. 25Erano le nove del mattino quando lo crocifissero. 26 La scritta con il motivo della sua condanna diceva: “il re dei Giudei”. 27 Con lui crocifissero anche due banditi, uno a destra e uno alla sua sinistra. (28[20]).

29Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: “Ehi, tu che distruggi il Tempio e lo ricostruisci in tre giorni, 30salva te stesso scendendo dalla croce!”. 31 Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo”.

“E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.” (Mc 15,21-32)

 

Sul Calvario, ai piedi di Gesù crocifisso, ci sono diverse categorie di persone.

Incontriamo prima di tutto chi si fa solidale con la sofferenza di Gesù, ne prova una pena in un certo senso infinita, vorrebbe togliere o almeno attenuare questa sofferenza così ingiusta: è Maria, la madre, e con lei le pie donne, il discepolo prediletto e qualche passante che si muove a compassione.

Il popolo sta immobile a guardare, come può avvenire in un teatro o in un’arena, non dice nulla; però non può restare indifferente: non può non pensare a quello che ha fatto, mentre prima pendeva dalle labbra di Gesù, poi con rabbia ne ha chiesto la crocifissione, ora è testimone muto e in qualche modo impotente di Gesù innalzato sulla croce.

Ma come reagirà in seguito? Luca dice che “tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, avendo visto da spettatrici l’accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto” (Lc 23,48).

Infatti lo spettacolo del Crocifisso non lascia spazio all’indifferenza o alla neutralità: ciascuno di noi, in un modo o in un altro, è necessariamente coinvolto e non può non prendere posizione nei riguardi di Gesù in croce: o a favore o contro. Non c’è un’altra possibilità.

Sul Calvario si incontrano ancora altre persone: i capi del popolo, i soldati romani, uno dei due malfattori crocifissi insieme a Gesù. “Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: ‹‹Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!››” (Lc 23,39).

Per questo malfattore, il “cattivo ladrone”, l’evangelista utilizza un verbo greco che esprime non solo scherno ma anche un vero e proprio disprezzo: “lo bestemmiava”.

Forse nella disperazione della sofferenza, questo ladrone si aggrappa con tutte le sue forze alla vita che inesorabile gli sfugge.

Non vuole morire! Per questo chiede a Gesù un atto di potenza messianica che salvi se stesso e loro.

In fondo rivendica la salvezza ma la esige in un modo riduttivo e distorto, in quanto pretende di imporne i tempi e le modalità.

Si comprende allora perché la sua richiesta appare come una bestemmia: in realtà, il disegno di salvezza di Dio si sta realizzando già da tempo, secondo la logica della sapienza e dell’amore di Dio, la “logica della croce”, non invece secondo la logica del cattivo ladrone.

 

Si potrebbe dire che gli insulti sarcastici dei tre gruppi che stanno sotto la croce (i capi, i soldati e il malfattore) sono pressoché equivalenti, in due parti: l’una in chiave ipotetica (se sei il Cristo di Dio, se sei il re dei Giudei), l’altra espressa con un imperativo (salva te stesso!).

Paradossalmente questi insulti ci conducono al cuore del dramma che si sta consumando sul Calvario e nel quale viene coinvolto il buon ladrone.

 

Ma è proprio vero che il Cristo, il Messia, è il Salvatore del mondo? Certamente sì: è questa la verità centrale proclamata dai Vangeli e in particolare da quello di Luca.

Pensiamo quando alla nascita di Gesù, gli angeli dicono ai pastori: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2,11). Così già all’inizio della vita di Gesù; così anche ora sulla croce, quando siamo al termine della sua vita.

 

Le grida sul Calvario delle persone che abbiamo detto prima richiamano in qualche modo la voce che aveva scosso il silenzio del deserto (quella del grande tentatore): “se sei il Figlio di Dio”. Ma mentre nel deserto, agli inizi del suo ministero, Gesù risponde puntualmente e in modo tagliente, qui, sulla croce, Gesù tace.

Proprio questo silenzio rende più drammatico l’interrogativo.

L’interrogativo non è solo di allora, non è solo dei capi, dei soldati e del malfattore; è anche di ogni tempo nella storia, dunque anche di oggi, e in un certo senso provoca tutti gli uomini, compresi gli stessi credenti, ogni volta che il mondo presenta i segni del male, della falsità, dell’ingiustizia, della corruzione morale, della violenza, del terrorismo, del misconoscimento dei diritti umani e dei più deboli.

 

Frequentemente viene posta la domanda: ma se Dio è veramente bontà onnipotente, perché tollera tutto questo male? Perché permette tutte queste iniquità?

San Tommaso d’Aquino esprimeva in termini concisi e forti la difficoltà religiosa insita nell’interrogativo sul “perché” della sofferenza umana con un dilemma di estrema chiarezza e drammaticità: “Se Dio esiste, non vi sarebbe nessun male nel mondo. Ma nel mondo si trova il male. Quindi Dio non esiste” (Summa Theologiae, I,2,3).

 

Come rispondere? Chi deve rispondere? Non costituisce forse uno scandalo anche per noi credenti? Certamente è una sfida.

 

Il silenzio del Calvario viene interrotto da una inattesa e sorprendente risposta che Gesù dà al malfattore condannato con lui.

E’ vero, si tratta di un malfattore, condannato a morte, ma ormai per lui si sta aprendo un nuovo cammino di vita: il cammino della conversione che lo rende candidato alla salvezza e alla vita.

 

La testimonianza dell’evangelista Luca ci aiuta a penetrare a fondo nell’animo di quest’uomo.

Leggendo il brano ci è dato di coglierne i sentimenti più nascosti e di riconoscere la presenza della grazia del Crocifisso.

Proprio questa grazia invisibile ma così reale, opera in lui “grandi cose”: lo illumina e lo spinge fortemente e soavemente a raggiungere la verità di quel Gesù che sta morendo sulla croce.

 

Il malfattore comincia a dissociarsi dallo scherno e dall’irrisione del suo compagno di sventura.

Una dissociazione netta e radicale che lo porta a rimproverare il compagno: “Tu non hai neanche timore di Dio, benché condannato alla stessa pena?” (Lc 23,40).

Emerge qui il primo passo nel cammino della conversione: sotto l’influsso della grazia, il buon ladrone si apre a quel timore del Signore che è principio di conoscenza e di saggezza nella vita dell’uomo.

 

Segue un altro passo importante: il riconoscimento della propria colpevolezza; e un altro passo ancora: il riconoscimento dell’innocenza di Gesù.

Il malfattore così prosegue: “Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male!” (Lc 23,41).

 

Dunque il malfattore riconosce apertamente la sua colpa e fa presente al suo compagno che la loro sofferenza è giustamente meritata, mentre non lo è affatto quella di Gesù.

Altro momento significativo e importante del cammino di conversione: il “buon ladrone” non pensa soltanto a se stesso, ma anche al suo compagno; vuole coinvolgerlo nel suo stesso cammino.

Sappiamo che Gesù “non ha fatto nulla di male”: egli è innocente, il giusto! Non può infatti morire in questo modo, perdonando un malfattore.

E’ interessante questa proclamazione dell’innocenza di Gesù, tanto più perché proclamata da un “malfattore”. Si tratta di quell’innocenza che dopo la morte di Gesù, sarà riconosciuta anche dal centurione romano: “Veramente quest’uomo era giusto” (Lc 23,47).

 

In seguito, nei discorsi degli apostoli dopo la risurrezione, l’innocenza di Gesù verrà riaffermata continuamente, nella forma di un “ritornello”: Gesù non ha fatto nulla di male, è innocente; Egli è l’Innocente! (Atti 2,22; 3,13 …).

 

Riconoscere la propria colpevolezza, confessandosi peccatore, ha un grande valore morale: significa che in questo malfattore vi è ancora un residuo di verità e di giustizia.

Questo è un passo importante nel cammino della conversione, tanto più significativo quanto più sperimentiamo quotidianamente quanto e come non è facile saper riconoscere le proprie scelte sbagliate e le proprie azioni peccaminose.

 

Da notare oltre al riconoscimento della propria colpevolezza, la proclamazione dell’innocenza di Gesù.

E’ questo un passo che il buon ladrone compie sulla strada della conversione, caratterizzata non solo da un’esigenza di verità e giustizia, ma anche da un sentimento di bontà d’animo nei confronti di Gesù, che lo portano a dire a Gesù: “ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42).

 

Di fronte a questa preghiera si rimane sorpresi. Tra tante preghiere tramandate dai grandi oranti, nessuna è così breve e così perfetta: ciascuna parola è importante e ricca di significato perché viene da un cuore ormai profondamente cambiato e rinnovato da una grande fede.

 

Il malfattore pentito si rivolge a Gesù chiamandolo con il suo proprio nome.

E’ questa l’unica volta, in tutto il Nuovo Testamento, in cui troviamo “Gesù” al vocativo, senza alcun aggettivo o titolo.

E’ molto sorprendente che proprio il ladrone, primo e unico in tutti i testi neotestamentari, non aggiunga altro titolo al nome “Gesù”. Altrove, nel vangelo di Luca, altre persone si rivolgono in preghiera al Maestro.

Come mai viene ora usato il semplice nome “Gesù”? Forse l’evangelista Luca vuole far emergere in tutta la sua bellezza e forza la dimensione della salvezza che questo nome esprime nella lingua ebraica; appunto Dio salva o Dio salvatore.

 

La preghiera del malfattore pentito esprime non solo una grande speranza ma anche una grande certezza.

Il neoconvertito ha capito da quanto è avvenuto in sua presenza sul Calvario, che Gesù avrà nell’altra vita un futuro di gloria, così come ha capito dall’iscrizione del cartello affisso in croce, che sarà investito di una regalità.

Ora egli riconosce che Gesù è re ma di un’altra natura, si tratta di un regno di misericordia.

 

Secondo Giovanni

17 Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò[21] verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòolgota, 18 dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. 19 Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: “Gesù il Nazareno, il re dei Giudei”. 20 Molti Giudei lessero questa iscrizione perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco[22]. 21 I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: ”Non scrivere: Il re dei Giudei, ma: Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”. 22 Rispose Pilato: “Quel che ho scritto, ho scritto”.

23 I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero i suoi vestiti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. 24 Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca”. Così si compiva la Scrittura:

Si sono spartiti tra loro i miei vestiti

E sulla mia tunica hanno tirato la sorte.

E i soldati fecero così[23]. (Gv 19,17-24)

 

San Giovanni Crisostomo[24] in qualche modo si meraviglia e si rivolge al ladrone così: “Che cosa strana, inaudita! La croce è sotto i tuoi occhi e tu parli di regalità! Che cosa vedi che ti possa far ricordare la dignità regale? Un uomo crocifisso, contuso dagli schiaffi, schiacciato dalle beffe e dalle accuse, coperto dagli sputi, lacerato dai flagelli: è da questi segni che tu riconosci un re?”.

 

Il ladrone non si ferma all’apparenza, vede con gli occhi della fede.

Ecco come si esprime sant’Agostino[25]: “Che fede! Ad una tal fede io non so che cosa si potrebbe aggiungere. Coloro che hanno visto Cristo risuscitare dai morti hanno vacillato; egli invece ha creduto in colui che vedeva appeso al legno accanto a sé. Nell’istante stesso in cui i primi hanno vacillato, egli ha creduto. Che bel frutto ha colto questo bandito sul legno secco!”.

 

Così “in un momento di smarrimento generale non c’è che un “brigante” a tener alta la fede in Cristo. I nemici trionfano, i discepoli e gli apostoli sono scomparsi; solo questo anonimo condannato confessa la messianicità di Gesù, nonostante che lo veda pendere dalla croce vinto e umiliato. Un così alto esempio di fede non è dato vedere che raramente o mai nei Vangeli. Tutti coloro che hanno dichiarato pubblicamente la messianicità di Gesù l’hanno fatto sempre in occasione di qualche miracolo, mai in circostanze così infauste. Riconoscere il Messia, che sta per prendere possesso del regno attraverso la morte in croce, è fede cieca di cui i Vangeli non ricordano altro esempio”[26].

 

In verità, in verità, ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23,43). Alla preghiera del buon ladrone Gesù offre una risposta pronta, breve ma solenne e sorprendente.

Tale risposta si apre con una formula che impegna solennemente la parola data, carica di tutto il peso della propria autorità, dignità e credibilità.

 

Secondo il termine aramaico pronunciato da Gesù usato raramente e da Luca soltanto qui, significa: è vero, sono sicuro, lo garantisco.

Osserva W. Trilling “nessun uomo aveva ricevuto da parte di Gesù questa garanzia strettamente personale di vivere con lui in paradiso”.

Il buon ladrone aveva chiesto un ricordo Gesù invece gli risponde: “Oggi sarai con me”.

Commenta sant’Agostino[27]: “Sperava di ottenere la salvezza soltanto in futuro, si contentava di riceverla in un lontano domani, ed ecco che ode la risposta: “Oggi stesso”, “Oggi tu entrerai con me in paradiso”.

E’ da notare come l’oggi sia un termine presente in continuità nel Vangelo di Luca, dove riveste un particolare rilievo e significato. E’ l’oggi della salvezza: “Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore”, dice l’angelo del Signore ai pastori di Betlemme (Lc 2,11);

Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” proclama Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,20);

Oggi la salvezza è entrata in questa casa” dice il Signore a Zaccheo (Lc 19,9). Come si può notare questo oggi appartiene a Gesù in quanto è il Salvatore, in un certo senso coincide con Gesù stesso. Proprio per questo l’oggi penetra e pervade ogni tempo, il passato il presente e il futuro. L’autore degli Ebrei dice: “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!” (Eb 13,8). Per il buon ladrone il giorno della sua morte in croce diventa il giorno dell’inizio della vita piena e della gloria definitiva.

 

San Giovanni Crisostomo suggerisce: “E’ un grande onore entrare in Paradiso, ma è un onore ancora più grande entrarvi con il Signore”. Essere con Cristo significa profonda comunione di vita, intimo rapporto d’amore e d’amicizia, piena partecipazione della sua regalità. Sant’Ambrogio vescovo di Milano, nel suo commento al vangelo di Luca, fa notare come nella risposta di Gesù alla preghiera del ladrone “il dono superi sempre in abbondanza la domanda” … “Il Signore dà sempre di più di quanto gli chiediamo. Colui pregava che il Signore si ricordasse di lui, quando fosse giunto nel suo Regno, ma il Signore gli rispose: … oggi sarai con me nel Paradiso; la vita è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è il Regno”[28].

 

Del buon ladrone, dopo la risposta di Gesù “oggi sarai con me nel paradiso”, Luca non dice più nulla.

Giovanni invece ci parla e riferisce delle “gambe spezzate”. La conversione dunque non gli ha conferito nessun privilegio, nessuna eccezione quaggiù. Si può immaginare tuttavia che la parola certa di Gesù lo abbia aiutato ad accettare questa crudele morte con un atteggiamento interiore nuovo.

 

Sulla croce, nel momento umiliante e umanamente perdente della passione e della morte, Gesù rivela al mondo che la salvezza si realizza attraverso la sofferenza e la morte. Certamente, una salvezza che avviene in questo modo non può non lasciare sconvolto e sconcertato l’uomo. L’apostolo Paolo afferma: “La parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi è potenza di Dio … E’ piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani: ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Cor 1,12 ss).

E’ in questo modo che Gesù continua a rispondere a tutti coloro che nel dispiegarsi ininterrotto della storia, si interrogano nei diversi modi sul senso della salvezza che scaturisce dalla sofferenza e dalla morte.

Scrive uno studioso della sacra scrittura: “Gesù stesso invita il suo compagno di supplizio a concepire una fede profonda, capace di riconoscere la presenza salvifica di Dio in ciò che ne è la negazione più scandalosa, cioè nella sofferenza innocente … La risposta di Gesù al buon ladrone dice chiaramente che Dio è presente, anche oggi, là dove si soffre e si muore per la causa della giustizia, della pace, dell’unità del genere umano.

Nella croce Dio manifesta che l’amore è più forte della morte, che il segreto della salvezza risiede nel valore della croce: croce come rivelazione di Dio che salva. E’ questo il ministero più prezioso e più urgente che oggi si attende anche dai cristiani”[29].

 

Dopo essere stati un congruo periodo a riflettere su questo incontro tra “il buon ladrone” e Gesù accenno a qualche riflessione. Un primo stupore ha destato in me la molteplicità degli studiosi che si sono occupati di questo personaggio dai Padri e scrittori ecclesiastici (sant’Ambrogio, sant’Agostino, san Giovanni Crisostomo, s. Leone Magno, s. Fulgenzio di Ruspe, s. Gregorio Magno, Beda il Venerabile, Bruun Candido di Fulda, sant’Anselmo d’Aosta) a tanti teologi e predicatori fino ai nostri giorni.

Certamente questo incontro affascina per il calibro del “malfattore”. Siamo abituati a puntare il dito, sul “mostro di turno”, sul “grand commis” o sul politico famoso … e spesso li condanniamo senza alcuna tregua. Ma a parte questo giudizio perentorio, continuiamo a puntare il dito sul nostro prossimo in genere. Qualcuno ci ricorda prima di guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello, di vedere la nostra trave! Volendo riassumere l’esperienza del “buon ladrone” si può dire che è consapevole del suo passato, che ha la possibilità di cogliere con quale Persona si trova, rapidamente conscio del proprio errore attiva le virtù cardinali e comincia a metterle subito in pratica e ottiene … il Paradiso. Alcuni “osservatori” superficiali non colgono la profondità di questo incontro e ipotizzano una vita “disimpegnata” tanto in ultimo si potrà imitare questo personaggio. Come a dire, se è stato ascoltato un grande peccatore, potrà essere dato ascolto anche a un comune “credente”. Se si ragionasse in codesta maniera credo che non si coglierebbe la consapevolezza, il senso creaturale che ha sperimentato il “buon ladrone”. Ricordiamo soprattutto che non conosciamo il momento né l’ora; quello che possiamo fare è di essere sempre pronti. Possiamo essere sempre trovati preparati, con un cuore pronto ad amare.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

S. Agostino, De catechizandis rudibus, c. IV, 8: PL 40, 316.

 

R. L. Bruckberger, La storia di Gesù Cristo, Milano 1967.

 

J. Dupont, Gesù Salvatore, in “Parole di vita” 1991.

 

J. A. Fitzmyer Luca teologo, Brescia 1991.

 

M. Galizzi, Gesù nel Getsemani (Mc 14,32-42; Mt 26,36-46; Lc 22,39-46), Biblioteca di Scienze Religiose 4, Zurich/Schreiz, PAS-Verlag 1972

Giovanni Paolo II, Omelia 22 novembre 1998, solennità di Cristo Re;

Giovanni Paolo II, Via Crucis Colosseo 2002.

 

M. Ledrus Alla scuola del “ladrone” penitente, Roma 1992.

 

B. Prete, La passione e la morte di Gesù nel racconto di Luca. Vol. I, I racconti della passione. L’arresto, Brescia Paideia 1996. 112 10L

 

U. Terrinoni Il vangelo dell’incontro. Riflessioni su Luca, Bologna 1997.

 

D. Tettamanzi, cardinale arcivescovo di Milano, IL BUON LADRONE, Meditazione, Libreria Editrice Vaticana 2003.

 

Ugo da san Vittore, L’arca di Noè, II, 8.



[1] Secondo la tradizione ebraica, alcune donne facoltose di Gerusalemme assistevano i condannati a morte, provvedendo anche il vino aromatizzato che doveva alleviare le sofferenze.

[2] Citazione di Os 10,8; vedi Ap 6,16.

[3] Il legno verde è Gesù innocente, il legno secco sono quanti, avendo condannato il loro Messia, sono pronti per la punizione.

[4] Sublime parola di perdono (vedi anche v. 43); così morirà anche il discepolo Stefano (vedi At 7,60). Gesù è il modello del perdono del nemico (vedi 6,35) e insieme causa di salvezza per tutti i peccatori.

[5] Il testo richiama Sal 22,19; 22,8; 69,22. Le due sublimi parole di misericordia di Gesù (qui e v. 43) sono conservate soltanto da Luca.

[6] Vedi Mt 27,39-44); Mc 15,29-32. A schernire Gesù sono, in ordine discendente, i capi, i soldati e un malfattore.

[7] Non sei tu il Cristo?: il cattivo ladrone interpella Gesù come ”Cristo” (v 39); il buon ladrone lo riconosce come “re” (v 42): sono i due titoli, religioso e politico, intorno ai quali si è svolto il processo di Gesù, prima davanti ai Giudei, poi davanti a Pilato.

[8] entrerai nel tuo regno: per inaugurarlo; BJ traduce: “verrai con il (cioè in possesso del) tuo regno”.

[9] Il vangelo dell’incontro. Riflessioni su Luca, Bologna 1997, 212.

[10] Luca teologo, Brescia 1991, 166.

[11] Cfr. S. Agostino, De catechizandis rudibus, c. IV, 8: PL 40,316.

[12] L’arca di Noè, II, 8.

[13] Gòlgota è una parola aramaica, che significa “cranio”; in latino “calvaria”. Si trattava di un rialzo roccioso alto 10 mt., tondeggiante, a forma di cranio.

[14] Il vino con fiele doveva alleviare la sofferenza.

[15] Alla scuola del “ladrone” penitente, Roma 1992, 37.

[16] B. Prete, La passione e la morte di Gesù nel racconto di Luca. Vol. I, I racconti della passione. L’arresto, Brescia Paideia 1996, 112 10L

[17] M. Galizzi, Gesù nel Getsemani (Mc 14,32-42; Mt 26,36-46; Lc 22,39-46), Biblioteca di Scienze Religiose 4, Zurich/Schreiz, PAS-Verlag 1972.

[18] Vedi Mt 27,32-34; Lc 23,26.33-38; Gv 19,17-24. Il racconto del cammino verso il Gòlgota e della crocifissione in Marco è molto simile a quello di Matteo. Marco organizza il materiale in tre momenti, secondo lo schema cronologico delle ore della giornata. Tra le nove del mattino e il mezzogiorno si compie la crocifissione, la spoliazione e la spartizione delle vesti. Gli oltraggi coinvolgono anche i due malfattori crocifissi accanto a Gesù, che muore in una solitudine estrema, circondato dall’odio degli uomini.

[19] Vedi il Sal 22,19.

[20] Questo versetto  (“E si compì la Scrittura che dice: E’ stato messo tra i malfattori”) è omesso dai manoscritti più autorevoli.

[21] Giovanni non soltanto racconta la morte di Gesù, ma la commenta, servendosi di numerosi riferimenti alle Scritture e di vari simboli.

[22] La regalità di Gesù è solennemente e pubblicamente proclamata davanti al mondo intero: ebraico, greco e latino erano le tre lingue che rappresentavano l’universalità.

[23] Citazione del Sal 22,19. Quel tipo di tunica era un capo assai pregiato. Il fatto che la tunica non sia stata divisa è per molti un simbolo dell'unità della Chiesa.

[24] Sermo in Genesim.

[25] Discorso 232.

[26] O. Da Spinetoli, Luca, Assisi 1982, 714.

[27] Esposizione sui Salmi, Salmo 39.

[28] In Lucam X, 121.

[29] J. Dupont, Gesù Salvatore, in “Parole di vita” 1991, 277.